Come noto, la disciplina degli appalti è oggi ampiamente regolata dal diritto europeo, poichè ha una forte incidenza sul funzionamento del mercato comune. La finalità della disciplina europea è principalmente quella di garantire che l’attribuzione di vantaggi economici avvenga sulla base del rispetto dei principi di libertà di iniziativa economica.
Il diritto europeo, in linea con tale ratio volta alla tutela del mercato e della concorrenza, si è spinto oltre disciplinando anche le concessioni demaniali, in quanto anche la concessione di un bene demaniale attribuisce un vantaggio ed interferisce con il principio di tutela della concorrenza. Muovendo da tale principio, ne consegue che non è possibile prorogare la concessione per sempre o per lunghi periodi senza alcuna motivazione in quanto tale bene continuerebbe a perpetuare un vantaggio in capo ad un solo soggetto. Pertanto, occorre procedere attraverso gara ogni volta che un provvedimento attribuisce un vantaggio economico ed è perciò potenzialmente in grado di alterare la concorrenza.
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I fatti ad oggetto del giudizio
Nel caso di specie, sottoposto all’attenzione del Tar Toscana, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, su segnalazione di un cittadino, ha formulato parere all’Amministrazione comunale circa la proroga fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali marittime. Secondo l’Amministrazione comunale, l’Autorità avrebbe omesso di considerare che alcune aree interessate alla proroga rientrassero nei cc.dd. “Ambiti di servizio” ed, in ogni caso, non troverebbero applicazione le disposizioni invocate dalla Autorità, in quanto la costa di Piombino – per le sue caratteristiche – non potrebbe considerarsi una “risorsa scarsa”; vi sarebbe, inoltre, una evidente disparita di trattamento rispetto a situazioni analoghe, presenti all’interno del territorio nazionale, dove – pur in presenza di numerosi procedimenti volti a formalizzare la estensione della durata delle concessioni – l’Autorità non era intervenuta.
L’Autorità, preso atto del mancato adeguamento al parere ricevuto e ritenendo non condivisibili le motivazioni addotte dal Comune, ha impugnato la Determinazione al fine di ottenerne l’annullamento deducendo l’invalidità del provvedimento amministrativo, per invalidità derivata dal contrasto tra la normativa statale applicata e la normativa europea ritenuta direttamente applicabile, poiché tale atto risulta essere in palese contrasto con gli artt. 49 e 56 del TFUE, nonché con i principi europei in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza, derivanti dalla direttiva 123/2016 (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva servizi)
La necessità di espletare una selezione pubblica nel rilascio delle concessioni demaniali marittime
La nota sentenza della Corte di giustizia del 14 luglio 2016 (in cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l., e C-67/15, Mario Melis e altri) ha chiarito la corretta interpretazione in tema di rilascio delle concessioni demaniali marittime alla luce delle Direttive europee, formulando il granitico principio in conformità del quale L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati.
Dapprima, la giurisprudenza nazionale aveva aderito all’interpretazione dell’art. 37 cod. nav. che privilegia l’esperimento della selezione pubblica nel rilascio delle concessioni demaniali marittime. In tal senso si era espresso il Consiglio di Stato che ha ritenuto applicabili i principi di evidenza pubblica anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all’art. 37 del codice della navigazione. (cfr. C.d.S., Sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168 e C.d.S., Sez. VI, 31 gennaio 2017, n. 394).
Da tale sentenza, deriva che la proroga ex lege delle concessioni demaniali aventi natura turistico-ricreativa non può essere generalizzata, dovendo la normativa nazionale ispirarsi alle regole dell’Unione europea in tema di espletamento delle gare.
La soppressione del diritto di insistenza
In seguito alla soppressione dell’istituto del “diritto di insistenza”, ovvero del diritto di preferenza in capo ai concessionari uscenti, l’amministrazione che intenda procedere a una nuova concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricreativa, ai sensi del novellato art. 37 cod. nav., è tenuta ad indire una procedura selettiva e a dare prevalenza alla proposta di gestione privata del bene che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e risponda a un più rilevante interesse pubblico, anche sotto il profilo economico.
A fronte dell’intervenuta cessazione del rapporto concessorio, il precedente titolare della concessione può vantare un mero interesse di fatto a che l’amministrazione proceda ad una nuova concessione in suo favore e non già una situazione qualificata, con conseguente inconfigurabilità di alcun obbligo di proroga ex lege o da parte dell’amministrazione.
La scarsità della risorsa spiaggia
La Corte di giustizia chiamata a pronunciarsi sulla portata dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva servizi), ha affermato che le concessioni demaniali marittime a uso turistico-ricreativo rientrano in linea di principio nel campo di applicazione della direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura “scarsa” o meno della risorsa naturale attribuita in concessione.
Le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato in ragione della scarsità delle risorse naturali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 1416).
Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali la spiaggia è infatti un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.), sicché proprio la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione (fonte di indiscussi guadagni), giustifica il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione.
La tutela del legittimo affidamento degli attuali concessionari
Con specifico riferimento alla necessità di tutelare il legittimo affidamento degli attuali concessionari, la Corte di giustizia ha stabilito che una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione.
Le proroghe dovute all’emergenza
Quanto infine alle disposizioni collegate all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ovvero l’articolo 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020 convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, secondo cui per le aree e le relative pertinenze oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione, gli operatori proseguono l’attività nel rispetto degli obblighi inerenti al rapporto concessorio già in atto, il Tar Toscana ha chiarito che si tratta di una situazione contingente che può giustificare l’adozione di misure interlocutorie legate all’attuale contesto emergenziale, ma che non può legittimare la proroga automatica e generalizzata delle concessioni fino al 2033.
La disapplicazione della norma interna in contrasto con l’ordinamento europeo
In conclusione nella sentenza in commento, Tar Toscana, Sezione II, sentenza 8 marzo 2021, n. 363, trova applicazione l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkestein o Direttiva servizi), il quale prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento» (par. 1) e che, in tali casi, «l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
La soluzione del caso di specie è la disapplicazione della norma interna contrastante con l’ordinamento comunitario.
Da qui deriva il potere-dovere, per il giudice, che opera anche d’ufficio al fine di assicurare la piena applicazione delle norme comunitarie, aventi un rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri.
Il Comune avrebbe dovuto disapplicare le disposizioni di proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere per contrasto alla normativa eurounitaria; e in ciò consiste il vizio che inficia in radice la Determina Dirigenziale comunale n. 408/2020. Per tali ragioni la determina impugnata è illegittima e deve essere annullata.
Primato del diritto europeo sul diritto nazionale
Oggi, è pacifico che i rapporti tra ordinamento europeo ed ordinamento nazionale si risolvano alla luce del principio del primato del diritto europeo. Nel corso degli anni, i rapporti tra ordinamento interno e ordinamento europeo hanno costituito oggetto di un lungo processo evolutivo ed al risultato della disapplicazione si è giunti a seguito di un dialogo tra la Corte di Giustizia e la Corte costituzionale. In un primo tempo, veniva affermata dalla Corte costituzionale l’equiordinazione tra diritto comunitario e diritto interno. In una seconda fase, si è affermato il primato del diritto europeo, tuttavia nel caso di contrasto della norma interna con la norma sovranazionale occorreva dichiarare l’incostituzionalità della norma interna utilizzando come parametro di costituzionalità l’art. 11 della Costituzione. Nella terza fase, la Corte costituzionale, recependo le critiche sollevate dalla Corte di Giustizia, afferma che nel caso di specie la norma interna subisce un’automatica disapplicazione. A partire dalla sentenza n.170/1984 della Corte costituzionale il criterio di risoluzione dei contrasti è la disapplicazione. La Consulta ha affermato che in caso di sopravvenienza di una norma comunitaria contrastante con una norma nazionale preesistente quest’ultima deve intendersi automaticamente caducata. Nella quarta fase, infine, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 384/1994, ha mostrato apertura alla tesi monistica sostenuta dalla Corte di Giustizia, che vede i due ordinamenti come legati da un rapporto di integrazione e non invece come ordinamenti separati.
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