La fattispecie del plagio evolutivo nell’economia della vicenda Gabibbo contro Big Red

Redazione 06/02/20
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di Vera Tricarico 

 Il plagio di un’opera altrui tutelata dal diritto di autore non è dato dal solo “plagio semplice o mero plagio” e dalla “contraffazione” dell’opera ma anche dalla ipotesi del cd. “plagio evolutivo”, che costituisce una fattispecie più complessa del fenomeno plagiario in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, per cui la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, per il tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento eseguito su quest’ultima, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. artt. 4 e 18 Legge  n. 633/1941.

Due pupazzi si contendono tra loro lo scettro dell’originalità in una vicenda di cronaca, oltre che giudiziaria, ormai piuttosto risalente, e precisamente:

– da un lato  l’americano Big Red (mero bozzetto schizzato senza alcuna possibilità di assurgere ad opera tutelata dal diritto di autore) rosso con scarpe bianche da ginnastica proveniente dal Kentucky. È la mascotte di una squadra universitaria di basket che non parla ma incita il pubblico a tifare con la sola gestualità. È apparso in Tv per alcuni spot pubblicitari. Nella vicenda controversa in commento si sostiene esser nato nel 1979 per mano dell’allora studente Ralph Carey;

dall’altro lato il Gabibbo (inviato del noto Tg satirico Striscia la notizia, ideato da Antonio Ricci) così famoso da non aver bisogno di particolari presentazioni. È un personaggio in diverse trasmissioni televisive, in veste non solo di ospite ma a volte anche di conduttore. Animato prima da Gero Caldarelli e, alla morte di questi, da Rocco Gaudimonte deve la sua voce al doppiatore Lorenzo Beccati. Dalla parlata tipicamente genovese (come di origine genovese è il suo nome) può descriversi quale pupazzo di fantasia umanoide, calvo con bocca larga ed abbigliamento minimale (falsa camicia, papillon e polsini con gemelli). Totalmente rosso nasce quale provocatore e, ben presto, diviene paladino dei cittadini pronto a raccogliere ingiustizie e scandali da questi segnalati. Ha cantato canzoni, vinto un telegatto ed è apparso in alcuni film.

La controversia comporta di affrontare, in punto di diritto, il tema della operatività del diritto di autore in riferimento alle opere di fantasia.

Tema che, oggi, nonostante numerosi interventi dei diversi Tribunali e delle Corte di merito aditi dalle parti in causa, e nonostante due interventi della Suprema Corte (Trib. Ravenna, Lugo, 11 dicembre 2007, n. 129; Corte App. Bologna, 13 maggio 2011, n, 609; Corte di Cassazione, sez. I, 11 gennaio 2017, n. 503 ed ancora  Trib. Milano, 10 aprile 2012, n. 4145; Corte App. Milano, 9 gennaio 2014, n. 525; Corte di Cassazione, sez. I, ord. 6 giugno 2018, n. 14635) non può dirsi ancora risolto.

Invero, la Corte di Cassazione, con il suo ultimo arresto (n. 14635), rimette al Giudice del merito il compito di pronunciarsi in ordine alla possibilità che il pupazzo nostrano integri una ipotesi di plagio evolutivo di quello di oltre oceano.

Afferma sul punto la Suprema Corte: <<in tema di diritto d’autore, la fattispecie del plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” e dalla “contraffazione” dell’opera tutelata ma anche dal cd. “plagio evolutivo”, che costituisce un’ipotesi più complessa del fenomeno plagiario in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicchè la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, per il tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento eseguito su quest’ultima, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione della L. n. 633 del 1941, artt. 4 e 18>>.

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Il plagio evolutivo

La questione dell’eventuale plagio evolutivo è destinata ad essere sottoposta al vaglio del Giudice di merito nel senso che la Corte di appello di Milano potrà-dovrà valutare al più profili di mera rielaborazione del pupazzo statunitense per giungere a quello nostrano, piuttosto che di semplice, eventuale ispirazione al primo per giungere al secondo, essendo comunque definitivamente esclusa l’ipotesi del plagio e/o della contraffazione, ossia della mera riproduzione.

La Suprema Corte non ha così considerato come, in ragione della tutela che l’ordinamento appresta all’arte cd. trasformativa (o appropriativa), nonché alla luce delle pronunce giurisprudenziali succedutesi nella vicenda in esame, debba in radice escludersi ogni forma di plagio anche in termini di plagio evolutivo. Così come non ha considerato che, in realtà, la Corte d’appello aveva già, con valutazione di merito insindacabile (ritenuta tale dalla stessa Suprema Corte), riconosciuto nel Gabibbo un gradiente di originalità tale da escludere sia il plagio semplice che quello evolutivo, cioè sia la riproduzione che la rielaborazione, residuando pertanto solo un’irrilevante indagine in punto di ispirazione (che non priva della riconosciuta originalità l’opera ispirata).

Nella vicenda Big Red vs. Gabibbo è centrale il tema del plagio, termine (non espressamente definito dalla legge) con il quale ex L. n. 633 del 1941 (art. 171) si indica il fatto di chi <<senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, a) riproduce… un’opera altrui>>.

Il plagio, dunque, si realizza con l’attività di riproduzione – si parla perciò di appropriazione – totale o parziale degli elementi creativi di un’opera altrui, così da ricalcare in modo parassitario quanto da altri ideato e quindi espresso in una forma determinata e identificabile.

Nel corso degli anni le elaborazioni degli interpreti hanno consolidato taluni principi-guida che orientano il giudizio di fatto sulla comparazione tra le opere, per giungere ad una valutazione positiva o negativa di plagio.

In primis, quanto all’opera plagiata, si è già detto come la stessa debba presentare i caratteri della originalità creativa riconoscibile e di come sia oggetto di tutela non l’idea in sé, bensì la forma della sua espressione ragion per cui non può parlarsi di plagio con riferimento all’idea su cui l’opera si fonda.

La disciplina sul diritto d’autore non protegge l’idea in sé (ottenibile anche fortuitamente, quale autonomo risultato dell’attività intellettuale di soggetti diversi e indipendenti), trovando invece il suo presupposto nell’identità di espressione, intesa come forma attraverso cui si estrinseca il contenuto del prodotto intellettuale, meritevole di tutela allorchè rivesta il carattere dell’originalità e della personalità (poichè le idee per se stesse non ricevono protezione nel nostro ordinamento allora è necessario che sia identico il modo in cui sono realizzate e cioè la forma esterna di rappresentazione.

Per quanto riguarda, poi, l’opera plagiaria, si ritiene che:

– affinché essa sia tale deve essere priva di un c.d. scarto semantico, idoneo a conferirle rispetto all’altra un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia dall’opera plagiata mutuato il c.d. nucleo individualizzante o creativo. In altre parole si rende necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso in forma determinata e identificabile (al contrario, è esclusa la sussistenza del plagio, allorché la nuova opera si fondi sì sulla stessa idea ispiratrice, ma si differenzi negli elementi essenziali che ne caratterizzano la forma espressiva);

– non sussiste il plagio qualora due opere, pur avendo in comune il cd. spunto o motivo ispiratore, differiscano quanto agli ulteriori elementi caratterizzanti ed essenziali, permanendo viceversa il plagio anche quando esso sia camuffato (o mascherato) mediante varianti solo apparenti;

– non rileva in sé la confondibilità tra due opere, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra. Contraffazione con marginali differenze ed elaborazione creativa presentano entrambe differenze rispetto all’opera originarla, ma nella seconda tali differenze hanno carattere creativo, ancorchè non ideativo e minimo. Sulla base di tali principi, la distinzione tra contraffazione ed elaborazione creativa è rimessa ad un apprezzamento di fatto del giudice di merito, le cui conclusioni possono essere sindacate in sede di legittimità soltanto per vizio della motivazione

Giurisprudenza e dottrina distinguono, poi, fra contraffazione di un’opera d’arte e suo plagio, a seconda che venga leso il diritto patrimoniale dell’artista, ovvero il suo diritto alla paternità.

Infine, si deve fare riferimento alla elaborazione creativa non consentita (c.d. plagio evolutivo) che si caratterizza per una elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo, ragion per cui riceve specifica protezione (art. 4 L. n. 633 del 1941).

Peraltro, anche nella elaborazione creativa dell’opera altrui è riconoscibile, eventualmente anche non ictu oculi, l’apporto creativo che caratterizza l’opera originaria.

Si è detto: <<La norma dell’art. 4 della legge n. 633 del 1941, laddove recita “sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo”, presuppone anzitutto che si intervenga senza mutarne i caratteri su di un’opera di autore, giacché il potere di modificarla in modo strutturale appartiene all’autore, ovvero nel caso che ne occupa, al compositore.

La protezione del carattere creativo presuppone una elaborazione che, come si trae dall’ultima parte della norma, non costituisce opera originale, nel senso che non sostituisce l’idea ispiratrice, i caratteri artistici, il linguaggio e la tecnica dell’autore. L’elaborazione, per non risultare invasiva del diritto dell’autore, non deve mirare ad un’opera diversa da quella sulla quale interviene. Questa è l’oggetto della elaborazione creativa, come la legge dice, la quale dunque, quale che sia la difficoltà pratica della sua identificazione, deve, per assurgere alla protezione in questione, presentare un certo grado di qualità elaborativa originale>> (Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 2001, n. 559).

Tale fattispecie può essere lesiva del diritto di autore e, in particolare, può dar luogo ad un illecito quando determini un pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, considerato che l’autore ha il diritto esclusivo di elaborazione della sua opera (art. 18 L. n. 633 del 1941), con la conseguenza che l’elaborazione di un terzo può ritenersi lecita soltanto se realizzata con il consenso dell’autore dell’opera originaria e se questa viene citata nelle forme d’uso.

Si è detto: <<La fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 della l. n. 633 del 1941>> (Trib. Roma, sez. XVII spec. in materia di imprese, 11 febbraio 2019, n. 3106).

La distinzione tra contraffazione ed elaborazione creativa è rimessa ad un apprezzamento di fatto del giudice di merito, le cui conclusioni possono essere sindacate in sede di legittimità soltanto per vizio della motivazione (Cass. 10 marzo 1994, n. 2345; si veda anche Cass. pen., sez. III, 24 ottobre 2016, n. 44587).

I due pupazzi a confronto

Procedendo ora al raffronto tra i due pupazzi contendenti occorre muovere dal passaggio della sentenza della Corte di appello di Bologna (n. 609/2011 cit.) secondo cui il Big Red non assurge al livello di opera creativa in quanto non dissimile da altri pupazzi comunemente conosciuti (<<tutti caratterizzati dall’essere goffi umanoidi costituiti da una massa amorfa di colore rosso, con grande testa e occhi e bocca larga>>).

Se entrambi sono pupazzi di fantasia umanoidi e di colore rosso con testa grande, occhi bianchi e pupille nere, e con una bocca decisamente larga, tuttavia notevoli sono le differenze tra di loro.

Invero Big Red reca sul petto, in talune sue raffigurazioni, la scritta WKU, è privo del naso, ha una bocca con andamento trasversale, indossa scarpe bianche da ginnastica, non parla ma fa la mascotte incitando solo a gesti il pubblico ad applaudire, rivolgendosi quasi solo a giovani nel contesto sportivo.

Il Gabibbo che veste con papillon, pettorina e polsini, che ha il naso ed una bocca rettilinea e non porta scarpe è tutt’altro che muto: balla, canta e fa l’inviato e il presentatore rivolgendosi ad un pubblico eterogeneo per lo più composto da persone adulte.

Ma non è tutto. Il personaggio di oltre oceano ha gambe più corte di quello nostrano e un corpo a forma di sacco e meno definito rispetto a quello del Gabibbo.

Da parte sua la Corte d’appello di Milano (n. 525/2014 cit.) pone l’accento sulla <<amplissima lista di personaggi di fantasia che popolano il mercato dell’intrattenimento, pubblicitario e televisivo e appaiono caratterizzati da fattezze simili a quelle di Big Red>>.

In questo senso si possono ricordare da Gossammer (del 1946) a Blob, da Barbapapà a Pacman – solo per citarne alcuni – che portano a ritenere l’assenza di individualità del Big Red che, quindi, non può dirsi frutto dell’opera creativa del suo autore.

E ciò vale anche per la dimensione c.d. psicologica del personaggio il cui carattere allegro ricalca quello dei suoi predecessori.

Al tempo stesso la Corte meneghina riconosce comunque al Big Red una sua propria dimensione psicologica con un (criticabile) passaggio della sua sentenza in cui avrebbe dovuto quanto meno motivare perché le caratteristiche dei tanti pupazzi che lo avevano preceduto non erano idonee ad anticipare il profilo della individualità di tale opera.

Si tratta di un aspetto fondamentale in quanto l’intera vicenda si fonda su un dato imprescindibile, ovvero la tutelabità autoriale del Big Red.

Bene sul punto fa la Suprema Corte che nella sua decisione n. 503/2017 pone l’accento sul fatto che le diversità riscontrabili tra la mascotte americana e le precedenti realizzazioni cui innanzi si è fatto cenno <<non sono tali da raggiungere la soglia della creatività minima richiesta per la tutela>> (in ciò confermandosi l’argomentare della Corte di merito).

In altro passaggio della sentenza resa dalla Corte Meneghina si legge ancora: <<in presenza di un panorama di anteriorità sovraffolato – cd. crowded art – non solo è inevitabile un certo grado di rassomiglianza tra i personaggi, ma i dettagli acquistano un ruolo centrale per distinguere gli uni dagli altri e conferire loro individualità>>.

Ciò comporta – secondo il Collegio giudicante – che piccole modifiche di un’opera rispetto ad un’altra valgano ad assegnarle la tutela del diritto di autore.

Se così è – cioè se si deve seguire il ragionamento della Corte di Milano – allora anche un piccolo contributo creativo vale a comportare la tutelabilità dell’opera e quindi tutelabili sono sia il Big Red (in parte certamente diverso dai suoi predecessori), sia il Gabibbo diverso dal pupazzo americano. La conseguenza ultima è l’assenza di plagio del secondo rispetto al primo.

Idem a voler optare per una tutela rigida del diritto di autore (ragionando quindi in termini diametralmente opposti a quelli della Corte): avremmo in questo caso opere prive di tutela – sia per Big Red che per il Gabibbo – e quindi assenza di ogni ipotesi plagio.

L’assenza di plagio e di contraffazione – si noti bene – è ormai questione assodata e passata in giudicato in quanto alla Corte di appello di Milano è dato il compito di verificare solo una eventuale ipotesi di plagio c.d. evolutivo.

Invero, la Cassazione (ord. n. 14635/2018) ha definitivamente archiviato il tema plagio semplice e/o contraffazione al contempo rinviando alla Corte di merito la questione di verificare l’eventuale sussistenza del plagio evolutivo (in conseguenza del quale la nuova opera è mera rielaborazione della preesistente e, per quanto possa essere anche espressione di creatività, difetta di originalità).

La Corte di appello di Milano, in sede di rinvio, dovrà effettuare la sua valutazione avuto riguardo al profilo dell’aspetto esteriore (e sul punto notevoli sono le differenze tra Gabibbo e Big Red) e dello scarto semantico per il quale è di rilievo fondamentale il significato artistico.

Certo è che agli occhi di un osservatore terzo, stando a quanto emerge da un’obiettiva lettura delle numerose sentenze sinora rese sulla vicenda, poiché il Gabibbo esprime un messaggio artistico suo proprio, del tutto diverso da quanto fa il Big Red, non v’è modo di ritenere sussistente una ipotesi di plagio evolutivo.

La descrizione dei due pupazzi e delle loro differenze che emerge dalle motivazioni delle varie pronunce rese rende, in effetti, arduo, sul piano del confronto esteriore e poi ricorrendo al canone del c.d. scarto semantico, riscontrare una simile figura di illecito: vedremo cosa stabiliranno i giudici di rinvio. I quali peraltro dovranno necessariamente tenere in debito conto anche gli effetti non solo “argomentativi”, ma propriamente giuridici delle statuizioni della Corte di Bologna – la cui pronuncia è resa anche nei confronti del sig. Ralph Carey – che si è espressa su profili comuni a quelli propri del giudizio attualmente pendente.

Si vuol dire cioè che la pronuncia bolognese dovrà essere tenuta in debito conto dai Giudici della Corte di Milano così da evitare conflitti di accertamenti. E qui un ruolo forte avrà, deve presumersi,

l’affermazione della Corte bolognese che ha negato la tutelabilità di Big Red quale opera dell’ingegno per l’assenza dei requisiti di novità ed originalità: di conseguenza ove la Corte di Milano andasse ad affermare la proteggibilità del Big Red (che è il presupposto delle domande del sig. Carey nella causa oggi pendente), o la confondibilità con essa del pupazzo nostrano, si avrebbe un palese contrasto con un precedente accertamento tra le stesse parti e per lo stesso oggetto.

È interessante poi soffermarsi, in chiusura, sul profilo del valore giuridico da assegnare ad alcune “interviste” (rilasciate dal terzo Gero Cardarelli e dalla parte in causa Antonio Ricci), occupandosi delle quali la Cassazione si è così pronunciata: <<in tema di prove, la confessione stragiudiziale è diretta a veicolare nel processo un fatto storico dubbio, in riferimento al quale la dichiarazione del confitente è destinata a fare chiarezza, sicchè essa va valutata dal giudice di merito ai fini dell’accertamento del cd. “plagio evolutivo”>>.

La massima sembra demandare ai giudici di rinvio una preliminare valutazione sulla riconducibilità di tali interviste a vere e proprie “confessioni stragiudiziali” in senso tecnico.

Sembra a chi scrive che tale valutazione sia per il vero scontata, e in senso negativo, quanto all’intervista resa dal terzo Cardarelli: perché non può per definizione costituire confessione una dichiarazione di soggetto estraneo alla causa. L’art. 2730 c.c. è chiaro in tal senso, ma che alcuna “confessione” possa ravvisarsi in dichiarazioni rese da chi non è parte del giudizio è un assunto che discende, del resto, dall’impianto generale del nostro codice di rito.

Una prognosi negativa, ma per ragioni profondamente diverse, pare invece potersi esprimere per quel che riguarda le dichiarazioni rese in una intervista da Antonio Ricci.

La confessione

La norma del codice civile appena citata, invero, impone che la confessione abbia ad oggetto la affermazione -compiuta dalla parte- della verità di fatti oggettivi, quindi non la integrano dichiarazioni valutative, apprezzamenti soggettivi o altre esternazioni della parte in causa. Ma soprattutto impone, sempre per attribuire natura di confessione, che quanto dichiarato dalla parte sia comunque espressione di c.d. animus confitendi: difettando il quale siamo fuori dalla portata dell’art. 2730 c.c. La “confessione” in senso proprio presuppone la volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, che deve essere obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte: se questo stato soggettivo manca, se la dichiarazione è resa per iattanza, ioci causa, inconsapevolmente, provocatoriamente o  insomma in difetto del predetto, qualificato animus non può esservi confessione.

Ad ogni buon conto, come accennato, la questione è di interesse scientifico ma probabilmente non avrà un particolare ruolo nella decisione dei giudici di rinvio, chiamati a verificare l’esistenza o meno del c.d. plagio evolutivo comparando le opere, più che il percorso seguito nell’idearle. Tanto più che se la diagnosi giudiziale demandata dalla Suprema Corte sarà nel senso di dichiarazioni effettivamente “confessorie”, esse non avranno alcun effetto di prova legale ma, al massimo, quello previsto dall’art. 2735 c.c.: obiettivamente marginale in contenziosi del genere, dove molti accertamenti in fatto sulle opere si sono susseguiti evidenziandone le differenze.

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