(Annullamento con rinvio)
(Normativa di riferimento: C.p. 131-bis; d.P.R., 9/10/1990, art. 73, c. 5)
Il fatto
La Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 20 febbraio 2018, confermava la pronuncia emessa nei confronti di Z. A. con cui il G.U.P. presso il Tribunale di Larìno, previa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R.309/90, aveva applicato la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen..
Nel caso in questione, l’imputato, da quanto emerge dalla lettura della sentenza di primo grado, era stato sottoposto a controllo da parte di personale della Guardia di Finanza in …, all’uscita dell’autostrada …, mentre si trovava a bordo dell’autovettura condotta da P. M..
Nell’occasione del controllo venivano rinvenuti sotto il seggiolino della vettura dal lato passeggero gr. 91,15 di hashish (dai quali erano ricavabili n. 741 dosi) gr. 7,318 di marijuana (dai quali erano ricavabili n. 35 dosi).
In sede di interrogatorio l’imputato ammetteva la detenzione dichiarando di avere acquistato lo stupefacente in Bologna, dove studiava, per un uso esclusivamente personale; in particolare, costui dichiarava che, dovendo trascorrere un periodo lungo di permanenza in famiglia, non sapendo dove approvvigionarsi delle sostanze di cui faceva uso, aveva ritenuto di procacciarsi una scorta consistente e produceva, a sostegno della sua giustificazione, un esame di laboratorio da cui risultava la positività ai cannabinoidi.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la sentenza suddetta proponeva ricorso per Cassazione il P.G. presso la Corte d’appello di Campobasso prospettando i seguenti motivi di ricorso: a) violazione di legge con riferimento agli artt. 110 cod. pen., 73 comma V, d.P.R. 309/90 e art. 192 cod. proc. pen. in quanto il giudice di primo grado e la Corte di appello sarebbero incorsi in una erronea qualificazione giuridica del fatto; b) violazione ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. nonché carenza di motivazione in ordine alla chiesta rinnovazione della istruttoria dibattimentale; c) carenza di motivazione con riferimento all’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. stante il fatto che la sentenza della Corte territoriale si sarebbe limitata ad un mero richiamo per relationem della sentenza di primo grado senza fornire risposta ai motivi di appello che censuravano la individuazione dei criteri posti a fondamento della scelta dì applicare la causa dì non punibilità; d) violazione dell’art. 75 d.P.R. 309/90 poiché, anche a voler condividere la tesi assunta nelle sentenze di merito in ordine ad un uso esclusivamente personale della sostanza, i giudici avrebbero dovuto ordinare la trasmissione degli atti alla Prefettura di Campobasso per l’applicazione delle sanzioni amministrative.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il Supremo Consesso riteneva come i primi tre motivi di doglianza proposti dalla Procura Generale risultassero fondati, e pertanto la sentenza doveva essere annullata con rinvio per nuovo esame, alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si rilevava a tal proposito prima di tutto come la prima doglianza dovesse essere coniugata con il terzo motivo di ricorso nel quale la Procura lamentava, altresì, come la Corte di merito avesse totalmente trascurato di fornire risposta alle numerose doglianze espresse nell’atto di appello riguardanti la ricostruzione dei fatti e l’inquadramento giuridico della vicenda.
Precisato ciò, gli ermellini postulavano come i profili evidenziati nei richiamati motivi di ricorso dovessero trovare accoglimento dato che la Corte di merito non aveva tenuto conto in alcun modo delle censure contenute nell’atto di appello, ad esclusione di quella riguardante l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., incorrendo nei vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., lamentato dall’Accusa, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen..
Si osservava in particolar modo come, dal momento che nell’atto di appello la Procura aveva specificamente criticato l’inquadramento operato dai primo giudice, sollecitando una rivalutazione da parte della Corte di merito di aspetti significativi della vicenda, attinenti sia alle modalità e circostanze del controllo (in rapporto anche alla presenza nel veicolo di altro soggetto che deteneva a sua volta stupefacente), sia alla quantità ed alla diversa qualità della sostanza, la pronuncia di appello non aveva quindi ottemperato compiutamente all’obbligo motivazionale, mancando di confrontarsi con le principali argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione riguardanti la qualificazione giuridica del fatto e non esprimendosi sulla richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale avanzata dalla Procura nell’atto di appello.
Posto ciò, i giudici di Piazza Cavour facevano altresì presente come risultassero parimenti fondate le critiche riguardanti il ragionamento seguito dalla Corte territoriale con riferimento ai presupposti applicativi dell’art. 131-bis cod. pen..
Si evidenziava al riguardo – dopo aver dedotto che l’istituto della particolare tenuità del fatto prevede, quali condizioni per l’esclusione della punibilità (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione), la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento e, pertanto, si richiede al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici requisiti» delle modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’art.133, primo comma, cod. pen., sussista l’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento dato che solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità (Sez. U, n.13682 del 25/02/2016, omissis, in motiv.; Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, omissis, Rv.26544901) – come nella sentenza impugnata, la Corte d’appello si fosse occupata di un solo profilo rilevante ai fini della ricorrenza della causa di non punibilità, ossia dell’abitualità nel reato, trascurando di considerare che la valutazione da operarsi deve coinvolgere anche l’aspetto della particolare tenuità dell’offesa, che non può darsi per acquisita in relazione ai casi in cui ricorre la fattispecie di reato di cui all’art. 73, comma V d.P.R. 309/90, non coincidendo le nozioni di “particolare tenuità” e di “lieve entità“ contenute nelle due norme atteso che in “tema di stupefacenti, la fattispecie di lieve entità di cui al comma quinto dell’art. 73, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. sono fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidenti, atteso che, mentre ai fini della concedibilità della prima il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l’entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta” (Sez. 4, n. 48758 del 15/07/2016, omissis, Rv. 268258 – 01)”.
Terminata la disamina di questi motivi, la Suprema Corte, all’opposto, riteneva infondato l’ultimo motivo di ricorso proposto dall’Accusa, non risultando dalla lettura degli atti che i giudici della cognizione avessero voluto affermare un uso esclusivamente personale di tutta la sostanza sequestrata allo Z..
Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, si giungeva ad annullare la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, competente per il nuovo giudizio, alla quale veniva demandato il compito di rivalutare, seguendo í principi enunciati in questa stessa pronuncia, i profili evidenziati sempre in questa decisione.
Conclusioni
La sentenza è senza ombra di dubbio condivisibile.
In siffatta pronuncia, si fa infatti una corretta applicazione dei criteri ermeneutici con cui si sostiene come la fattispecie di lieve entità di cui al comma quinto dell’art. 73, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309 e la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. non siano coincidenti.
Del resto, anche questi precetti normativi evidenziano la diversità di questi istituti atteso che, come evidenziato dalla stessa Cassazione, ai fini della concedibilità della lieve entità di cui al comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309, il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa mentre, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità, devono essere considerate le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l’entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere non abituale della condotta.
Va da sé dunque che è sconsigliabile una linea difensiva con cui si chieda il riconoscimento di tale causa di non punibilità, sol perché è stato contestato (e/o riconosciuto) il reato di cui all’art. 73, c. 5, d.P.R. n. 309/1990, occorrendo per contro dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti applicativi richiesti dall’art. 131-bis c.p. affinché la particolare tenuità del fatto possa essere applicata.
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