La domanda di cessazione delle immissioni intollerabili  provenienti da un ristorante che disturbano un condomino non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata

riferimenti normativi: artt.  844 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza n. 887 del 17/01/2011

La vicenda

Il proprietario di un appartamento disturbato dal rumore insopportabile proveniente da un locale ristorante (con area esterna coperta da un pergolato) si rivolgeva al Tribunale per richiedere provvedimenti urgenti volti a rendere tollerabili le immissioni sonore nelle ore notturne.

Il Tribunale, al fine di far cessare le immissioni insopportabili lamentate, con ordinanza cautelare, poi confermata, condannava il proprietario del locale ad una serie di adempimenti, integrandola con l’obbligo di impedire agli avventori del ristorante ogni forma di accesso all’area coperta dalla pergola, a partire dalle ore 24.

A seguito di appello proposto dal proprietario del locale, la Corte confermava la sentenza di primo grado.

Il titolare del ristorante ricorreva in Cassazione, facendo presente che le immissioni erano risultate intollerabili nel 2001; tuttavia osservava che, successivamente a tale data, aveva eseguito interventi limitativi delle immissioni di rumore, prescritti dall’ordinanza cautelare, che avevano riportato le immissioni al di sotto della soglia limite; inoltre aggiungeva che il superamento dei 3 db sul rumore di fondo risultava superato anche quando l’attività di ristorazione era chiusa; in ogni caso contestava la misura adottata che gli imponeva la chiusura dell’area esterna.

La questione

La domanda di cessazione delle immissioni che superano la normale tollerabilità vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata oppure il magistrato può a sua discrezione ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione pregiudizievole?

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La soluzione

La Cassazione ha dato ragione al condomino disturbato.

I giudici supremi osservano che la logica sottesa alla scelta adottata (chiusura dell’area esterna dalle ore 24) muove proprio dalla natura delle immissioni rumorose che sono, proprio per la fonte da cui discendono, discontinue, difficilmente verificabili e riproducibili nella stessa misura, per la loro spontaneità.

Ne consegue che se, da un lato, non può non tenersi conto delle entità delle immissioni rumorose verificate nel corso dell’apertura dell’attività di ristorazione, superiori a quelle verificabili nel corso della giornata (con l’attività commerciale chiusa), dall’altro lato la tollerabilità o meno delle immissioni deve essere valutata, avuto riguardo proprio alla loro discontinuità ed incidenza maggiore nella fase notturna.

Secondo la Cassazione perciò è condivisibile la scelta del giudice distrettuale che ha limitato l’utilizzazione degli spazi esterni al locale ad orari che non sono destinati al riposo o in cui le esigenze di tranquillità degli occupanti della vicina abitazione possono ragionevolmente cedere alle opposte esigenze di tipo ricreativo.

Del resto – come ricordano i giudici supremi  – la domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione pregiudizievole, senza essere in alcun modo vincolato.

Le riflessioni conclusive

In materia di immissioni sonore, mentre è senz’altro illecito il superamento dei limiti di accettabilità stabiliti da leggi speciali o regolamenti di natura pubblicistica, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi considerando solo i principi di cui all’art. 844 c.c. In altre parole, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensità e capacità diffusiva, la soglia di accettabilità prevista dalla normativa a tutela di interessi della collettività, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell’ambito della proprietà del vicino, devono per ciò solo considerarsi intollerabili ai sensi dell’art. 844 c.c., e, pertanto, illecite, anche, sotto il profilo civilistico.

L’eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non può, tuttavia, fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo).

Tale criterio consiste nel confrontare il livello medio del rumore di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, al fine di verificare se sussista un incremento non tollerabile del livello medio di rumorosità.

In applicazione di tali principi, la giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere violato il limite della normale tollerabilità delle immissioni acustiche allorché, sul luogo che subisce le immissioni, si riscontri un incremento dell’intensità del livello medio del rumore di fondo di oltre 3 decibel, incremento che va tenuto presente ai fini della valutazione della ponderatezza del parametro stesso equivalente ad un raddoppiamento del livello di rumore (Cass. civ., sez. II, 03/08/2001, n. 10735).

Si noti che, data la natura del criterio di valutazione generalmente adoperato, normalmente, in sede giudiziaria, per accertare il livello di tollerabilità di un’immissione sonora si fa ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, prescindendo dai giudizi e dalle impressioni soggettive delle persone interessate.

I mezzi di prova per accertare se le immissioni sono illecite o meno non devono però essere necessariamente di natura tecnica.

Infatti, in particolari situazioni, attinenti ad emissioni rumorose discontinue, difficilmente verificabili e riproducibili, per la loro spontaneità, sul piano sperimentale, è utile il ricorso alla prova testimoniale, e non anche alla consulenza tecnica (la cui adozione costituisce tipico esercizio di facoltà discrezionale di merito), quale fonte conoscitiva dei fatti denunciati dalla vittima delle immissioni, oltre che alle nozioni di comune esperienza (Cass. II, n. 1606/2017).

In ogni caso la domanda di cessazione delle immissioni, che superino la normale tollerabilità, non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, potendo egli ordinare l’attuazione di accorgimenti che evitino la situazione pregiudizievole (Cass. civ., sez. VI, 17/01/2011, n. 887).

Così ad esempio è possibile che un condomino si rivolga al giudice per ottenere la condanna del proprietario dell’appartamento soprastante a cessare l’attività illecita, consistente nell’innaffiamento abnorme delle piante ornamentali poste sul bordo del balcone e nelle conseguenti immissioni illecite che provocano danni al parapetto ed ai serramenti di legno. In tal caso il danneggiato non può pretendere che il giudice – come da sua domanda – ordini al condomino dell’appartamento soprastante di apportare a proprie spese ai supporti e/o contenitori delle piante collocate all’esterno dei propri poggioli ed ai relativi scarichi modifiche idonee ad evitare il ripetersi delle immissioni.

Il giudice infatti non deve adottare quella misura determinata richiesta dall’attore o dal convenuto; di conseguenza è ragionevole che imponga al convenuto di astenersi da eccessive immissioni di acqua per lavare il balcone o innaffiare le proprie piante, ovvero di adottare una maggiore cura e attenzione nella pulizia del pavimento e nella potatura delle piante; in ogni caso il condomino sottostante deve tollerare eventuali cadute o depositi accidentali, specie in tempo di pioggia o vento.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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