La flessibilità del lavoro nelle aziende sanitarie

Marra Felice 02/10/08
1. I presupposti della flessibilità.
 
Il tema della flessibilità del rapporto di lavoro è stato oggetto di numerosi interventi legislativi e contrattuali che nel tempo ne hanno ampliato o diminuito la relativa portata ed accessibilità. L’espansione dei contratti flessibili di qualche anno fa è stata una drammatica conseguenza, di un percorso di costrizione formale, dettato per superare i vari blocchi sulle assunzioni a tempo indeterminato sancite dal susseguirsi delle leggi finanziarie. Quindi più che una opportunità di utilizzare i contratti di lavoro flessibili come un agile strumento per far fronte a concrete ragioni di carattere produttivo, organizzativo e sostitutivo dell’Azienda Sanitaria, si è trattato, il più delle volte, di una mera necessità per far fronte ad esigenze, pure indispensabili, di carattere ordinario. Pertanto la flessibilità è stata spesso correlata a fattori contingenti, non oggetto di una attenta programmazione da parte delle amministrazioni, dove risultano spesso determinanti le scelte dei singoli (trasferimenti, pensionamenti, assenze in generale) accompagnata da una scarsa propensione ad adottare modelli di orario flessibile. A tale fenomeno, distorto nelle ragioni come cennato, si era accompagnata una successiva stretta dei contratti di lavoro flessibili, per il vero con le opportune eccezioni per le aziende sanitarie, in quanto la tendenza in atto aveva provocato i ben noti problemi di stabilizzazione del personale precario e di cui le successive leggi finanziarie ne avevano delineato i relativi percorsi di stabilizzazione.
 
L’intervento del legislatore, che regolarmente interviene su queste materie come un fiume carsico, dimostra palesemente una forte criticità proprio negli aspetti più prettamente gestionali di una pubblica amministrazione e nel caso specifico di una azienda sanitaria, che è stata poco attenta negli anni a realizzare i presupposti fondamentali affinché i contratti di lavoro flessibili producano realmente i loro effetti di utilità. L’analisi reale e concreta della potenzialità della dotazione organica è rimasta sulla carta e le Aziende Sanitarie non hanno ancora oggi realizzato le condizioni ideali al fine di misurare le potenzialità del personale disponibile e se il trend di produttività in atto nelle aziende è adeguato. In ciò si accompagna una forte rigidità nel lavoro flessibile di carattere funzionale. Ancora oggi spostare delle risorse umane, pur nel raggio dei dieci chilometri, e a volte anche da un reparto all’altro comporta delle forti difficoltà. La flessibilità funzionale è spesso letta come un fastidio più che una opportunità di sviluppo professionale sul campo. Eppure l’articolo 35 del CCNL 1998/2001- del personale del comparto- in tema di progressioni orizzontali tra i vari criteri di sviluppo professionale prevedeva proprio la disponibilità alla flessibilità, in tale ambito possono anche ricondursi ulteriori criteri di valutazione per gli incarichi dirigenziali, posizioni organizzative, funzioni di coordinamento e in generale per gli stessi incentivi alla produttività collettiva o di risultato che facciano della flessibilità funzionale lo strumento fondamentale per far fronte alla varie criticità produttive.   
 
Ciò deve portare ad alcune considerazioni di base, che risultano essenziali per utilizzare in modo veramente efficace gli strumenti di flessibilità previsti. Nel concetto di flessibilità vanno, quindi, compresi molteplici interventi che riguardano:
a)      Le politiche del personale di una Azienda Sanitaria;
b)      Le modalità della prestazione di lavoro diverse da quelle tradizionali a tempo pieno e indeterminato;
c)      L’introduzione di nuovi modelli organizzativi di flessibilità funzionale (la cosiddetta mobilità interna, la flessibilità dell’orario, lo spostamento del personale come opportunità formativa e di sviluppo professionale).
Quindi una flessibilità a 360 gradi, con misure funzionali e programmatiche che possano rendere la stessa come volano di sviluppo e opportunità di una azienda sanitaria. Quindi l’attenzione alla flessibilità deve essere posta non solo come singolo intervento diretto a superare un fattore contingente, ma soprattutto come adozione di modelli organizzativi e gestionali più coerenti a bisogni che sono in continuo mutamento e richiedono delle risposte appropriate. In ciò entra a pieno titolo la funzione di pianificazione delle risorse umane, che al di là delle variabili meramente quantitative e formali, deve concentrarsi maggiormente su aspetti sostanziali e manageriali in modo da:
a)      Realizzare la migliore integrazione e coerenza possibile tra obiettivi da raggiungere e risorse professionali disponibili;
b)      Analizzare preventivamente le attuali risorse presenti in Azienda, rispetto a quelle che servirebbero, considerando le variabili anagrafiche, del mercato del lavoro, professionalità ed esperienza;
c)      Analizzare l’attuale potenzialità delle relativa dotazione organica e cioè se tutto il personale a disposizione è a livelli di un adeguato apporto produttivo professionale o se invece esistono delle sacche di improduttività o, ancora peggio, di un non adeguato utilizzo delle potenzialità del personale per motivi organizzativi, funzionali e relazionali imputabili alla stessa condotta aziendale.  
E allora prima di programmare un ulteriore incremento delle risorse umane, occorrerebbe analizzare le cause di scostamento del livello di professionalità atteso e trovare il modo di trovare le soluzioni opportune per il recupero di quelle professionalità.
  
Il quadro di partenza delineato, assume a fondamento per poi attivare i contratti di lavoro flessibili, secondo criteri di efficienza ed economicità e nel rispetto delle norme di legge. Di seguito vediamo le tipologie contrattuali previste, con una visione di sintesi, al fine di tracciare un quadro giuridico generale, rimandando alle specifiche norme di legge e contrattuali per ogni ulteriore approfondimento.    
 
2. I contratti di lavoro flessibili.
 
a)      Il contratto di somministrazione a tempo determinato
 
Consiste in una fornitura professionale di manodopera, dove i lavoratori svolgono per tutta la durata della somministrazione la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Il contratto di somministrazione – disciplinato dal decreto legislativo n. 276/2003 – intercorre tra l’utilizzatore e una agenzia di somministrazione di lavoro in possesso dei requisiti giuridici e finanziari previsti dalla normativa indicata. L’agenzia di somministrazione deve essere iscritta all’albo costituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Si tratta dunque di un contratto commerciale di prestazione di servizi il cui oggetto è costituito dalla fornitura di prestazioni lavorative. In forza di tale contratto l’agenzia di somministrazione si obbliga a mettere a disposizione dell’utilizzatore uno o piu’ lavoratori suoi dipendenti che vengono inseriti nella struttura organizzativa dell’amministrazione utilizzatrice. La prestazione lavorativa così effettuata ha i contenuti tipici del lavoro subordinato, con il conseguente esercizio del potere direttivo dell’utilizzatore nei confronti del lavoratore somministrato anche se questi rimane dipendente dell’agenzia di somministrazione.  
Il regime di aggiudicazione deve prevedere, in primis, un atto amministrativo preordinato che motivi i casi e le ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive che richiedano il contratto di somministrazione. Le norme giuridiche di riferimento – decreto legislativo 12 aprile 2006 n.163 – codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17CE e 2004/18/CE – prevedono al Titolo III tra i contratti esclusi (comma 1, lettera e ) anche i contratti di lavoro. Pertanto l’aggiudicazione di un contratto di somministrazione di lavoro, non richiede una procedura aperta o ristretta ( asta pubblica, licitazione privata) bensì una trattativa negoziale più snella e rapida ( trattativa privata) con almeno cinque agenzie di somministrazione. In tale ambito è utile rimarcare la differenziazione tra appalto di servizi – articolo 1655 codice civile – dove una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro, quindi con un potere di direzione ed organizzazione che l’appaltatore esercita nei confronti del personale utilizzato, rispetto alla particolarità della somministrazione di lavoro, dove invece l’attività è sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Quindi una volta perfezionato il rapporto trilaterale tra somministratore, utilizzatore e lavoratore, l’utilizzatore diventa titolare in proprio e per tutta la durata della somministrazione dei poteri organizzativi e di controllo del prestatore di lavoro, correlativamente, il lavoratore somministrato deve attenersi a tutte le disposizioni che gli vengono impartite dall’impresa utilizzatrice per l’esecuzione della prestazione lavorativa ed è altresì tenuto all’osservanza di tutte le norme di legge e di contratto collettivo applicate ai lavoratori dipendenti dell’azienda utilizzatrice.  
 
b)      Gli incarichi di collaborazione.            
 
In presenza di specifici presupposti è possibile affidare lo svolgimento di determinate attività, solitamente a contenuto intellettuale, a soggetti esterni alla Azienda Sanitaria, mediante la stipulazione di contratti di lavoro autonomi. La normativa generale di riferimento – articolo 7, comma 6 del decreto legislativo n. 165/2001 – come recentemente modificato dal decreto legge n. 112/2008 ( convertito in legge 6 Agosto 2008, n. 133) – prevede che per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria. I presupposti essenziali per attivare i contratti di collaborazione sono i seguenti:
–         l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati;
–         l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
–         la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
–         devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Pertanto occorre effettuare una analisi preventiva sui costi e benefici in base ai risultati da raggiungere, con riferimento alla dotazione organica esistenze, mettendo in evidenza che l’amministrazione non è in grado di svolgere le prestazioni oggetto della futura collaborazione esterna, con le proprie figure professionali per carenza oggettiva o relativa ( e cioè se le professionalità adeguate esistano ma siano tutte impegnate in altre attività), ovvero per livelli di conoscenza e di esperienza eccedenti le normali competenze dei dipendenti.      
 
Gli incarichi di collaborazione esterna si distinguono in base alle seguenti tipologie;
–         incarichi di Studio, Ricerca e Consulenza;
–         Collaborazioni libero-professionali;
–         Collaborazioni Coordinate e Continuative;
 
Riguardo gli studi, le ricerche e le consulenze, prendiamo a riferimento quanto riportato nella deliberazione delle sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti, 15 Febbraio 2005, n.6/CONTR/05, che ne ha tracciato le caratteristiche.
 
Incarichi di studio/ricerca: svolgimento di una ricerca, studio, analisi nell’interesse dell’amministrazione. Requisito essenziale per il corretto svolgimento di questo tipo di incarichi è la consegna di una relazione scritta finale, nella quale saranno illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte.
 
Consulenze: riguardano la richiesta di pareri ad esperti. La consulenza si risolve nell’esame di una questione che il consulente può certamente svolgere in totale autonomia, senza alcun contatto o coordinamento con il committente, ed ha un prodotto unico e determinato: il parere, che esaurisce la prestazione, ricondotta, dunque, all’espletamento di una sola attività (per quanto complessa e di elevata professionalità).
 
Riguardo le collaborazioni libero-professionali, prendiamo a riferimento l’articolo 2222 del codice civile – del lavoro autonomo – il quale identifica tale fattispecie “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. In tale ambito è utile precisare la distinzione tra il contratto d’opera professionale, quando il soggetto svolge l’incarico per professione abituale e risulti iscritto agli albi professionali o comunque risulti essere un professionista senza cassa (non obbligato all’iscrizione a casse o enti previdenziali – status di professionista), rispetto al contratto d’opera occasionale dove il soggetto non esercita una attività professionale ma è chiamato a svolgere una prestazione d’opera intellettuale come attività di lavoro autonomo che rientra nella disciplina dell’articolo 2229 e seguenti del codice civile.
 
Tra le ragioni di opportunità e di scelta di attivazione di incarichi di collaborazione esterna ( soprattutto consulenze e incarichi libero-professionali) emerge quella riferita al fatto che l’affidamento dell’incarico consentirebbe con celerità, di acquisire professionalità elevate di cui l’Azienda è carente. Professionalità che non necessitano di formazione e che possano contribuire anche ad elevare le conoscenze del personale interno. In tale ambito risultano problematiche le attività ripetitive e operative.      
 
L’ulteriore fattispecie delle Collaborazioni Coordinate e Continuative ha trovato origine con un richiamo all’articolo 409 c.p.c. che ha sancito l’estensione della disciplina processuale del lavoro ai rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato. I tre requisiti essenziali che identificano tale tipologia di lavoro flessibile sono quindi:
–         La continuità: che ricorre quando la prestazione d’opera non sia meramente occasionale od istantanea ma sia invece destinata a protrarsi in un arco di tempo congruo per una reiterazione delle prestazioni;
–         La coordinazione: che implica il collegamento strutturale e funzionale della prestazione con l’attività svolta dal committente (strumento del processo produttivo);
–         La personalità del facere: e cioè la prevalenza dell’attività del prestatore sugli altri fattori della produzione.
Ricordiamo a tale proposito che la consolidata giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che i tre requisiti della continuità, della coordinazione e della personalità della prestazione del facere devono ricorrere congiuntamente.(Cass. N. 12368/1997; Cass. n. 413/1999; Cass. n. 762/1996).
Evidenziamo che nella subordinazione, il prestatore di lavoro è sottoposto al potere direttivo e disciplinare, con una continuità nella struttura della prestazione, modo di esecuzione, determinazione quantitativa e qualitativa dell’attività e quindi una maggiore disponibilità funzionale e operativa. Nella coordinazione invece si assiste ad una maggiore autonomia di gestione del collaboratore e nella correlativa assunzione della responsabilità del risultato, con una maggiore gestione del tempo lavoro, dove risulta essenziale il risultato continuativo. Quindi possiamo ritenere che nella collaborazione coordinata e continuativa si assiste ad un potere direttivo affievolito più a criteri e istruzioni per l’adempimento dell’obbligazione, con incidenza minore rispetto a quello del lavoro subordinato. In relazione invece al carattere della continuità anche per le collaborazioni coordinate e continuative si può fissare un orario di lavoro prestabilito.
 
Ricordiamo infine che per le collaborazioni esterne sono previsti degli obblighi di pubblicità quali:
–         Pubblicità del regolamento sulle procedure comparative per l’affidamento degli incarichi di collaborazione (art. 7, comma 6 bis, del dlgs.vo n. 165/2001);
–         Pubblicità sul sito web dell’Azienda dei provvedimenti di incarico del soggetto precettore, della ragione dell’incarico e dell’ammontare del compenso (articolo 3, comma 54, legge finanziaria 2008);
–         Pubblicità elenco dei consulenti indicando oggetto, durata e compenso dell’incarico (art. 53, comma 14 del dlgs.vo n. 165/2001). 
 
     
C) Il contratto di lavoro a tempo determinato.
 
        E’ disciplinato dal decreto legislativo n. 368/2001 , che all’articolo 1, comma 1, dispone che le pubbliche amministrazioni possono validamente stipulare contratti a termine in tutti i casi in cui sussista l’esigenza di far fronte a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro – così come recentemente integrato dall’art. 21 del decreto legge n.112 del 25 Giugno 2008. La recente misura, pertanto, ha nuovamente esteso la portata dei contratti a termine, aggiungendo la riferibilità alla ordinaria attività del datore di lavoro. La portata dell’estensione si deve leggere anche in relazione a quanto previsto dal successivo articolo 49 “lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni” del medesimo decreto legge n.112/ 2008 il quale sostituisce l’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo n. 165 ( già più volte modificato dalle leggi finanziarie) confermando il carattere di temporaneità ed eccezionalità delle forme contrattuali flessibili di assunzione del personale previste dal codice civile e dalle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, però sopprimendo la precedente formulazione dell’articolo 36 del dlgs.vo n. 165/2001 citato ( novellato a seguito dell’articolo 3, comma 79, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 – legge finanziaria 2008) nella parte in cui limitava il contratto di lavoro a tempo determinato se non per esigenze stagionali e per periodi non superiori a tre mesi.
La medesima norma al comma 79, punto 10, prevedeva, comunque, una eccezione per gli enti del SSN in relazione al personale medico, con esclusivo riferimento alla figure infungibili, al personale infermieristico ed al personale di supporto alle attività infermieristiche, che potevano quindi avvalersi di forme contrattuali flessibili, oltre che per le finalità di cui al comma 1- art. 36 dlgs.vo citato- anche per la sostituzione di lavoratori assenti o cessati dal servizio limitatamente ai casi in cui ricorrano urgenti e indifferibili esigenze correlate alla erogazione dei LEA( livelli essenziali di assistenza), compatibilmente con i vincoli previsti in materia di contenimento della spesa di personale – articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 – legge finanziaria 2007- ( spese per il personale a lordo oneri riflessi a carico dell’amministrazione e irap – non superamento per ciascun esercizio 2007, 2008 , 2009 del corrispondente ammontare della spesa esercizio 2004 , diminuito dell’ 1,4% . In tale ambito si considerano anche le spese per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che prestano servizio con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni.)
 
Il decreto legislativo n. 368/2001 non pone alcun limite alla durata del contratto di lavoro a tempo determinato (tranne le ipotesi previste per i dirigenti). La normativa richiama il principio di temporaneità e la durata del contratto a termine è posta in stretta correlazione alle ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive specifiche. Quindi il termine dovrà derivare direttamente o indirettamente da esse. A titolo di esempio, in tali ragioni possono essere comprese quelle riferite all’avvio di nuove attività; a punte di attività riferibili in determinati periodi dell’anno; alla sostituzione di lavoratori assenti; a progetti e obiettivi di produzione; ad attività sperimentali che necessitano di un periodo di verifica quanto ai risultati ecc. Quanto ai rapporti tra le norme del decreto legislativo n. 368/2001 e quelle della contrattazione collettiva nazionale di lavoro ( art. 31 del CCNL integrativo 20.09.2001 -del personale del comparto sanità) che hanno disciplinato casi e tempistiche particolari per il contratto a termine, queste conservavano la loro efficacia fino alla scadenza della vigenza del contratto. Da quella data le Aziende Sanitarie possono stipulare i contratti a termine avvalendosi, quindi, delle più ampie possibilità consentite dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 368/2001. (così come chiarito con nota n. 35/02 del 22.1.2002 – del Dipartimento della funzione pubblica.) In tale contesto le ipotesi previste dall’articolo 31 del CCNL integrativo 20.09.2001- area comparto sanità – proprio perché aventi carattere di temporaneità, possono, però, continuare a costituire un utile punto di riferimento in quanto espressione concreta delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, ma gli eventuali limiti di durata massima non sono più vincolanti.
 
D) Il contratto di Telelavoro.     
 
Con il contratto di telelavoro di determina una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa, realizzabile con l’ausilio di specifici strumenti telematici. Tra le forme di telelavoro previste ricordiamo:
–         il telelavoro domiciliare: che comporta la prestazione dell’attività lavorativa dal domicilio del dipendente;
–         il lavoro a distanza: che consiste in una forma di lavoro decentrato da centri satellite, servizi di rete, che comportano l’effettuazione della prestazione lavorativa in un luogo idoneo e diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato.
La normativa di riferimento è riportata nell’articolo 36 del CCNL integrativo del 20.09.2001 – personale del comparto sanità.
Affinché si possa realizzare una forma di telelavoro è necessario definire preventivamente uno specifico progetto che individui: gli obiettivi, le attività interessate, le tecnologie utilizzate ed i sistemi di supporto, le tipologie professionali ed il numero dei dipendenti di cui si prevede il coinvolgimento, i tempi e le modalità di realizzazione, i criteri di verifica e di aggiornamento, le modificazioni organizzative ove necessarie, i costi e i benefici diretti e indiretti.
Una volta definito il progetto si passa alla fase delle relazioni sindacali come di seguito:
–         Fase della concertazione per le modalità di realizzazione dei progetti e ambito di professionalità impiegate ;
–         Fase della contrattazione integrativa aziendale :
–         Criteri generali per l’esatta individuazione del telelavoro rispetto ad alte forme di delocalizzazione;
–         Criteri generali per l’articolazione del tempo lavoro e per la determinazione delle fasce di reperibilità telematica;
–         Forme di copertura assicurativa delle attrezzature in dotazione e del loro uso;
–         Iniziative di formazione;
–         Trattamento accessorio compatibile con la specialità della prestazione (fondo disagio e fondo della produttività collettiva).
Ricordiamo che la postazione di telelavoro deve essere messa a disposizione, installata e collaudata a cura e spese dell’Azienda , sui cui gravano i costi di gestione e di manutenzione. L’Azienda deve verificare e garantire le condizioni di sicurezza degli ambienti di lavoro e del lavoratore, attraverso apposito documento di valutazione dei rischi e stipulare una apposita polizza assicurativa per la copertura dei rischi sui danni alle attrezzature telematiche in dotazione al lavoratore e sui danni a cose e persone, compresi i familiari del lavoratore. I partecipanti ai progetti di telelavoro sono individuati tra coloro che si sono dichiarati disponibili a ricoprire le posizioni previste, con priorità per coloro che già svolgevano le relative mansioni o che avevano esperienze lavorative analoghe a quelle richieste tali da consentire di operare in autonomia nelle attività di competenza.
 
E) Il contratto di formazione e lavoro.
 
E’ uno strumento mirato all’acquisizione di professionalità elevate ( categorie D – DS) o per agevolare l’inserimento professionale mediante una esperienza lavorativa checonsenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo e organizzativo. La norma di riferimento contrattuale è l’articolo 33 del CCNL integrativo 20.09.2001 – personale del comparto sanità. Nell’ambito della programmazione del fabbisogno di personale, previa informazione alle organizzazioni sindacali, le Aziende Sanitarie possono attivare i contratti di formazione e lavoro, attraverso una specifica selezione nel quadro della normativa vigente in tema di reclutamento del personale del comparto. Il lavoratore assunto con tale tipologia di contratto deve svolgere un periodo obbligatorio di formazione che si accompagna alla attività lavorativa. Il contratto di formazione e lavoro deve contenere gli specifici obiettivi e al termine della durata può essere trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato. In tal caso il periodo di formazione e lavoro precedentemente svolto è computato a tutti gli effetti in anzianità di servizio.
 
E) Il rapporto di lavoro a tempo parziale.
 
Il rapporto di lavoro che prevede un orario inferiore rispetto all’orario normale di lavoro fissato dai contratti collettivi, è disciplinato dal decreto legislativo n. 61 del 25.02.2000, nonché dalle norme del contratto collettivo nazionale di lavoro ( articolo 22 del CCNL 19.04.2004 – articolo 34 e seguenti del CCNL integrativo 20.09.2001- articolo 23 del CCNL 7.04.99- personale del comparto sanità  e CCNL integrativo delle aree della dirigenza sanitaria, professionale tecnica e amministrativa del 22.02.2001–riguardo l’impegno ridotto dei dirigenti). Recentemente con l’articolo 73 del decreto legge n. 112/2008, si sono introdotte importanti modifiche che hanno eliminato il cosiddetto diritto potestativo all’accesso al part-time da parte del dipendente. Ricordiamo che prima della recente riforma, qualora l’Azienda non si esprimeva entro il termine di 60 gg. dalla presentazione della richiesta, la trasformazione del rapporto di lavoro avveniva automaticamente al 61° giorno. Con l’articolo 73 del decreto legge n. 112/2008 si elimina “l’automaticità della trasformazione“ e si introduce il potere decisionale dell’amministrazione di concedere o meno il part-time al termine dei 60gg. Inoltre lo stesso articolo 73 sopprime la possibilità di differimento della trasformazione a part-time per un periodo non superiore ai sei mesi, qualora la stessa trasformazione determini un pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione. Ricordiamoci che prima delle recenti modifiche l’Azienda poteva immediatamente respingere la richiesta di articolazione oraria della prestazione lavorativa del dipendente ma non la richiesta di trasformazione e, pertanto, doveva trovare un accordo con il lavoratore per conciliare le opposte esigenze. In tale circostanza la controproposta dell’Azienda non doveva vanificare il diritto del dipendente alla trasformazione ( circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 8/97). Ciò aveva fatto ritenere che qualora ne sussistevano i presupposti il ricorso al part-time rappresentava un vero e proprio diritto potestativo (Corte Costituzionale ord. N. 164/99). Nei fatti il part-time, in questi anni, ha comportato enormi problemi soprattutto nei settori assistenziali e con riferimento a figure infermieristiche e tecniche di difficile reperimento. Già qualche orientamento giurisprudenziale stava avvalorando il principio che il diritto potestativo del dipendente alla trasformazione era in contrasto con l’articolo 97 della Costituzione, perché impediva la razionale ed efficiente organizzazione del servizio pubblico. Con l’articolo 73 del decreto legge n. 112/2008 citato, si assiste al superamento di tale diritto potestativo, correlando l’accesso al part-time alla essenziale condizione di possibilità e fattibilità organizzativa e funzionale dell’Azienda.                                   
 
Felice Marra

Marra Felice

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