1. La documentazione antimafia e gli interventi di semplificazione amministrativa della legge di stabilità
Uno degli obiettivi più ricorrenti che caratterizzano gli ormai innumerevoli tentativi di riforma della pubblica amministrazione italiana è quello della semplificazione degli oneri e degli adempimenti connessi al procedimento amministrativo.
Tuttavia l’ansia semplificatrice determina, talvolta, vere e proprie rivoluzioni silenziose, che incidono su assetti normativi di grande rilievo ovvero su principi fondamentali del nostro ordinamento, senza che ciò rientri nelle intenzioni del legislatore.
Potrebbe essere questo il caso del nuovo orientamento, alquanto diffuso tra le Camere di Commercio, relativo al rilascio di certificati camerali con la dicitura antimafia, originato dalla recentissima entrata in vigore (I gennaio 2012) dell’art. 15 l. 12.11.2011, n. 183, c.d. Legge di stabilità, che ha introdotto, tra l’altro, i commi 01 e 02 dell’art. 40 del d.P.R. 445/2000, di seguito riportati:
“01. Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47.
02. Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi” “.
Tali disposizioni, secondo il citato indirizzo interpretativo, impedirebbero di rilasciare ai cittadini certificati camerali con la dicitura antimafia, da utilizzare nei rapporti con la pubblica amministrazione, che dovrebbero essere invece sostituiti dalle comunicazioni antimafia delle Prefetture o anche, secondo altra versione, dalle dichiarazioni ex artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/2000.
Dai siti Internet di alcune Camera di Commercio si rileva che, prossimamente, a seguito di intesa con Infocamere, sarà possibile l’accesso diretto telematico ai dati camerali da parte delle pubbliche amministrazioni che richiedono informazioni in modo massivo o che intendono verificare autodichiarazioni. Tali accessi consentiranno di fruire delle informazioni presenti nei principali prospetti camerali del registro delle imprese e del REA, “ma tra questi non potrà essere ricompreso il “certificato con annotazione antimafia”, le cui informazioni dovranno essere chieste dalle amministrazioni procedenti alla Prefettura, quale amministrazione titolare della relativa banca dati” (1).
E’ utile, a questo punto, fornire ulteriori indicazioni sul quadro normativo inerente la problematica in questione, rammentando che, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 252/1998, le certificazioni rilasciate dalla camera di commercio, munite dell’apposita dicitura prevista dal successivo art. 9, sono equiparate a tutti gli effetti, alle comunicazioni delle Prefetture che attestano l’insussistenza delle cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575; quest’ultima disposizione, a sua volta, contempla cause ostative all’acquisizione di appalti pubblici e all’emanazione di talune tipologie di provvedimenti, legate all’applicazione definitiva di misure di prevenzione ovvero all’irrogazione di condanne, almeno in grado d’appello, per i delitti di cui all’art. 51, c. 3 bis, c.p.p. o, ancora, a provvedimenti giudiziari occasionati dalla pendenza del procedimento di prevenzione.
E’ bene precisare che sia le comunicazioni delle Prefetture che le certificazioni delle Camere di commercio sono sufficienti, ai fini antimafia, per l’espletamento delle procedure di appalto, di rilascio delle concessioni e di stipula dei subcontratti, relativamente a importi inferiori o pari alle soglie di valore previste dall’art. 10, c. 1, d.P.R. 252/1998, corrispondente all’ art. 91 del Codice antimafia, oltrepassate le quali è necessaria la più complessa informazione antimafia.
L’art. 10 l. 575/1965 è stato sostanzialmente riproposto dall’art. 67 del d.lgs. 159/2011, recante il c.d. “Codice antimafia”, così come l’art. 89 di quest’ultimo testo normativo riprende l’art. 5 del D.P.R. 252/1998, che limita l’autocertificazione ai casi di contratti relativi a lavori, servizi o forniture dichiarati urgenti e ai provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti, purché non si tratti di fattispecie in cui è richiesta l’informazione antimafia.
L’art. 6 del D.P.R. 252/1998 non trova invece riscontro nel Codice antimafia e, in particolare, nell’art. 84 che limita la documentazione antimafia alle comunicazioni e alle informazioni antimafia rilasciate dalle Prefetture, per cui le verifiche concernenti l’art. 67 in materia di contratti, sotto le soglie di valore indicate dall’art. 91, potrebbero essere effettuate solo con lo strumento della comunicazione antimafia rilasciata dalla Prefettura o con la consultazione diretta della banca dati di cui all’art. 96, dello stesso Codice.
Ma l’entrata in vigore delle disposizioni dei capi I, II, III e IV del Libro II del Codice antimafia, relativo alla documentazione antimafia, è ancora ben lontana, come si rileva dall’esame dell’art. 119 del Codice antimafia.
Secondo l’orientamento sopra citato, invece, già da ora, per effetto della Legge di stabilità, rimarrebbe in vigore il solo strumento della comunicazione antimafia rilasciata dalla Prefettura o, per taluni, l’autocertificazione.
Tale conclusione desta non poche perplessità, sia teoriche, in tema di teoria delle fonti, che di metodo.
Innanzitutto, sulla base dell’interpretazione, adottata nella prassi, di una normativa, non esplicita sul punto, si intende procedere alla parziale abrogazione di fatto di altra normativa. Ne risulterebbe violato anche il principio di legalità che regola l’azione delle pubbliche amministrazioni.
Non mancano dei dubbi anche dal punto di vista delle regole in materia di successione tra le norme, che pongono ostacoli non di poco momento all’orientamento interpretativo di cui sopra, poichè il d.P.R. 252/1998 e il recentissimo Codice antimafia, che conferma anche per il futuro la limitata estensione dell’autocertificazione, non dovrebbero essere stati travolti dall’art. 15 della Legge di stabilità, in forza del noto principio “lex posterior generalis non derogati priori speciali”, non emergendo una chiara volontà della l. 183/2011 volta ad abrogare le leggi speciali previgenti (2) e non potendosi negare la evidentissima specialità del corpus normativo in materia di contrasto alla mafia rispetto al resto dell’ordinamento giuridico.
Né è possibile, senza violare il canone di ragionevolezza, limitare formalisticamente la portata del criterio di specialità, perfettamente aderente alla necessità di salvaguardare la complessità della realtà giuridica e i sottostanti interessi sostanziali che essa esprime, al rapporto tra leggi, escludendo i regolamenti; tanto più nel caso di un regolamento di delegificazione, come il d.P.R. 252/1998, che nell’abrogare con l’art. 13 anche l’art. 2, c. 2 bis, della legge 490/1994, introdotto dall’art. 15 d.l 25.3.1997, n. 67, convertito in l. 23 maggio 1997, n. 135, che ha previsto la semplificazione della documentazione antimafia con l’uso dei certificati camerali muniti di apposito dicitura, e nell’incorporarne il contenuto, ha assunto una particolare valenza normativa, sicuramente superiore a quella di una mera fonte secondaria.
D’altro canto, il certificato camerale con la dicitura antimafia, già di per sé, è uno strumento di semplificazione, che sostituisce nella gran parte dei casi la comunicazione della Prefettura, sulla base del collegamento telematico tra il sistema informativo delle Camere di commercio e il sistema informativo del Ministero dell’Interno, di cui all’art. 7 del d.P.R. 252/1998.
Solo l’entrata in vigore della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, di cui all’art. 96 e ss. del Codice antimafia, direttamente consultabile dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 83 dello stesso Codice, prima di stipulare, approvare o autorizzare contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, o di emanare i provvedimenti specificati nell’art. 67 del Codice, sembra strumento idoneo per semplificare ulteriormente il sistema attualmente in vigore, che vede il suo perno nel d.P.R. 252/1998. Si rammenta, a tal proposito, che l’art. 120 del Codice antimafia lega l’abrogazione di tale d.P.R. ad un momento successivo all’emanazione di alcuni regolamenti che disciplinano la Banca dati nazionale unica.
Pertanto le indicazioni sopra citate del sistema camerale, che rimandano meramente le Amministrazioni procedenti alle Prefetture, per l’acquisizione mediante le comunicazioni antimafia delle informazioni precedentemente fornite con il certificato camerale munito dell’apposita dicitura, non si coordinano né con le disposizioni attualmente vigenti né con quelle, che entreranno in vigore in futuro, del Codice antimafia.
Visti gli stringenti vincoli previsti dalla normativa di settore per l’autocertificazione, ancora meno fondata sembra la possibilità di generalizzare l’operatività di tale strumento per attestare l’affidabilità antimafia.
Non va , infine, valutata positivamente, anche sotto il profilo delle certezze da fornire ai cittadini sulle competenze amministrative, la circostanza che, al momento, le iniziative succitate non risultano essere supportate da forme di concertazione tra le varie Autorità interessate.
2. L’acquisibilità d’ufficio del certificato camerale con la dicitura antimafia
Le problematiche create dall’art. 15 l. 12.11.2011, n. 183 non sono esaurite, ove si consideri che la prassi di qualche Camera di commercio frappone ostacoli non solo al rilascio ai cittadini di certificati camerali muniti della dicitura antimafia, ma anche all’acquisibilità d’ufficio di questi ultimi da parte delle stazioni appaltanti, in quanto la pubblica amministrazione procedente dovrebbe far ricorso solo alla comunicazione della Prefettura o all’autocertificazione sostitutiva, con la sola possibilità di accedere ai dati camerali per procedere a controlli a campione.
Detta posizione, purtuttavia, deve necessariamente fare i conti con il percorso evolutivo della normativa sulla documentazione amministrativa, che ha eretto a valore fondamentale il dovere di acquisizione d’ufficio dei documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria, ovvero di accertamento d’ufficio degli stessi, ai sensi dell’art. 18, c. 2 e 3, l. 241/1990. Ulteriore riflesso normativo del principio appena accennato è l’art. 43 del d.P.R. 445/2000, che tratta appunto degli accertamenti d’ufficio, anch’esso modificato dall’art. 15 l. 183/2011.
L’art. 43, in particolare, prevede che “le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato”.
Il comma IV dell’art. 43 contempla l’obbligo, per le amministrazioni certificanti, di consentire alle amministrazioni procedenti, senza oneri, la consultazione in via telematica dei loro archivi informatici, per l’acquisizione di ufficio di informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti, contenuti in albi, elenchi o pubblici registri.
Dal confronto tra l’art. 43 e gli artt. 46-47 sembra profilarsi un conflitto tra accertamenti d’ufficio e dichiarazioni sostitutive che, a dire il vero, non sembra ben composto normativamente, tanto da consentire interpretazioni, come quella sopra riferita, che conclude per l’assoluta prevalenza delle seconde sui primi.
Detto orientamento non è assolutamente condivisibile in quanto, sia per il principio di legalità che per le suesposte ragioni che attengono alla disciplina delle fonti normative, una prassi adottata da un’Istituzione pubblica non può porre nel nulla le disposizioni di legge e di regolamento, tuttora vigenti, che consentono alla p.a. di acquisire d’ufficio la certificazione camerale con la dicitura antimafia, sulla base di uno sperimentato ed efficiente sistema di interconnessione tra banche dati per la sua attuazione, come quello previsto dall’art. 7 d.P.R. 252/1998.
Inoltre, un’attenta lettura dell’art. 43, comma I, d.P.R. 445/2000 fornisce ben precise indicazioni all’interprete, in quanto, in alternativa all’acquisizione d’ufficio, la norma prevede che la p.a. sia tenuta ad “accettare” la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato.
Ciò sta a significare che alla p.a. è rimessa una scelta, da effettuare con ragionevolezza e tenendo presente alcuni parametri oggettivi, tra acquisizione d’ufficio e accettazione della dichiarazione sostitutiva, eventualmente prodotta dall’interessato.
Non a caso la norma usa il termine “accettare”, indicando chiaramente che l’amministrazione non è tenuta ad inserire automaticamente negli atti del procedimento una dichiarazione sostitutiva, ma che invece deve fare una preliminare operazione di valutazione che è il necessario presupposto dell’accettazione, atto che implica comunemente una manifestazione di volontà, secondo l’accezione che mutuiamo dal diritto civile.
Il che è necessario soprattutto ove si tratti di informazioni relative a settori estremamente delicati, come quello attinente alla certificazione antimafia.
La non obbligatorietà dell’accettazione è dimostrata dalla diversa formulazione dell’art. 7 d.P.R. 403/1998, disposizione da cui storicamente deriva l’art. 43 d.P.R. 445/2000, che subordinava l’acquisizione d’ufficio delle informazioni alla circostanza che l’interessato non intendesse o non fosse in grado di rendere dichiarazione sostituiva e, quindi, rimetteva allo stesso interessato la scelta attualmente affidata all’amministrazione.
Sembra, quindi, contrario al sistema normativo attualmente vigente che la p.a. certificante costringa la p.a. procedente ad avvalersi obbligatoriamente della comunicazione della Prefettura o della dichiarazione sostitutiva, in presenza di strumenti altrettanto se non più snelli, come la certificazione camerale.
Quindi dovrebbe essere possibile per la p.a. procedente richiedere la certificazione camerale con la dicitura antimafia, almeno fino a quanto non venga abolita l’interconnessione di cui al più volte citato art. 7 d.P.R. 252/1998; in prospettiva i soggetti di cui all’83, c. 1 e 2, del Codice antimafia, potranno avvalersi dello strumento informatico di cui all’art. 96 del Codice, che eliminerà qualsiasi forma di intermediazione nell’acquisizione d’ufficio delle relative informazioni, incamminandosi su quello che appare il percorso privilegiato per la realizzazione di una vera e propria semplificazione documentale.
Sussumendo la questione appena esposta in un contesto più generale, il potenziamento dell’acquisizione d’ufficio delle informazioni, anche rispetto all’autocertificazione, costituisce una dimostrazione di maggiore efficienza dell’amministrazione e di elevazione, non di indebolimento, del livello del servizio fornito al cittadino (3).
3. Osservazioni conclusive.
Le iniziative sopra riportate richiamano e, forse, tentano di concretizzare in qualche modo il dibattito sull’abolizione del certificato antimafia, che di recente ha subito un’improvvisa accelerazione (4).
In questo senso si muovono alcune proposte riguardanti il cosiddetto rating delle imprese, che misuri l’eticità di queste ultime e che, nel dibattito politico, hanno travalicato l’ambito originario dell’accesso al credito e dell’acquisizione di finanziamenti pubblici, finendo per interessare anche la materia degli appalti pubblici.
Non si possono sottacere, anche a tale proposito, alcune perplessità, in quanto vi è innanzitutto il rischio di un possibile sganciamento di un importante requisito di partecipazione alle gare di appalto, attinente al profilo dell’affidabilità antimafia, da parametri oggettivi costituiti dai provvedimenti amministrativi o giudiziari, su cui si basa l’attuale certificazione antimafia, in favore di altri parametri di natura più incerta, se non altro perché dovrebbero determinare un concetto vago come l’eticità dell’impresa.
Anche l’uso del termine rating, peraltro, non è foriero di buoni auspici, perché non può non richiamare alla memoria il fenomeno delle agenzie di rating in campo finanziario, il loro ruolo nella gravissima crisi che attanaglia da tempo il mondo finanziario ed economico, nonché, più in generale, il rapporto tra iniziativa privata e strutture di controllo pubbliche, il cui indebolimento, favorito dalla deregulation, non sembra aver apportato benefici pari agli svantaggi evidenziatisi negli ultimi anni.
Se, in un contesto di innovazione normativa, le Autorità statali dovessero essere sostituite, nella valutazione dei criteri di rispondenza alla legalità delle imprese, da apposite strutture private, si porrebbero non pochi problemi in termini sia di omologazione e verifica delle affidabilità di queste ultime, sia di trattamento, ai fini della disciplina della privacy, degli eventuali dati personali giudiziari e amministrativi da utilizzare nella concessione del cosiddetto rating.
Il tutto senza trascurare che ogni innovazione deve essere necessariamente coordinata con il Codice antimafia recentemente approvato, le cui linee guida in materia di documentazione antimafia sono sostanzialmente conformi a quelle seguite, nel settore, dalla legislazione degli anni Novanta.
1 Avviso del Segretario Generale della camera di Commercio di Palermo, in www.pa.camcom.it ; nello stesso senso l’avviso della camera di commercio di Livorno pubblicato il 6.3.2012 sul sito www.li.camcom.gov.it, nonché la nota dal titolo “Legge di stabilità 2012: commento alle nuove disposizioni in materia di autocertificazioni”, pubblicata sul sito dell’ANCE Catania, www.ancecatania.it;
2 Cfr. M. LUCIANI, “Fonti del diritto”, in “ Il diritto – Enciclopedia del Sole 24 ore”, vol. VI, pag 477;
3 Si esprime invece per la preferenza dell’autocertificazione rispetto all’accertamento d’ufficio A. RINALDI, “Gestori di servizi: stop alla richiesta di certificati”, in Guida al diritto, Dossier Marzo 2001, pag. 93, sia pure sulla base del testo originario del d.P.R. 445/2000;
4 Cfr. A. Manzo, “Il certificato antimafia è da abolire”, Il Mattino, Napoli, 19 febbraio 2012; C. Fusani, “Severino: sì al rating delle imprese etiche per battere la mafia”, L’Unità, Roma, 19 febbraio 2012.
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