La legge e l’organizzazione dello stato: la teoria del diritto e del bene giuridico tra dottrina socio-politica e funzione legislativa

La storia dell’uomo insegna che nessuno sarebbe, in realtà, interessato a rispettare la norma né potrebbe rispettarla: nessuno (o soltanto qualcuno) crederebbe che la norma sia sufficiente a garantire una migliore convivenza.

Si potrebbe, secondo tale visione, dubitare persino dell’autorità della norma fino a poterne fare a meno, passando quindi da una impostazione scettica ad una anarchica.

Sotto un profilo educativo, la legge dovrebbe costituire l’ipotesi estrema cui ricorrere per dirimere le controversie interpersonali, specialmente in ambiti affettivi in cui quindi la priorità dovrebbe spettare ai profili morali-solidaristici. In tal senso, si realizzerebbe l’idea-ideale di una giustizia senza norme.

La storia dell’umanità e della civiltà insegna, però, che l’esistenza della legge si rivela fondamentale e catalizzatrice allorché buon senso, civiltà, rispetto e principi etici vengano meno o diventino interpretabili in via discrezionale.

La legge diviene, così, lo specchio della realtà storica vivente ed il pilastro di nuove dimensioni: dovrebbe, cioè, costituire il principio di forza di un progetto che miri al raggiungimento di obiettivi ed interessi etici mediante il rispetto di regole anche non scritte.

La legge quindi in chiave etica: il sentire etico agevola, peraltro, la comprensione del valore della legge.

La vera legalità è di tipo psicologico ovvero ha inizio nella propria idea di condotta: il sentire legale deve, cioè, fondarsi sulla coscienza e convinzione che le leggi devono essere rispettate in quanto utili e necessarie alla convivenza democratica e non soltanto per timore della sanzione legale.

Quando si parla di legalità, pertanto, deve intendersi il rispetto delle regole e non soltanto o non esclusivamente delle norme: ciò è funzionale ed essenziale al mantenimento delle relazioni sociali.

La vera giustizia, infatti, richiama la necessità di porre in essere comportamenti (eticamente) equi e (giuridicamente) non invasivi dell’altrui sfera soggettiva, pena l’adozione di un trattamento normativo adeguato ed univoco all’altrui condotta.

In tal modo, la norma definisce il comportamento e quest’ultimo trova la norma.

E’ errato, pertanto, considerare l’Autorità in contrasto con i principi di libertà e di diritto: un’Autorità ben definita ed imparziale è la condizione preliminare per l’attuazione, quantomeno giurisdizionale, dei medesimi principi.

Oltre ogni impostazione di qualsiasi natura, la norma sarebbe, comunque, essenziale perché essenziale è il contenimento delle condotte soggettive: la norma, però, deve, se e per quanto possibile, condurre all’autonomia in termini di libertà e di scelta. In tal senso, considerato che la ragion d’essere di una norma risiede negli obiettivi che essa intende perseguire, può sostenersi che, tra i presupposti per la qualificazione di una regola come “sana”, è che essa conferisca conseguenze positive per la generalità.

In mancanza, la norma presenterebbe una struttura immotivata, imprecisa ed imperfetta tale da quasi legittimare la disgregazione e la disapplicazione della norma medesima. Ciò in quanto una norma emanata, entrando a far parte automaticamente di un ordinamento, diviene più di una norma ovvero un principio e, contestualmente, in quanto tale però, non va estremizzato: i principi, onde poter essere introdotti e legalmente riconosciuti, sono, infatti, sottoposti al giudizio di meritevolezza secondo il pre-costituito ordinamento.

Un ordinamento composto da norme valide deve, quindi, assicurare l’applicazione retta delle norme stesse: infatti, l’applicazione effettiva ed autentica delle norme, posta in pericolo dalla difesa incondizionata di qualsiasi condotta, sublima il diritto, l’ordinamento, la giustizia, lo Stato. La legge è, in tal senso, pensiero, forma e sostanza.

Chi osserva la legge, controlla i suoi pensieri (Siracide, 21,11): soltanto la tolleranza, tuttavia, garantirebbe l’esercizio del diritto e la ricerca della verità (Sciascia).

Così fondata la sovranità di un ordinamento generale universale, ne scaturisce il potere del diritto. La norma intesa geograficamente si articola, così, in norma locale, regionale, nazionale, europea ed internazionale, anche in forma di sussidiarietà e di autogoverno territoriale. Dal comando operato dalla norma si giunge, così, al comando del soggetto, in termini di obblighi di condotta e diritti.

In termini socio-politici, la legge costituisce il parametro prioritario per valutare la gerarchia dei valori collettivi, il progresso o la decadenza della società: non può, perciò, essere stabilita su influsso emotivo o passionale e deve, altresì, consentire e non impedire l’instaurazione delle relazioni.

E’ teorizzabile, pertanto, il blocco, almeno temporaneo, della funzione legislativa, qualificata persino illegittima, tutte le volte in cui la medesima funzione diventi mero servizio, in senso meccanicistico, e la norma si riveli non utile, non necessaria o non urgente.

L’uso della norma a fini di promozione (elevazione) a diritto è da ritenersi ammesso se il bene da proteggere sia caratterizzato da essenzialità, specialità, unicità, semplicità e completezza, senso di verità. Ogni altra situazione può assurgere a mero interesse o, negli altri casi non meritevoli, privazione di difesa giuridica.

Un bene di natura primaria è, cioè, qualificabile bene di valore superiore e legittima ogni mezzo per la realizzazione del fine in sé ma non può aprire la via alla legittimazione del mezzo in sé, isolatamente.

Vanno, pertanto, sempre tenuti in considerazione le figure, gli istituti, i fenomeni, la vera natura della forma e della sostanza ovvero tutte le “atmosfere” del diritto.

E’ indispensabile, all’uopo, l’adozione di precisi criteri di redazione della norma, sul piano estetico e di contenuto: alla regola primitiva di garantire l’organizzazione e la convivenza pacifica della collettività, si integra, così, il c.d. primo dovere che non è regolare bensì garantire il profilo applicativo delle norme, oltre alla loro giustizia.

E’, quindi, necessario curare il “modo” della norma, sul piano ingegneristico e socio-psicologico, e valutarne, altresì, i presupposti motivazionali in modo da far coincidere, sul piano applicativo, i criteri iniziali di redazione con quelli finali.

Sul piano linguistico, i criteri di redazione della disposizioni devono essere ispirati, principalmente, a semplicità (sinteticità, brevità) espositiva, precisione (formula chiusa), univocità e chiarezza di contenuto. Non vanno, quindi, inclusi incisi complessi o non involuti, aggettivi o avverbi che nulla aggiungono all’imperatività della disposizione ed è preferibile interrompere il periodo con il punto.

In sintesi, nella norma vanno definiti gli elementi principali della fattispecie (soggetto, predicato verbale ed oggetto) e quelli delimitanti (presupposti, condizioni o deroghe), assicurando omogeneità e coerenza terminologica.

Può essere, comunque, definito debole quello Stato che ha soltanto la legge quale mezzo, risorsa, energia sociale e non può fare affidamento a forme alternative o eticamente basilari, quali l’educazione al rispetto civico dell’altro e della legge.

 

 

Alessandro M. Basso

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1972.

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L. Ferrajoli, Teoria assiomatica del diritto, Milano, 1970.

D. D. Friedman, L’ordine del diritto, p. 31 e ss., Bologna, 2004.

Prof. Avv. Basso Alessandro Michele

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