L’art. 1 del Decreto Legge 24 gennaio 2012 n. 1 “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” prevede:
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“Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza sancito dal Trattato dell’Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni del presente articolo:
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le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione comunque denominati per l’avvio di un’attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario nel rispetto del principio di proporzionalità;
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le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.
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Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.
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Nel rispetto delle previsioni di cui ai commi 1 e 2 e secondo i criteri ed i principi direttivi di cui all’articolo 34 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il Governo, previa approvazione da parte delle Camere di una sua relazione che specifichi, periodi ed ambiti di intervento degli atti regolamentari, è autorizzato ad adottare entro il 31 dicembre 2012 uno o più regolamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione, e disciplinare i requisiti per l’esercizio delle attività economiche, nonché i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione, individuando le disposizioni di legge e regolamentari dello Stato che, ai sensi del comma 1, vengono abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato rende parere obbligatorio, nel termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione degli schemi di regolamento, anche in merito al rispetto del principio di proporzionalità. In mancanza del parere nel termine, lo stesso si intende rilasciato positivamente.
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Le Regioni, le Provincie ed i Comuni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostituitivi dello Stato ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione. A decorrere dall’anno 2013, il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 4, comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosità. Le Regioni a statuto speciale e le Provincie autonome di Trento e Bolzano procedono all’adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti.
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Sono esclusi dall’ambito di applicazione del presente articolo i servizi di trasporto di persone e cose su autoveicoli non di linea, i servizi finanziari come definiti dall’articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e i servizi di comunicazione come definiti dall’articolo 5 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, e le attività specificamente sottoposte a regolazione e vigilanza di apposita autorità indipendente.
valutazioni critiche
Con l’art. 1 del D. L. 1/2012 al Governo è attribuito un amplissimo potere regolamentare, subordinato esclusivamente “all’approvazione da parte delle Camere di una sua relazione che specifichi, periodi ed ambiti di intervento degli atti regolamentari” esercitando il quale andrà ad individuare le attività per le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione, e disciplinare i requisiti per l’esercizio delle attività economiche, nonché i termini e le modalità per l’esercizio dei poteri di controllo dell’amministrazione, individuando le disposizioni di legge e regolamentari dello Stato che vengono abrogate a decorrere dalla data di entrata in vigore dei regolamenti stessi.
Non solo, ma è lo stesso art. 1 del D. L. 1/2012 a prevedere che con l’emanazione dei Regolamenti del Governo saranno da considerare abrogate:
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le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione comunque denominati per l’avvio di un’attività economica;
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le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite;
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le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate;
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le norme che particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi;
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le norme che impediscono, limitano o condizionano l’offerta di prodotti e servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti.
Sin da subito, precisa il comma 2 dello stesso art. 1, le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica.
Tutto questo trova fondamento, secondo quanto dichiarato nel comma 1 dell’art. 1, in attuazione del principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 della Costituzione che, è bene ricordarlo, prevede che:
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”
In sintesi:
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E’ prevista l’abrogazione di una serie indeterminata di norme, sulla base di criteri generali e generici, la cui individuazione è rimessa alla valutazione – quasi del tutto arbitraria – del Governo;
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Viene fornita con legge ordinaria – meglio con un decreto legge – una rilettura e una nuova interpretazione dell’art. 41 della Costituzione che individua l’interesse generale prevalente nel solo principio della concorrenza; interpretazione a dir poco forzata, solo che si legga il contenuto dell’art. 41;
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Non è conforme ai principi sanciti dalla Costituzione attribuire valore assoluto e preminente all’iniziativa economica privata degradando a metri criteri interpretativi i valori della sicurezza, della libertà, della dignità umana, dell’utilità sociale individuati dall’art. 41 come valori prioritari;
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Si impone con legge – con decreto legge – un criterio di interpretazione che sovverte i consolidati canoni ermeneutici, propri di uno Stato di diritto, sanciti dall’art. 12 delle “Preleggi”; le leggi si interpretano per quello che sono, per quanto dispongono, senza interpretazioni imposte da una dichiarata finalità da perseguire;
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Non è ammissibile, in nome della dichiarata emergenza, stabilire un nuovo ordine nella scala di valori sancito dalla Costituzione, con un atto del Governo;
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Non è ammissibile questa pretesa del Governo di obbligare gli interpreti a conformarsi alle sue valutazioni con una norma generale interpretativa del sistema complessivo di norme oggi vigente;
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All’interprete e, soprattutto, a chi è chiamato ogni giorno ad applicare le norme si porranno una miriade di problematiche giuridiche e di conflitti di interpretazione per questo modo di scrivere le norme.
Regioni ed Enti Locali devono adeguarsi entro il 31 dicembre e l’adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti.
Anche in questo caso, come in altre fattispecie previste dal decreto “Salva Italia” viene prefigurato l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato ai sensi dell’art. 120 Costituzione.
Si cita l’art. 120 ma si dimentica che il potere sostitutivo dello Stato nelle materie di competenza regionale è fortemente circoscritto dallo stesso art. 120 della Costituzione: “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
Il Governo, con decretazione d’urgenza privo di presupposti, introduce una fattispecie di potere sostitutivo che non trova riscontro nella Costituzione, ampliandone i presupposti con una compressione evidente e progressiva dell’autonomia di Regioni, Province e Comuni, in palese contrasto con l’art. 114 della Costituzione che – è bene ricordarlo – prevede: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Se si vuole davvero semplificare e dare certezze all’iniziativa economica senza stravolgere e forzare il dettato costituzionale, sarebbe necessario operare le scelte normative dentro un quadro predefinito, condiviso, con l’obiettivo di ridisegnare l’apparato amministrativo.
Dentro ogni confine amministrativo, per ogni procedimento deve essere chiarito quale è l’unico ente competente ad adottare il provvedimento senza possibilità di ammettere deroghe o sovrapposizioni.
E’ evidente infatti che bisogna procedere ad un forte riordino istituzionale che consenta di semplificare la pubblica amministrazione, individuando le funzioni fondamentali di Comuni e Province e riorganizzando in modo organico tutte le funzioni amministrative intorno alle istituzioni che compongono la Repubblica, colpendo le reali inefficienze e superando enti e strutture ridondanti a livello nazionale e a livello regionale, che non hanno una diretta legittimazione democratica e che non sono quindi responsabili nei confronti della cittadinanza.
Eliminare ogni presidio a tutela del territorio rischia di causare guasti ben maggiori e irreparabili di quelli che l’attuale ridondante e complesso sistema normativo e la stratificazione di una miriade di enti burocratici hanno determinato.
valutazioni finali
La tendenza evidente è quella di trasformare la presenza e il ruolo della pubblica amministrazione da soggetto regolatore delle attività a controllore successivo della regolarità e liceità delle attività dichiarate e avviate, entro limiti fortemente circoscritti e predefiniti.
Al lodevole intento di snellire le procedure burocratiche, l’appesantimento normativo, fa da contrasto la dubbia capacità dell’amministrazione di riuscire ad espletare meglio le funzioni assegnate per la tutela del territorio.
Spesso la nitidezza degli obiettivi teorici contrasta con i limiti degli strumenti metodologici e normativi che abbiamo a disposizione: persiste tutta una serie di norme obsolete o mal ridisegnate, ridondanti se non contraddittorie, e di competenze troppo frammentate e ingombranti che continuano a creare ostacoli ad una corretta gestione dei beni e ad una giusta evoluzione dei processi di sviluppo.
Perché mai l’amministrazione, senza interventi strutturali che ne migliorino l’efficienza, dovrebbe riuscire in modo più tempestivo nell’attività di controllo successivo piuttosto che in quello preventivo?
Se si vuole ancora tentare di tutelare il territorio, va dato nuovo impulso ad una pianificazione territoriale moderna che individui, come prassi pianificatoria, le misure di compensazione, per il riequilibrio delle qualità ecologiche, ambientali e paesaggistiche, da attuare per qualsiasi intervento esterno alle aree già urbanizzate, ciò al fine di rispettare il principio della sostenibilità.
Sarà necessario che Comuni, Provincia, Regione ed altri Enti di governo del territorio operino in modo coerente e concertato, che siano attribuiti agli obiettivi priorità e che si cerchi di conseguirli in sinergia.
E’ evidente in ogni caso che non può essere consentito un capovolgimento della scala dei valori, costituzionalmente garantita, in nome dell’emergenza economica, con la decretazione d’urgenza; né porre con decreto, nella disponibilità del Governo – neanche del legislatore ordinario – un mutamento così radicale.
E’ opportuno e necessario che in sede di conversione in legge del decreto si conduca in Parlamento una profonda riflessione su tali disposizioni e sui possibili effetti che queste potrebbero determinare.
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