La fattispecie di omicidio stradale

Matteo Greco 26/01/18

Una disciplina ad hoc per l’omicidio stradale

La legge 23 marzo 2016, n. 41 trae origine dall’iniziativa parlamentare del senatore Domenico Scilipoti che, in data 20 giugno 2013, ha presentato il disegno di legge N. 859 recante “modifiche al codice penale, all’articolo 380 del codice di procedura penale e al codice della strada, in materia di omicidio stradale”. Nel preambolo la proposta di legge afferma che “con questa proposta si intende colmare quella che viene sentita come una vera e propria lacuna normativa inaccettabile perché non rispondente a criteri di proporzionalità tra i beni che si mettono a repentaglio (vita ed integrità fisica) e l’atteggiamento psicologico del reo. In tale ottica diventa determinante incidere non soltanto sull’entità della pena e sulle misure che ne garantiscano l’immediata efficacia, ma soprattutto sul corretto inquadramento dell’approccio psicologico di chi, consapevole della pericolosità della propria condotta ne accetta il rischio in totale dispregio delle pressoché inevitabili conseguenze della stessa.” [1]

Uno degli obiettivi era, dunque, quello di sanare la frattura creatasi nella giurisprudenza in ordine al problema del corretto inquadramento dell’elemento soggettivo, con riferimento alle figure contigue della colpa cosciente e del dolo eventuale. È infatti possibile notare il tentativo, operato da alcuni giudici di merito, di inquadrare (nei casi più gravi ed eclatanti) il fatto di cagionare la morte di un uomo con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale nella fattispecie prevista dall’articolo 575 c.p. (omicidio doloso comune) tramite il ricorso alla problematica figura del dolo eventuale. Diversi sono stati i casi portati all’attenzione dei giudici di merito, a titolo esemplificativo, è da menzionare, tra quelli più significativi, il caso “Lucidi”[2]: il giudice di primo grado condannò l’imputato ai sensi dell’art. 575 c.p., vale a dire per il delitto di omicidio commesso con dolo eventuale, perché senza patente, guidando a velocità elevata, con totale disprezzo per la vita umana, oltrepassava due semafori rossi e investiva, cagionandone la morte, due ragazzi in scooter che attraversavano il semaforo con la luce verde[3]. La Corte di assise di appello, però, cambiò avviso e qualificò il reato come omicidio colposo (art. 589, comma 2 c.p.) aggravato dalla previsione dell’evento ex art. 61 n. 3 c.p., riducendo così la pena applicata al condannato, in quanto una cosa sarebbe la volontà dell’evento dannoso (dolo), un’altra cosa, invece, non osservare norme o regole che quell’evento dannoso sono volte a prevenire ed evitare (colpa)[4]. La Suprema Corte, infine, aderì alle argomentazioni della pronuncia di secondo grado che aveva suscitato veementi reazioni critiche nell’opinione pubblica. Peraltro, il Supremo Collegio, consapevole delle difficoltà pratiche di provare la sussistenza del dolo eventuale nonché della labilità del confine con la colpa cosciente, affermò che “nel dubbio sulla sussistenza di tale elemento psicologico (e l’accertamento al riguardo, secondo la regola generale di valutazione della prova, deve sottrarsi ad ogni ragionevole dubbio) il giudice non può che condannare per il fatto colposo, non per quello doloso”.[5]

Come in questo, anche in altri casi sottoposti al suo esame, la Cassazione, in contrasto con quanto affermato dai giudici di merito, ha ritenuto che la condotta causale rispetto all’evento fosse sorretta dalla colpa cosciente piuttosto che dal dolo eventuale. E, in generale, il discrimen tra questi due titoli di imputazione soggettiva può essere apprezzato alla luce del criterio c.d. dell’accettazione del rischio: in caso di colpa cosciente, l’evento è immaginato come astrattamente realizzabile ma, in ogni caso, resta concretamente non voluto dall’gente, che opera nella sicura fiducia che quell’evento non si verificherà quale conseguenza della propria condotta; nel dolo eventuale, invece, l’evento è rappresentato dall’agente come concretamente possibile e perciò si ritiene che questi, nel momento stesso in cui agisce, accetta il rischio della sua verificazione (il che equivarrebbe ad averlo sostanzialmente voluto).

Al tal proposito una recente sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite, la c.d. sentenza ThyssenKrupp (sent. n. 38343 del 24 aprile 2014), ha dato un importantissimo contributo nella definizione della controversa linea di confine tra i due criteri soggettivi di imputazione. Secondo le Sezioni Unite ciò su cui è necessario porre l’accento è il momento volitivo, il quale deve essere necessariamente presente affinché si possano ritenere sussistenti gli estremi del dolo e non quelli della colpa. Il quid pluris per la configurabilità del dolo eventuale è identificabile nell’adesione psicologica all’evento verificatosi nella fattispecie concreta, potendosi in tal modo  constatare l’esistenza di quel pur minimo apporto volitivo che caratterizza il dolo e non la colpa, attraverso una serie di indicatori enunciati dalla Corte: la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; la personalità e le pregresse esperienze dell’agente; la durata e la ripetizione dell’azione; il comportamento successivo al fatto; il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; la probabilità di verificazione dell’evento; le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l’azione; nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento.[6]

Come si vede, il problema non si pone soltanto sul piano teorico, ma presenta rilevanti e decisivi risvolti anche nella prassi giurisprudenziale, stante la necessità di accertare poi, nel processo penale, l’effettivo contegno psicologico del soggetto agente.

I contrasti giurisprudenziali emersi nell’ultimo decennio e la risonanza mediatica dei relativi casi, hanno fomentato nell’opinione pubblica l’esigenza di difesa sociale dal fenomeno delle morti sulla strada e la richiesta di risposte sanzionatorie drastiche, ben più gravi di quelle previste.

Scelte di politica criminale

La legge 23 marzo 2016, n. 41, alla fine di un complesso iter legislativo durato quasi 2 anni con ben cinque letture parlamentari, introducendo, tra le altre[7], l’inedita ed autonoma fattispecie di omicidio stradale, dunque, è l’ultimo step del progressivo inasprimento sanzionatorio del fenomeno.

La legge in esame non è solo il punto di arrivo di un lungo percorso parlamentare, essa è innanzitutto l’espressione di un processo evolutivo nell’approccio al complesso e drammatico problema delle morti sulla strada.

Tanto è vero che in una prima fase, risalente ai primi anni duemila, quando ancora non vi era stata una forte sensibilizzazione mediatica sul tema delle morti sulla strada, questo tragico fenomeno veniva affrontato prevalentemente sul piano delle regole di comportamento della circolazione stradale, come è possibile notare dall’approccio dell’Unione Europea: si pensi al primo libro bianco della Commissione[8] pubblicato nel 2001 “La politica europea dei trasporti fino al 2010”, che tra i diversi obiettivi si prefiggeva di dimezzare il numero dei morti sulla strada in tutti gli Stati membri.[9] In questo documento l’Unione intendeva contribuire a un tale obiettivo, focalizzando, quindi, la questione sul piano della prevenzione, attraverso la diffusione di buone pratiche e l’armonizzazione delle sanzioni, e promuovendo nuove tecnologie al servizio della sicurezza stradale.[10]

Nel 2006, a fronte della costante crescita del fenomeno dell’infortunistica stradale, si avviò una seconda fase del processo evolutivo che ha portato alla criminalizzazione dell’omicidio stradale, e cioè un primo intervento nel segno dell’inasprimento sanzionatorio sulla fattispecie incriminatrice dell’omicidio colposo commesso con violazione delle regole del codice della strada. Più in particolare, ai sensi del comma 2, art. 589 c.p., la pena prevista dal comma 1 per l’omicidio colposo “comune”, se il fatto è commesso “con la violazione delle norme sulla circolazione stradale” (art. 2, l. 21 febbraio 2006, n. 102) è aumentata da 2 a 5 anni.

Una nuova profonda modifica del regime sanzionatorio previsto per il reato di omicidio colposo, commesso con la violazione delle norme sulla circolazione stradale, si ebbe nel 2008 a seguito del c.d. “pacchetto sicurezza”[11] varato dal Governo di allora, il quale introdusse diverse novità.  Tra le più significative, innanzitutto, l’aumento del limite massimo di pena, previsto dall’art. 589, comma 2, c.p., per l’omicidio colposo aggravato per essere commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, portando da 5 a 7 anni di reclusione ( mentre non venne modificato il limite minimo di due anni); in secondo luogo, fu previsto un aumento di pena (da 3 a 10 anni di reclusione) se il fatto è commesso in stato di ebbrezza alcolica con un tasso alcolemico superiore alla soglia di 1,5 g/l  o  sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope; infine, si aumentò il limite massimo di pena nei casi di morte di più persone, portandolo da 12 a 15 anni.[12]

Non può non rilevarsi come il legislatore italiano si sia mosso nel senso di predisporre un sistema sanzionatorio più rigoroso nei confronti di quel soggetto che si mette alla guida in grave stato di alterazione psicofisica, incurante della potenzialità lesiva di quel comportamento.

Peraltro, se si pone l’attenzione sui dati statistici prodotti dall’ISTAT è possibile notare come, a fronte dei rilevanti interventi normativi, invero, il numero degli incidenti mortali sia sensibilmente diminuito. Con 56,2 morti per incidente ogni milione di abitanti l’Italia supera ancora la media europea (51,4), ma basta pensare che i morti per incidente stradale nel 2008 arrivavano a 80,3 ogni milione di abitanti, per sostenere che in materia si siano comunque fatti importanti passi avanti.[13]

A questo punto, allora, non resta che interrogarsi sulle reali ragioni che hanno mosso il legislatore a intervenire, nel senso di un ulteriore aggravamento, sul trattamento sanzionatorio dei reati commessi con violazione delle regole di circolazione stradale.

A fronte di questi dati, probabilmente, la scelta politica criminale del legislatore è stata dettata da finalità “propagandistiche” piuttosto che da reali esigenze criminologiche. Se da un lato i dati statistici rivelano un calo degli incidenti mortali, dall’altro, tuttavia, la eco di questi tragici eventi è sempre più avvertita nell’opinione pubblica grazie ai mass media che denunciano l’ineffettività delle pene comminate, chiedendo al legislatore di scongiurare l’eventualità, altamente probabile, che, a fronte della lesione di beni di primaria rilevanza (la vita, l’integrità fisica), il reo possa rimanere in qualche modo impunito.

I mass media hanno l’importante, e senza dubbio irrinunciabile, compito di informare i cittadini. Allo stesso tempo, però, non è possibile negare che essi abbiano una importanza fondamentale nel modellare le opinioni dei singoli, modificandone cosi le innumerevoli interazioni sociali. Da questa forza modellatrice dei mass media non è esclusa la loro relazione con la percezione del crimine nell’opinione pubblica: essi sono in grado di modificare il livello di percezione della criminalità, in quanto possono trasmettere informazioni distorte sui reati e sul controllo sociale.

I mass media, dunque, possono condizionare in modo pressoché determinante la percezione del rischio criminale e la valutazione circa l’adeguatezza degli strumenti di contrasto da parte della pubblica opinione. Con questo non si vuole dire che i media abbiano prodotto una domanda diffusa di penalità, ma fanno sì che la risposta del pubblico sia modulata non in base al reato o alle statistiche ufficiali, ma in base alla rappresentazione collettiva che essi hanno consolidato nel tempo.[14]

Pertanto, la risonanza mediatica delle morti sulla strada e la diffusione del tragico fenomeno avevano determinato l’insoddisfazione dell’opinione pubblica, e di una certa giurisprudenza, con riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per l’omicidio colposo considerato troppo mite, quantomeno nel minimo. In via generale, il problema dell’ineffettività della sanzione penale era ricondotto alla circostanza che l’applicazione della fattispecie incriminatrice dell’omicidio colposo aggravato dalla violazione delle regole del codice della strada, presentava un minimo edittale troppo basso, vale a dire due anni di reclusione che, il più delle volte, si traduceva nella commutazione della sanzione detentiva in pena pecuniaria o in altra sanzione alternativa (o si applicava comunque la sospensione condizionale della pena). A ciò si aggiunga tutta una serie di istituti processuali che in via di principio determinano un livellamento verso il basso delle pene applicate e il frequente riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62bis. Da qui, lo sviluppo di quel filone giurisprudenziale volto a qualificare le condotte di omicidio con violazione delle norme sulla circolazione stradale molto eclatanti nell’ambito dell’omicidio doloso, nella forma del dolo eventuale.

Alla luce di quanto detto la ratio della nuova incriminazione è dare una risposta alle associazioni dei familiari delle vittime della strada che lamentavano una vera e propria lacuna normativa, chiedendo la predisposizione di un autonomo reato di omicidio stradale in considerazione dell’ineffettività della pena prevista per l’omicidio colposo.

La nuova fattispecie di omicidio stradale come prevista dalla l. 23 marzo 2016 n.41

Prima di esaminare la normativa vigente, pare opportuno fare una breve premessa sul contenuto del disegno di legge (n. 859/2013) che, all’esito dei tre anni di lavori parlamentari, ha prodotto la L. 23 marzo 2016 n. 41. Più in particolare, esso prevedeva l’introduzione di  nuovo articolo nel codice penale, precisamente il 575bis che testualmente recitava: “Chiunque, ponendosi consapevolmente alla guida di un autoveicolo o di un motoveicolo, in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi, rispettivamente, degli articoli 186, comma 2, lettere b) e c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, cagiona la morte di una persona è punito con la reclusione da otto a diciotto anni. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni ad una o più persone, la pena può essere aumentata fino al triplo, per un massimo di anni ventuno”.[15]

Dalla specifica collocazione della norma incriminatrice e dal suo tenore letterale, è chiara l’intenzione di classificare l’omicidio stradale come omicidio doloso.

Questa impostazione destava però forti perplessità già di tipo strutturale. Come ben noto,  infatti, per definire dolosa una condotta è necessaria sia la previsione e rappresentazione della condotta criminale, sia la volontà di perpetrare la condotta rappresentata, sia l’oggetto del dolo, ossia il fatto di reato.[16]  La fattispecie incriminatrice proposta, invece, sembrava presuppore che chiunque, mettendosi alla guida in stato di alterazione psicofisica, si rappresenti la condotta criminale e accetti la possibilità che questa si verifichi concretamente, esprimendo sempre un atteggiamento volitivo di accettazione nei confronti dell’evento morte di qualcuno.[17]

La norma, se così fosse stata approvata, avrebbe previsto il c.d. paradigma dell’actio libera in causa nei casi di omicidio stradale. In questa prospettiva, l’individuazione dell’elemento soggettivo sarebbe stata posta in relazione con il momento stesso in cui l’agente si è ubriacato, quando, invece, il dolo e la colpa devono essere per definizione collegati al fatto costituente reato e al momento della sua commissione. Per questo il caso di colui che ubriaco dà sfogo alla sua ira su un rivale, uccidendolo, non può essere paragonato al caso di colui che ubriaco per l’eccessiva velocità provoca un morto in seguito ad incidente automobilistico: il primo risponderà di omicidio doloso, il secondo di omicidio colposo.[18] Inoltre in queste condotte la componente casuale ha una rilevanza preponderante, visto e considerato che il conducente sotto effetto di alcool o sostanze stupefacenti non è detto che ogni qualvolta si metta alla guida causi la morte di un individuo. Questo a sottolineare la scarsa adeguatezza dell’inquadramento dell’omicidio stradale in una fattispecie dolosa.

In definitiva, nei lavori parlamentari si era riscontrato che il criterio che contraddistinguerebbe il dolo eventuale è eccessivamente labile, perché basato su un’indagine psicologica priva di oggettiva riscontrabilità pratica.[19] Come si fa, nel caso concreto, a dimostrare con ragionevole certezza che l’agente aveva davvero accettato quel rischio? [20]

Alla luce di queste considerazioni e a seguito della trattazione in Commissione giustizia sui D.D.L. unificati, il legislatore ha dunque preferito lasciare l’inquadramento della fattispecie di omicidio stradale nell’alveo della responsabilità colposa. Si è arrivati, così, all’attuale configurazione della norma incriminatrice dell’omicidio stradale.

L’articolo 1, comma 1, della L. 23 marzo 2016, n. 41 ha modificato il codice penale con l’inserimento del nuovo articolo 589bis c.p., composto da ben 8 commi, il quale prevede l’inedita e articolata fattispecie di omicidio stradale. Esso, vista la posizione topografica e la pedissequa ripresa della lettera del secondo comma dell’art. 589 c.p. (ormai abrogato), è chiaramente qualificabile come ipotesi di reato autonoma e non come circostanza aggravante del precedente articolo. A evitare qualsiasi dubbio in tal senso, basti osservare la formulazione del nuovo art. 590quater che non annovera il comma 1 dell’art. 589bis quale ipotesi di circostanza aggravante, a differenza di come avviene per i commi successivi. Appare questa, per quanto precedentemente detto, una scelta meramente simbolica, dettata dal fatto di voler sottolineare il particolare disvalore di questa condotta.[21]

Il comma 1 di tale articolo prevede l’ipotesi base di omicidio stradale, per la quale rimangono ferme la figura astratta e la pena già previste dal previgente art. 589 co. 2 c.p.: “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.” [22]

La norma ictu oculi sembra punire solo la colpa specifica e non quella generica. Questo però non è del tutto vero se si considera che l’osservanza della regola positivizzata esclude una responsabilità per colpa solo ove non residui uno spazio di esigenze preventive diverse da quelle coperte dalla disposizione scritta, potendo dunque configurarsi una colpa generica in relazione al mancato rispetto delle regole cautelari di diligenza, prudenza, perizia.[23]

L’esplicito riferimento alla colpa mette, in linea generale, un punto alla questione giurisprudenziale circa l’inquadramento di questa particolare fattispecie nell’alveo della colpa, così come la maggior parte delle pronunce della Suprema Corte avevano suggerito. Resta ovviamente la possibilità per i Giudici, dopo aver valutato il fatto sulla scorta dei citati parametri della sentenza a sezioni unite Thyssen, di qualificare il fatto oggetto di giudizio come sorretto dal dolo eventuale.

La nuova disciplina prevede due fasce di pena aggravata in relazione al delitto base previsto dal primo comma: la prima da 8-12 anni (commi 2 e 3) e la seconda da 5- 10 anni (commi 4 e 5).

Il comma 2 sanziona con la reclusione da 8 a 12 anni l’omicidio stradale colposo commesso dal conducente di un veicolo a motore che al momento del fatto risulti in stato di ebbrezza alcoolica con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l  e dal conducente in stato di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, a differenza di quanto previsto dal trattamento sanzionatorio previgente che nel caso di specie prevedeva una pena che andava da 3 a 10 anni di reclusione.[24]

Il comma 3 prevede, invece, la stessa pena per colui che appartiene alla c.d. categoria dei conducenti “sensibili” che al momento del fatto risulti con un tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l e inferiore a 1,5 g/l, trattamento differenziato che nella normativa previgente non veniva contemplato.[25] Di questa categoria fanno parte: coloro che esercitano professionalmente l’attività di trasporto di persone; coloro che esercitano professionalmente il trasporto di cose; i conducenti di autoveicoli, anche con rimorchio, di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5t; i conducenti di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone, il cui numero di posti a sedere, escluso il conducente è superiore a otto; i conducenti di autocarri e autoarticolati.[26]

La ratio di questo differente trattamento sanzionatorio è riscontrabile nel fatto che ai conducenti di tali veicoli viene richiesta una determinata professionalità o particolare destrezza, vista la peculiarità della loro attività. In altre parole, l’homo eiusdem condicionis et professionis a cui si fa riferimento come parametro di valutazione della condotta ha delle caratteristiche diverse ed evidentemente superiori rispetto all’agente modello preso in considerazione nel comma precedente.

Al contrario, non si comprende l’assenza di una adeguata graduazione della pena per i c.d. conducenti sensibili, a differenza di quanto avviene per i “semplici” guidatori, dal momento che gli verrebbe applicata la stessa pena prevista agli appartenenti a questa ultima categoria nei quali venisse riscontrato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l cosi come previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Non si comprende, invece, la ratio del trattamento sanzionatorio previsto per i conducenti “professionisti” del comma 3, per i quali – a differenza di quanto avviene, invece, per i “semplici” guidatori – la pena non aumenta qualora venisse loro riscontrato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.

Inoltre, il legislatore appare evidente abbia presunto iuris et de iure, che, l’alterazione psicofisica determinata dall’assunzione di sostanze stupefacenti in genere, sia meritevole della medesima pena prevista per il massimo livello di alcolemia. Questo porta a parificare, contro ogni evidenza empirica, il livello di pericolosità delle due situazioni come avviene negli artt. 186-187 del c.d.s., ma ovviamente con ben altre conseguenze sanzionatorie.[27] Questi profili portano a far apparire tale disposizione in contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza.[28]

Ai commi 4 e 5, invece, si punisce con la pena della reclusione da 5 a 10 anni l’omicidio stradale colposo commesso da conducenti di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica con tasso alcolemico compreso tra 0,8 e 1,5 g/l (comma 4) [29], nonché da autori di specifici comportamenti connotati da imprudenza: superamento di limiti di velocità, attraversamento di incroci con semaforo rosso; circolazione contromano; inversione di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi; sorpassi azzardati (comma 5). [30]

Il comma 4, dunque, completa la graduazione della risposta sanzionatoria in rapporto al livello di alcolemia del soggetto, prevedendo che soggiace alla pena indicata chiunque cagioni per colpa la morte di una persona ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebrezza alcolica, seppure compresa entro i limiti ( tra 0,8 e 1,5 g/l), a differenza di quanto previsto dalla normativa previgente che sanzionava con la stessa pena, compresa fra 2 e 7 anni di reclusione, tutte le situazioni esaminate.

Insomma, il superamento dei tassi alcolici richiamati nei commi dell’art. 589bis c.p. sembrerebbe bastare per comminare le pene previste, evocando una sorta di presunzione di colpa per il mero versari in re illicita. Pertanto, sarebbe opportuno interpretare le disposizioni indicate in senso costituzionalmente orientato, e cioè nel senso che la sussistenza della colpa non si può presumere in virtù della sola violazione della regola cautelare; piuttosto è necessario verificare la concretizzazione del rischio che la violazione di quella specifica regola cautelare voleva prevenire ed evitare, nonché la verifica dell’esclusione del c.d. comportamento alternativo lecito. [31]

Nel comma 5, invece, la colpa incriminata non è riconducibile al guidare in stato di ebbrezza alcolica, bensì si concretizza in alcune violazioni del codice della strada selezionate dal legislatore, crediamo, perché ritenute particolarmente gravi. Si dovrebbe trattare, pertanto, di una selezione tassativa, ma il criterio che ha guidato il legislatore in questa selezione non è di immediata percezione, in quanto sussistono sicuramente altre condotte in violazione delle regole di circolazione stradale parimenti gravi. Altrettanto irragionevole pare, peraltro, la stessa carrellata di violazioni: mentre la circolazione contromano, l’inversione del senso di marcia, il sorpasso e l’eccesso di velocità sono manifestazioni tipiche della colpa cosciente, l’attraversamento dell’incrocio semaforizzato con la luce rossa, invece, può avvenire anche per mera distrazione, e quindi colpa incosciente. [32]

Inoltre, non si comprende il nesso tra lo stato di ebrezza alcolica del comma 4 con le violazioni stradali del comma 5 che, tuttavia, sono accomunati dal medesimo trattamento sanzionatorio. Si potrebbe prospettare, dunque, una disparità di trattamento, con conseguente, violazione del principio di proporzionalità, se solo si considera l’ipotesi del conducente in stato di alterazione alcolica di cui al comma 4, il quale in caso di omicidio stradale si vedrebbe applicare la stessa pena di colui che nel medesimo stato di ebrezza alcolica avesse anche compiuto una delle violazioni elencate nel comma 5 e cagionato l’evento morte. Forse l’individuazione di una pena intermedia sarebbe stato più coerente. [33]

Ai sensi del comma 6, poi, la pena è ulteriormente aumentata se l’autore del reato non ha conseguito la patente (ovvero la patente gli è stata sospesa o revocata) o non ha assicurato il proprio veicolo a motore. La disposizione, a ben vedere, prevede un aggravamento sanzionatorio con riferimento a comportamenti, la guida senza patente e/o senza assicurazione, sicuramente censurabili e irresponsabili, ma estranei alla sicurezza stradale e non può dirsi sempre e comunque automaticamente causa dell’evento lesivo. [34] Ne deriva che la sussistenza di queste circostanze non esime il giudice dall’individuare, nel corso dell’accertamento, la regola cautelare la cui violazione è stata causa dell’evento lesivo. [35]

Il comma 7, invece, prevede che la pena sia diminuita fino alla metà quando l’omicidio stradale, pur cagionato dalle suddette condotte imprudenti, non sia esclusiva conseguenza dell’azione (o omissione) del colpevole.[36] La formulazione della norma autorizza la conclusione che la diminuente è correlata, certamente, al contributo colposo della vittima nell’eziologia dell’incidente, ma non esclude che possa estendersi all’ipotesi della cooperazione colposa o del concorso di cause indipendenti, allorquando cioè, anche a prescindere dalla colpa della vittima, l’incidente sia riconducibile alla condotta di più conducenti. [37]

Il comma 8, infine, prevede un aumento della pena nel caso in cui il conducente provochi la morte di più persone ovvero la morte di una o più persone e le lesioni di una o più persone. Anche qui si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo; il limite massimo di pena viene però stabilito in 18 anni (il limite massimo precedente era di 15 anni). [38]

Per meglio definire l’effettiva portata sanzionatoria della nuova fattispecie di omicidio stradale è necessario però, prendere in considerazione anche la disciplina prevista dal nuovo articolo 590quater riguardo al computo delle circostanze. Esso riporta la stessa disciplina del precedente art. 590bis rendendola applicabile alla luce della nuova normativa. La disposizione stabilisce il divieto di equivalenza o prevalenza delle eventuali circostanze attenuanti (eccetto quelle previste agli articoli 98 e 114 c.p.)  rispetto a quelle aggravanti di cui agli art. 589bis dal secondo al sesto comma (insieme a quelle previste agli artt. 589ter, 590bis dal secondo al sesto comma e 590ter c.p.). Il giudice potrà operare la eventuale diminuzione di pena solo sul quantum determinato ai sensi delle aggravanti elencate. La possibilità da parte del giudice di bilanciare e quindi cucire sulla persona del reo la pena più adeguata appare limitata.

Per completare il quadro sanzionatorio e dare un’idea di quanto dura e stringente sia la nuova normativa nel suo complesso, deve segnalarsi che l’art. 590ter prevede un aumento di pena, da un terzo a due terzi e comunque non inferiore a 5 anni, nei casi di fuga del conducente: vale a dire che la pena prevista al ricorrere della menzionata circostanza aggravante è maggiore di quella prevista per il reato base non circostanziato.

Ma vi è di più. Il rigido trattamento sanzionatorio dell’omicidio stradale potrebbe essere ulteriormente aggravato dalla soluzione interpretativa offerta dalla giurisprudenza alla questione del rapporto fra le aggravanti dell’art. 589bis e le contravvenzioni degli artt. 186 e 187 d.lgs. 285/1992 (codice della strada): ciò che bisogna stabilire è se debbano trovare applicazione sia le contravvenzioni del codice della strada che il delitto del codice penale ovvero se si venga a configurare un concorso apparente di norme e, pertanto, sarà solo una la norma applicabile. In tali ipotesi, nonostante il contrario avviso della dottrina[39], la giurisprudenza maggioritaria della Suprema Corte ha escluso il concorso apparente di norme e, quindi, l’applicazione del principio di specialità in ragione della disomogeneità degli ambiti che i due diversi tipi di reato si propongono di tutelare: le contravvenzioni del codice della strada regolano la circolazione stradale; mentre i delitti del codice penale tutelano la vita e l’incolumità dei singoli. Pertanto, secondo la giurisprudenza, la guida in stato di ebrezza o di alterazione costituisce (e, invero, costituiva anche prima dell’ultima riforma) reato contravvenzionale autonomo e circostanza aggravante ad effetto speciale dei reati ex art. 589bis e 590 bis c.p., non assorbite dalle nuove disposizioni. Ne deriva che per l’omicidio e le lesioni gravi o gravissime cagionate da un soggetto che guidava in stato di ebrezza o di alterazione da stupefacenti, la medesima condotta verrà contestata sia come circostanza aggravante dei delitti del codice penale, sia come autonome contravvenzioni ai sensi del codice della strada. [40]

Conclusioni

Le modalità con cui l’ordinamento italiano ha voluto rispondere alle istanze di difesa sociale con riferimento al problema delle morti sulla strada sono, ancora una volta con la novella del 2016, ingenti aumenti di pena e presunzioni legislative generalizzate, le quali, come detto, presentano non poche perplessità rispetto a profili di proporzionalità e ragionevolezza fondamentali in materia penale.

Il fenomeno di mediatizzazione descritto ha fatto sì che un problema oggettivamente esistente, la mancanza di effettività sanzionatoria con riferimento alle tragiche morti sulla strada, sia stato affrontato non in considerazione delle difficoltà pratiche emerse nelle aule giudiziarie, bensì in maniera demagogica per soddisfare la domanda di giustizia sostanziale proveniente dai salotti televisivi e, più in generale, dall’opinione pubblica.

La legge 41/2016 pare contenere prevalentemente una finalità repressiva nei confronti di chi abbia violato talune disposizioni in materia di circolazione stradale da cui sia derivata la morte di una persona, senza una corrispondente strategia preventiva rispetto al fenomeno che si intende debellare. L’obiettivo della novella, in definitiva, pare essere quello di trasmettere un messaggio politico-mediatico di rassicurazione diretto a tranquillizzare i destinatari, piuttosto che ricercare ed offrire un nuovo sistema sanzionatorio equo e (soprattutto) equilibrato idoneo a garantire una tutela effettiva dei beni giuridici implicati.[41]

Si assiste, invero, ad una rinnovata spinta verso una pena retributiva a carattere general-preventivo: punto centrale dell’intervento normativo sembra essere la pericolosità sociale del comportamento dell’autore del reato anziché l’offensività e il disvalore della lesione in sé considerato.

In questa prospettiva, la pena avrebbe una finalità che la dottrina tedesca definirebbe neoretribuzionalistica, vale a dire volta a canalizzare e soddisfare i bisogni emotivi di punizione diffusi nella collettività, al fine di contrastare quelle spinte emulative generate dal reato commesso e rinsaldare l’attitudine all’autocontrollo dei consociati: la pena svolgerebbe così il ruolo di fattore di stabilizzazione sociale.[42]

Un utilizzo sì fatto della sanzione penale rischia di collidere con il nostro orientamento costituzionale, il quale consacra come finalità della pena quella della rieducazione del condannato (art. 27, comma 3 Cost.): finalità che è centrale dalla fase applicativa a quella esecutiva della pena, attraverso la concreta applicazione da parte del giudice della sanzione più adatta al condannato. Tuttavia, non può non rilevarsi come la rieducazione sia difficile o impossibile da realizzare se il legislatore, prima, nella fase di posizione della sanzione non ne determini i contenuti in modo tale da consentirle di svolgere nelle fasi successive la funzione rieducativa che le è propria.

Alla luce di quanto detto, invece, il nostro legislatore ha sacrificato il rispetto del valore della rieducazione sull’altare della demagogia, attraverso inasprimenti sanzionatori “a tappeto” sproporzionati e irrazionali.

BIBLIOGRAFIA

  1. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007.

 

  1. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma.

 

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  1. CATALISANO, Colpevolezza ed opinione pubblica, in Altalex, 2011.

 

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Disegno di Legge 20 giugno 2013, n. 859.

 

Cass. Pen.,Sez. IV, 18 febbraio 2010, n.11222 ( caso Lucidi).

 

Cass. pen., sez. unite, 24 aprile 2014, n. 38343 (sentenza ThyssenKrupp).

 

 

[1] Disegno di Legge 20 giugno 2013, n. 859

[2] D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 16

[3] Riprende la pronuncia del Tribunale di Roma in primo grado, la Cassazione penale, sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 11222: “All’imputato si era contestato il predetto titolo di reato, perché in Roma, il 23 maggio 2008, “in assenza di autorizzazione a condurre veicoli, alla guida dell’autovettura marca Mercedes …, procedendo a velocità particolarmente elevata durante l’attraversamento dell’incrocio sito in Via Nomentana, all’altezza dell’intersezione con Viale Regina Margherita, nonostante il semaforo segnalasse luce rossa e si trovasse in un centro abitato, accettava il prevedibile rischio di collisione con altri veicoli provenienti da altra direzione che avrebbero potuto interessare, contestualmente allo stesso, la predetta intersezione, in ragione della luce verde che appariva alla vista di questi ultimi, rappresentandosi altresì che a seguito di incidente la violenza dell’urto originato dalla sua condotta potesse cagionare gravissime lesioni o comunque la morte di altri utenti della strada, decideva comunque di attraversare l’incrocio di cui sopra venendo in collisione con il motociclo … condotto da Giuliani Alessio con a bordo il passeggero Giordani Flaminia, che interessava il medesimo incrocio con semaforo verde, procurando così agli stessi lesioni gravissime, dalle quali deriva(va) la morte della Giordani e del Giuliani” ”.

[4] Cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 11222/2010 cit.: “I giudici dell’appello, richiamati anch’essi i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia, rilevavano, fra l’altro, che l’inciso contenuto nell’art. 43 c.p. – “… quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente” – mostra che “è necessario un qualche cosa in più perché, a partire dalla previsione dell’evento, sia attinta la soglia del dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale …”; e che “occorre distinguere la volontà dell’evento dannoso … dalla volontà di non osservare le leggi, regolamenti, ordini o discipline che quell’evento sono intesi ad evitare …”. Osservavano che “il giudice dell’udienza preliminare … ha fatto leva sulla gravità delle violazioni come parametro, pressoché esclusivo, alla stregua del quale ha, poi, desunto che l’imputato ha inteso agire ‘a rischio’ di cagionare l’evento, e, perciò, in tal senso, ‘volendo’ la morte di una persona …”. Posto che “il primo giudice considera il comportamento dell’agente incompatibile con una ragionevole previsione di scongiurare l’evento verificatosi …”, rilevavano che “una previsione irragionevole connota una colpa generica che può unirsi a quella specifica ma non fa trasmigrare la fattispecie dall’area della colpa a quella del dolo …”.

[5] Cass. Pen.,Sez. IV, 18 febbraio 2010, n.11222, in www.iusexplorer.it: ““il reato colposo non cessa di essere tale quando l’agente abbia preveduto l’evento …”, id est solo perché ha preveduto l’evento; “è necessario un qualche cosa in più perché, a partire dalla previsione dell’evento, sia attinta la soglia del dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale …”, giacché “il dolo eventuale, in quanto pur sempre, ed innanzitutto, dolo, non cessa di richiedere la volontà dell’evento”, che nel dolo eventuale significa, appunto, prevedere ed accettare che questo possa verificarsi. Anche l’elevato grado di colpa “non si traduce di per sé nella prova che l’agente abbia voluto uccidere”: diversamente il dolo, pur nella sua forma eventuale, sarebbe ravvisabile in re ipsa “per il solo fatto di una condotta rimproverabile”, o altamente rimproverabile, laddove, in effetti, la gravità della colpa è elemento (valutabile ex art. 133 c.p.) che dispiega i suoi effetti, quanto all’elemento psicologico del reato, ancora sul versante e nell’ambito di una condotta colposa, non ancora, solo per questo, dolosa; il grado della colpa non vale ad “individuare una soglia oltre la quale la colpa trasmodi in dolo”. Hanno altrettanto correttamente ritenuto che “occorre distinguere la volontà dell’evento dannoso da cui dipende l’esistenza del reato … dalla volontà di non osservare leggi, regolamenti, ordini o discipline che quell’evento sono intesi ad evitare … Il dolo eventuale … ricorre quando si dimostri che nell’agente sia maturata non una astratta previsione dell’evento potenzialmente derivante dalle violazioni, ma si dimostri che l’agente abbia, in concreto, previsto quello specifico evento poi verificatosi”, e – giova aggiungere – lo abbia accettato nella sua possibile verificazione: “una tale dimostrazione … non può risolversi nella mera constatazione della condotta integrante la violazione, per quanto grave, dei precetti cautelari …; la constatazione di un grado quanto si voglia elevato di colpa non può porsi come di per sé dirimente al fine di discernere se l’agente abbia agito in colpa ovvero abbia agito dolosamente” (ovviamente sub specie di dolo eventuale). Rilevato, poi che, per ritenere la sussistenza del dolo eventuale, “è necessario provare che l’agente abbia ‘in concreto’ previsto quel determinato evento poi verificatosi ”.

[6] Cfr. Cass. pen., sez. unite, 24 aprile 2014, n. 38343.

[7] La L. 23 marzo 2016, n. 41 introduce anche la fattispecie di lesioni stradali all’art. 590bis c.p.

[8]  i Libri bianchi sono documenti che appartengono alla categoria dei c.d. documenti “atipici” della Commissione. I libri bianchi contengono una raccolta ufficiale di proposte per l’UE in settori politici specifici.

[9] [9] G. LOSAPPIO, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali, in penalecontemporaneo.it, p 4.

[10]A titolo esemplificativo il libro bianco proponeva: istituzione di corsi di guida difensiva, ad esempio come mantenere il controllo dell’auto sotto la pioggia in caso di frenata urgente, come posizionarsi correttamente al volante ecc.; per ciò che riguarda l’introduzione di nuove tecnologie la Commissione fra i diversi suggerimenti, augurava l’introduzione di limitatori di velocità almeno sui mezzi pesanti , l’introduzione della patente di guida elettronica, allarme per le cinture di sicurezza e airbag di serie nelle autovetture, sistemi di controllo della velocità ecc.

dal Libro bianco “La politica europea dei trasporti fino al 2010”, parte terza, pag. 67 ss.

[11] L. 24 luglio 2008, n. 125

[12] La legge 24 luglio 2008, n. 125 aveva anche inserito la possibilità di procedere all’arresto facoltativo in flagranza dell’autore del reato e raddoppiato il termine ordinario di prescrizione. Aveva inoltre modificato la disciplina di alcune sanzioni extra penali come la revoca della patente, prevedendola sempre per il reo in stato di ubriachezza e la confisca del veicolo nel caso in cui reo si trovasse in stato di ubriachezza anche se fosse stata applicata la sospensione condizionale della pena. D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 7-9.

[13]nel 2008 i morti sulla strada ammontavano a 4725. Nel 2013 il numero scende a 3.385, ben 1340 decessi in meno.   Rapporto ACI ISTAT incidenti stradali anno 2013

[14] G. CATALISANO, Colpevolezza ed opinione pubblica, in Altalex, 2011.

[15] cfr. d.d.l. n. 859, art. 1, vd. retro § 1.

[16] S. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007, pp. 388 ss.

[17] A sostegno di tale impostazione il Prof. Avv. Carlo Federico Grosso, in una audizione in Commissione Giustizia al Senato, aveva ritenuto che la previsione del delitto autonomi di omicidio stradale formulata in chiave volontaristica fosse senz’altro opportuna poiché la violazione della norma sulla circolazione stradale risultava implicita nel porsi alla guida nelle condizioni indicate e questo rendeva presumibile l’accettazione del rischio di provocare la morte di qualcuno.    Raccolta contributi disposta dalla 2° Commissione giustizia del Senato sui disegni di legge 859-1357-1378-1484-1553 del 24 luglio 2014

[18]  S. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007, pag. 610

[19] Raccolta contributi disposta dalla 2° Commissione giustizia del Senato sui disegni di legge 859-1357-1378-1484-1553 del 24 luglio 2014

[20] A questa prima proposta di legge ne seguirono altre nel senso di inquadrare l’omicidio stradale come delitto preterintenzionale. Queste proposte, preso atto della difficile configurabilità del dolo eventuale, proposero una variazione sul tema suggerendo di ricorrere al paradigma dell’art. 586 c.p., ma dai lavori Parlamentari risultò che anche questa opzione non era perpetrabile.

[21]D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 32-33.

[22] Legge 23 marzo 2016, n. 41, art. 1.

[23] S. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007, pag. 429

[24]Art. 589bis co. 2 c.p.: “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente: degli artt. 186, co. 2, lettera c); e 187 CdS, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.”

[25] art. 589bis co. 3 c.p.: “La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all’art. 186bis, co. 1, lett. b), c) e d), del CdS (trasportatori “importanti”, esclusi quindi i “neo patentati”), il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, co. 2,lett. b), del CdS, cagioni per colpa la morte di una persona.”

[26]D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 37.

[27] G. LOSAPPIO, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali, in penalecontemporaneo.it, p 22

[28] D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p 36.

[29] art. 589bis co. 4 c.p.: “Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera b), del CdS, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.”

[30] art. 589bis co. 5 c.p.:” La pena di cui al comma precedente si applica altresì:1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.”

[31] S. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007 pag. 430

[32] G. LOSAPPIO, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali, in penalecontemporaneo.it, p. 21

[33] D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 38.

[34] art. 589bis co. 6 c.p.: “Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.”

[35] G. LOSAPPIO, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali, in penalecontemporaneo.it, p. 27.

[36] art. 589bis co. 7 c.p : “Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o   dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà“.

[37] D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p. 45.

[38] art. 589bis, co. 8 c.p.: “Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto. “

[39] Cfr. sul punto D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, pp. 41 ss

[40] Cfr. ex multis Cass. pen.,sez. IV, 3 ottobre 2012, n. 46441; Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 2009, n. 3559.

[41]  D. GENTILE DONATI, Omicidio stradale (l. 23 marzo 2016, n. 41), in Il Penalista, speciale riforma, p.34.

[42] S. CANESTRARI/ L. CORNACCHIA/ G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Il mulino, Bologna, 2007 pag.54-55.

Matteo Greco

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