La legge sulla “competività” 2009 – modifiche alla L. 241/90 – conseguenze sul regime di responsabilità dei dirigenti pubblici

Gurrieri Aldo 19/11/09
La “legge sulla competività” 2009 (Legge n. 69 entrata in vigore il 04/07/09) ha apportato semplificazioni alla disciplina generale del procedimento amministrativo, principalmente al fine di garantirne la celerità nonché la certezza dei tempi di svolgimento.
Con tale obiettivo la L. 69/09 accelera e snellisce il procedimento amministrativo, puntualizzando, al contempo, alcuni aspetti fondamentali concernenti la valutazione dell’operato (finalizzata all’accertamento della responsabilità) dei funzionari pubblici di qualifica dirigenziale, per quanto attiene, in particolare, quel canone generale di Buona Amministrazione consistente nella speditezza dell’azione amministrativa. Più precisamente, le innovazioni in questione interessano i dirigenti pubblici sotto due rilevanti profili di responsabilità: la responsabilità dirigenziale e la responsabilità civile.
Con le finalità sopra descritte la L. 69/09 ha apportato alcune modifiche alla L. 241/90, tra le quali si segnalano, per l’attinenza con quanto illustrato in premessa, le seguenti:
I) l’art. 2 – L. 241/90 è stato riscritto, ed in particolare:
a) il 2° comma novellato prevede un termine legale di conclusione del procedimento fissato in trenta giorni, dunque inferiore a quello di novanta giorni fissato dall’ultima riforma introdotta dalla L. 15/05, segnando così un “ritorno alle origini”! (prima della riforma del 2005 il termine legale per la durata massima del procedimento amministrativo era già di 30 giorni) (nuovo art. 2 comma 2: “Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”.);
b) il 3° comma prevede:“Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza”. Tale disposizionecontiene un limite generale, rivolto all’attività regolamentare del Governo (e, parimenti, all’attività regolamentare interna degli enti pubblici nazionali), che, nel fissare i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza delle pubbliche amministrazioni statali, non può prevedere durate superiori a novanta giorni;
c) con riferimento a tale limite massimo di durata dei procedimenti, il 4° comma prevede una possibilità di deroga in senso ampliativo, seppur subordinata a due condizioni: 1^ condizione) l’adozione dei decreti (del P.C.d.M.) con i quali vengono previsti termini superiori a 90 giorni avviene attraverso un iter predefinito dalla stessa norma di legge (tali provvedimentisono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri”); 2^ condizione) gli stessi decreti devono fondarsi su uno dei presupposti individuati dalla medesima disposizione, secondo la quale la previsione di una durata superiore a 90 giorni è ammissibile solo laddove possa essere ritenuta indispensabile, in considerazione della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del tipo di procedimento.
In ogni caso, anche qualora gli atti generali in questione facciano ricorso a tale deroga, non possono essere previsti termini superiori a 180 giorni (il nuovo 4° c.: “Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione”).
 
II) all’art. 2 è stato aggiunto il comma 9, il quale prevede che la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. In tal modo viene ad arricchirsi di un’ulteriore fattispecie legale il novero delle ipotesi di inefficienza amministrativa, sulla cui base i nuclei di valutazione (operanti all’interno degli enti pubblici secondo i criteri e le modalità di cui al D. Lgs. 286/99, recante disciplina in materia di controlli interni) valutano le prestazioni dei dirigenti. A questo punto l’efficienza e l’efficacia amministrativa non vengono più ad identificarsi, principalmente, con la legittimità e l’opportunità dell’azione amministrativa, ma anche, e non secondariamente, con la celerità dell’attività procedimentale. Al dirigente pubblico viene imposto espressamente l’obbligo non solo di tenere comportamenti ed adottare atti conformi alla legge e quanto più adeguati alla realizzazione dell’interesse pubblico, ma anche di fare tutto ciò senza il minimo rallentamento rispetto all’aspettativa di speditezza, che (…e qui sta la novità…) non è più indefinitamente riferibile ad un astratto parametro di Buona Amministrazione, bensì è esattamente prefigurata dal legislatore. L’obbligo in argomento (previsto dall’insieme degli interventi normativi succedutisi tra il 1990 ed il 2009 in materia di procedimento amministrativo), costituente parametro di valutazione della responsabilità manageriale, impone al dirigente pubblico di organizzare la struttura cui è preposto secondo criteri di efficienza, efficacia e speditezza; il dirigente, pertanto, deve riuscire a predisporre, all’interno della propria struttura, un impianto organizzativo basato sul razionale impiego delle risorse umane e strumentali a disposizione e sull’adozione di procedure volte a minimizzare i tempi “di attraversamento” delle istruttorie, nel pieno rispetto (ovviamente!) di tutte le prescrizioni normative di pertinenza e secondo criteri di opportunità amministrativa. Il mancato perseguimento di tale obiettivo costituisce fondamento della valutazione negativa.
 
III) inoltre nel corpo della 241 è stato inserito l’art. 2 bis, il quale ha previsto, a carico delle pubbliche amministrazioni, il risarcimento del danno ingiusto causato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. Il nuovo art. 2-bis (“Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento”) recita testualmente: “Comma 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Comma 2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni. “
 
A questo punto va precisato che le suddette norme (art. 2 e art. 2 bis) sono espressamente riferite solo alle pubbliche amministrazioni statali ed agli enti pubblici nazionali. Per quanto riguarda le regioni e gli enti locali resta fermo, in generale, quanto prefissato dall’art 29-L. 241/90, il cui 2° comma prevede: Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge”.
Al riguardo va però segnalata un’importante specificazione operata (con rilevante portata innovativa, sulla quale non ci si sofferma nel presente intervento) dalla L. 69/09, in quanto l’art. 29 della 241 è stato innovato, mediante l’innesto del comma 2bis, che prevede: “Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti”.
Dunque le norme con le quali il legislatore vuole garantire la conclusione dei procedimenti amministrativi entro termini brevi e certi attengono ai livelli essenziali di assistenza concernenti i diritti civili e sociali da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117 2° comma lett. m) della Costituzione. Viene così chiarito, tra l’altro, che l’argomento del termine di conclusione del procedimento rientra nella potestà legislativa esclusiva statale e pertanto quanto prescritto dall’art. 2 costituisce disciplina inderogabile per tutte le pubbliche amministrazioni, che dovranno attenersi assolutamente a quanto in esso prescritto sia nell’adozione dei propri atti di regolamentazione interna sia nello svolgimento dell’azione amministrativa di pertinenza.
Tanto specificato, andiamo a sottolineare, per quanto attiene alla risarcibilità del danno procurato con la tardiva emanazione di un atto (sancita dal neo introdotto art. 2 bis-L.241/90), che l’art. 29/1° comma novellato estende a qualsiasi amministrazione l’ambito di applicazione di detto regime di responsabilità civile conseguente all’inosservanza dei termini in argomento (“Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. Le disposizioni di cui agli articoli 2 bis, 11, 15 e 25, commi 5, 5-bis e 6, nonché quelle del capo IV-bis, si applicano a tutte le amministrazioni pubbliche”).
 
IV) l’art 7/2° comma della L. 69/09, senza modificare il testo della 241, ha integrato il sistema di responsabilità dirigenziale derivante da situazioni di inefficienza amministrativa, prevedendo espressamente che il rispetto dei termini di conclusione del procedimento va tenuto in considerazione ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato ai dirigenti.
 
Come accennato in premessa, sono due i profili di responsabilità che in maggior misura interessano i dirigenti pubblici alla luce delle innovazioni introdotte dalla legge sulla competitività: responsabilità dirigenziale e responsabilità civile.
Con riguardo a quest’ultimo profilo di responsabilità, va evidenziato, innanzitutto, che la L. 69/09 esprime a livello normativo primario un principio finora sancito solo dalla giurisprudenza: con riguardo a determinati aspetti e momenti del procedimento amministrativo, l’interesse del privato al rispetto, da parte dell’autorità amministrativa, dei canoni generali ai quali deve sempre essere informata l’azione amministrativa (sia in base al principio di buona amministrazione affermato dall’art. 97 Costituzione sia in virtù delle previsioni di legge contenute nella 241/90) non costituisce semplice aspettativa di legittimità, bensì, in talune circostanze, assurge a livello di vero e proprio diritto soggettivo. Così (per esempio) è stato sancito, per via giurisprudenziale, con riferimento all’accesso agli atti, sulla base dell’assunto secondo il quale la P.A., nel consentire o meno l’accesso ai documenti, non esercita poteri discrezionali, bensì svolge attività vincolata; l’interesse a conoscere i documenti afferenti ad un procedimento assurge a bene della vita autonomo, dunque meritevole di tutela separatamente dalla posizione sostanziale sottostante, sulla quale va ad incidere l’attività di amministrazione attiva.
Allo stesso modo viene sancita, per via legislativa, la piena tutela della pretesa del privato di veder concluso il procedimento amministrativo che lo riguarda entro termini brevi e certi (determinati, in conformità alla legge, secondo modalità oggettive che ne garantiscono la congruità). Da ciò derivano conseguenze che, invece di essere lasciate alla deduzione giuridica, vengono espresse dallo stesso legislatore senza lasciar adito a dubbi:
1) la lesione derivante da ritardata azione amministrativa, conseguente a condotta dolosa o colposa del funzionario pubblico, comporta responsabilità aquiliana e dunque il danno effettivamente cagionato al privato va risarcito secondo le regole del Codice Civile (sotto il profilo meramente pubblicistico ciò comporta l’attivazione dei meccanismi di solidarietà concorrente di cui all’art. 28 Cost. e di responsabilità amministrativa di cui al d.P.R. 3/57-T.U. “Impiegati civili dello Stato”);
2) la cognizione delle relative controversie rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., il che rappresenta la conferma diretta del riconoscimento della qualificazione di diritto soggettivo perfetto alla pretesa del privato di ottenere un provvedimento amministrativo entro un termine certo, data la peculiarità di tale tipo di giurisdizione rappresentata proprio dall’estensione del giudizio alle questioni afferenti a diritti soggettivi (oltre che ad interessi legittimi), con la conseguenza che la posizione giuridica (di cui si lamenta la lesione) consistente in un diritto soggettivo è oggetto di cognizione in via principale (e non in via incidentale, come invece avviene nella giurisdizione generale di legittimità);
3) il diritto al risarcimento si prescrive in 5 anni, conformemente a quanto stabilito dall’art. 2947 c.c. con riferimento alle azioni volte ad ottenere il risarcimento di danni consistenti nella lesione di posizioni giuridiche soggettive riconosciute e tutelate direttamente (in modo pieno ed immediato) dalle norme dello stesso codice civile.
Conseguenza principale di quanto sin qui osservato è che l’operato del dirigente pubblico verrà valutato dall’organo giurisdizionale amministrativo mediante un esame volto ad accertare i connotati fattuali della fattispecie concreta, con il fine di appurare la sussistenza degli elementi essenziali della responsabilità (condotta antigiuridica, evento dannoso, elemento psicologico, nesso di causalità) e pronunciare l’eventuale condanna al risarcimento in favore del privato che ha subito il nocumento (non limitandosi dunque all’esame di un atto, volto solo a verificarne la conformità alla legge, per poi arrivare a pronunciare l’eventuale annullamento dello stesso, senza giungere a sindacare, sulla base delle circostanze di fatto, i comportamenti dei funzionari intervenuti nell’emanazione dell’atto). In particolare l’accertamento dell’antigiuridicità della condotta consisterà nel semplice raffronto tra il tempo effettivamente impiegato per la conclusione del procedimento e il termine previsto sulla base del nuovo art. 2 comma 2.
In secondo luogo, sotto il profilo della responsabilità dirigenziale, va evidenziato che all’ambito degli obiettivi specifici assegnati al singolo dirigente dall’amministrazione di appartenenza (conformemente alla previsione di cui all’art. 16 del D. Lgs. 165/01) viene aggiunto dalla L. 69/09, in via generale, un ulteriore obiettivo: la speditezza dei procedimenti amministrativi rientranti nella propria sfera di competenza. Dunque la speditezza (intesa come osservanza del termine di conclusione dell’iter procedimentale) viene a costituire elemento di valutazione ai sensi del D. Lgs. 286/99, in quanto obiettivo imposto dalla legge in via generale a qualsiasi dirigente pubblico titolare di funzioni amministrative. Gli organismi preposti alla valutazione del personale di qualifica dirigenziale dovranno dunque accertare, mediante specifici protocolli, la “puntualità” dell’azione amministrativa svolta dai soggetti valutati, giungendo all’attivazione dei meccanismi sanzionatori, previsti dagli artt. 21 e 22 del D. Lgs. 165/01 e disciplinati dalle norme dei contratti collettivi nazionali dell’area dirigenziale, nei casi di ricorrente “sforamento” rispetto ai limiti temporali prestabiliti in sede regolamentare o in via legale.
 
Il quadro che conseguirà a siffatto giro di vite in chiave efficientista non è prefigurabile, in quanto tutto dipenderà dalle modalità applicative che verranno effettivamente messe in atto. Una cosa però è certa! Cotanto “efficientismo legislativo” pare alquanto contraddittorio. Da un lato, i funzionari della P.A. si trovano in presenza di un legislatore che: impone, in modo alluvionale e scoordinato, principi, norme e iter procedurali di estrema complessità con il fine dichiarato di garantire tutto e tutti e, al contempo, vietare tutto a tutti; legifera con il fine non dichiarato di porre regole più per dare un senso a mille eccezioni (rispondenti a mille diverse esigenze particolari) che non per disciplinare correttamente la vita sociale e i rapporti leali tra amministratori ed amministrati; produce norme aventi la funzione più di consentire in ogni caso di trovare responsabili e capri espiatori, che di garantire l’effettiva applicabilità di quanto disposto. Dall’altro lato lo stesso legislatore riesce soltanto a prevedere responsabilità e sanzioni, ma nessuna misura positiva, atta a promuovere effettivamente un’azione amministrativa costruttiva e corretta. La cosa più difficile forse è non rimanere disorientati, piuttosto che “industriarsi” per riuscire a non ritardare la conclusione dei procedimenti amministrativi!
 
 
Dott. Aldo Gurrieri

Gurrieri Aldo

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