Com’è noto il condominio non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità separata da quella di coloro che ne fanno parte. Piuttosto si configura come un ente di gestione che opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti.
Ciò posto, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale appunto l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di adoperarsi a difesa dei diritti comuni, afferenti l’edificio condominale.
Sul piano pratico ciò comporta che ogni singolo condomino ha diritto di agire in giudizio e intervenire nello stesso, quando tale difesa sia stata già assunta dall’amministratore, ma anche di impugnare la sentenza sfavorevole pronunciata nei confronti del condominio.
Ed invero, il condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti diproprietario esclusivo, ma anche dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni, con la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria nel caso di inerziadell’amministrazione del condominio, a norma dell’art. 1105 C.C., dettato in materia di comunione, ma applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio posto dall’art. 1139 C.C.; ha inoltre il potere di intervenire nel giudizio in cui la difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni sia stata già assunta legittimamente dall’amministratore (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 06/08/1999, n. 8479; Trib. Milano Sez. X, 12/09/2013
Il condomino, come accennato, ha anche la facoltà di impugnare, in appello o in cassazione, le decisioni contrarie al condominio, anche qualora egli non abbia partecipato al precedente grado di giudizio.
La particolare figura giuridica del condominio, infatti, legittima la deroga al principio universale per il quale, i soggetti legittimati a proporre l’impugnazione risultano esclusivamente quelli che sono stati parte nel precedente giudizio.
Ed invero: “La legittimazione all’appello spetta, in via generale, ai soli soggetti che sono stati parti nel giudizio di primo grado, ma nel caso del condominio, che è un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, la presenza dell’amministratore non priva i condomini della facoltà di agire a difesa dei diritti del Condominio. I condomini devono essere considerati parti originarie e non terzi, con la conseguenza che possono intervenire nei giudizi in cui la difesa dei diritti sulle parti comuni dell’edificio sia stata già assunta dall’amministratore, e possono esperire mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della pronuncia resa nei confronti di quest’ultimo” (Cass. civ. Sez. III, 16/05/2011, n. 10717. Ex multis: Cass. civ. Sez. V, 07/12/2004, n. 22942; Cass. civ. Sez. II, 28/04/2004, n. 8132; Cass. civ. Sez. II, 25/05/2001, n. 7130; Cass. civ. Sez. II, 06/08/1999, n. 8479).
Detti principi, sono stati ribaditi di recente dalla Suprema Corte, II sezione civile, nella sentenza n. 25288, del 16/12/2015.
La stessa, infatti, ha avuto modo di ricordare che: “Il tema della legittimazione dei singoli condomini ad agire in giudizio a difesa degli interessi del condominio è nuovo. Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale, con la conseguenza che essi sono legittimati ad impugnare personalmente, anche in cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove non vi provveda l’amministratore”.
Ricorda vieppiù la Suprema Corte che, l’impugnazione deve essere necessariamente notificata anche all’amministratore parte nel precedente giudizio – quale legale rappresentante del condominio – attesa la persistenza della legittimazione del condominio a rimanere in giudizio nella medesima veste assunta nei pregressi gradi, in rappresentanza di quei partecipanti che non hanno assunto individualmente l’iniziativa di proporre il gravame (Cfr. in precedenza: Cass. civ. Sez. III, 18/02/2010, n. 3900; Cass. civ. Sez. II, 21/01/2010, n. 1011; Cass. civ. Sez. V, 07/12/2004, n. 22942)
Il potere del singolo condomino di agire direttamente in giudizio o intervenire nello stesso, a difesa dei suoi diritti di comproprietario, di resistere personalmente alle azioni giudiziarie intraprese da altri, nonché di impugnare le sentenze sfavorevoli al condominio, permane in capo allo stesso anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio, in ragione dell’autonomia del suo potere.
Anzi, detto potere permane anche contro l’esplicita volontà assembleare di non impugnare la sentenza sfavorevole, nonostante questa sia stata consacrata in una apposita delibera assembleare adottata a maggioranza.
A tal proposito, infatti, è stato stabilito che: “Il potere del condomino di impugnare autonomamente una sentenza in ordine alla quale il Condominio abbia prestato acquiescenza non vanifica certo l’eventuale delibera della maggioranza che abbia deciso in tal senso: questa, infatti, vale ad esonerare l’amministratore dal dovere di impugnazione (qualora egli ritenga di procedere in tal senso) esonerandolo nel contempo dalle relative responsabilità verso i condomini” (Cass. civ. Sez. II, 16/12/2015, n. 25288).
Pertanto, il singolo condomino, risulterà sempre legittimato ad esperire autonomamente tutti i mezzi di impugnazione necessari, abbia o meno partecipato al precedente giudizio ed anche in contrasto con la maggioranza dei condomini, la cui decisione contraria solleverà semmai l’amministratore da qualsivoglia profilo di responsabilità per la mancata proposizione dell’impugnazione avverso la sentenza sfavorevole al condominio.
A questo punto vi è da chiedersi se la legittimazione ad agire del condomino possa estendersi a tutte le controversie ovvero solo a quelle aventi determinati oggetti.
La risposta al suddetto quesito è negativa considerato che il singolo condomino ha legittimazione, in via generale, solo per i giudizi che attengono alle parti comuni dell’edificio e, naturalmente, per quelli che riguardano la sua proprietà esclusiva.
A tal proposito: “Nel condominio di edifici, il principio secondo cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell’amministratore, perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all’interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino” (Cass. civ. Sez. II, 21/09/2011, n. 19223. Nello stesso senso: Cass. civ. Sez. II, 19/10/2010, n. 21444; Cass. civ. Sez. II, 04/05/2005, n. 9213).
Pertanto, secondo l’anzidetto orientamento, il condomino non potrebbe agire in giudizio, se non in presenza di un interesse diretto.
Tuttavia, questo orientamento non viene condiviso dalla medesima II sezione civile della Suprema Corte, la quale, in diversa composizione, di recente, ha avuto modo di affermare come: “Nel giudizio di impugnazione della delibera dell’assemblea di condominio, il singolo condomino è legittimato ad impugnare la sentenza emessa nei confronti dell’amministratore e da questi non impugnata, anche qualora la delibera controversa persegua finalità di gestione di un servizio comune ed incida sull’interesse esclusivo del condomino soltanto in via mediata” (Cass. civ. Sez. II, 06/08/2015, n. 16562. Nello stesso senso, in precedenza: Cass. n. 14765/2012; Cass. n. 10717/2011; Cass. n. 9206/2006; Cass. n. 12588/2002).
Appare evidente, pertanto, il contrasto insorto tra la medesima sezione civile della Suprema Corte che attende, pertanto, una soluzione da parte delle sezioni unite.
Nelle more, a sommesso parere di chi scrive, sembra preferibile la tesi che abiliti il singolo condomino ad agire autonomamente, anche nel caso in cui i propri diritti vengano in rilievo solo in via indiretta.
Affermare il contrario, potrebbe portare a dei risultati giuridicamente anomali e legittimare degli abusi.
Si pensi al caso della delibera condominiale di nomina dell’amministratore, avente pertanto finalità di gestione del servizio comune che, a dire di Cass. 21/09/2011, n. 19223 (richiamando in motivazione il proprio precedente del 29.1.2009 n. 2396), potrebbe essere impugnata in via esclusiva solo dall’amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino.
Impedire al singolo condomino di impugnare una sentenza avente il predetto oggetto, sulla scorta dell’asserita mancanza di legittimazione attiva, non spiegherebbe perché, al contrario, ciò è consentito al singolo condomino in primo grado.
In altri termini, se si ritiene che il condomino Caio non abbia la legittimazione a proporre appello avverso una tale decisione per carenza di interesse diretto, allo stesso modo, dovrebbe ritenersi preclusa la possibilità di impugnare ab origine la predetta delibera di nomina dell’amministratore al condomino Sempronio, in considerazione del fatto che, tutti i condomini – tra cui Caio e Sempronio – hanno il medesimo interesse nei confronti di una delibera avente tale oggetto.
Peraltro neppure si spiegherebbe perché, a quello stesso condomino che non ha il potere di proporre gravame, sia successivamente data la possibilità di chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore.
In virtù dei generali principi – sopra esposti – in tema legittimazione ad agire del singolo condomino, ritenere che lo stesso abbia facoltà di chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore, ma non quella di impugnare la sentenza afferente la delibera di nomina, appare una contraddizione in termini, anche alla luce del fatto che, come chiarito da Cass. 22/10/2013, n. 23955, il provvedimento di nomina dell’amministratore ha una incidenza diretta sulla gestione delle cose comuni, tanto da richiedere l’intervento della collettività.
Se la nomina dell’amministratore involge gli interessi comuni di tutti i condòmini, negare la possibilità di proporre gravame avverso la sentenza che decide l’impugnazione della delibera condominiale di nomina, risulterebbe soluzione non conforme al dettato dell’art. 1130 c.c., in considerazione del fatto che detto articolo concede particolari “attribuzioni all’amministratore” (ad esempio: eseguire le deliberazioni dell’assemblea; convocarla annualmente per l’approvazione del rendiconto; disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune; riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni; ecc.), che risultano senza dubbio di interesse comune a tutti i condòmini.
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