La Suprema Corte, nel ribadire quanto già espresso dalle SS.UU. n. 13913 del 2017, sulla base della Corte Costituzionale 114 del 2018, specifica la linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria nelle esecuzioni fiscali chiarendo che, ai sensi dell’art 2 d.lgs. 546 del 1992, ogni controversia attinente ad atti espressivi della pretesa tributaria sia rimessa agli organi della giustizia tributaria, diversamente dalle ipotesi in cui la doglianza riguardi propriamente atti della procedura esecutiva, che si assume essere viziati da fatti impeditivi, modificativi od estintivi, successivi alla regolare notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento; estendendo, così, le proprie considerazioni anche al rimedio di cui all’art 615 c.p.c.
Nota a cura di Giuseppe Rosanova, Avvocato e Dottorando di ricerca in diritto delle persone, delle imprese e dei mercati presso l’Università degli Studi di Napoli – Federico II
Il fatto
La questione muove dall’impugnativa presso il giudice dell’esecuzione ex artt. 57 dpr 602 del 1973, 615 e 617 comma 2, c.p.c., di un atto di pignoramento presso terzi adottato dall’Agenzia delle Entrate sulla base di due cartelle esattoriali relative a somme iscritte a ruolo a titolo di imposte regionali sulle concessioni statali di beni demaniali ed a titolo di canoni demaniali, interessi, sanzioni e spese. La prima cartella attinente ad importi relativi a canoni dovuti nel 2008, la seconda avente ad oggetto canoni demaniali per l’anno 2015.
Le domande di parte ricorrente sono essenzialmente due, formulate secondo un rapporto di “pregiudizialità”: con la domanda principale si chiede sia accertata e dichiarata l’improcedibilità e/o comunque l’inammissibilità dell’impugnato atto di pignoramento….per inesistenza giuridica del terzo Equitalia spa; con la domanda subordinata, invece, si chiede “nel merito, in via principale”, sia accertata e dichiarata la nullità ed illegittimità, totale e/o parziale, dell’impugnato atto di pignoramento di crediti…e delle cartelle esattoriali su indicate ad esso presupposte, e di tutti gli atti ad esso conseguenti e/o in ogni caso, annullare gli atti medesimi e/o dichiararli privi di qualsiasi efficacia.
Il Giudice dell’esecuzione accertato sulla base del dictum delle SS.UU. n. 13913 del 2017 il proprio difetto di giurisdizione, concedeva al ricorrente termine di 60 giorni per proporre reclamo alla Commissione Tributaria competente.
Quest’ultima, investita della questione, con ordinanza dell’ottobre 2018 sollevava conflitto di giurisdizione ai sensi dell’art. 59 comma 3 legge n. 69 del 2009, in relazione all’impugnativa dell’atto di pignoramento dinanzi alla Commissione Tributaria in caso di corretta notifica della cartella esattoriale presupposta.
Volume consigliato
Le questioni rilevanti
Risulta opportuno sottolineare, in via preliminare, come l’intervento delle SS.UU. sia volto ad individuare il criterio di ripartizione tra la giurisdizione del giudice tributario e quella del giudice ordinario dell’esecuzione, nei casi di seguito individuati, tanto al fine di evitare plurimi giudizi e conseguenzialmente giudicati sulla medesima questione, quanto al fine di lasciare la parte priva di tutela giurisdizionale, in violazione dell’art. 24 Cost.
In concreto sono state devolute alla cognizione delle Sezioni Unite due diverse ma collegate questioni di diritto: di cui la prima inerente i rapporti tra cumulo delle domande ed ampiezza del sindacato di giurisdizione. Nella specie la questione attiene sia alla possibilità del giudice nomofilattico di esprimersi sulla questione di giurisdizione soltanto sulla domanda principale o estendere il giudizio anche alla domanda subordinata, nell’ipotesi in cui le diverse domande siano proposte secondo un rapporto di subordinazione, sia l’atteggiarsi della pronuncia sulla giurisdizione nell’ipotesi di plurime domande formulate senza tale suddetto vincolo.
In secondo luogo, le SS.UU. sono chiamate ad individuare la effettiva linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria ed ordinaria in relazione all’impugnativa dell’atto di pignoramento, quale primo atto della procedura esecutiva volta ad ottenere forzatamente quanto dovuto dal contribuente da parte dell’Amministrazione Tributaria, in assenza di contestazioni circa la validità e ritualità della notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento; in particolare quando l’invalidità dell’atto di pignoramento consegua a fatti impeditivi, modificativi o estintivi verificati successivamente la notifica della cartella stessa.
Su tale questione è necessario dare atto dei precedenti giurisprudenziali delle stesse SS.UU. del 2017 che avevano tentato di fare chiarezza sulla questione, nonché dell’intervento del Giudice delle Leggi con la pronuncia numero 114 del 2018. Sul punto, se da un lato l’art. 2 del D.lgs. n. 546 del 1992 esclude dalla competenza del giudice tributario le questioni riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata, successivi alla notificazione della cartella di pagamento, dall’altro tale rigido spartiacque è compensato dalla dominante interpretazione estensiva dell’elenco di atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie cosi come individuati dall’art. 19 del detto decreto.
La Risposta delle Sezioni Unite: la funzione “recuperatoria”
In ordine alle questioni ora prospettate, la Cassazione nella sua più estesa composizione, viene adita dal giudice speciale, che, a seguito di translatio iudicii[1] ex art 59 legge n. 69 del 2009, invoca il suo intervento risolutore ex art 59 comma 3 legge n. 69, ed affronta dapprima quella relativa al cumulo delle domande, enunciando due principi di diritto, posti in posizione conseguenziale.
Le SS.UU. hanno innanzitutto riconosciuto che, nel caso di specie, tra le domande di parte ricorrente, cosi come formulate in atti di causa, sussiste un chiaro rapporto di subordinazione desumibile dallo stesso tenore letterale utilizzato.
Hanno evidenziato dunque che, qualora le domande siano proposte con nesso di subordinazione, il giudice deve solo decidere sulla giurisdizione con riferimento alla domanda pregiudiziale, nella misura in cui la questione di giurisdizione sulla domanda subordinata viene in rilievo solo se la statuizione adottata sulla pregiudiziale renda necessario l’esame anche della subordinata stessa.
Hanno affermato, inoltre, che poiché la statuizione circa la giurisdizione sulla domanda principale non scioglie il vincolo di subordinazione che avvince le domande proposte (nella misura in cui non si atteggia anche a riconoscimento o meno della giurisdizione sulla subordinata) se, dopo la dichiarazione di assenza di giurisdizione da parte del primo giudice investito della questione, la causa viene riassunta, anche il potere del giudice della riassunzione di elevare conflitto di giurisdizione concerne -permanendo il suddetto vincolo- la sola domanda pregiudiziale.
Pur sussistendo, dunque, anche per la Suprema Corte l’obbligo di rispettare la prospettazione delle domande, esse sono chiamate ad affermare in modo vincolante tra le parti, una volta per tutte e su tutta la questione, la giurisdizione; per cui, pur rispettando la subordinazione, decidendo circa la giurisdizione sulla domanda pregiudiziale, devono anche individuare la giurisdizione astrattamente sussistente su quella subordinata, per l’eventualità in cui nel corso del processo si rendesse necessario l’esame della stessa. Alla luce di tali considerazioni dunque, rimettono la causa al giudice munito di giurisdizione sulla domande pregiudiziale.
Ma è sulla seconda questione che si incentra il focus della decisione della Suprema Corte che, facendo propri gli orientamenti già esistenti, individua gli esatti confini tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria nelle esecuzioni fiscali.
Lo spartiacque tra le due giurisdizioni viene individuato, infatti, sulla natura della controversia, che, ove vertente sulla pretesa sostanziale tributaria viene rimessa alla giurisdizione del giudice speciale, mentre nell’ipotesi in cui oggetto della stessa sia la pretesa esecutiva, fondata su di un valido ed efficace titolo esecutivo tributario, viene devoluta a quello ordinario. Ciò in linea con il disposto dell’art. 12, comma 2 legge 448 del 2001, che espressamente configura la giurisdizione tributaria come giurisdizione a carattere generale che si radica in base alla materia, indipendentemente dalla specie dell’atto impugnato, nonché con il disposto dell’art. 2 comma 1 Codice del processo tributario che assoggetta alla stessa giurisdizione tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie comunque denominati.
Il punto di partenza da cui muove la decisione viene ravvisato nel precedente giurisprudenziale del 2017[2], oltre che nelle indicazioni dalla sentenza della Consulta n. 114 del 2018.
Nella loro prima decisione, le SS.UU., dal combinato disposto degli artt. 9 c.p.c, 2 e 19 d.lgs 546 del 92, 49 comma 2 e 57 dpr 602 del 1973, evincevano, in ordine al riparto di giurisdizione, quattro diverse situazioni: laddove la causa concerneva formalmente il titolo esecutivo ma la effettiva doglianza riguardava il diritto, a monte, dell’Amministrazione tributaria di procedere ad imporre coattivamente le proprie decisioni sussisteva la giurisdizione del giudice speciale; individuandosi, invece la giurisdizione ordinaria, nelle vesti del giudice dell’esecuzione, nelle ipotesi in cui la controversia riguardava in primis l’opposizione all’esecuzione ex art 615 c.p.c. concernenti la pignorabilità dei beni (art 9 comma 2 c.p.c.), in secondo luogo l’opposizione agli atti esecutivi ex art 617 c.p.c. ove l’impugnativa atteneva all’inefficacia di singoli atti esecutivi per ragioni diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo ed, infine, le opposizioni di terzo all’esecuzione di cui all’art 619[3] c.p.c.
L’ordinanza della Suprema Corte del 2017 pone sotto una lente di osservazione privilegiata la questione dell’individuazione della giurisdizione nel caso in cui si impugni l’atto di pignoramento facendo però valere vizi inerenti la cartella esattoriale (omessa o invalida notificazione della stessa).
Posto, infatti, che l’art 2, comma 1 secondo periodo, del d.lgs. 546/1992, individua il discrimen tra giurisdizione ordinaria e tributaria nella notificazione della cartella di pagamento, le SS.UU. avevano affermato la sussistenza della giurisdizione in capo al giudice tributario prima di tale notifica, laddove dopo di essa si doveva riconoscere quella del giudice ordinario.
Relativamente al caso in cui il contribuente avesse fondato l’invalidità del pignoramento per omessa notifica della cartella, la giurisdizione -quantunque ci si trovasse in una fase successiva la cennata notifica- andava radicata in capo al giudice tributario. Il ragionamento svolto dalla Suprema Corte, infatti, si basava sulla natura sostanziale dell’impugnazione, con la quale si faceva valere null’altro che una nullità derivata dell’atto espropriativo, alla stregua di un’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., tale da giustificare il riconoscimento della giurisdizione del giudice tributario. In particolare, si evidenziava che in assenza di una valida notifica della cartella il primo momento di conoscenza del titolo esecutivo risultava essere il pignoramento, così come esso rappresentava il primo momento per dolersi di vizi circa la nullità e/o esistenza della notifica.
Successivamente la Consulta nel 2018, in un quadro di maggior tutela del contribuente dichiarava illegittimo costituzionalmente l’art. 57, comma 1, lettera a), dpr 602 del 1973 nella parte in cui non prevedeva che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni all’esecuzione (tranne quelle relative all’impignorabilità dei beni concretamente pignorati) regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile; il ragionamento della Corte in questo caso muoveva dalla “confliggenza frontale” della detta disciplina ai principi costituzionali posti a tutela del diritto di difesa nonché ed al principio di ragionevolezza, al fine di evitare una chiara ed inammissibile ipotesi di diniego di tutela in tutte le ipotesi in cui l’impugnativa riguardava gli atti dell’esecuzione per i quali non sussiste giurisdizione tributaria ex art 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e neanche ordinaria per le preclusioni di cui al previgente art. 57.
Sicché al fine di evitare l’assenza di tutela giurisdizionale, il Giudice delle Leggi aveva riconosciuto al privato leso dall’atto esecutivo il potere di impugnativa dinanzi al giudice dell’esecuzione ex art 615 c.p.c., sempre che, laddove siano intervenute le notificazioni della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’articolo 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, si facciano valere fatti impeditivi, modificativi o estintivi successivi le cartelle stesse.
Partendo dal quadro testè emerso le SS.UU. in rassegna si pongono nel solco già tracciato dall’ordinanza del 2017 e dai principi ispiratori della Consulta ponendo ulteriori riflessioni in ragione del dovere di regolare la giurisdizione anche sulle domande subordinate.
L’ulteriore riflessione attiene, allora, alla esatta delimitazione del potere di intervento del giudice tributario, rispetto ancora una volta a quello ordinario, nel caso, però, di opposizione all’esecuzione ex art 615 c.p.c.
Ancora una volta la ratio ispiratrice sottesa all’intervento delle Sezioni Unite civili è quella di evitare plurimi giudizi ed individuare una sicura linea di confine tra l’operato dei giudici appartenenti ad ordini giurisdizionali diversi[4].
Le SS.UU. hanno chiaramente sostenuto, nella decisione in oggetto, che la notifica dell’atto di pignoramento, in assenza di una valida notifica della cartella, risulta idonea ad evidenziare al contribuente la sussistenza del titolo esecutivo e, quindi, di un suo debito tributario. In formula enfatica, infatti, la Suprema Corte ha qualificato l’impugnativa tributaria relativa all’atto di pignoramento o altrimenti esecutivo idonea a supportare una funzione recuperatoria della tutela tributaria, purché con essa si facciano valere fatti attinenti alla pretesa tributaria, sia di tipo formale (ovvero afferenti ad atti di manifestazione di essa come i provvedimenti autoritativi e fino alla notificazione), sia di tipo sostanziale, ovvero fatti costitutivi, modificativi ed impeditivi della stessa pretesa verificatisi fino alla notifica.
Cosi investendo la cognizione del giudice ordinario sia le questioni formali dell’atto esecutivo (in tutte le ipotesi in cui tale atto venga adottato successivamente alla notifica della cartella di pagamento), sia i fatti incidenti sì sulla pretesa tributaria, ma successivi o al momento della rituale notifica della cartella o dell’intimazione, ovvero (nell’ipotesi di nullità o assenza della notifica) successivi all’atto esecutivo.
In altre parole per individuare la competenza della Commissione Tributaria, il riferimento alla notifica di cui all’art. 2 deve intendersi tanto alla notificazione valida della cartella, quanto a quella inesistente, nulla o mancante, posto che in tale ultimo caso l’impugnativa delle stesse è possibile solo attraverso l’impugnativa dell’atto esecutivo, in quanto meramente conseguenziale. Impugnativa che, in quest’ultimo caso, non sarà azionata dal privato nelle forme dell’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c. ma in quella dell’ordinario rimedio tributario cosi come delineato dal Codice del Processo del 1992. Impugnativa dell’atto di pignoramento di fronte alla Commissione tributaria, sulla base, poi, dell’art 19 comma 3 d.lgs. 546 del 1992 che espressamente affronta il tema della mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, come la cartella di pagamento o intimazione ex art 50, adottati precedentemente all’atto notificato, ovvero all’atto di pignoramento, che ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo.
La ratio, oltre che la stessa necessità di tale intervento, è volta da un lato ad evidenziare un confine netto tra le giurisdizioni, e, dall’altro ad escludere la possibilità di un doppio giudicato sulle stesse questioni.
La Corte sottolinea, inoltre, come le suddette questioni assumano rilevanza applicativa in ordine all’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione ex art 615 c.p.c dinanzi al giudice ordinario attraverso la quale contestare il potere esecutorio dell’Amministrazione tributaria; richiamando la decisione della Consulta del 2018, le SS.UU. hanno sottolineato la possibilità di esperire il suddetto rimedio, che se precluso ex art 57 dpr 602 del 1973 dinanzi al giudice tributario, non poteva essere escluso dinanzi al giudice dell’esecuzione ove idoneo a contestare fatti successivi alla notifica del titolo esecutivo tributario ovvero atti succedanei alla cartella, in caso di mancata, nulla o inesistente notifica.
In tal senso, e seguendo il dictum della Corte Costituzionale, la Cassazione ha ritenuto esperibile dal privato l’opposizione de qua ove idonea a contestare la illegittimità dell’esecuzione stessa in quanto intervenuta a seguito dell’adempimento del debitore, ovvero per essersi avvalso lo stesso contribuente di rimedi estintivi della pretesa tributaria, o ancora qualora lo stesso faccia valere l’estinzione della stessa per prescrizione maturata successivamente alla notifica (ovvero nel caso di mancata notifica, successivamente all’esistenza della cartella) e prima dell’atto di pignoramento.
Conclusioni
La decisione in rassegna si pone nel solco problematico già tracciato tanto dalla Sezioni Unite del 2017 quanto dalla Consulta nel 2018. La Cassazione cerca, in una soluzione di sintesi, di individuare il giusto punto di distinzione tra le opposte giurisdizioni, cercando di mantenere le proprie valutazioni in linea con le indicazioni normative del Codice del Processo Tributario e della disciplina sulla riscossione delle imposte sul reddito. La conseguenza non è certamente quella di preferire l’intervento del giudice speciale su quello ordinario o viceversa, quanto quella di fornire all’interprete una chiave di lettura adeguata, ed ispirata ad esigenze di certezza del diritto, al fine di evitare una violazione delle norme sulla giurisdizione.
Certamente, però, secondo le indicazioni della Consulta, si cerca di riconoscere adeguata tutela giurisdizionale (a prescindere dal giudice ritenuto competente) ad ipotesi che apparentemente risulterebbero sfornite della stessa secondo il disposto dell’art 57 dpr 602 del 1973.
Infine, è opportuno evidenziare come il quadro normativo delineato, ed in modo particolare l’art. 2 del d.lgs. 546/92 in combinato disposto con l’art. 57 del d.p.r. 602/73, fondi -data la specialità della materia- la giurisdizione su criteri oggettivi quali la tipologia dell’atto impugnato (atti successivi ad una valida notifica ovvero antecedenti), diversamente dai tradizionali criteri ancorati alla posizione giuridica soggettiva tutelata, utilizzati per individuare la giurisdizione stessa.
Sul punto la stessa Corte Costituzionale n 130 del 2008, affermava quanto già espresso in sede amministrativa a partire dalle note S.U. 500 del 1999[5], dovendo operare anche il sistema giurisdizionale tributario come luogo di tutela delle posizioni giuridiche sostanziali dei contribuenti, più che di mera valutazione della legittimità e correttezza formale del processo decisionale dell’Amministrazione tributaria. Tuttavia appare condivisibile che i tradizionali principi affermati trovino deroga normativa alla luce nella specialità della materia.
Lo stesso criterio del petitum sostanziale non consentirebbe l’adesione ad un’opzione diversa, dovendosi, necessariamente, ispirare, anche in questo ambito la risposta giurisdizionale alla salvaguardia della posizione del contribuente leso da una esistente pretesa tributaria. Per cui, il sistema di tutela tributario potrebbe individuare quale indice di riparto tre le opposte giurisdizioni la situazione lesa dall’atto tributario impositivo: ove esso incida sul diritto soggettivo del contribuente all’integrità del patrimonio si dovrebbe preferire l’intervento del giudice dell’esecuzione, giudice naturale dei diritti soggettivi ex art 111 Cost.; nella diversa ipotesi in cui l’atto non sia, ancora, pregiudizievole, del patrimonio del contribuente, ma tocchi il solo interesse ad una corretta formazione della pretesa tributaria dovrebbe privilegiarsi la giurisdizione del giudice speciale.
Infine, ciò che viene adeguatamente chiarito è che l’atto impugnabile dal privato a seguito della mancata notificazione della cartella di pagamento, nascendo l’interesse ad agire a seguito dell’atto esecutivo di pignoramento, dinanzi al giudice tributario sia il pignoramento. Si richiama l’art 19 Codice del processo tributario ed il tradizionale orientamento che vede nella elencazione in essa presenta una mera esemplificazione degli atti decisori ed impugnabili; impugnativa dell’atto di pignoramento per invalidità caducante rispetto all’invalidità/inefficacia della cartella o intimazione di pagamento.
Sembrerebbe, però, maggiormente aderente alla realtà normativa giustificare in capo al contribuente leso la diretta impugnazione della cartella di pagamento non notificata, direttamente dinanzi alla Commissione Tributaria, potendo usufruire dell’istituto processuale della rimessione in termini, versando in errore scusabile circa la conoscenza dell’atto impositivo lesivo, appreso solo a seguito della notificazione dell’atto esecutivo.
Volume consigliato
Note
[1] L’istituto della translatio iudicii (inizialmente previsto per la sola competenza) è stato esteso anche al difetto di giurisdizione ad opera della legge n.69 del 2009: sul punto C. Mandrioli e A. Carratta in Corso di diritto processuale civile, 2019, p. 128 ss.
[2] Il riferimento è all’ordinanza n. 13913 del 05 giugno 2017
[3] Per una compiuta disciplina sulle opposizioni nel processo esecutivo: P.Farina, Il nuovo 615 c.p.c. e le preclusioni, in Rivista Trim. diritto e proc. Civ. 2017.
[4] Sul punto AZZONI, Giurisdizione e competenza delle Commissioni Tributarie, in Il Fisco, 2009, F 2, 227.
[5] SS.UU. civili, 22 luglio 1999 n. 500; E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2009, p.314 ss.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento