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La lavoratrice madre o in stato di gravidanza non può essere licenziata se non in presenza di grave giusta causa. Il divieto di licenziamento entra in vigore dall’inizio della gravidanza e si protrae fino al compimento di un anno di età del bambino. In assenza di giusta causa, anche quando sussiste un giustificato motivo per colpa del lavoratore, il licenziamento è nullo. Lo ha confermato la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 2004/2017, pubblicata ieri.
Vediamo allora in quali casi la lavoratrice in stato di gravidanza può essere licenziata.
Lavoratrici madri: il divieto di licenziamento
In linea generale, la legge prevede che le lavoratrici a tempo indeterminato non possano essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino a quando il bambino non compia un anno di età. La data di inizio della gestazione è fissata a 300 giorni prima della data del parto indicata nel certificato di gravidanza.
Come stabilito dall’Art. 54 del D.Lgs n. 151/2001, il licenziamento intimato alla lavoratrice durante tale periodo è nullo e la donna va reinserita in azienda.
Non è inoltre possibile licenziare il padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità: anche in questo caso, il periodo protetto si estende fino al compimento di un anno di età del bambino.
Quando si può licenziare la lavoratrice?
Lo stesso Art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001, tuttavia, prevede un’eccezione al divieto di licenziamento.
La lavoratrice madre o in stato di gravidanza può essere infatti licenziata per motivi disciplinari, anche quando sia stata assunta a tempo indeterminato, in caso di colpa grave “costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Ma vediamo di fare chiarezza.
La giusta causa e il giustificato motivo
La giusta causa si riferisce, in ambito lavorativo, esclusivamente a una serie di gravissimi inadempimenti del dipendente che compromettono il rapporto con l’azienda a un tale livello da “giustificare”, per l’appunto, il licenziamento in tronco.
Tra questi, si possono identificare certamente il falso infortunio e la falsa malattia, la falsa timbratura del cartellino, l’insubordinazione e le minacce e la sottrazione di beni all’azienda.
Non tutti gli inadempimenti disciplinari, tuttavia, sono talmente gravi da permettere un licenziamento per giusta causa. Si parla quindi di giustificato motivo quando la condotta del dipendente è grave ma non tanto da giustificare un licenziamento senza preavviso.
Le madri non possono essere licenziate per giustificato motivo
La sentenza della Cassazione pubblicata ieri interviene proprio a chiarire questo punto: la donna in gravidanza o madre fino al compimento di un anno di vita del bambino non può essere licenziata per giustificato motivo, ma solo per giusta causa.
Si legge infatti nella sentenza che il licenziamento della lavoratrice madre è da considerarsi nullo quando ricorra il solo giustificato motivo soggettivo o quando si presenti “una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva”.
È invece necessario verificare caso per caso se sussista una colpa grave della dipendente che giustifichi il licenziamento in tronco. Non solo: l’indagine deve estendersi “ad un’ampia ricostruzione fattuale del caso concreto e alla considerazione della vicenda espulsiva nella pluralità dei suoi diversi componenti”.
In tutti gli altri casi, la lavoratrice madre non può essere licenziata.
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