§ 1) La disciplina della pubblicità ingannevole e di quella comparativa: la sua evoluzione storica ed il suo attuale ambito di applicazione.
La disciplina della pubblicità ingannevole, introdotta nel 1992 col Decreto Legislativo n° 74 che dava attuazione alla Direttiva CEE n° 450 del 1984, e quella della pubblicità comparativa, introdotta nel 2000 col Decreto Legislativo n° 67 che dava attuazione alla Direttiva CE n° 55 del 1997, poi modificate dalla Legge n° 49 del 2005, sono state successivamente assorbite dagli articoli da 18 a 27 del Decreto Legislativo n° 206 del 2005, intitolato “Codice del consumo”, che ha anche abrogato questi precedenti atti legislativi all’art. 146, 1° comma, lettere d), l) e t).
La disciplina della pubblicità ingannevole e di quella comparativa è stata poi portata fuori dal “Codice del consumo” con alcune modifiche derivanti dall’art. 14 della Direttiva CE n° 29 del 2005 ed è oggi contenuta nel Decreto Legislativo n° 145 del 2007, in quanto gli articoli da 18 a 27 del Dlgs 206/2005 sono stati sostituiti dal Decreto Legislativo n° 146 del 2007 e contengono oggi la disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette fra imprese e consumatori derivante sempre dalla Direttiva CE n° 29 del 2005.
Le norme dettate dal Dlgs 145/2007 riguardano solo la tutela dei “professionisti”, cioè degli operatori economici professionali, vale a dire delle imprese e dei liberi professionisti e di chiunque agisce in nome e per conto o solo per conto loro (rappresentanti o agenti), dalla pubblicità ingannevole o comparativa illecita effettuata da altri professionisti (art. 1° e lettera c dell’art. 2). In realtà, però, dal momento che i consumatori sono tutelati dalla pubblicità ingannevole o comparativa illecita in quanto “pratiche commerciali scorrette” ai sensi degli artt. 21, 22, 23 e 27 del Dlgs 206/2005 (riformati dal Dlgs 146/2005) in modo identico a quello previsto dall’art. 8 del Dlgs 145/2007 e visto che il 2° comma dell’art. 8 del Dlgs 145/2007 prevede (in modo identico al 2° comma dell’art. 27 del Dlgs 206/2005 riformato dal Dlgs 146/2007) che tale tutela possa essere attivata, oltre che d’ufficio, anche “su istanza di ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse”, quindi anche di una persona fisica non professionista (cioè di un “consumatore”), o di una organizzazione non imprenditoriale o “non profit” (associazione, fondazione, ecc.) che vi abbia interesse, la tutela offerta alle imprese ed ai liberi professionisti contro queste forme di pubblicità illecita vale anche per i consumatori, cioè per le persone fisiche che, nelle relazioni commerciali agiscono per motivi non inerenti alla loro attività lavorativa, professionale od imprenditoriale (ai sensi della lettera a dell’art. 3 del Dlgs 206/2005) e per tutte le associazioni rappresentative dei loro interessi.
§ 2) La disciplina della pubblicità ingannevole e di quella comparativa dettata dal Decreto Legislativo n° 145 del 2007.
Passando ad esaminare la disciplina di queste forme di pubblicità illecite, iniziamo col dire che è ritenuta “ingannevole”, ai sensi dell’art. 2, lettera b, del Dlgs 145/2007, qualsiasi pubblicità che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione (cioè il modo in cui il messaggio pubblicitario viene inserito nel giornale o nel programma televisivo, ecc.), induca o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche (per esempio: società di capitali, Enti Pubblici, associazioni riconosciute, ecc.) alle quali è rivolta e che abbia la capacità di pregiudicare il comportamento economico di questi soggetti oppure leda o possa ledere un concorrente. A questi soggetti si aggiungono anche tutti quelli che esercitano una attività di impresa, pur non essendo persone fisiche o giuridiche (come le società di persone), ai sensi dell’art. 1°, 1° comma, in quanto “professionisti”, cioè operatori economici professionali ingannati o concorrenti lesi dalla pubblicità ingannevole o comparativa illecita.
La nozione di “pubblicità” è molto ampia, comprendendo ogni messaggio promozionale della vendita di beni o servizi di tutti i tipi o della costituzione e del trasferimento di diritti ed obblighi su di essi diffuso in qualsiasi modo nell’esercizio di una attività di impresa (art. 2, lettera a) e si estende fino a comprendere la stessa confezione (il c.d. “packaging”) dei prodotti (art. 8, comma 10°) e le azioni di c.d. merchandising, vale a dire le azioni promozionali effettuate nei punti vendita in cui è distribuito il prodotto (come si deduce dal numero 6, della lettera b, del 1° comma dell’art. 2 del DPR n° 284 del 2003 i cui contenuti sono esposti nel paragrafo successivo).
Secondo l’art. 1°, 2° comma, del Dlgs 145/2007 la pubblicità deve essere “palese, veritiera e corretta” (il contrario di occulta, falsa o menzognera e tendenziosa). In particolare, l’art. 5 fa riferimento alla “trasparenza” della pubblicità che deve essere sempre “chiaramente riconoscibile” come tale nel contesto dei messaggi del mezzo di comunicazione in cui è inserita, per esempio, attraverso “modalità grafiche di evidente percezione” per la pubblicità a mezzo stampa. Una particolare attenzione viene posta ai messaggi pubblicitari che riguardano prodotti che possano mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori o che possano raggiungere bambini o adolescenti, allorché la pubblicità induca a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza od abusi della credulità o dell’inesperienza dei minori o dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani: tale pubblicità è sempre considerata ingannevole (artt. 6 e 7).
La pubblicità comparativa, la cui disciplina fu introdotta col Dlgs 67/2000 che modificava il Dlgs 74/1992, è quella che identifica e mette a confronto le caratteristiche pertinenti, essenziali, rappresentative e verificabili, cioè dimostrabili oggettivamente, compreso il prezzo, di almeno due prodotti o servizi di due imprese concorrenti e che soddisfano gli stessi bisogni dei clienti. Essa è lecita quando risponde a queste due caratteristiche: che non sia ingannevole (ai sensi delle norme del Dlgs 145/2007 citate in precedenza e degli artt. 21, 22 e 23 del Dlgs 206/2005 riformati dal Dlgs 146/2007) e che non risulti “sleale” (concetto ripreso dall’art. 2598 del Codice Civile), cioè non ingeneri confusione fra i marchi, gli altri segni distintivi, i prodotti, le imprese produttrici o getti discredito sul concorrente o sul suo prodotto o servizio o presenti quest’ultimo come contraffazione od imitazione di beni o servizi protetti da un marchio depositato o tragga indebitamente vantaggio dal marchio, da un altro segno distintivo o dalla denominazione di origine di prodotti concorrenti (art. 4, 1° comma). Nel caso di prodotti recanti denominazione di origine (per esempio, DOP, DOC, IGP, ecc.), la pubblicità deve riferirsi, ovviamente, a prodotti aventi la stessa denominazione.
Inoltre, qualunque raffronto che fa riferimento ad una offerta speciale deve indicare chiaramente i termini di inizio od, almeno, di scadenza di essa e le altre condizioni di applicabilità della stessa come, per esempio, il fatto che essa dipende dalla disponibilità dei beni e servizi su cui si applica l’offerta speciale (art. 4, 3° comma).
§ 3) La tutela contro la pubblicità ingannevole e comparativa illecita.
Sin dal 1992, in forza del Dlgs n° 74, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (c.d. “Autorità Antitrust”), istituita dalla Legge n° 287 del 1990, è l’organo incaricato dell’applicazione della disciplina, contenuta nello stesso Decreto, in materia di pubblicità ingannevole e, dal 2000, in forza del Dlgs n° 67, di quella in materia di pubblicità comparativa. Oggi queste sue competenze sono confermate dal Dlgs 145/2007.
L’Autorità Antitrust, nel caso di pubblicità ingannevole o comparativa illecita, mentre prima del Dlgs 145/2007 non poteva agire d’ufficio, come, invece, poteva fare nel caso di comportamenti ritenuti lesivi della concorrenza, oggi si può attivare sia d’ufficio, sia a seguito di una istanza (denuncia) di parte (art. 8, 2° comma) che può essere effettuata da “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse”, vale a dire:
a)
singoli consumatori (come si ricava dal termine “soggetto”, cioè persona fisica, che non è, a nostro parere, limitato soltanto all’imprenditore individuale od al libero professionista – lavoratore autonomo
[1]);
b) associazioni di consumatori (tutte e non solo quelle rappresentative a livello nazionale inserite nell’elenco tenuto dal Ministero delle Attività Produttive di cui all’art. 137 del Dlgs 206/2005 e che fu istituito dall’art. 5 della Legge n° 281 del 1998, oggi abrogata);
c) imprese concorrenti di quelle per conto delle quali vengono divulgati i messaggi ritenuti ingannevoli o comparativi illeciti;
d) ogni Pubblica Amministrazione che ne ha interesse in relazione ai propri fini istituzionali (come, per esempio, il Ministero delle Attività Produttive, già dell’Industria, od una Camera di Commercio, ma anche una Regione od una Provincia od un Comune), anche su denuncia o segnalazione del pubblico (cittadini, imprese, associazioni di consumatori).
Questo elenco di soggetti, oggi sintetizzato nell’espressione “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse” del 2° comma dell’art. 8, altro non è che quello, più dettagliato, che era riportato dall’originale ed oggi abrogato 2° comma dell’art. 26 del “Codice del consumo”, il Dlgs 206/2005.
La denuncia, da cui parte l’istruttoria dell’Autorità, deve contenere i dati identificativi del denunciante (non sono ammissibili denunce anonime), la copia o, se questa non può essere allegata, l’indicazione puntuale del messaggio pubblicitario denunciato ed i motivi per i quali lo si ritiene ingannevole ai sensi del Dlgs 145/2007.
L’indirizzo a cui inviare la denuncia con raccomandata con avviso di ricevimento è: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Piazza G. Verdi, 6/A – 00198 ROMA.
L’Autorità Antitrust può richiedere la copia del messaggio pubblicitario ingannevole o illecito all’operatore pubblicitario od al proprietario del mezzo di diffusione, avvalendosi, nel caso di inottemperanza di questi, dei poteri previsti dall’art. 14, commi 2°, 3° e 4° della Legge n° 287 del 1990, per ottenerlo coattivamente.
Inoltre, per lo svolgimento di questi suoi compiti l’Autorità Antitrust può avvalersi della Guardia di Finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per gli accertamenti dell’IVA, dell’IRPEF e dell’IRES (2° comma dell’art. 8 del Dlgs 145/2007).
Se l’Autorità accerta l’ingannevolezza del messaggio o l’illiceità della pubblicità comparativa, può imporre con decisione motivata all’operatore pubblicitario il divieto di diffondere o di continuare la diffusione di esso e, per eliminare gli effetti prodotti dal messaggio pubblicitario, l’obbligo di rendere pubblica la decisione dell’Autorità (anche per estratto) a sue spese a mezzo stampa, oppure attraverso la radio o la televisione, nonché, eventualmente, attraverso la diffusione di un’apposita dichiarazione di rettifica. A questi provvedimenti si aggiunge una sanzione amministrativa pecuniaria, che, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, può andare da 5.000 a 500.000 Euro e che, nel caso il messaggio pubblicitario possa comportare un pericolo per la salute o la sicurezza dei consumatori oppure sia rivolto a bambini e adolescenti, non può essere inferiore a 50.000 Euro (art. 8, commi 2°, 8° e 9°).
[2]
Nelle more del procedimento, l’Autorità può disporre con provvedimento motivato la sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole o comparativa illecita in caso di particolare urgenza (art. 8, comma 3°).
Nei casi riguardanti pubblicità inserite sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3° ed 8° dell’art. 8, assegna per l’esecuzione di essi un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento (comma 10°).
Chiariamo, infine, che, per “operatore pubblicitario” si intende l’impresa committente del messaggio pubblicitario o l’autore di questo, che, però, in pratica non determina quasi mai i contenuti del messaggio ma solo la forma di esso. In mancanza di questi soggetti, la sanzione viene rivolta al proprietario del mezzo di comunicazione di massa che ha diffuso la pubblicità (art. 2, lettera d).
Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità l’Autorità può non procedere all’accertamento dell’infrazione se ottiene dal professionista responsabile della pubblicità ingannevole o comparativa illecita, cioè dal committente di essa, il suo idoneo impegno a porre fine all’infrazione, cessando la diffusione del messaggio o modificandolo in modo da eliminare i motivi della sua illegittimità. In tal caso, l’Autorità può anche obbligare il professionista alla pubblicazione a sue spese della dichiarazione di assunzione dell’impegno in questione (art. 8, comma 7°).
Se il proprietario del mezzo di comunicazione (televisione, radio, giornale, periodico, ecc.) non fornisce all’Autorità Antitrust tutti i dati in suo possesso per identificare il committente della pubblicità o se chiunque ne sia richiesto sempre dall’Autorità non fornisce le informazioni o i documenti domandati
[3], comprese le prove dell’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nel messaggio pubblicitario, essa gli applica una sanzione amministrativa pecuniaria che può andare da 2.000 a 20.000 Euro e, nel caso di fornitura di informazioni o documentazioni non veritiere
[4], da 4.000 a 40.000 Euro (art. 8, commi 4° e 5°).
Infine, se i provvedimenti d’urgenza e le decisioni inibitorie o di rimozione degli effetti del messaggio dell’Autorità Antitrust non vengono rispettate dai destinatari, l’Autorità applica ad essi una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 10.000 a 150.000 Euro e, nel caso di reiterata violazione di questi provvedimenti o decisioni, può disporre la sospensione dell’attività di impresa per un periodo non superiore a 30 giorni (comma 12°).
Il pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie deve avvenire entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità (comma 13°).
Il procedimento istruttorio che l’Autorità deve seguire nei casi di pubblicità ingannevole e comparativa e che deve garantire “il contraddittorio fra le parti, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione” (art. 8, comma 11°) è oggi ancora disciplinato dal DPR n° 284 del 2003
[5], il cui art. 2 elenca i contenuti della denuncia e le modalità in cui deve essere prodotta la copia del messaggio pubblicitario. Dell’avvio dell’istruttoria si deve sempre dare notizia al professionista interessato, cioè al committente della pubblicità, e, se questi non è conosciuto, l’Autorità può richiederne l’identità al proprietario del mezzo di comunicazione che ha diffuso il messaggio pubblicitario
[6]. Inoltre, essa può richiedere a qualsiasi soggetto che ne sia in possesso le informazioni ed i documenti rilevanti per l’accertamento dell’infrazione (art. 8, comma 3°).
Nel corso del procedimento l’Autorità può invertire l’onere della prova disponendo che sia il professionista per conto del quale è stato diffuso il messaggio pubblicitario e non il denunciante a fornire le prove dell’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti in questo messaggio se tale esigenza risulti giustificata dalle circostanze del caso specifico. Se la prova richiesta è omessa o ritenuta insufficiente, i dati di fatto dovranno essere considerati inesatti e la pubblicità ingannevole o sleale (comma 5°).
Contro la decisione dell’Autorità Antitrust si può ricorrere esclusivamente al Giudice Amministrativo (comma 12°). In particolare, qualora la pubblicità sia stata assentita con un provvedimento amministrativo avente per oggetto anche la verifica del carattere non ingannevole o comparativo lecito del messaggio pubblicitario, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al Giudice Amministrativo avverso il predetto provvedimento (comma 14°).
E’ fatta salva la competenza del Giudice Ordinario per quanto riguarda il risarcimento del danno causato dalla pubblicità ingannevole o comparativa, per esempio, se questa configura un caso di concorrenza sleale a norma dell’art. 2598 del Codice Civile o di violazione della disciplina del diritto d’autore (Legge n° 633 del 1941 e successive modificazioni) o del marchio di impresa (Decreto Legislativo n° 30 del 2005) o delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. Inoltre è fatta salva la competenza per quel che riguarda tutti gli altri provvedimenti (per esempio, inibitori) che lo stesso Giudice Ordinario può adottare in questi casi (comma 15°).
L’Autorità Antitrust, quando si occupa di pubblicità ingannevole ha rapporti con altre Autorità Indipendenti di garanzia: in particolare, collabora, secondo quanto stabilito dalla legge, con l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (istituita dalla Legge n° 249 del 1997 e prima Garante per la Radiodiffusione e l’Editoria), che, al termine dell’istruttoria svolta dalla prima, deve esprimere il proprio parere non vincolante sull’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari e sull’illiceità della pubblicità comparativa diffusi a mezzo stampa, radio, televisione o altro mezzo di telecomunicazione (comma 6°).
Infine, l’eventuale ricorso delle parti ad un organismo volontario ed autonomo di autodisciplina, volto ad inibire la continuazione della pubblicità ingannevole o comparativa illecita, può portare ad una sospensione del procedimento avviato presso l’Autorità Antitrust, su decisione di essa e previa richiesta di almeno una delle parti, della durata massima di trenta giorni in attesa della pronuncia dell’organismo di autodisciplina (art. 9).
Gianfranco Visconti
Consulente di direzione aziendale
[1] Anche se non si accetta questa nostra interpretazione della norma in esame, dal punto di vista pratico non cambia nulla rispetto ad essa dal momento che il consumatore può comunque usufruire della tutela contro le “pratiche commerciali ingannevoli” (fra cui rientrano la pubblicità ingannevole o comparativa illecita rivolte ai consumatori) identificate dagli artt. 21, 22 e 23 del Dlgs 206/2005, riformati dal Dlgs 146/2007, prevista dall’art. 27 (pure riformato) del Dlgs 206/2005 e che è identica a quella prevista dall’art. 8 del Dlgs 145/2007 per gli operatori economici professionali.
[2] Nella previgente disciplina i limiti di queste sanzioni amministrative pecuniarie erano, rispettivamente, da 1.000 a 100.000 Euro e di 25.000 Euro.
[3] Sempre che non vi sia un giustificato motivo per la mancata fornitura delle informazioni o dei documenti all’Autorità Antitrust.
[4] Quindi anche soltanto inesatte.
[5] L’Autorità Antitrust deve ancora emanare un nuovo regolamento su questa materia, come previsto sempre dal comma 11° dell’art. 8 del Dlgs 145/2007.
[6] Che, se non la fornisce, incorre nelle sanzioni amministrative pecuniarie citate in precedenza.
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