Nel film Il giorno della civetta, il regista Damiano Damiani dava, attraverso le parole di “Parrineddu”, che si rivolgeva al capitano dei carabinieri Bellodi con tono enfatico e al tempo stesso accattivante, una sua caratterizzazione cinematografica della figura del confidente di polizia giudiziaria, accentuandone quelle peculiarità di segretezza e doppiezza indotte necessariamente dal contesto mafioso in cui era ambientata la trama.
Parrineddu, incalzato dal capitano affermava che : …“il confidente deve vivere anche nell’interesse della giustizia. Il confidente suggerisce non rivela; la notizia buona la confonde tra mille bugie perché il confidente non si fida neanche dei carabinieri…. non mi potete chiamare in Tribunale come testimonio…. così il tradimento finisce di essere una necessità e diventa un’infamia. Io, capitano, tradisco per vocazione, tradisco stanotte la mafia, domani i carabinieri, la bilancia, un pò per uno.”.
Ovviamente in ambito giuridico le cose cambiano enormemente, sia per l’astrattezza connaturata alla norma che ne rivela la figura giuridica, sia per la sua generalità, ma soprattutto per l’interpretazione giurisprudenziale che nell’ultimo decennio ne è stata data dalla Suprema Corte.
In tutto l’ordinamento italiano esiste un solo articolo che menziona la figura dell’informatore di polizia, malvisto da tutti, dai malavitosi che lo considerano un essere di infima qualità personali a causa della connaturata fisionomia sociale e antagonista dei propri interessi, dalle stesse forze di polizia e dalla magistratura per l’inaffidabilità insita nel soggetto e soprattutto per la mancanza di eticità oggettiva di cui è permeata la sua immagine tradizionale.
Sotto il profilo della morale lasciamo ogni considerazione ad altre istituzioni che in ogni caso non si pronuncerebbero per vincolo professionale.
Una cosa però è chiara e cioè che tutti se ne servono, anche la malavita per un’attività di contro-informazione all’occasione. Insomma l’informatore è come il maiale, considerato come l’animale più repellente sotto il profilo igienico, ma di cui alla fine non si butta nemmeno la coda!
Per ritornare nel vivo dell’argomento, all’art. 203 del codice di procedura penale non si rinviene una autorevole e originaria definizione giuridica dell’informatore di polizia, bensì soltanto una formula con cui lo Stato deve riconoscere a questo almeno un sicuro anonimato atto a garantire la sua sicurezza, ma soprattutto la sopravvivenza fisica stessa del soggetto, difatti, là ove non vi fosse una sorte di tutela a garantire l’anonimato in tutte le sedi e nel caso specifico in ambiti pubblici come il dibattimento penale, oggi forse questa figura “ausiliaria” delle FF. OO. sarebbe già sparita, anche, come direbbe Parrineddu, contrariamente agli interessi stessi della giustizia.
Alcuni tentativi sono stati esperiti nel passato, pericolosamente, proprio all’interno di organizzazioni delle FF. OO., volti, con il benefico della buona fede, involontariamente a smantellare il rapporto “fiduciario” tra confidente e investigatore, attraverso disposizioni macchinose e burocratiche proprie e interne, paventate come tutele per l’incolumità stessa dell’investigatore e della continuità del rapporto confidenziale, che avrebbero invece alla fine permesso di conoscere le fonti confidenziali degli investigatori, ma finiti poi nel nulla a seguito di avvicendamenti ai vertici locali.
Come detto l’art. 203 del cpp non definisce giuridicamente la figura dell’informatore ma ne tutela l’incolumità affidandola alla segretezza posta legittimamente così dall’agente o ufficiale di polizia giudiziaria e dal personale dei servizi, nell’ambito del dibattimento come momento più alto del procedimento giudiziario in cui nulla deve essere taciuto per raggiungere la verità e quindi amministrare la giustizia.
E’ solo la giurisprudenza però che permette di dare tratti definitivi ed essenziali alla figura dell’informatore di polizia, attraverso interpretazioni univoche e implementative nel tempo di elementi ancora maggiormente caratterizzanti.
Soprattutto l’attività della Suprema Corte ha permesso così di ottenere un quadro generale e quasi esaustivo della figura dell’informatore di polizia qualificandolo sotto il profilo soggettivo come colui che, per denaro, interessi propri o altrui, invidia, vendetta ecc. fornisce informazioni utili alle FF. OO. a condizione che la propria identità rimanga anonima.
Sotto il profilo oggettivo e procedurale occorre qui dire che l’informazione, considerate le finalità e la destinazione, deve essere qualificata giuridicamente, cioè necessaria e di natura penale.
L’informatore non sarebbe tale se fornisse informazioni la cui natura fosse di carattere civilistico o altro, perché queste non sarebbero d’interesse delle FF. OO. ad eccezione di alcune di natura tributaria alla cui base naturalmente deve prospettarsi un procedimento di tipo penale.
Che informatore di polizia sarebbe e che titolo avrebbe alla tutela dell’anonimato un informatore che confida al maresciallo del paese che Tizio ha avuto un sinistro stradale con Caio o che Sempronio ha avuto notificato un accertamento da Equitalia?
Dunque oggettivamente la fonte qualificata, per esser tale, deve propalare informazioni che attivano indagini di polizia giudiziaria, ovvero che attengano ad indagini già avviate o siano informazioni che agevolano queste e le indirizzano verso obiettivi sconosciuti fino ad allora alla P.G. ed al P.M. e che l’informatore conosce per svariati motivi, tra cui, nella maggioranza dei casi, quello di appartenere allo stesso ambiente in cui è maturato il reato, oppure appartenere allo stesso sodalizio che lo ha commesso, senza averne però partecipato alla progettazione ed esecuzione.
Dell’informatore esistono diverse tipologie, da quelli occasionali, ma che costantemente nel tempo e con sistematicità1 forniscono notizie qualificate, caratteristica questa più volta ribadita anche dalla Suprema Corte2 ed i confidenti veri e propri cioè coloro che rendono indicazioni alla polizia giudiziaria in modo costante e periodico come facessero del loro agire una professione, ed infine quelli, come direbbe Parrineddu, che lo fanno per “vocazione”.
La Suprema Corte ha anche evidenziato che per dare una congrua definizione di informatore di polizia (giudiziaria) si deve necessariamente studiare l’istituto sotto il profilo della logicità e del contesto storico in cui l’informatore di polizia si muove ed opera, dichiarando che per informatore di polizia, inteso ai sensi dell’art. 203 cpp, si deve individuare colui che fornisce agli organi di polizia, occasionalmente, ma con sistematicità, notizie riservate e che può essere, ancora, individuato in colui che spesso vive come infiltrato all’interno di ambienti malavitosi, escludendosi ovviamente che esso possa essere identificato in un appartenente alle FF. OO. .
Oltre ad escludere che un’informatore possa identificarsi in un appartenente alle FF OO infiltrato all’interno di organizzazione malavitose per impegno di servizio, è da escludere anche che questo possa essere identificato anche in un tipico collaboratore di giustizia, identificato e tutelato a sua volta attraverso altri istituti giuridici e leggi speciali.
L’informatore, nella normalità dei casi, agisce in previsione di ricompense materiali non solo in denaro, ma anche sotto forma di vantaggi; nella maggior parte dei casi rappresentata da una speranza malcelata di trattamento di favore in caso di indagini a suo carico, ovverosia di una contropartita non apertamente stabilita e dichiarata da entrambi le parti.
Va precisato altresì che l’informatore di polizia giudiziaria non è sicuramente da paragonare e da mettere processualmente sullo stesso piano della persona informata sui fatti e prevista ai sensi degli art. 351, 362 e 377 del cpp.
La differenza tra quest’ultima figura processuale e quello dell’informatore consta del fatto che l’informatore di polizia giudiziaria è una persona informata sui fatti che, però, da un punto di vista processuale, viene sottratto agli obblighi personali quando e se l’operatore di polizia giudiziaria decide di utilizzarne la collaborazione e renderlo anonimo processualmente, determinando un’inoperatività giuridica rispetto a qualsiasi verbalizzazione su quanto gli è riferito e gli verrà comunicato in futuro, mentre la persona informata sui fatti è giuridicamente obbligata a rilasciare le proprie dichiarazioni con le modalità previste dall’art. 357, comma 2, lett. c), c.p.p..
Allo stesso modo, le informazioni riferite dall’informatore, come detto prima, devono essere di natura penale e devono riguardare terze persone e non se stessi, altrimenti si avrebbe un reo confesso tutelato ingiustamente dalla legge attraverso l’anonimato e la notizia stessa non deve essere essa stessa la notizia di reato, cioè l’informazione non deve essere strumento per una diffamazione o calunnia nei confronti di terzi.
Proprio la Suprema Corte è intervenuta affermando che la tutela dell’art. 203 cpp deve essere accordata soltanto quando la condotta penalmente rilevante è attribuibile a soggetti terzi3 e non all’informatore stesso, altrimenti sarebbe l’ammissione che l’ordinamento facoltizza l’informatore a commettere il reato di calunnia impunemente e aggiungerei di diffamazione quando l’informazione stessa non fosse qualificata giudiziariamente.
1 Corte di Cassazione sesta sez. penale, sentenza n. 36720 del 12 giugno 2001: “Gli informatori della polizia o dei servizi segreti sono i confidenti della polizia o dei servizi, che – di regola dietro compensi in denaro o in vista di altri vantaggi – forniscono loro occasionalmente, ma con sistematicità, notizie riservate. Non rientra in questa figura, né può essere ad essa assimilata, la persona informata dei fatti che rifiuti di formalizzare le sue dichiarazioni e di sottoscrivere un verbale, e cui pertanto non sono applicabili le disposizioni contenute nel predetto art. 203c.p.p..”
2 Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46023 del 07/11/2007 Cc. – dep. 10/12/2007 – Rv. 239265 : “gli informatori della polizia giudiziaria”, da individuarsi nei “confidenti” che, agendo di regola dietro compenso in denaro od in vista di altri vantaggi, forniscono alla polizia giudiziaria, occasionalmente ma con sistematicita’, notizie da loro apprese.”.
3 Corte di Cassazione, Sezione 6 penale Sentenza 7 ottobre 2004, n. 39232 “Si precisa che la facoltà di tacere la fonte delle notizie confidenziali va riconosciuta solo quando l’informazione concerna la condotta penalmente rilevante di terzi soggetti, ma non quando -come nel caso in esame- oggetto della notitia criminis è proprio la rivelazione stessa, idonea a configurare ipotesi di reato a carico dell’informatore. Ritenere, diversamente, significherebbe ammettere che l’ordinamento facoltizza il confidente a commettere il reato di calunnia.”.
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