La donazione e la tutela dei legittimari

Il contratto di donazione

La donazione, disciplinato dall’art. 769 del codice civile, è il contratto con il quale il donante trasferisce per spirito di liberalità un bene patrimoniale o un diritto ad altra persona detto donatario.

L’oggetto della donazione, secondo la disciplina codicistica, rileva molteplici aspetti pregni di peculiarità anche in considerazione della sussistenza della fattispecie delle cosiddette donazioni promissorie le quali regolano quelle situazioni di fatto in cui il donante assume verso il donatario un’obbligazione.

Possono, infatti, essere oggetto di donazione tutti quei beni che sono presenti nel patrimonio del donante, mentre è da considerarsi nullo il contratto con il quale si donano beni futuri, salvo che si tratti di frutti non ancora separati ai sensi dell’art. 771 c.c.. Nel caso in cui l’atto di donazione ricomprenda beni presenti e futuri, la nullità colpirà solamente la parte relativa a questi ultimi e non tutto l’atto. Quando le donazioni hanno ad oggetto una universalità di cose, di cui il donante conservi il godimento trattenendola presso di sé, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente, a meno che dall’atto risulti una diversa volontà. Un cenno merita anche la donazione di cosa altrui che la dottrina, nel silenzio del codice e in analogia alle disposizioni della vendita e del principio generale di libertà negoziale, ritiene ammissibile a certe condizioni.

La causa del contratto, che assume anche la funzione propria dell’istituto, è costituita dalla spontanea volontà del donante (quello che la dottrina definisce animus donandi) di arricchire l’altra parte contrattuale, senza alcun corrispettivo e con il pedissequo proprio impoverimento. La causa della donazione, analogamente agli altri contratti, non si identifica con il motivo, ovvero la ragione per cui si decide di donare. Tuttavia, attesa la gratuità del negozio e l’incidenza negativa dello stesso sul patrimonio del donante, nella donazione viene riconosciuto eccezionalmente rilievo ai motivi del donante: così, ove risulti dall’atto di donazione e sia il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità, l’errore sul motivo, sia di fatto o di diritto, e il motivo illecito, possono portare all’invalidità della donazione (artt. 787, 788 c.c.).

Ai sensi e per gli effetti dell’art.774 c.c., il donante, al fine di estrinsecare il proprio spirito liberale, deve possedere la piena capacità di disporre dei propri beni con la conseguenza che i minori, gli interdetti e gli inabilitati non possono donare, atteso il carente possesso della capacità di agire, salvo i casi espressamente previsti dagli artt. 165,166 cc per le donazioni obnuziali.

In merito, invece, alla capacità di ricevere, è, inoltre, da tener presente che la disciplina codicistica, in deroga alla disciplina generale sulla capacità giuridica, analogamente alle disposizioni per il testamento, statuisce che la donazione può essere fatta anche ai nascituri, pur se non ancora concepiti (art. 784 c.c.). In tal caso, l’accettazione viene fatta dai futuri genitori secondo le regole dettate dagli artt. 320 ed 321 c.c. e, quindi, i beni vengono amministrati dal donante o dai suoi eredi, salvo diversa disposizione.

Si precisa, altresì, che anche le persone giuridiche hanno la possibilità di donare sempre che tale capacità sia comunque prevista dal loro statuto o dall’atto costitutivo; mentre nel caso in cui la persona giuridica fosse soggetto donatario la legge non prevede più l’autorizzazione amministrativa all’accettazione, né tantomeno la presentazione dell’istanza di riconoscimento per gli enti non riconosciuti.

È chiaro quindi che la donazione sia qualificabile quale atto personale che non ammette, quindi, rappresentanza, salvo la possibilità, per il solo donante, di una procura speciale attraverso la quale conferire a un terzo l’incarico di designare il donatario tra una categoria di soggetti (persone fisiche o giuridiche) o di cose indicate dallo stesso (art. 778 c.c.).

Nelle donazioni, è necessaria, a pena di nullità, la forma dell’atto pubblico (ad substantiam) (art. 782 c.c.), redatto da un notaio o da altro pubblico ufficiale legittimato ad attribuire al documento pubblica fede, salvo per quelle di modico valore di cui all’art. 783 c.c. per la cui validità è sufficiente la traditio del bene.

In merito all’invalidità della donazione, si tenga presente che oltre alle ipotesi di annullabilità e nullità previsti, analogamente agli altri contratti, in conseguenza del mancato rispetto degli elementi essenziali e delle disposizioni espressamente sancite dal codice è affine alla normativa in merito al testamento. In particolare, però, la nullità della donazione ex art. 799 c.c. non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa del donante che, conoscendo la causa della nullità hanno, dopo la sua morte, confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione.

L’art. 800 c.c. prevede, infine, che la donazione possa essere revocata in presenza di due gravi motivi: l’ingratitudine del donatario e la sopravvenienza di figli, tranne al caso che si tratti di donazioni remuneratorie ed effettuate in riguardo di un determinato matrimonio in quanto irrevocabili ex art. 805 c.c..

La donazione, considerata dal legislatore quale anticipo sulla successione, è soggetta agli stessi tipi di impugnazioni cui è soggetto il testamento da parte degli eredi legittimari. Il nostro ordinamento, infatti, tutela la famiglia e la trasmissione del patrimonio familiare attraverso riconoscimento del diritto ai legittimari di impugnare le donazioni che ledano la quota che la legge garantisce agli stessi e della quale non possono essere privati, rendendo quindi inefficaci nei loro confronti tali atti.

L’azione di riduzione

Il legittimario che ha la volontà di ottenere la ricostituzione della quota a lui necessariamente spettante attraverso l’azione di riduzione. In tal modo è possibile ricostruire l’asse ereditario depauperato da una o più donazioni che abbiano eroso la quota di legittima che spetta all’erede riservatario.

L’azione di riduzione va proposta dopo la morte del donante ed entro 10 anni dalla morte e contro il donatario. Se costui ha, a sua volta, ceduto a terzi l’immobile che aveva ricevuto in donazione, il legittimario può chiedere ai successivi proprietari la restituzione del bene sempre che il donatario non abbia altri beni sui quali soddisfare le proprie ragioni (azione di riduzione). Questo si riflette poi sulla commerciabilità del bene donato in quanto l’acquisto di beni per donazione può, nel tempo e in presenza di particolari circostanze, venir meno per effetto dell’eventuale esercizio vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari lesi nei propri diritti, con possibili ripercussioni anche nei confronti di terzi aventi causa dal donatario, peraltro solo qualora il donatario o l’erede non possiedano beni sufficienti a soddisfare le ragioni degli istanti.

Infatti l’articolo 563 del codice civile prevede che se il donatario ha alienato a terzi il bene ricevuto in donazione, colui che agisce in riduzione (ossia l’erede legittimario che ritiene di essere stato leso o pretermesso da quella donazione) può chiedere la restituzione del bene anche nei confronti dei successivi acquirenti, purché non siano passati venti anni dalla donazione.

L’azione di restituzione, infatti si prescrive trascorsi 20 anni dalla donazione, indipendentemente dalla circostanza che il donante sia ancora in vita o meno. In termine di prescrizione viene sospeso però nel caso in cui gli eredi notifichino e trascrivano un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Naturalmente il diritto ad opporsi alla donazione è anche rinunciabile.

La legittimazione attiva all’azione di riduzione spetta in primo luogo ai soggetti indicati dall’art. 536 c.c. e specificamente il coniuge, i figli sia legittimi che naturali, ascendenti. Sono altresì legittimati, ai sensi dell’art. 557 c.c., gli eredi o aventi causa dei legittimari stessi. I legittimari vengono in considerazione in quanto tali, come terzi, anche se investiti di una vocazione ereditaria, testamentaria o legale.

Merita rilievo evidenziare che la legittimazione dei soggetti diversi dai legittimari supponga che questi ultimi siano chiamati all’eredità e abbiano personalmente dichiarato la loro volontà di conseguire la legittima, mentre, in ipotesi di preterizione, l’azione di riduzione spetta esclusivamente al legittimario leso.

L’azione compete in via surrogatoria anche ai creditori del legittimario nel qual caso si presuppone che l’eredità sia stata accettata dal legittimario con beneficio di inventario. I creditori del defunto, invece, non possono chiedere né profittare della riduzione ai sensi dell’art. 557, comma 3 c.c., se il legittimario avente diritto a riduzione ha accettato con beneficio di inventario.

La ratio della norma viene ravvisata nella circostanza che il creditore del defunto poteva contare solo sul patrimonio di questi per soddisfarsi, e solo su questo potrà continuare a fare affidamento nell’ipotesi di accettazione beneficiata. Se la garanzia generica del credito era stata compromessa da atti di alienazione a titolo gratuito compiuti dal debitore (gli stessi oggetto dell’azione di riduzione), il creditore poteva agire in revocatoria; ma non può, ove non l’abbia fatto, soddisfare il proprio credito sfruttando l’azione di riduzione intentata per altri fini. È chiaro che se il legittimario accetta puramente e semplicemente, i creditori ereditari sono ammessi a domandare la riduzione o a profittarne come creditori personali dell’erede per effetto della confusione dei patrimoni, non in deroga, ma in applicazione del comma 1 dell’art. 557 c.c.

Il comma 3 dell’art. 557 c.c., nell’affermare che della riduzione non possono profittare i legatari e i donatari, si riferisce non già a coloro che beneficiano di un legato o di una donazione nella qualità di legittimari, ma a chi — donatario, legatario o beneficiario di una disposizione testamentaria — sia stato avvantaggiato dal de cuius con una disposizione sulla disponibile. La norma esclude che l’onorato possa pretendere di integrare la stessa disponibile mediante la riduzione delle liberalità elargite ai legittimari in conto di legittima, quando ne sopravanzino l’ammontare.

La legittimazione passiva spetta ai beneficiari delle disposizioni da ridurre, nell’ordine indicato dalla legge, fino a che l’effetto della reintegrazione del legittimario nella quota riservatagli non sia raggiunto. Dapprima vengono ridotte le disposizioni testamentarie, proporzionalmente (salva deroga del testatore: art. 558 c.c.) e successivamente vengono ridotte le donazioni (art. 555 c.c.), secondo il criterio cronologico. Nell’ipotesi in cui le disposizioni testamentarie non eccedano la quota disponibile al de cuius, si procederà pertanto ad una riduzione diretta delle donazioni (art. 554 c.c.). Sono passivamente legittimati anche gli eredi degli eredi, donatari o legatari beneficiari della disposizione riducibile; mentre gli aventi causa da questi ultimi sono legittimati passivi, come visto, soltanto dell’azione di restituzione.

La natura personale dell’azione comporta che non si possa configurare un litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i legittimari, né dal lato attivo né da quello passivo, essendo necessario convenire in giudizio unicamente il soggetto beneficiario della disposizione che si assume lesiva (Cass., n. 27414/2005). La pronuncia di riduzione non implica, quindi, l’automatica integrazione delle quote di legittima di tutti coloro che abbiano partecipato al giudizio, bensì opera in esclusivo favore di quei soggetti legittimari che abbiano proposto idonea istanza.

Tenuto conto dell’autonomia del diritto di ciascun legittimario di esercitare tale azione al fine di integrare la propria quota di riserva, le pronunce che sono intervenute su quelle domande cronologicamente precedenti di alcuni legittimari, quantunque relative alla medesima successione, non vincolano il giudice in ordine alle domande proposte da altri, anche in caso di riunione dei giudizi. La prescrizione, dunque, resta interrotta solo a favore di chi ha agito.

Dal lato passivo, la giurisprudenza consente la citazione degli aventi causa come parti secondarie della causa di riduzione, affinché la sentenza sulla riduzione faccia stato anche nei loro confronti ed eviti una loro successiva opposizione quando è chiesta la restituzione. Una diversa tesi considera legittimati passivi dell’azione di riduzione, oltre agli onorati, anche i terzi acquirenti dei beni donati. In questo senso l’azione di riduzione avrebbe la doppia caratteristica di essere, oltre che actio in personam, anche actio in rem.

Dalla qualificazione giuridica assunta dall’azione di riduzione si conclude che «non può essere paralizzata dall’eccezione di maturata usucapione ventennale del bene opposta dal donatario, in quanto […] [avendo] natura personale, non mira a rivendicare il bene posseduto dal beneficiario dell’atto di liberalità, ma soltanto a far valere sul rispettivo valore le ragioni successorie spettanti al legittimario preterito, con la conseguenza che l’eccezione del convenuto non avrebbe altra funzione che quella di ribadire l’esistenza del dominio che è presupposto della domanda» (Cass., n. 10333/1993).

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