Tribunale di Milano, Sentenza 5744 del 13.06.2019
La vicenda
Una signora aveva convenuto in giudizio un Ospedale lombardo sostenendo di essersi rivolta alla struttura sanitaria nel 1997 per una sintomatologia neurologica ingravescente e che il medico dell’ospedale, dopo aver diagnosticato una artropatia, le aveva indicato di eseguire una biopsia muscolare per verificare se la paziente soffrisse di una patologia muscolare congenita. All’esito della biopsia, la prognosi resa dal medico era quella di miopatia mitocondriale, in considerazione della quale, per circa sei anni (fino al 2003), la paziente eseguiva una terapia con integratori alimentari vitaminici.
L’attrice proseguiva la propria domanda giudiziale sostenendo che, proprio nel 2003, si rivolgeva ad un’altra struttura sanitaria milanese, effettuando degli accertamenti dai quali emergeva l’assenza della miopatia mitocondriale (assenza successivamente confermata anche dai controlli clinico strumentali che la signora aveva effettuato anche nel 2010).
In ragione di ciò, l’attrice lamentava un inadempimento imputabile alla struttura sanitaria convenuta per non avere correttamente valutato l’esito della biopsia muscolare, inadempimento da cui erano scaturiti danni a carico dell’attrice per essersi sottoposta a numerosi trattamenti sanitari inutili per sei anni e per aver sopportato un danno psichico dovuto al fatto che ella credeva di essere malata. Infine, la signora lamentava anche un inadempimento della struttura sanitaria per violazione dell’obbligo di informazione che gravava sull’Ospedale.
Si legga anche:” Libertà di autodeterminazione e tutela della vita umana”
La decisione del Tribunale
Il tribunale di Milano ha rigettato la richiesta risarcitoria avanzata da parte attrice, accertando sia l’insussistenza dei due inadempimenti addebitati all’ospedale, sia l’inesistenza dei danni lamentati dalla paziente.
In primo luogo, il giudice meneghino ha esaminato la questione relativa all’inadempimento dell’ospedale in ordine alla prestazione sanitaria eseguita a favore della signora.
In particolare, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio effettuata nella fase istruttoria del giudizio, è emerso che la decisione del medico dell’ospedale di effettuare la biopsia muscolare sulla paziente doveva ritenersi corretta, in considerazione della storia clinica e dei risultati degli esami strumentali che erano stati effettuati all’epoca sulla paziente.
La consulenza tecnica d’ufficio ha, poi, accertato che anche le modalità con cui la biopsia è stata effettuata potevano ritenersi corrette, in quanto il referto dell’esame bioptico riportava in maniera corretta la patologia della miopatia. Infatti, anche se sei anni dopo l’esame istologico, i successivi accertamenti clinico strumentali eseguiti dalla signora avevano dato esito negativo circa la suddetta patologia, il consulente tecnico d’ufficio ha ritenuto che la diagnosi clinica e morfologica allora eseguita con la biopsia non poteva che portare ad affermare la possibile esistenza della malattia genetica, che quindi non poteva essere esclusa.
Infine, l’accertamento peritale ha ritenuto che anche la scelta terapeutica fatta dal medico fosse corretta ed adeguata rispetto al sospetto della malattia genetica di cui sopra.
Per quanto riguarda i danni lamentati, il consulente del giudice ha ritenuto che, dalla terapia eseguita, la paziente non avesse subito alcuna lesione della sua integrità psichico fisica né in generale alcuna conseguenza negativa.
Dopo aver, quindi, escluso un errore diagnostico o di esecuzione della prestazione sanitaria da parte dell’ospedale, il giudice è passato all’esame del secondo inadempimento asserito dall’attrice e riguardante la violazione del consenso informato.
Preliminarmente, il giudice ha passato in rassegna i principi cardine che disciplinano la materia del consenso informato nella responsabilità medico sanitaria, evidenziando come quest’ultimo legittima e permette l’effettuazione del trattamento sanitario e come, pertanto, in sua assenza qualsiasi trattamento effettuato dal medico deve essere ritenuto illecito anche se effettuato nell’interesse del paziente (a meno che non si ricorra nelle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori per legge o effettuati a fronte di uno stato di necessità, i quali, per tale ragioni, sono da ritenersi sempre leciti).
In secondo luogo, il giudice ha ricordato come, la corretta esecuzione del trattamento sanitario è irrilevante nella valutazione della violazione del consenso informato, in quanto il comportamento illecito del medico sta nella mancanza di informazione al paziente (il quale, per tale ragione, non è messo in condizione di decidere consapevolmente se effettuare o meno il trattamento), con la conseguente lesione della sua dignità.
Per quanto riguarda i danni patrimoniali che possono derivare dalla lesione del consenso informato del paziente (purché detta lesione appaia sufficientemente grave) sono:
1) i danni che derivano dalla lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
2) i danni che derivano dalla lesione dell’integrità psico-fisica del paziente.
Nello specifico, le fattispecie che possono configurarsi in tema di omesso consenso informato sono quattro:
- il caso in cui la mancata informazione riguardi un intervento sanitario che ha cagionato una lesione dell’integrità psico-fisica del paziente a causa della condotta colposa del medico, per il quale (intervento) il paziente avrebbe ugualmente prestato il suo consenso all’esecuzione. In tale ipotesi, dovrà essere risarcito soltanto il danno per la lesione dell’integrità psico-fisica del paziente.
- Il caso in cui la mancata informazione riguardi un intervento sanitario che ha cagionato una lesione dell’integrità psico-fisica del paziente a causa della condotta colposa del medico, rispetto al quale (intervento) il paziente non avrebbe prestato il proprio consenso all’esecuzione. In tale ipotesi, dovrà essere risarcito, non solo il danno per la lesione dell’integrità psico-fisica, ma anche quello per la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente.
- Il caso in cui la mancata informazione riguardi un intervento sanitario che ha cagionato una lesione all’integrità psicofisica del paziente, senza però che vi sia stata una condotta colposa del medico, per il quale (intervento) il paziente non avrebbe prestato il suo consenso all’esecuzione. In tale ipotesi, dovrà essere risarcito il danno per la violazione del diritto all’autodeterminazione, in via equitativa, e il danno per la lesione dell’integrità psico-fisica del paziente dovrà essere valutato attraverso la comparazione tra la situazione successiva rispetto all’intervento e la situazione precedente all’intervento stesso.
- Il caso in cui la mancata informazione riguardi un intervento sanitario correttamente eseguito e che non ha cagionato ad una lesione all’integrità psicofisica del paziente. In tale ipotesi, potrà essere risarcito il danno per la lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente soltanto nel caso in cui quest’ultimo abbia subito le conseguenze inaspettate dell’intervento (seppur correttamente eseguito) senza però avere la consapevolezza di dette conseguenze e quindi senza essersi predisposto per affrontarle.
Nel caso di specie, il tribunale di Milano ha ritenuto che l’attrice non abbia adempiuto all’onere probatorio sulla medesima gravante, circa la prova della violazione del diritto al consenso informato e delle conseguenze pregiudizievoli derivate da tale violazione.
Infatti, secondo il tribunale, l’attore che sostiene che sia stato leso il proprio diritto ad esprimere un consenso informato in ordine ad un intervento chirurgico cui si è sottoposto, deve allegare in maniera specifica la circostanza che, in conseguenza della mancata informazione, non ha potuto decidere consapevolmente se sottoporsi o meno all’intervento terapeutico o comunque scegliere un diverso trattamento.
Ebbene, il tribunale di Milano ha ritenuto che l’attrice non abbia neanche indicato gli elementi di fatto dai quali poter ricavare, almeno in via presuntiva, la mancanza di autodeterminazione della stessa rispetto all’intervento subito. L’attrice ha soltanto lamentato in maniera generica che le informazioni che aveva ricevuto non erano adeguate e non erano complete, senza però neanche allegare il pregiudizio al proprio diritto all’autodeterminazione che sarebbe derivato da tali inadeguatezza ed incompletezza.
In ragione di ciò è stata esclusa la risarcibilità del danno invocato e conseguentemente rigettata la domanda formulata da parte attrice.
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