Vincenzo Salamone[1]
Sommario: 1- Il ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana (peculiarità di un istituto); 2 – La Funzione consultiva e le Regioni; 3 – Natura del parere nel procedimento decisorio del ricorso straordinario nella prospettiva dell’assimilazione ad una attività “giustiziale”; 4 – (continua) rapporto con il principio costituzionale del “giusto processo”; 5 – Il ricorso straordinario e le Regioni; 6 – Ricorso straordinario e funzione consultiva del Consiglio di Stato nella prospettiva di una riforma in senso federale della Repubblica.
1 – Il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana (peculiarità di un istituto)[3].
Lo Statuto della Regione Siciliana (approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455; e convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) all’art. 23 ha previsto che gli organi giurisdizionali centrali avrebbero avuto in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la Regione ed, in particolare le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti avrebbero svolto altresì le funzioni, rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile[4].
In particolare il quarto comma ha previsto che “i ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente regionale, sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato”.
Detta norma è stata originata da almeno tre finalità:
– disporre in sede locale di Organi giurisdizionali dotati di una specifica competenza nelle materie spettanti alla legislazione esclusiva delle Regione Siciliana;
– rendere maggiormente fruibile il sistema giurisdizionale tradizionalmente concentrato in sede centrale;
– completare un quadro di organizzazione amministrativa che prendeva a modello il sistema statale.
A quest’ultimo proposito va rilevato come l’assetto costituzionale del Governo regionale riproduca sostanzialmente quello dello Stato.
Non a caso il D.P.R. 29 gennaio 1982, n. 125 contenente le “Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Siciliana per l’attribuzione al presidente della regione, nell’esercizio delle funzioni esecutive ed amministrative di competenza regionale, della adozione dei provvedimenti demandati al Capo dello Stato” dispone, con un evidente parallelismo con le competenze dello Stato, che nell’esercizio delle funzioni esecutive ed amministrative spettanti alla Regione ai sensi dello statuto e delle norme di attuazione previste dall’art. 43 dello statuto medesimo, le competenze sono così ripartite:
– il presidente della regione adotta, nel territorio regionale, i provvedimenti demandati al Capo dello Stato[5];
– qualora detti provvedimenti debbano essere adottati previa deliberazione del Consiglio dei Ministri o su proposta dei Ministri competenti, il presidente della regione provvede previa deliberazione della giunta regionale o su proposta degli assessori regionali competenti per materia (art. 1);
– laddove l’emanazione dei provvedimenti di cui all’art. 1 debba essere preceduta da pareri di organi consultivi, l’amministrazione regionale si avvale dei propri organi consultivi ovvero, in mancanza di questi, dei competenti organi dello Stato, sino a quando la regione non avrà diversamente provveduto;
– se nell’esercizio delle funzioni attribuitele l’amministrazione regionale è tenuta a richiedere pareri di organi consultivi dello Stato, questi sono direttamente richiesti dal presidente della regione[6].
In tale contesto normativo si colloca l’estensione al Presidente della Regione del potere decisorio dei ricorsi straordinari.
Giova a tal proposito ricordare che detto rimedio amministrativo (tale lo qualifica espressamente lo Statuto, corpo di norme di rango costituzionale) non è previsto nella Costituzione della Repubblica, anche se con la stessa non è incompatibile, alla luce di una di una serie di interventi della Corte costituzionale e del legislatore che lo hanno ricondotto nell’alveo della costituzionalità, soprattutto nel rapporto con la tutela giurisdizionale.
Né può ritenersi che la norma statutaria (di rango costituzionale) abbia dato, a sua volta, “copertura” costituzionale all’istituto del ricorso straordinario, limitandosi l’art. 23 comma 4 a prevedere la competenza del Presidente della Regione nei limiti della proponibilità disciplinata dalla normativa statale.
La attuazione della norma che prevede la costituzione in Sicilia di sezioni regionali del Consiglio di Stato è avvenuta con il Decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 654 che contiene “Norme per l’esercizio nella Regione Siciliana delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato” (D. L.vo ratificato con legge 17 aprile 1956, n. 561.
Fu istituito il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che esercita le funzioni consultive e giurisdizionali spettanti alle Sezioni regionali del Consiglio di Stato previste dall’art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana.
Per la verità la attuazione dello Statuto per quanto riguarda gli Organi di Giustizia amministrativa ha accentuato i poteri della Regione di influenza nella determinazione della composizione.
Ciò dal momento che l’art. 2 (nel testo sostituito dall’art. 1 del D.P.R. 5 aprile 1948, n. 204) ha previsto che il consiglio di giustizia amministrativa è presieduto da un presidente di sezione del Consiglio di Stato[7] e ne sono membri in sede consultiva:
a) due magistrati del Consiglio di Stato con la qualifica di consigliere;
b) un prefetto della Repubblica;
c) quattro esperti dei problemi della regione.
Per ciascuno dei membri del consiglio di giustizia amministrativa in sede consultiva previsti nelle precedenti lettere b) e c) è nominato un supplente.
E’ evidente che, quantomeno per la composizione della Sezione consultiva, assume un peso preponderante la componente cosidetta “laica”, che non deve necessariamente possedere una qualificazione giuridica.
Peraltro la componente regionale (è competente per la nomina la Giunta regionale) è paritetica.
Vi è, quindi, un elemento di sostanziale diversificazione tra composizione delle sezioni consultive del Consiglio di Stato e quelle del C.G.A., accentuato dal fatto che la componente “laica” è estranea alla Magistratura amministrativa e non sempre gode di quelle garanzie di indipendenza che sono proprie degli organi giurisdizionali[8].
La composizione è sostanzialmente differente per i componenti di quest’ultima nella quale è prevalente la componente togata; è previsto, infatti, che la componete laica è di quattro giuristi scelti fra i professori di diritto delle università o avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori; ai quali (a differenza dei componeti la sezione consultiva) è interdetto, per la durata della carica, l’esercizio della professione innanzi alle giurisdizioni amministrative.
Il collegio giudicante è composto dal presidente, da due consiglieri di Stato e da due dei membri laici.
Per quanto riguarda la funzione consultiva il parallelismo tra la funzione consultiva del Consiglio di Stato e quella del C.G.A. è formale e sostanziale.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa è, infatti, organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo regionale.
E’, infatti, previsto che gli atti per i quali le leggi vigenti richiedono il parere del Consiglio di Stato, qualora siano emanati dalla Amministrazione regionale, sono sottoposti al parere del Consiglio di giustizia amministrativa.
Soltanto quando il parere riguarda materie che incidono notevolmente sugli interessi generali dello Stato, o su quelli di altre Regioni, il Consiglio può deferirne l’esame all’Adunanza generale del Consiglio di Stato. In tal caso l’Adunanza generale esamina gli affari su preavviso del Consiglio di giustizia amministrativa e con l’intervento dei magistrati che ne fanno parte (senza la componente laica).
In analogia a quanto previsto dalla normativa vigente antecedentemente alla emanazione del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 di semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi, e che prevedeva la competenza dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, il parere previsto dall’ultimo comma dell’art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana per la decisone del ricorso straordinario al Presidente della Regione è reso dal Consiglio di giustizia amministrativa con l’intervento dei suoi componenti in sede consultiva e in sede giurisdizionale e per la validità dell’Adunanza è richiesta la presenza di almeno nove componenti (c.d. sezioni riunite).
Nella sede consultiva di decisone dei ricorsi straordinari la componente di nomina regionale è, pertanto, paritetica rispetto a quella togata e di nomina statale, anche se la componente laica è maggioritaria.
In primo luogo la peculiarità del ricorso straordinario regionale è costituita dalla tipologia degli atti impugnabili che sono quelli regionali in senso soggettivo ed in senso oggettivo[9].
Sono, pertanto, ricorribili con il ricorso regionale, perchè soggettivamente regionali, gli atti emanati dalla amministrazione regionale, dagli enti pubblici (anche economici) regionali, dagli enti soggetti a vigilanza regionale (enti locali, ASL ecc).
Sono altresì impugnabili con lo stesso rimedio amministrativo gli atti oggettivamente regionali e cioè quelli adottati da Organi statali, nell’esercizio di funzioni regionali.
Rimane, ovviamente, la proponibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso atti di organi statali ovvero di Enti nazionali o a competenza ultraregionale
Quanto alle competenze degli organi regionali nel procedimento di decisione, a differenza che per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la cui decisione spetta al Ministro competente, la decisione del ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana spetta esclusivamente al Presidente della Regione e non all’Assessore competente per materia, al quale non è nemmeno richiesto – contrariamente che al Ministro in sede nazionale – di controfirmare i decreti decisori, ovvero di proporre al Presidente se uniformarsi o meno al parere reso dal Consiglio di Giustizia Amministrativa[10].
Nell’applicazione dell’art. 23 u. c. dello Statuto non si è mai dubitato che, ai fini della concreta disciplina dell’istituto, debba sì aversi riguardo – in forza del rinvio dinamico in essa implicito – alla disciplina del ricorso straordinario al Capo dello Stato, ma con gli adattamenti imposti dalla necessità della sostituzione di organi regionali a quelli statali ivi previsti.
L’attuale disciplina legislativa, contenuta nel capo III (artt. 8-15) del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), ha conservato la natura del tutto atipica che quest’istituto ha assunto sin dall’epoca della monarchia costituzionale.
Essa, infatti, ne conferma il carattere di rimedio straordinario contro eventuali illegittimità di atti amministrativi definitivi, che i singoli interessati possono attivare con modica spesa, senza il bisogno dell’assistenza tecnico-legale e con il beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi (articoli 8 e 9).
La sua procedura prevede che l’istruttoria sia svolta dai Ministeri competenti o, in mancanza di questi, dalla Presidenza del Consiglio (art. 11), i quali, quando si tratta di atti amministrativi emanati da enti diversi dello Stato, possono avvalersi (e di fatto ciò avviene) della più piena collaborazione di questi ultimi.
La decisione è adottata nella forma tipica degli atti governativi, il Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente (che poi controfirma l’atto), previo conforme parere del Consiglio di Stato).
Soltanto nel caso in cui il Ministro intenda proporre una pronunzia difforme rispetto a quest’ultimo parere, il D.P.R. è adottato su deliberazione del Consiglio dei Ministri, che deve essere sorretta da un’adeguata motivazione circa la diversa interpretazione del diritto seguita) (art. 14).
Il D.P.R., al pari di ogni atto del Governo, è poi sottoposto al visto della Corte dei Conti, soltanto in caso di deferimento al Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 3 della 14 gennaio 1994 n. 20[11].
Diverso è il quadro di riferimento per il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana.
Quest’ultimo, infatti, a differenza del Presidente della Repubblica, assume la piena responsabilità dei propri atti, nella sua duplice qualità di suprema autorità della Regione e di capo del Governo regionale.
In relazione a tale posizione riconosciutagli dallo Statuto, la norma dell’art. 23, ultimo comma, del medesimo – per cui i ricorsi straordinari avverso gli atti amministrativi regionali “sono decisi” dal Presidente della Regione – si pone quale attributiva di una specifica competenza.
Ciò esclude non solo la necessità di controriforma assessoriale dei decreti presidenziali di decisione del ricorso, ma anche qualsiasi intervento, seppur meramente propositivo, dell’Assessore del ramo nel procedimento, in specie per quanto attiene alla determinazione se conformarsi o meno al parere del Consiglio di giustizia amministrativa.
Ancorchè in passato non siano mancate sul punto divergenze interpretative, è venuto ormai consolidandosi l’orientamento secondo cui l’art. 23 dello Statuto, con il demandare la decisione al Presidente della Regione, senza ulteriori precisazioni ad aggiunte, ha inteso attribuire a tale organo (anche) un’autonoma ed esclusiva potestà di valutazione del suddetto parere; restando così, estranei al procedimento i singoli Assessori.
Alla stregua di tale orientamento la circolare presidenziale 22 maggio 1985, (paragrafo B, punto III: “decisione”) dispone che: “una volta pervenuto a questa Presidenza il parere del C.G.A., l’Ufficio legislativo e legale predispone il decreto da sottoporre alla firma presidenziale. Ove un diverso apprezzamento delle questioni giuridiche connesse all’affare induca l’Ufficio a dissentire dalla soluzione suggerita dall’organo consultivo ne viene informato lo scrivente affinché valuti se sia il caso di promuovere la delibera della Giunta regionale necessaria per decidere il gravame in difformità del parere del C.G.A.”.
Il potere di iniziativa in ordine alla scelta di non conformarsi al parere del C.G.A è proprio dell’organo Presidente della regione rispetto al quale l’Ufficio legislativo e legale (che svolge la istruttoria di tutti i ricorsi straordinari regionali) si pone quale organismo tecnico di supporto, a rilevanza solo interna [12].
Infine va rilevato che la Regione Siciliana, con la legge reg. n. 10 del 15 maggio 2000 ha recentemente recepito con sostanziali modifiche i principi del D. L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 nel testo modificato dal D.L.vo n. 80 del 1998.
Nel ribadire il principio della separazione tra atti di indirizzo affidata agli organi di governo ed attività di gestione affidata alla dirigenza, ha attribuito agli atti adottati dalla fascia più elevata della dirigenza (art.7 comma 7) la caratteristica delle definitività, facendo venire meno il potere decisorio dei ricorsi gerarchici in capo agli Assessori.
Permane “il potere di annullamento per motivi di legittimità del Presidente della Regione” come recita l’art. 2 u.c.).
Non è ben chiaro se con detta norma si sia voluto far riferimento al potere decisorio del ricorso straordinario, ovvero al potere di annullamento governativo.
Come è noto l’art. 2 L. L. 23 agosto 1988, n. 400 di “Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri “ alla lett. P) disciplina la competenza del Consiglio dei Ministri in ordine alle determinazioni concernenti l’annullamento straordinario, a tutela dell’unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle regioni e delle province autonome, anche della Commissione parlamentare per le questioni regionali[13].
2 – La funzione consultiva e le Regioni.
Come già rilevato (a differenza di quanto avviene per le altre Regioni, sia a statuto speciale che ordinario) la competenza consultiva del C.G.A. nell’ambito della Regione siciliana è strettamente assimilata a quella che esercita il Consiglio di Stato nei confronti del Governo.
Il ridimensionamento della funzione consultiva obbligatoria in ambito statale ha, pertanto, prodotto i medesimi effetti nei rapporti con il Governo regionale.
L’art. 17, comma 26, della legge 15 maggio 1997 n. 127, come è noto, ha previsto la generale abrogazione di ogni disposizione di legge che richieda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria; dalla disposta abrogazione, l’art. 17, comma 25, della legge medesima esclude soltanto i pareri obbligatori concernenti:
– l’emanazione di atti normativi del Governo e dei singoli ministri[14];
– la decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;
– gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da uno o più ministri.
Tali disposizioni hanno riflessi anche nell’ambito della consulenza giuridico-amministrativa svolta dal C.G.A. nei confronti del Governo regionale.
E ciò avuto riguardo, da un lato, al rinvio dinamico operato dall’art. 4, comma 2, del D.L. 6 maggio 1948 n. 654, a norma del quale “gli atti per i quali le leggi vigenti richiedono il parere del Consiglio di Stato, qualora siano emanati dall’Amministrazione regionale, sono sottoposti al parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa” e, dall’altro, all’art. 17, comma 137, della legge n. 127 del 1997, ai sensi del quale le disposizioni della legge medesima si applicano alle Regioni a statuto speciale “nei limiti e nel rispetto degli statuti e delle norme di attuazione”.
Rimane, comunque, nella facoltà dell’Amministrazione la richiesta di parere in via facoltativa, ai sensi dell’art. 17, comma 24, della legge n. 127/1997[15].
Diverso è il quadro normativo per quanto riguarda la possibilità da parte del Consiglio di Stato di esercitare la funzione consultiva in favore delle altre Regioni sia a statuto speciale che a statuto ordinario[16] e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
L’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, con il parere del 24 aprile 1980, ha esaminato la questione inerente alla legittimazione delle regioni ad avvalersi della consulenza facoltativa del Consiglio medesimo, dando risposta affermativa per le seguenti considerazioni.
L’art. 100 comma 1 della Costituzione dispone che “Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione”.
L’art. 100 è inserito nella sezione III (“Gli organi ausiliari”) del Titolo III (riguardante “Il Governo”, inteso come Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri e Consiglio dei Ministri, per come dispone l’art. 92 comma 1).
Da detto articolato normativo si evince che la funzione consultiva del Consiglio di Stato è istituzionalmente svolta in favore del Governo (sebbene con quei caratteri di oggettività a garanzia della corretta applicazione delle norme all’interno della Pubblica amministrazione).
La nuova realtà dell’ordinamento dei poteri pubblici, basata su un ampio decentramento alle Regioni di funzioni precedentemente affidate allo Stato e ad enti pubblici istituzionali, che nasce da numerose fonti normative[17], è caratterizzata dall’affidamento alle Regioni tanto a statuto speciale, quanto a statuto ordinario, per settori organici ed omogenei di attività, di numerose funzioni di Amministrazione attiva nelle materie indicate dall’art. 117 della Costituzione, mentre allo Stato sono residuate prevalentemente funzioni di indirizzo e di coordinamento volte ad assicurare l’unitarietà dell’ordinamento, anche con riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale ed agli impegni derivanti da obblighi internazionali e comunitari.
Se tale nuovo assetto, da un lato ha fatto venire meno, per ragioni di rispetto dell’autonomia costituzionalmente garantita alle Regioni, la necessità della consultazione obbligatoria del Consiglio di Stato, specificamente prevista da precedenti fonti normative, dall’altro ha reso attuale l’istanza di assicurare alle Regioni medesime la possibilità di avvalersi degli organi dello Stato cui spetta istituzionalmente la funzione consultiva, intesa come funzione di ausilio tecnico-giuridico utile per indirizzare nell’alveo della legittimità e della buona amministrazione l’attività di amministrazione attiva[18].
Il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 dispone, infatti, al comma primo dell’art. 107 di tale decreto che “le Regioni possono avvalersi, nell’esercizio delle funzioni amministrative proprie e delegate, degli uffici o organi tecnici anche consultivi dello Stato”. E non è senza significato la generalità della richiamata disposizione che, sia pur con riferimento ad uffici ed organi tecnici dello Stato, offre alle Regioni la possibilità di avvalersi della funzione consultiva precedentemente preordinata esclusivamente all’attività statale.
Del pari (comma terzo dello stesso art. 107) le Regioni sono autorizzate ad avvalersi tanto del patrocinio legale quanto della consulenza dell’Avvocatura dello Stato. Ed ancora l’art. 108, con norma specifica, prevede che “le Regioni possono avvalersi, a norma del primo comma dell’articolo precedente, del Consiglio superiore dei lavori pubblici per tutte le funzioni attribuite alle stesse dalle leggi dello Stato e delle Regioni”.
Si tratta di un complesso di disposizioni che chiaramente indicano come il legislatore nazionale abbia inteso consentire alle Regioni di avvalersi di ogni ausilio necessario o utile al fine di assicurare la legalità dell’azione amministrativa.
In questo quadro, sebbene nel citato decreto delegato non sia stato fatto espresso riferimento all’attività consultiva facoltativa del Consiglio di Stato, si è ritenuto consentito alle Regioni (sia a statuto ordinario che speciale, comprese le province di Trento e di Bolzano ed esclusa soltanto la Sicilia, per la quale opera come organo consultivo il Consiglio di giustizia amministrativa), su loro spontanea iniziativa e direttamente, di avvalersi della funzione consultiva del Consiglio di Stato sia in ordine a specifiche questioni di volta in volta emergenti, sia – con valutazione effettuata in via preventiva ed in astratto – mediante la previsione in leggi regionali dell’intervento dell’organo consultivo.
Si riconosce, pertanto, univocamente che ormai le Regioni possono chiedere pareri al Consiglio di Stato con l’osservanza del procedimento prescritto dall’art. 36 R.D. 21 aprile 1942 n. 444; pertanto, la richiesta di parere deve essere formulata dalle Regioni mediante proposta, su relazione del Capo del servizio competente per materia, indicante i precedenti di fatto e le questioni sulle quali si intende chiedere il parere, sottoscritta dal Presidente della Giunta regionale[19].
Viene escluso (altrettanto univocamente), invece, che la Regione sia tenuta a chiedere il parere del Consiglio di Stato nelle ipotesi in cui precedenti norme legislative, relative a materie passate alla competenza regionale, prescrivevano il parere obbligatorio del Consiglio stesso[20].
3 – Natura del parere nel procedimento decisorio del ricorso straordinario nella prospettiva dell’assimilazione ad una attività “giustiziale”.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 298 del 31 dicembre 1986, ha inequivocabilmente affermato il carattere amministrativo del procedimento decisorio del ricorso straordinario, che è temperato dall’esigenza derivante dal fatto che si è pur sempre in presenza di un meccanismo di risoluzione di una controversia avente ad oggetto il riconoscimento di diritti o di interessi legittimi e, soprattutto, in considerazione di una caratteristica peculiare dell’istituto: la sua alternatività, peraltro attenuata nel tempo, rispetto al ricorso giurisdizionale.
Detti caratteri non sono tali da far tramutare il ricorso straordinario in un procedimento formalmente e/o sostanzialmente giurisdizionale e, quindi, in una dichiarazione del diritto diretta a far stato fra le parti e pronunziata da un organo istituzionalmente imparziale.
Secondo l’autorevole insegnamento della Corte costituzionale la complessiva disciplina legislativa del procedimento manca di alcune fondamentali caratteristiche delle attività giurisdizionali, quali:
– la bilateralità del contraddittorio;
– una qualsiasi garanzia di difesa tecnica (tanto più necessaria quanto le questioni deducibili sono spesso caratterizzate da una oggettiva complessità)[21];
– l’imparzialità istituzionale dell’organo decidente (formalmente Presidente della Repubblica e sostanzialmente il Governo).
Nondimeno, in considerazione delle predette esigenze, la legislazione e la giurisprudenza, compresa quella della Corte costituzionale hanno stabilito parallelismi e raccordi con l’attività giurisdizionale.
I principali fra questi sono, oltre al carattere contenzioso del procedimento, la facoltà dei privati, cui la Corte costituzionale con sentenza n. 148 del 1982 ha equiparato gli Enti pubblici non statali autori dell’atto impugnato, di chiedere in limine litis la trasposizione della controversia nella sede giurisdizionale e quella di impugnare presso il giudice amministrativo la decisione del ricorso per vizi di forma o di procedimento[22], nonché l’estensione allo stesso ricorso straordinario del rimedio della revocazione e dell’azione giudiziaria di fronte al giudice ordinario.
Se la previsione di tali garanzie, come ha riconosciuto la Corte cost. (sentenza n. 78 del 1966), rende il ricorso straordinario non incompatibile con l’art. 113 Cost., non può tuttavia comportare l’effetto di integrarlo nel sistema di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi verso gli atti della Pubblica amministrazione facente capo allo stesso art. 113.
Tantomeno ciò appare sostenibile ove si voglia alludere a una pretesa costituzionalizzazione del ricorso straordinario, considerato che attualmente è nella piena libertà del legislatore ordinario stabilire una disciplina positiva sostanzialmente diversa da quella vigente oppure conservare intatta quella attuale o, finanche, decretare l’abolizione dell’istituto stesso.
In realtà, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, come da tempo riconoscono senza contrasto alcuno giurisprudenza e dottrina, è un procedimento amministrativo di secondo grado, attivabile su ricorso dei singoli interessati, di carattere spiccatamente contenzioso ed avente ad oggetto atti amministrativi definitivi.
Il decreto che decide il ricorso straordinario è, dunque, univocamente qualificato amministrativo.
Coerente con tale premessa è stata la giurisprudenza.
Ne sono, infatti, corollari:
– l’esclusione degli effetti tipici del giudicato dal decreto decisorio del ricorso straordinario[23];
– la limitazione dei poteri istruttorii tipici del processo;
– la non sollevabilità delle questioni di costituzionalità.
Detto orientamento è stato oggetto recentemente di un sostanziale riesame alla luce della sentenza della Corte di giustizia della Comunità Europea V Sezione 16 ottobre 1997 (causa n. C 69/79/96, Garofoli ed altri. lres. Guituan, Est. Edward, Avv. gen, Ruiz Jarabo Colomer).
La Corte di giustizia della C.E., nel riconoscere la legittimazione del Consiglio di Stato, in sede di ricorso straordinario, a proporre alla Corte una questione di interpretazione ex art 177 del Trattato ha ritenuto che “per risolvere (la suddetta questione di legittimazione), occorre esaminare le modalità di intervento del Consiglio di Stato nell’ambito di tale specifico procedimento, alla luce dei criteri stabiliti dalla Corte di giustizia per definire la nozione di giurisdizione, ai sensi dell’art. 177 del Trattato, quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente”. Orbene, la Corte ha osservato, tra l’altro, “come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 25 delle sue conclusioni, il Consiglio di Stato è un organo permanente, imparziale e indipendente poiché i suoi membri, tanto nelle sezioni consultive quanto in quelle giurisdizionali, offrono garanzie legali di indipendenza e d’imparzialità e non possono far parte contemporaneamente delle due sezioni”.
Da detto precedente della Corte C.E. il Consiglio di Stato ha ritenuto in linea di principio che si possa sollevare in sede di parere sul ricorso straordinario anche la questione di costituzionalità (poi comunque non sollevata per valutazione di manifesta infondatezza della questione)[24].
4 – (continua) rapporto con il principio costituzionale del “giusto processo”.
Il contenuto proprio della funzione consultiva del Consiglio di Stato, per come costituzionalmente voluta dall’art. 100 Cost. avrebbe carattere preventivo, oggettivo e, pertanto, di fatto dirimente della volontà della legge.
In tale contesto si è escluso che la funzione consultiva possa essere utilizzata dal Governo nell’interesse di una parte (lo Stato apparato), resa inaudita altera parte, e in posizione dialettica verso un altro soggetto del medesimo Stato comunità. Esso in tale ipotesi perderebbe la sua funzione di accertamento preventivo di diritto nell’interesse oggettivo dello Stato ordinamento, per passare a quella di consultazione.
In un recente parere si è, infatti, ritenuto che la funzione consultiva del Consiglio di Stato, per come costituzionalmente delineata, viene esercitata a tutela imparziale ed oggettiva dell’ordinamento giuridico, si che essa avrebbe – in marcata differenza rispetto alla consultazione dell’Avvocatura dello Stato, che è svolta nell’interesse dell’apparato amministrativo – gli speciali caratteri di una vera e propria jurisdictio preventiva[25].
Di recente l’Adunanza generale del Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire, dopo una ricostruzione della giurisprudenza storica del Consiglio di Stato, il carattere della generalità, quale strumento di difesa accordato al cittadino, che caratterizza il ricorso straordinario, puntualizzando come in esso “prevale il profilo di controllo dell’atto, realizzato in fase ancora interna all’Amministrazione e sostanzialmente presso di essa, in chiave di preponderante verifica di legittimità”. Per cui “la differenza fra le fasi giurisdizionali di impugnazione degli atti amministrativi e il ricorso straordinario” sta essenzialmente nel fatto che “la fase apud iudicem è sicuramente estranea al momento di concepimento ed alla gestazione dell’atto e presuppone la fuoriuscita dell’atto stesso dal processo formativo, con vistosa accentuazione del profilo di reazione alla determinazione lesiva, rispetto alla funzione collaborativa che può scorgersi nella sede straordinaria, pur se realizzata in chiave contenziosa”[26].
Il fatto che il controllo di legittimità sia realizzato in una fase interna all’Amministrazione, tuttavia, non attenuerebbe le garanzie legali di indipendenza e di legalità che si ricollegano al procedimento.
Assunto questo ribadito anche dalla Corte di giustizia delle Comunità europee che ha affermato come “il Consiglio di Stato, quando emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato”. Ciò in base alla considerazione che la consultazione del Consiglio di Stato è obbligatoria e che il suo parere, esclusivamente basato sull’applicazione delle norme di legge, costituisce il progetto della decisione che verrà formalmente emanata dal Presidente della Repubblica italiana[27].
Si sostiene che tale parere, comprensivo di motivazione e dispositivo, è parte integrante di un procedimento che è l’unico che possa consentire, in quella sede, la risoluzione del conflitto sorto tra un singolo e la Pubblica amministrazione.
La tesi espressa di recente dal Consiglio di Stato è espressione di un modello di “giustizia nella amministrazione” al quale si contrappone un modello di “giustizia della amministrazione”.
Il primo modello muove dal presupposto che il sistema attuale di Giustizia amministrativa può ben attuarsi anche nell’esercizio della funzione consultiva in un momento propedeutico all’esercizio della funzione pubblica (atteggiandosi come una forma di controllo preventivo di legittimità)[28].
Conclusione di detto assunto è che funzione consultiva e funzione giurisdizionale del Giudica amministrativo di appello sono un unicum inscindibile.
A tale modello di Giustizia amministrativa si contrappone quello di un Giudice amministrativo terzo, estraneo alla pubblica amministrazione, che, in quanto tale, decide controversie nelle quali l’elemento caratterizzante e non meramente eventuale è un contraddittorio tra P.A. e privati in posizione di imparzialità[29].
Non può negarsi che la attività consultiva che indirizza l’Amministrazione nella formazione dell’atto opera in assenza di contraddittorio e spesso, se svolta dallo stesso Organo, è idonea a pregiudicare la definizione dell’assetto degli interessi contrapposti attraverso un processo nel quale la difesa delle parti assurge a valore costituzionale.
Non è casuale che (anche se solo di recente) si avverte la inopportunità di consentire ai medesimi componenti del Consiglio di Stato di far parte contemporaneamente delle Sezioni consultive e di quelle giurisdizionali.
Ma tale esigenza di assicurare la giustizia nei confronti di atti e comportamenti della P.A. in posizione, non soltanto di indipendenza, ma anche di terzietà ed imparzialità si avverte con maggiore forza alla luce del principio costituzionale del giusto processo, sancito con la legge cost. 23 novembre 1999 n. 2, che modifica l’art. 111 della Costituzione.
Dinanzi a norme dal contenuto inequivoco, per cui “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, appare ozioso discutere se dette norme riguardano anche la giurisdizione amministrativa.
Il legislatore costituzionale, a differenza di quanto dispone nei nuovi commi 3, 4 e 5 che esplicitamente si riferiscono al processo penale, ai commi 1 e 2 utilizza indifferentemente il termine giurisdizione con un chiaro rinvio al concetto di giurisdizione sviluppato al titolo IV della Costituzione, che ricomprende agli artt. 103 e 113 anche la Giurisdizione amministrativa come componente essenziale delle garanzie di tutela giurisdizionale[30].
Ciò premesso assume rilievo determinante il secondo comma dell’art. 111 nel nuovo testo, allorchè enuncia il principio che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
Un aspetto essenziale della funzione giurisdizionale è il contraddittorio e cioè la impossibilità di formulare un giudizio sulla legittimità della azione della P.A. a prescindere da un momento dialettico tra le parti coinvolte nella risoluzione di una controversia.
Il formulare un giudizio in sede consultiva in seno ad un procedimento amministrativo sulla base della sola prospettazione delle questioni giuridiche controverse da parte della Pubblica amministrazione si pone, pertanto, in netta antitesi al principo del giusto processo.
Ma di maggiore rilievo è un altro aspetto del principio del “giusto processo”, che è quello della terzietà del Giudice, che non coincide necessariamente con il principio della imparzialità.
Il concetto di terzietà esprime un valore giuridico, anche di carattere organizzativo, per cui la posizione del giudice deve essere equidistante dalle parti (sia essa la P.A. ovvero il privato) e si pone in netta antitesi ad un modello di Giustizia nell’Amministrazione.
Se, infatti, il principio di terzietà assume un valore positivo non può ammettersi la sopravvivenza di un modello nel quale un Organo che opera in seno alla Pubblica Amministrazione (sia pure con le garanzie di indipendenza che l’ordinamento assicura) possa essere Giudice della stessa P.A. (che nel processo amministrativo è parte) ed allo stesso tempo consulente, cioè organo che istituzionalmente, dalla fase della formazione della norma giuridica (secondaria) alla fase della attuazione, ne indirizza la attività.
La terzietà esprime un valore di equidistanza che è idoneo ad incidere sullo status dei Magistrati amministrativi rendendo necessaria la accentuazione di una serie di limitazioni nelle attività svolte in favore delle Pubbliche amministrazioni (consulenza o collaborazione anche a carattere individuale).
Dalle predette considerazioni emergono una serie di conseguenze logiche di immediata operatività sul sistema organizzativo della Giurisdizione amministrativa con la accentuazione della separazione (sebbene a Costituzione invariata) tra le Sezioni che svolgono funzioni consultive da quelle giurisdizionali (principio, peraltro, enunciato nella sopra richiamata sentenza della Corte di Giustizia della Comunità europea), introducendo degli idonei accorgimenti organizzativi[31].
La introduzione del principio del “giusto processo” pone un ostacolo insormontabile alla assimilazione alla funzione giurisdizionale della funzione di decisione del ricorso starordinario.
L’Organo decidente è pur sempre il Governo (nazionale o regionale), in considerazione della necessaria controfirma del decreto decisorio.
Il parere del Consiglio di Stato è un adempimento obbligatorio, ma soltanto parzialmente vincolante.
Non si tiene adeguatamente in considerazione che una decisione difforme da tale parere può essere pronunciata, anche se previa deliberazione del Consiglio dei ministri e richiede adeguata motivazione[32].
Va, a tal proposito, messo in rilievo che la posizione del Governo è indebolita dalla impugnabilità del decreto di decisione del ricorso straordinario “per i vizi di forma e procedimento propri del medesimo” art. 10 u. c. D.P.R. n. 1199 del 1971; impugnazione per la quale sono competenti i Tribunali amministrativi regionali in primo grado ed in grado di appello, in definitiva, lo stesso Consiglio di Stato (in sede giurisdizionale) e cioè lo stesso Organo il cui parere è stato disatteso.
Vi è da chiedersi la compatibilità di tale impugnazione con il principio di terzietà del giudice.
E’ indubbio che il ricorso straordinario trae forza cogente dalla alternatività alla tutela giurisdizionale affidata allo stesso Giudice amministrativo, il quale nel processo non può disattendere le statuizione contenute nel decreto di decisione se idoneo ad assumere un valore pregiudiziale. La rilevanza del rimedio straordinario perde la forza cogente nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice ordinario (come nella ipotesi della giurisdizione in materia di pubblico impiego a seguito del D. L.vo n. 29 del 1993 art. 68 e ss. modif.).
In tali controversie la tutela straordinaria e quella giurisdizionale (quest’ultima non più limitata da termini decadenziali) si articolano non in termini di alternatività bensì di concorrenzialità; e lo stesso valore della decisione del ricorso straordinario appare attenuato sia dalla disapplicabilità da parte del Giudice ordinario, che dalla non vincolatività nei confronti della P.A. che rimanesse soccombente, per la quale l’adempimento costituirebbe una facoltà e non un obbligo; giova, infatti, ricordare che la facoltà di richiede la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 1982, assume una valenza di elemento essenziale per la compatibilità del rimedio straordinario con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 24 e 113 della Costituzione[33].
A ciò si aggiunga che anche l’istruttoria del procedimento è sottoposta al controllo del Consiglio di Stato, il quale, ai sensi dell’art. 13 parte prima del D.P.R. n. 1199 del 1971, se riconosce che l’istruttoria è incompleta o che i fatti affermati nell’atto impugnato sono in contraddizione con i documenti, può richiedere alla Amministrazione riferente nuovi chiarimenti o documenti ovvero ordinare nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi ed a produrre nuovi documenti.
Va, purtuttavia, messo in rilievo che nella fase di adozione del parere dinanzi al Consiglio di Stato non è previsto un contraddittorio diretto che si realizza con la comparizione delle parti dinanzi al “giudice”. Il contraddittorio viene sempre mediato dalla Pubblica Amministrazione riferente.
La disciplina del ricorso straordinario nell’ottica di una sua “giurisdizionalizzazione” entra, pertanto, in conflitto con il nuovo principio costituzionale del “giusto processo” con riguardo:
– alla composizione della sezione consultiva del C.G.A. in relazione alla presenza di componenti che non godono di garanzie di indipendenza;
– alla promiscuità tra funzioni giurisdizionali e consultive;
– alla limitatezza del contraddittorio con riferimento all’esercizio pieno del diritto di difesa;
– alla esclusione di intere categorie di mezzi di prova (che ai sensi dell’art. 35 comma 3 del D.L.vo n. 80 del 1998, nel testo riprodotto dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000 sono proprie del processo amministrativo);
– alla non vincolatività del parere in considerazione di un potere decisorio attribuito al potere esecutivo (sebbene bilanciato da un aggravamento del procedimento).
5 – Il ricorso straordinario e le Regioni.
La Corte costituzionale con la sentenza n.. 298 del 31 dicembre 1986 ha ritenuto che l’istituto del ricorso straordinario non comporta, nel caso di annullamento di atti regionali, violazione dell’autonomia amministrativa delle Regioni, date le garanzie che assistono la decisione del ricorso e data la facoltà delle Regioni di tutelare i propri diritti sia col trasferimento del ricorso in sede giurisdizionale, sia con l’impugnazione del decreto decisorio del ricorso stesso, nei limiti consentiti; pertanto, lo Stato ha il potere di decidere i ricorsi straordinari avverso atti amministrativi regionali[34].
Nel promuove il conflitto di attribuzioni le Regioni muovevano dalla considerazione che il ricorso straordinario fosse un atto rientrante nell’Amministrazione attiva statale e, come tale, non potrebbe riguardare gli atti regionali, considerato che di esso non v’è traccia alcuna in nessuna delle disposizioni che definiscono le competenze amministrative dello Stato nelle materie attribuite alle Regioni ovvero in quelle trasferite o delegate alle stesse.
Come già rilevato, la Corte ha più volte affermato (sentenze n. 31 del 1975, n. 148 del 1982), che “il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un istituto singolare, anomalo, che unisce a spiccati caratteri amministrativi un procedimento contenzioso sui generis finalizzato alla risoluzione non giurisdizionale di un conflitto concernente la legittimità di atti amministrativi definitivi”.
Sulla base dei caratteri appena descritti risulta chiaramente come il ricorso straordinario, se non può essere minimamente assimilato ad atti di tipo giurisdizionale o “paragiurisdizionale”, non può, tuttavia, essere definito neppure come atto di amministrazione attiva.
Ciò anche se la decisione del ricorso è giuridicamente imputabile ad un organo politico-amministrativo, mentre l’intervento del Consiglio di Stato è pur sempre costituito da un parere, che, anche se rappresenta normalmente il contenuto della decisione, è comunque, dal punto di vista giuridico, espressione di una funzione consultiva obbligatoria, ma non vincolante.
Carattere accentuato nel caso in cui gli organi di governo intendano discostarsi dal parere del Consiglio di Stato e adottino in conseguenza un’apposita deliberazione del Consiglio dei Ministri, vale a dire una decisione dell’organo supremo di direzione politico-amministrativa. Tuttavia tanto nella sua forma più comune quanto sotto specie di autotutela (com’è nel caso dell’annullamento d’ufficio del governo a norma dell’art. 6 L. com. e prov.), l’Amministrazione attiva è caratterizzata nella sua essenza dal perseguimento degli specifici fini e dalla soddisfazione dei particolari interessi che la legge attribuisce alle singole Amministrazioni pubbliche.
Nella funzione decisoria del ricorso straordinario ricorre un’attività di pura e semplice applicazione del diritto oggettivo o, comunque, un’attività diretta a soddisfare un interesse generale diverso da quelli attribuiti alle singole Amministrazioni.
Non rientrando il ricorso straordinario tra le forme di amministrazione attiva, è inconferente cercare il fondamento normativo del relativo potere di decisione avverso gli atti amministrativi regionali nelle disposizioni di legge che ripartiscono i compiti di amministrazione attiva fra lo Stato e la Regione, segnatamente nell’art. 118 Cost. in connessione con l’art. 117 Cost. e con gli artt. 4 e 81 del D.P.R. n. 616 del 1977.
Né il ricorso straordinario può esser configurato come un atto di controllo ai sensi dell’art. 125 della Costituzione, mancando, nel caso, ogni possibilità di concepire in generale un rapporto di vigilanza o di supervisione tra l’autorità investita della decisione del ricorso e le autorità di volta in volta emananti l’atto amministrativo dedotto nella controversia.
Ai fini dell’affermazione della compatibilità dell’istituto in questione con l’autonomia amministrativa costituzionalmente attribuita alle Regioni, determinanti sono i mezzi assicurati alle Regioni medesime per tutelare la propria autonomia amministrativa di fronte ad un procedimento statale come quello del ricorso straordinario.
Tra le garanzie a tutela dell’autonomia amministrativa regionale, rilevano infatti i numerosi strumenti legislativi e giurisprudenziali che, in definitiva, hanno pienamente legittimato il ricorso straordinario sotto tale profilo garantendo:
– una sostanziale volontarietà dell’accettazione di tale rimedio, non solo da parte degli interessati, ma anche da parte dei controinteressati, compresa l’autorità non statale che abbia emanato l’atto impugnato;
– la possibilità giuridica, per questi ultimi, di porre riparo agli eventuali vizi di legittimità mediante gli ordinari mezzi di impugnazione.
Le Regioni, inoltre, partecipano al momento decisorio nella fase istruttoria.
A tal proposito la Corte costituzionale, nel dichiarare la competenza dello Stato ad essere titolare delle attività istruttorie relative ai ricorsi straordinari (sentenza n. 31 del 1975), ha espressamente ammesso la possibilità, quando se ne dia il caso, della più piena collaborazione alle predette attività da parte delle Regioni interessate.
Quando ad essere impugnato è un atto amministrativo regionale, l’unica via che si apre al ministero competente per compiere l’istruttoria è, infatti, quella di sollecitarla all’Amministrazione regionale che ha emanato l’atto, chiedendo a questa la documentazione necessaria, le notizie rilevanti e le deduzioni del caso. Inoltre, va pur detto che nei suoi più recenti pareri lo stesso Consiglio di Stato ha ammesso la possibilità per le Regioni di accedere direttamente alla funzione consultiva del Consiglio medesimo chiedendo pareri spontaneamente e senza l’intermediazione altrui.
Come si è già ricordato, ancora la Corte cost., nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 del D.P.R. n. 1199 del 1971 nella parte in cui ometteva di considerare gli Enti pubblici non statali fra i titolari della facoltà di trasposizione del ricorso straordinario nella sede giurisdizionale (sentenza n. 148 del 1982), ha equiparato ai controinteressati, sotto questo profilo, anche le Regioni che hanno emanato l’atto impugnato. In quarto luogo, l’art. 10 del D.P.R. n. 1199 del 1971, in conformità del resto con una precedente pronunzia della stessa Corte (sentenza n. 1 del 1964), ha previsto che i controinteressati, e quindi anche la Regione che abbia emanato l’atto impugnato, possano attivare i comuni mezzi di gravame (seppure per i soli errores in procedendo) contro la decisione del ricorso straordinario.
Infine, l’art. 13 del D.P.R. n. 1199 del 1971 fa comunque salvi anche in caso di accoglimento del ricorso straordinario gli ulteriori provvedimenti, compresa la mera modifica dell’atto impugnato, che le Amministrazioni pubbliche competenti, statali o regionali che siano, intendano adottare.
Da tutto ciò risulta che – in parte per via legislativa, in parte per via pretoria – si è venuto creando un sistema positivo che, pur se conserva la titolarità della decisione del ricorso straordinario allo Stato e, in particolare, al Governo, lascia tuttavia alla Regione, quando oggetto dello stesso ricorso siano atti amministrativi regionali, la piena padronanza degli interessi e degli strumenti di tutela collegati all’autonomia amministrativa che l’art. 118 Cost. le garantisce.
Pertanto, la sfera di attribuzione costituzionalmente assegnata alle Regioni non può ritenersi lesa dalla spettanza allo Stato del potere di decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica avverso atti amministrativi regionali.
6 – Il ricorso straordinario e la funzione consultiva del Consiglio di Stato nella prospettiva di una riforma in senso federale della Repubblica.
Il mantenimento del ricorso straordinario e della funzione consultiva del Consiglio di Stato nella prospettiva di una riforma in senso federale della Repubblica si presenta, purtuttavia, problematico.
Il recente disegno di legge costituzionale approvato dal Camera dei Deputati (Atto Senato n. 4809) all’art. 117 comma 2 lett. L continua a riservare allo Stato la competenza legislativa inerente la giurisdizione (ivi espressamente compresa quella amministrativa).
Non sono state accolte le proposte di alcune Regioni (formalizzate in disegni di legge costituzionale) che attribuivano la funzione legislativa in tema di giustizia amministrativa locale alle stesse Regioni[35].
Il nuovo riparto della competenza legislativa si adegua al principio opposto rispetto alla Costituzione vigente, per cui la competenza statale è quella espressamente elencata all’art. 117 comma 2, mentre quella regionale comma 4 è attribuita ” in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Anche nella materia amministrativa, in applicazione del principio di sussidiarietà, le funzioni sono attribuite a gli Enti locali.
La funzione del Governo nazionale nelle materie di competenza delle altre articolazioni della Repubblica trova una forte limitazione all’art. 120 comma 2, in quanto il potere di intervento anche in via sostitutiva è correlato non ad un mero parametro di salvaguardia della legalità nell’azione della Pubblica amministrazione bensì al verificarsi delle seguenti condizioni:
– mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa comunitaria;
– pericolo grave per la incolumità e la sicurezza pubblica;
– tutela dell’unità giuridica e dell’unità economica;
– tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.
In tale contesto di tassatività dei poteri esercitabili dal Governo centrale nei confronti dei Governi locali è lecito dubitare sulla conservazione della portata generale del rimedio del ricorso straordinaria al Capo dello Stato, che sopravvivrebbe soltanto come rimedio nei confronti degli atti di competenza statale.
Rimanendo inalterato il ruolo del Consiglio di Stato nella duplice veste di consulente e giudice, l’estensione in sede regionale della funzione decisoria dei ricorsi straordinari presuppone (senza la necessità di una riforma costituzionale) una articolazione su base decentrata del Consiglio stesso (quantomeno con riguardo alle sezioni consultive) con la partecipazione di una componente “laica” di nomina regionale[36].
Nel rispetto del principio di terzietà del giudice, di dette Sezioni non dovrebbero far parte magistrati delle sezioni giurisdizionali ed in caso di passaggio tra sezioni si dovrebbe garantire un periodo di servizio in sedi diverse. Quest’ultimo assetto organizzativo della funzione consultiva risponderebbe alla futura ripartizione delle competenze tra Regioni e Stato, qualora le prime divenissero le titolari esclusive della funzione legislativa in via generale.
[1] Consigliere del Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, Sezione staccata di Catania
[2] Intervento programmato svolto nel corso del Convegno di Studi sul tema “La Giustizia amministrativa tra nuovo modello regionale e modello federale” tenutosi a Palermo 30 – 31 ottobre 2000.
[3] Sull’istituto del ricorso straordinario al presidente della Regione, De Roberto, Il Ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana nel Volume La Giustizia amministrativa in Sicilia Milano 1976 pag. 207, Virga Diritto Amministrativo vol II pag. 217 e ss.
[4] S. Buscema, L’art. 23 dello Statuto speciale della Regione siciliana – peculiarità rispetto alle altre regioni, S.Cilia, Il decentramento della funzione consultiva, Atti del Convegno di studi “Cinquant’anni di Corte dei Conti in Sicilia” Palermo 12 – 13 Marzo 1999.
[5] A seguito della approvazione della legge costituzionale (disegno di legge cost. atto Camera n. 168D approvato in via definitiva nella seduta della Camera dei Deputati del 25 Ottobre 2000), che modifica lo Statuto speciale (artt. 9 e 10), la posizione del Presidente della Regione viene decisamente rafforzata in quanto si introducono:
– l’elezione diretta del Presidente della Regione;
– la attribuzione al Presidente stesso della nomina e revoca del Vicepresidente e degli Assessori;
– la cessazione dalla carica di Presidente a seguito di mozione di sfiducia votata dalla maggioranza assoluta dei componenti dell’Assemblea regionale (che comporta anche lo scioglimento della stessa).
[6] La recente legge reg. 15 maggio 2000 n. 10 ha esteso in Sicilia, e segnatamente all’Amministrazione regionale, i principi in tema di separazione delle funzioni di indirizzo, che continuano ad essere affidate agli organi di Governo, da quelle di gestione affidate a due fasce dirigenziali (art.2).
[7] Al consiglio è assegnato con funzioni di aggiunto un secondo presidente di sezione del Consiglio di Stato.
[8] Basti pensare che i prefetti possono essere sostituiti dal Ministro dell’Interno in ogni momento e che i componenti laici possono continuare a svolgere attività professionali sia di consulenza che di difesa in giudizio senza limitazioni, che sono previste, invece, per i componenti laici della seziona giurisdizionale (con il divieto di svolgere difese nei giudizi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa).
[9] C.G.A SS.RR. 15 maggio 1994 n. 59/94, 19 luglio 1993 n. 323/93, 13 dicembre 1993 n. 584/93.
[10] T.A.R. Palermo sez. 2^ 12 ottobre 1989 n. 604.
[11] E’ venuta così meno la problematica relativa all’estensione del sindacato della Corte dei Conti sul decreto con riferimento al contenuto del parere del Consiglio di Stato si veda Corte dei Conti sez. contr. 18 febbraio 1988 n. 1895 che ammette il sindacato esteso a tutti gli aspetti dell’atto ivi compresi quelli oggetto del parere del Consiglio di Stato).
[12] In termini TAR Palermo sez. 2^ 12 ottobre 1989 n. 604.
[13] La Corte costituzionale, con sentenza 13-21 aprile 1989, n. 229 (Gazz. Uff. 26 aprile 1989, n. 17 – Serie speciale), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, terzo comma, lettera p), nella parte in cui prevede l’adozione da parte del Consiglio dei Ministri delle determinazioni concernenti l’annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome.
[14] L’art. 17 comma 28 della legge n. 127 del 1997 ha istituito la sezione consultiva per gli atti normativi competente per l’esame degli atti normativi dell’Unione europea.
[15] C.G.A. sez. cons. 20 maggio 1997 n. 247.
[16] V. Uccellatore, Discorso di insediamento alla carica di Presidente del Consiglio di Stato (25 novembre 1976), il quale rilevò che “un adeguamento anche parziale della funzione di consulenza diretta del Consiglio di Stato in favore delle Regioni riuscirebbe certamente assai utile per prevenire parecchi conflitti fra Stato e Regioni e fra le Regioni stesse “.
[17] Iniziata con i D.P.R. 14 e 15 gennaio 1979 nn. da 1 a 11, la legge 22 luglio 1975, n. 382 il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e proseguita sino al revente d. l.vo 31 marzo 1998 n. 112.
[18] G. Santaniello, La funzione consultiva del Consiglio di Stato e le Regioni (prospettive di sviluppo), in La funzione consultiva del Consiglio di Stato Studi in onore di Guido Landi, Milano 1985.
[19] Consiglio di Stato sez. 2^ n. 1028 del 22/7/92.
[20] Consiglio di Stato sez. 2^ n. 506 del 29 ottobre 1980; e ciò a differenza delle materie oggetto di semplice delega dello Stato alle Regioni, per cui si è ritenuto che la delega operata dallo Stato alle regioni (ad es. in materia di autorizzazione agli acquisti delle persone giuridiche private) non ha fatto venir meno la necessità del parere del Consiglio di Stato (Consiglio Stato sez. I, 19 ottobre 1979 n. 341).
[21] La Corte dei conti ha ritenuto che il conferimento di incarichi di consulenza esterna ha carattere eccezionale ed è subordinato all’impossibilità del ricorso alla struttura interna, alla complessità delle problematiche da risolvere richiedenti esperienze eccedenti le normali competenze degli impiegati, al carattere non continuativo della attività; ne consegue che sussiste la responsabilità amministrativa nei confronti dell’amministratore straordinario di Usl che abbia conferito un incarico ad un legale per sostenere la difesa in sede di ricorso straordinario al presidente della regione siciliana, posto che non è richiesto dalla legge alcun intervento da parte dell’amministrazione intimata, tenuta unicamente a depositare una relazione esplicativa della vicenda ( C.Conti reg. Sicilia sez. giurisd., 9 aprile 1996, n. 78 in Riv. corte conti 1996,fasc. 3, 137)
[22] Si esclude prevalentemente un sindacato giurisdizionale sul contenuto decisorio riferibile al parere del Consiglio di Stato (quantomeno con riguardo alle parti che hanno omesso di richiedere la trasposizione in sede giurisdizionale) Cons. Ad. plen. 10.6.1980 n. 12, Corte cost. ord. n. 856 del 1988
[23] Conseguenza è la inammissibilità del ricorso per ottemperanza ai sensi dell’art. 27 T.U. 27 giugno 1924 n. 1054 e 37 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (Cons. Stato VI 27 maggio 1964 n. 440, TAR Sicilia Catania 8 .4.1983 n. 302, in ordine alla insussistenza dell’effetto del giudicato Cass. n. 2992 del 1968.
[24] Consiglio di Stato parere sez. 1^ 19 maggio 1999 n. 650/99, contra tra le tante C.G.A. 21.1.1992 n. 568/91 con la seguente testuale motivazione “eccezioni di illegittimità costituzionale non possono essere sollevate in sede di ricorso straordinario, non avendo il relativo procedimento natura giurisdizionale”; sul tema Daniele, Proponibilità di questioni di costituzionalità delle leggi in sededi ricorso straordinario, in Studi in onore di G. Landi, Milano 1985. La natura giurisdizionale della funzione esercitata è stata, peraltro, valutata in termini meno rigorosi dalla Corte costituzionale che ha ammesso l’incidente di costituzionalità anche nel corso di funzioni non giurisdizionali ma qualificate paragiurisdizionali come per esempio nella attività della Corte dei Conti in sede di giudizio di parificazione Corte cost. 2.7.1966 n. 83, 19.12.1966 n. 121, ovvero in sede di controllo sugli atti Corte cost. 18.11.1976 n. 226.
[25] Consiglio di Stato sez. 2^ n. 1366 – 11 giugno 1997.
[26] Cons. Stato, A.G., 29 maggio 1997 n. 72.
[27] Corte CEE V Sez. 16 ottobre 1997, nelle cause riunite da C-69/96 a C-79/96.
[28] Quaranta, Funzione consultiva e funzione giurisdizionale del Consiglio di Stato – un nodo da sciogliere, in Il Consiglio di Stato 1998 parte II p. 279 e audizione in sede di Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (Comitato sistema delle garanzie seduta n. 21 del 1997) del Presidente dell’Associazione del Consiglio di Stato F. Patroni Griffi.
[29] Audizione in sede di Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (Comitato sistema delle garanzie seduta n. 21 del 1997) del Presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi G. Caruso.
[30] Sul principio del giusto processo nella giurisdizione amministrativa si veda Picozza, Il “giusto” processo amministrativo, in Il Consiglio di Stato 2000 parte II pag. 1062, L. Sandulli Relazione dal titolo “Terzietà ed indipendenza” svolta al Convegno di Venezia del 6 – 7 ottobre 2000 sul tema del Giusto processo (inedita).
[31] La applicazione del principio di terzietà avrebbe effetti anche sulla sopravvivenza di istituti quali l’Adunanza generale del Consiglio di Stato per la presenza di tutti i Magistrati, sia che appartengono alle Sezioni consultive che a quelle giurisdizionali, ovvero delle Sezioni riunite del Consiglio di Giustizia amministrativa in Sicilia per le medesime ragioni.
Giova ricordare che il testo di riforma elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme costituzionali all’art. 113 comma 1 manteneva soltanto la funzione consultiva del Consiglio di Stato, attribuendo la funzione giurisdizionale ad un organo di nuova creazione denominato Corte di Giustizia amministrativa art. 119 comma 1, si vedano Atti della XIII Legislatura Documenti esaminati nel corso della seduta n. 71 del 4 novembre 1997 e Relazione sul sistema delle garanzie atto Camera 3931A – 2583A.
[32] Nè si può fare leva sulla osservazione che tale potere è stato raramente esercitato e la deliberazione del Consiglio dei ministri, peraltro, implicando la responsabilità politica del Governo, riconduce la determinazione al rapporto fiduciario Governo Parlamento, secondo un modello non dissimile da quello previsto dall’art. 25 della L. 10 ottobre 1990 n. 287.
[33] Si veda per la problematica della compatibilità tra ricorso straordinario e devoluzione della controversie di pubblico impiego al Giudice ordinario il parere del Consiglio di Stato ad. gen. n. 9/99 del 10 giugno 1999, che contiene interessanti novità giurisprudenziali in tema di qualificazione dell’atto amministrativo (che ricomprenderebbe anche gli atti negoziali della P.A.) e la esperibilità delle domande di mero accertamento in sede di ricorso straordinario.
[34] Sulla legittimità del ricorso straordinario e sui suoi caratteri, cfr. sentt. 2 luglio 1966 n. 78, 20-25 febbraio 1975 n. 31 e 9-29 luglio 1982 n. 148
[35] Si vedano le iniziative di disegni di legge costituzionale (presentati nel corso dell XIII legislatura) dei Consigli regionali della Toscana (atto Senato n. 1699), del Piemonte (atto Camera 3026), del Veneto (atto Camera 3028), della Liguria (atto Camera 3034), tendenti peraltro a separare la funzione consultiva da quella giurisdizionale, mantenendo al Consiglio di Stato la prima ed attribuendo la seconda ad Organi giurisdizionale di nuova costituzione.
[36] Con legge ordinaria (L. n. 19 del 1994) si è operato il decentramento delle funzioni giurisdizionali della Corte dei Conti a livello regionale, ancorchè non previsto dalla Costituzione.
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