Viola la privacy la questura che diffonde immagini di persone arrestate

La diffusione da parte di una questura di video e immagini di persone identificate mentre le stesse vengono tratte in arresto sono lesive della normativa in materia di privacy

   Indice

  1. I fatti
  2. L’attività istruttoria
  3. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
  4. Conclusioni

 >>>Leggi: Garante per la protezione dei dati personali: Ordinanza ingiunzione n. 61 nei confronti del Ministero dell’Interno – 24.02.2022<<<

1. I fatti

Durante un procedimento dinanzi all’Autorità, veniva segnalato che erano state pubblicate su alcuni siti internet di testate giornalistiche, su profili facebook e su un canale youtube, dei video e delle immagini raffiguranti delle operazioni di arresto, avvenute nel febbraio del 2015, di 8 persone indagate per alcuni reati.

In considerazione di tale segnalazione, il Garante avviava l’istruttoria, chiedendo chiarimenti al Ministero dell’interno in ordine alle modalità e alla finalità della diffusione delle immagini e del video di cui sopra.

Il Ministero sosteneva la legittimità della diffusione in quanto le immagini non riproducevano persone in stato di detenzione e dunque non erano paragonabili a “foto segnaletiche”. In secondo luogo, il Ministero rilevava che la finalità della diffusione era giustificata da necessità di polizia , in quanto aveva l’intento di favorire lo svolgimento delle indagini di polizia giudiziaria, permettendo alle persone che riconoscevano gli indagati di fornire ulteriori dettagli utili a completare il quadro probatorio e soprattutto per individuarli come autori di altri reati della stessa tipologia per cui gli stessi erano indagati e che erano rimasti a carico di ignoti. Secondo il Ministero, infatti, gli indagati appartenevano a un gruppo criminale organizzato dedito a commettere reati di quel genere e ciò aveva giustificato la diffusione delle loro immagini e generalità per consentire a chiunque avesse notizie di poter collaborare con la giustizia.

In conclusione, il Ministero dava conto del fatto che, in considerazione del tempo trascorso dalla pubblicazione delle immagini (cioè il 2015), il 23 dicembre 2020 aveva provveduto a rimuovere le immagini dalla pagina fecobook della Questura locale.

2. L’attività istruttoria

A seguito dell’istruttoria svolta, il Garante ha accertato che il Ministero avesse posto in essere la condotta contestata, consistente nella divulgazione di un video contenente le immagini dei volti, con impressi i rispettivi nominatici, di otto indagati di cui si dava notizia del loro arresto e le immagini dei momenti in cui detti indagati, anche se con il volto coperto, venivano trasportati dagli agenti di polizia all’interno delle auto di servizio.

Il Garante ha altresì accertato che tale video e immagini sono rimaste pubblicate nella pagina facebook della Questura locale fino al dicembre del 2020 e sono state rimosse solo a seguito dell’invito in tal senso del Garante.


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3. La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Per la decisione sul caso in esame, il Garante ha ricordato alcune sentenze della Corte EDU, secondo cui la diffusione dell’immagine di una persona destinataria di misure coercitive costituisce una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle libertà fondamentali nel caso in cui non venga rispettato l’art. 8 della CEDU  secondo cui ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica a meno che ciò non sia previsto dalla legge e sia necessaria per la sicurezza nazionale o per la tutela della pubblica sicurezza o il benessere economico del paese o per la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati.

In applicazione di tale disposizione, la Corte EDU ha più volte affermato che è possibile limitare il diritto alla vita privata di una persona sottoposta a procedura penale pendente, attraverso la pubblicazione di una sua foto, solo se sussistono valide e convincenti ragioni: tali non sono, per esempio, la diffusione di fotografie del soggetto sottoposto alla misure penale qualora l’interessato sia in stato di detenzione (e non latitante) e il processo non sia ancora cominciato (in quanto tale diffusione non persegue alcuno scopo legittimo e non protegge alcun interesse di giustizia).

4. Conclusioni

Il Garante per la protezione dei dati personali ha ritenuto che il trattamento posto in essere dal Ministero non sia legittimo e conforme alla normativa in materia di protezione dei dati personali.

Secondo il Garante, il Ministero non ha dimostrato che dietro alla diffusione del video contestato vi fossero delle effettive esigenze di polizia: ciò anche in considerazione del fatto che il video raccontava le operazioni di arresto degli interessati, senza dar conto dei motivi per cui si rendeva necessaria la divulgazione delle immagini in esame. Infatti, il generico intento di “completare il quadro probatorio e soprattutto di identificare in essi gli autori di eventuali analoghi atti criminali in precedenza rimasti ignoti” non può ritenersi sufficiente a giustificare la diffusione delle immagini.

Inoltre, il fatto che il video e le immagini siano state rimosse dal Ministero soltanto dopo la segnalazione in tal senso del Garante e dopo che erano trascorsi oltre 5 anni dalla loro pubblicazione e dall’effettuazione dell’arresto, rendere ancora più evidente l’illeicità del trattamento e la sua idoneità a creare un pregiudizio alla dignità degli interessati.

Secondo il Garante, infatti, dal video è possibile individuare con chiarezza 7 immagini dei volti degli 8 soggetti indagati e si può ricavare agevolmente che dette immagini sono state acquisite durante le operazioni di arresto degli interessati, anche in considerazione del fatto che sono precedute da altre immagini dove 8 persone, a volto coperto, vengono portate in maniera coattiva dagli agenti di polizia dentro le auto di servizio.

In considerazione di ciò, per come sono state scattate e per il fatto che è presente il logo della Polizia di Stato, il Garante ha equiparato le immagini di cui si discute alle “foto segnaletiche”, anche se non sono presenti i classici numeri in sovraimpressione.

In conclusione, il Garante ha ricordato che la Corte di Cassazione ha avuto modo di evidenziare più volte che la dignità della persona umana va tutelata anche e soprattutto quando la stessa si trovi in una situazione di momentanea inferiorità che la rende particolarmente esposta e vulnerabile: ciò al fine di evitare che la pubblicazione di notizie che la riguardano sia effettuate con modalità gratuitamente umilianti.

Ebbene, nel caso di specie, anche se non si tratta di foto segnaletiche, le immagini in questione presentano tutte le caratteristiche per essere ritenute lesive della dignità degli interessati in quanto gli stessi sono in posizione forzata, ritratti in primo piano, senza il loro consenso e in una situazione oggettivamente umiliante.

Per tali ragioni il Garante ha ritenuto il trattamento dati in questione in violazione della normativa in materia di privacy nonché lesivo della dignità degli interessati e conseguentemente, tenuto conto della particolare natura dei dati in questione (cioè immagini di persone tratte in arresto) e della durata del trattamento (5 anni), ha condannato il Ministero dell’interno ad una sanzione pecuniaria di €. 60.000.

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