Damiana Rusconi Un po’ in sordina forse, è stata approvata la legge n.154/2001 che, grazie ad alcune modifiche del codice civile e di procedura civile e penale, risponde ad un’esigenza fondamentale di protezione delle vittime dei cd. “maltrattamenti familiari”; Sino ad oggi, infatti, non vi erano strumenti specifici (quando le esigenze cautelari non giustificassero la custodia in carcere) per evitare che, nelle more del procedimento penale, l’indagato per delitti commessi contro i componenti del nucleo familiare protraesse la propria condotta criminosa, magari intimidendo le vittime degli abusi. Per sopperire a ciò la giurisprudenza ricorreva all’articolo 283 c.p.p. che disciplina la misura del divieto e obbligo di dimora, adattandone l’applicazione di volta in volta alle specifiche necessità del caso. Come si vedrà in seguito, la legge 154 va oltre, prevedendo, in aggiunta al c.d. “allontanamento familiare” anche la possibilità di attribuire coattivamente alle persone offese, in particolari condizioni, una parte del reddito dell’imputato; Il disposto normativo, non semplice, si articola in due ambiti previsionali, che concernono da una parte l’introduzione di una nuova forma di misura cautelare personale con gli artt. 291 2°bis e 282 bis c.p.p, e dall’altra alcuni poteri assegnati al giudice civile, in presenza di situazioni di crisi familiare (artt. 342 bis c.c. e 736 c.pc.). Il risultato è una tutela che, almeno in via teorica, si sviluppa parallelamente e con risultati molto simili in sede civile e penale. L’allontanamento dalla casa familiare. L’articolo 1 lg.154/2001 si occupa delle modifiche al codice di procedura penale; Il nuovo art. 282 bis c.p.p prevede che:
Il comma 4 precisa poi che l’ordine di pagamento ha efficacia fintanto che perdura l’allontanamento disposto dal giudice, stabilendo così una connessione causale e funzionale fra le due previsioni. L’ordine di pagamento viene altresì meno quando sopravvenga l’ordinanza di cui al 708 c.c. con la quale il Presidente del Tribunale in sede di separazione dà i provvedimenti urgenti nell’interesse dei coniugi. Un analogo potere è previsto dall’art. 2 che introduce nel libro I del Codice Civile il titolo IX bis e gli artt. 342 bis e ter, il quale prevede che, quando la condotta del coniuge a di altro convivente sia “causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà” dell’altro coniuge, il giudice può con decreto ordinare la cessazione della condotta e disporre l’allontanamento dalla casa familiare. Inoltre il giudice può disporre l’intervento dei servizi sociali del territorio, dei centri di mediazione familiare e ordinare il pagamento dell’assegno quando, per effetto del provvedimento medesimo il coniuge sia privo di mezzi adeguati. Si tratta di una misura cautelare tipica, che se non prorogata non può non può avere durata superiore a sei mesi. Come si può vedere, le ipotesi di allontanamento familiare descritte sono predisposte secondo un ordine crescente di gravità dei comportamenti messi in atto: quando la condotta sia pregiudizievole ai diritti di libertà dell’offeso, ma non si tratti di delitto perseguibile d’ufficio e/o non sussistano in genere le esigenze per l’applicazione delle misure cautelari personali, il soggetto offeso potrà ricorrere alla tutela fornita dal giudice civile con gli ordini di protezione, mentre spetterà al P.M. richiedere la misura cautelare ex art. 282 bis c.p.p.. L’assegno provvisorio L’ordine di pagamento dell’assegno, è per quanto si è detto, la vera novità della disposizione legislativa. Infatti, il ricorso all’applicazione del divieto di soggiorno non aveva potuto impedire che i familiari dell’imputato che dipendevano dal reddito di quest’ultimo venissero a soffrire per la mancanza di sostegno economico proprio a causa della misura cautelare disposta. Era questo un problema annoso, che gli sforzi ermeneutici degli operatori del diritto non erano riusciti a risolvere, poiché il tentativo di utilizzare a questo scopo il provvedimento cautelare atipico ex art. 700 c.p.c. non ha trovato consensi unanimi ed è stato respinto da molti Tribunali: es.”I provvedimenti temporanei ed urgenti che il presidente del tribunale o il giudice istruttore può adottare nell’ambito del procedimento di separazione personale dei coniugi, ai sensi dell’art. 708 c.p.c. nell’interesse dei coniugi e della prole, pur essendo privi del requisito della strumentalità, rivestono finalità cautelari e rappresentano lo strumento normativamente previsto per assicurare con urgenza il soddisfacimento delle esigenze di tutela che emergono nella fase iniziale della crisi dei rapporti coniugali. Di conseguenza, è inammissibile, nell’ambito del procedimento per separazione peronale dei coniugi, il ricorso alla tutela d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. stante il carattere residuale di quest’ultima” ( Trib. Taranto 8/3/99 Fam. E Dir. 1999, 376, nota di Carratta). Perciò in mancanza di altri e più adeguati strumenti, il ricorrente in sede di separazione o divorzio non poteva far altro che richiedere il sequestro dei beni ancora in possesso dell’altro coniuge per prevenire la dilapidazione del patrimonio in comune e, nelle situazioni più gravi presentare querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p..(Si deve rilevare, purtroppo, un aumento costante nei procedimenti di separazione del ricorso alla querela penale, dovuto spesso più alla ricerca spregiudicata di posizioni di vantaggio nei confronti dell’altro coniuge che a comportamenti realmente delittuosi). Se la legge 154 nasce per risolvere questi problemi, è da dire però che la dizione della norma suscita anche perplessità: infatti, il giudice potrà disporre l’ordine di pagamento in sede penale come civile soltanto se sia stato disposto anche l’allontanamento dalla casa familiare; Ma cosa accadrà nell’ipotesi, tutt’altro che infrequente, che sia stato il coniuge offeso ad abbandonare l’abitazione domestica ? Se la ratio dalla norma è, non decidere a quale dei coniugi spetti in via cautelare l’abitazione, ma soltanto evitare che la coabitazione possa produrre danni irreparabili, allora non sarebbe ammissibile un provvedimento di allontanamento in base a tali presupposti. Altro dubbio riguarda, più specificatamente, l’ambito di applicazione dell’art. 282 bis c.p.p.; L’art. 291 comma 2 bis, come modificato dalla legge 154, recita: “In casi di necessità ed urgenza il P.M. può chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa l’applicazione delle misure patrimoniali di cui al 282 bis c.p.p.. Il provvedimento perde efficacia quando la misura cautelare sia successivamente revocata”. Una prima interpretazione ritiene che il legislatore abbia voluto rendere possibile in tal modo l’ordine di pagamento dell’assegno provvisorio anche quando sia stata disposta altra misura cautelare personale che abbia privato i congiunti del sottoposto dei mezzi di sussistenza. Solo che, la norma così interpretata, risulta incomprensibile; Le altre misure cautelari sono, come noto: il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione all’autorità giudiziaria, il divieto e l’obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere o in luogo di cura . Residuano poi le c.d. misure interdittive. Ebbene, non si comprende in che modo l’applicazione dei summenzionati provvedimenti possa di per sè comportare una diminuzione patrimoniale ai familiari conviventi dell’imputato (ad eccezione della custodia cautelare, ma in questo caso il problema è in radice differente), tale da giustificare l’ordine di pagamento emesso dal giudice. Infatti, escludendo l’ipotesi che l’imputato si sia allontantato da casa volontariamente (ed in questa ipotesi si applicherà l’art.282 bis c.p.p. o gli ordini di protezione di cui al 342 bis e ter c.c.) in ogni altro caso non vi sono presupposti per un assegno disposto dall’autorità giudiziaria . Ed allora quale significato è da attribuirisi alla formula dell’art 291 comma 2 bis c.p.p.? In verità non vi sono certezze: la legislazione è troppo recente e non si sono formate correnti interpretative. Tuttavia si può forse attribuire un altro senso al disposto dell’art.291, se non altro per alimentare il dibattito sul tema: L’art. 291 c.p.p. definisce le condizioni generali di applicazione delle misure cautelari; il primo ed il secondo comma prevedono rispettivamente che “ le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate”. “Se riconosce la propria incompetenza…. il giudice, quando ne ricorrono le condizioni e sussiste l’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art.274, dispone la misura richiesta con lo stesso provvedimento con il quale dichiara la propria incompetenza….”. L’innesto a questo punto del comma 2 bis potrebbe significare che in situazioni di urgenza il p.m. possa richiedere ed ottenere dal giudice, benchè incompetente, anche i provvedimenti patrimoniali di cui al 282 bis; l’aggiunta era resa necessaria dal riferimento nel comma 2 unicamente alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p., al cui soddisfacimento doveva ricollegarsi la situazione d’urgenza. Nel significato così attribuito al comma 2 bis i “casi di necessità e d’urgenza” potrebbero avere riguardo solo alle condizioni economiche delle persone offese che, altrimenti, per effetto del provvedimento dispositivo dell’allontanamento ex. Art.282 bis da parte del giudice incompetente perderebbero subito i mezzi di sussistenza, in attesa di ottenere poi dal giudice competente l’ordine di pagamento dell’assegno periodico. Le incertezze sulla legge 154 non finiscono con quest’analisi che non approfondisce aspetti non meno interessanti, quali ad esempio la possibile duplicazione fra i provvedimenti presi dal giudice in sede penale e quelli ex art. 342 bis e ter c.c., l’intervento dei centri di mediazione familiare, o infine il nuovo modello procedurale fissato dall’art. 736 bis c.p.c. per l’emissione dei provvedimenti di protezione; Al pari di qualsiasi altra legge, anche la n.154/2001 presenta lati oscuri, meritevoli di studi più approfonditi e se necessario di aggiustamenti e modifiche; tuttavia le perplessità ed i dubbi degli operati non possono sminuire l’importanza che questa disciplina riveste, nell’ottica generale di una politica del diritto che deve avere sempre più come obbiettivo l’adeguamento degli strumenti di tutela alle istanze e bisogni della società contemporanea. |
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