La legittima difesa rientra nel novero delle c.d. cause di giustificazione previste dal nostro codice penale.
Preliminarmente, le cause di giustificazione o meglio definite come scriminanti, sono quelle situazioni in presenza delle quali viene meno il contrasto tra il fatto e l’ordinamento giuridico.
Il fondamento giuridico della legittima difesa, deve essere individuato nel principio in base al quale chi subisce un’aggressione ingiusta è autorizzato a reagire a tutela della propria situazione giuridica soggettiva.
Sulla questione della natura e della ratio della legittima difesa vi è una parte della dottrina che sottolinea l’esclusione dell’elemento morale del reato, nel senso che lo stato di legittima difesa inciderebbe sulla libertà del volere di colui che pone in essere il fatto costituente reato. In tale prospettiva, è evidente la ragione per la quale a quest’ultimo non viene applicata la sanzione. Invece secondo un’altra parte della dottrina penalistica ritiene che l’atto compiuto in stato di legittima difesa non sia obiettivamente antigiuridico, perché il soggetto agisce, in via di autotutela, sostituendosi alla pubblica autorità che, in casi del genere, dovrebbe provvedere alla prevenzione e repressione dei fatti costituenti reato.
Secondo tale orientamento l’autorizzazione si giustifica, con una sorta di collaborazione che si realizza tra il privato e l’Amministrazione.
Pertanto colui che subisce l’aggressione o che difende taluno da un’aggressione altrui è, legittimato a tutelare direttamente una situazione nella quale, di norma, dovrebbe intervenire l’Amministrazione.
Ovviamente tale autorizzazione è legittima quando l’interesse dell’aggredito richieda una tutela immediata e sia ritenuto prevalente rispetto a quello dell’aggressore.
In caso contrario, infatti, l’azione commessa dall’autore del reato non è consentita in quanto la deroga non troverebbe alcuna valida giustificazione.
Nello specifico la legittima difesa è espressamente previsto dall’art.52 del codice penale nel quale si afferma che :“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Il sopra citato articolo si riferisce alla necessità di difendere un diritto, la dottrina maggioritaria ritiene più aderente alla ratio della norma considerare, quale oggetto dell’aggressione, un interesse giuridicamente tutelato.
Secondo tale orientamento si determina un conflitto tra il titolare dell’interesse che subisce l’aggressione e colui che tale aggressione pone in essere il quale, a sua volta, riceve un pregiudizio.
È evidente che l’ordinamento giuridico italiano, dovendo scegliere quale delle due situazioni sia meritevole di tutela, privilegia sempre e comunque la posizione dell’aggredito, in ossequio al principio in base al quale deve considerarsi illecito ogni comportamento, offensivo di un interesse altrui, che non sia espressamente autorizzato da una norma dell’ordinamento stesso.
Di conseguenza, l’aggredito ha il potere di opporsi all’aggressore, ponendo in essere un comportamento che, in diverse circostanze, sarebbe considerato suscettibile di sanzione penale.
Ai fine di poter capire meglio la ratio e le finalità della norma in esame bisogna analizzare, i requisiti che la norma stessa considera indispensabili perché l’esimente in esame possa trovare applicazione.
Gli elementi fondanti della legittima difesa sono la necessità di difesa, la sussistenza e l’attualità del pericolo, l’ingiustizia dell’offesa e la proporzione tra la difesa e l’offesa.
Con riferimento all’elemento della necessità, si osserva che esso si traduce nell’alternativa, che si pone all’aggredito, tra reagire o subire l’aggressione ingiusta.
Più in particolare, tale alternativa si pone in termini di impossibilità di sottrarsi al pericolo senza arrecare offesa all’aggressore.
La valutazione di tale impossibilità è particolarmente rilevante, poiché essa segna il limite tra il comportamento scriminato rispetto a quello che, al contrario, non sfugge alla qualificazione di illiceità sotto il profilo penale.
Invero, si è detto che il titolare di un interesse giuridicamente protetto può agire a tutela di quest’ultimo. Tuttavia, proprio in quanto un tale potere viene riconosciuto sussistente in virtù di una comparazione tra l’interesse dell’aggredito e quello dell’aggressore, con prevalenza del primo, è evidente che la relativa valutazione non può essere effettuata in assoluto, dovendosi, di volta in volta, accertare se è possibile, nel caso concreto, formulare un giudizio di prevalenza nei limiti indicati.
Una simile valutazione non può prescindere dall’accertamento, di volta in volta, della necessità della reazione offensiva e, quindi, dell’inevitabilità della lesione dell’interesse proprio dell’aggressore..
All’elemento della necessità si collega quello, non espressamente previsto dalla norma, ma che viene ritenuto essenziale per l’applicazione dell’esimente in esame, della involontarietà del pericolo.
L’altro elemento è l’ingiustizia dell’offesa che deve intendersi qualsiasi condotta umana omissiva o commissiva.
Può considerarsi offesa ingiusta anche un comportamento passivo come posizionarsi fuori alla porta della abitazione per non far entrare il proprietario.
Con riguardo all’ingiustizia, alcuni autori, interpretano tale termine come una contrarietà del comportamento offensivo ai precetti dell’ordinamento.
In realtà secondo il Mantovani è preferibile l’opinione secondo l’ingiustizia si identifica anche con ogni offesa non imposta, o comunque tollerata.
Mentre l’elemento della pericolosità si ha quando la difesa è legittima solo di fronte ad un pericolo, cioè ad una situazione potenzialmente lesiva.
Tale pericolo può provenire da un uomo o un animale o una cosa, ovviamente quando si tratta di animali o cose tale pericolo deve riconnettersi ad una condotta umana.
Il pericolo inoltre deve essere attuale, il che risulta logica perché altrimenti non ci sarebbe una difesa ma una vendetta se il pericolo non è attuale.
Infine ultimo elemento è data dalla proporzione tra difesa ed offesa, nel senso che il requisito della proporzionalità implica che il male inflitto all’aggressore deve essere proporzionato a quello che si stava per subire.
Sul punto la dottrina penalistica discute se la proporzione debba essere fatta sulla base dei mali inflitti o dei mezzi usati o dei beni sacrificati.
Ma la dottrina più moderna tende a sminuire tale disputa concludendo che la proporzione deve essere fatta in senso matematico e non ha senso cercare di capire se oggetto della proporzionalità siano i mezzi o i beni, la valutazione è affidata al saggio apprezzamento del giudice e va fatta tenendo conto di tutte le circostanze del caso nonchè degli interessi in gioco.
Sulla causa di giustificazione della legittima difesa sono state elaborate, inoltre, una quantità innumerevole di studi e sono state prospettate diverse teorie.
Da escludere è certamente, la teoria di Florian, secondo cui nella legittima difesa mancherebbe la colpevolezza, in quanto l’agente non agirebbe con malvagità ma solo per difendersi per cui nessun rimprovero può essergli mosso nei suoi confronti.
Un’altra teoria classica che risale al Mancini ed è stata accolta dal Fiandaca –Musco è quella sulla delegazione.
Tale teoria consiste nel fatto che lo Stato delegherebbe al privato il compito di difendersi, essendo operazione impossibile da compiersi in sua vece.
Si tratta quindi di un potere di autotutela che viene dato al privato, il quale agisce come un delegato dalla Stato.
Contro tale tesi si sono mosso diverse obiezioni e critiche. In merito si è affermato che il delegante non può attribuire al delegato un potere maggiore di quello che avrebbe lui stesso; infatti, il privato avrebbe per l’assurdo il potere di uccidere, che invece lo Stato non ha, e oltretutto costui può reagire contro fatti che di per sé non costituiscono un reato. Tutto ciò, afferma Antolisei impedirebbe di configurare la legittima difesa come una delegazione.
Maggiori consensi, invece trova la tesi del bilanciamento di interessi detta anche dell’interesse prevalente, secondo cui vi sarebbero due interessi in contrapposizione, quello dell’aggressore e quell’aggredito, nel conflitto dei quali lo Stato sceglierebbe di dare prevalenza a quest’ultimo.
Le suddette tesi ognuna delle quali coglie una parte di verità, dovuta essenzialmente al fatto che la legittima è un istituto del diritto penale che risponde alle esigenze di diritto naturale.
Dott. Ruggiero Marzocca
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