La mancata partecipazione al procedimento di mediazione non trova giustificato motivo nella pretesa infondatezza delle ragioni di controparte

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SOMMARIO: Mancata partecipazione in assenza di giustificato motivo al procedimento di mediazione e relative conseguenze  – Corte di Appello di Genova, 13 luglio 2020, n. 652: a) La vicenda processuale; b) La decisione della Corte di Appello di Genova – Conclusioni

Mancata partecipazione in assenza di giustificato motivo al procedimento di mediazione e relative conseguenze

Nel nostro ordinamento giuridico, la mediazione civile e commerciale è disciplinata dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Nell’ambito del tessuto normativo del citato decreto legislativo, una disposizione riguardo alla quale si sono prospettate non poche questioni, su cui la giurisprudenza si è concentrata, consiste nell’art. 8 [i]. Tale norma regola diversi aspetti attinenti allo svolgimento del procedimento di mediazione, quali la designazione del mediatore da parte dell’organismo ove è stata presentata la domanda, la fissazione della data del primo incontro, la comunicazione della domanda e della data del primo incontro all’altra parte (ovverossia quella che comunemente viene qualificata come “parte chiamata” o come “parte invitata”), la possibilità di nominare uno o più mediatori ausiliari qualora siano necessarie specifiche competenze in relazione all’oggetto della controversia, la possibilità di avvalersi di esperti.

Un ulteriore aspetto disciplinato dall’art. 8 D. Lgs. 28/2010 è quello delle conseguenze derivanti dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione qualora siffatta condotta sia “senza giustificato motivo”. A tale proposito, sono previsti due tipi di conseguenze, rilevanti sul piano processuale: – dalla mancata partecipazione in assenza di giustificato motivo, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, in base all’art. 116, comma 2, c.p.c. (facente appunto riferimento alla possibilità, per il giudice, di desumere argomenti di prova da alcuni atti e comportamenti tenuti dalle parti) [ii]; – il giudice condanna la parte costituita la quale, nei casi di cui all’art. 5 D. Lgs. 28/2010 (che individua le ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege, mediazione ex officio iudicis e mediazione “concordata”), in assenza di giustificato motivo non abbia partecipato al procedimento di mediazione a versare, all’entrata del bilancio dello Stato, una somma di ammontare pari al contributo unificato dovuto per il giudizio.

La questione relativa alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo ed alle conseguenze derivanti da tale condotta è stata affrontata, in alcuni suoi risvolti, dalla giurisprudenza. Ad esempio, una pronuncia di merito, risalente a qualche anno fa, suscita interesse anche perché, in quel caso, la sanzione di cui all’art. 8 D. Lgs. 28/2010 è stata comminata sin dalla prima udienza della causa di merito senza che il giudice abbia atteso di conoscere prima la causa medesima [iii]. Un’altra pronuncia di merito che si è soffermata, tra l’altro, sull’art. 8 è la recentissima sentenza n. 652/2020 della Corte di Appello di Genova.

Corte di Appello di Genova, 13 luglio 2020, n. 652

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a) La vicenda processuale

Nel caso esaminato dalla Corte di Appello di Genova, l’appellante aveva lamentato, con il settimo motivo di appello, l’erroneità dell’impugnato provvedimento di primo grado, affermando che la sua mancata partecipazione al procedimento di mediazione trovava una duplice giustificazione, peraltro esplicitata in una lettera a suo tempo indirizzata al mediatore designato. Secondo quanto prospettato dall’appellante, ogni questione della quale ci si trovava a discutere era già stata affrontata e risolta con una precedente sentenza, e inoltre il procedimento stragiudiziale teso alla conciliazione della controversia doveva ritenersi inutile in considerazione delle pretese temerarie vantate da controparte.

La Corte di Appello di Genova, pronunciandosi sul caso in esame in materia di fondi e servitù prediali, ha ritenuto inconsistenti i motivi indicati dall’appellante al fine di motivare la propria mancata partecipazione al procedimento stragiudiziale, ed ha quindi confermato il provvedimento di primo grado emesso ex art. 702-bis. Il giudice di secondo grado, in particolare, ha fondato la propria decisione sulle considerazioni qui di seguito esposte.

b) La decisione della Corte di Appello di Genova

Riguardo alla valutazione, espressa da parte appellante, circa la manifesta infondatezza delle ragioni vantate da controparte, la Corte d’Appello ha innanzitutto osservato che tale valutazione doveva ritenersi smentita in maniera evidente in considerazione dell’esito del giudizio. Secondo la Corte, inoltre, era da ritenersi priva di rilevanza la valutazione prognostica, formulata dallo stesso appellante, circa l’impossibilità di giungere ad una conciliazione della controversia.

Questa affermazione della Corte è stata spiegata dalla stessa in considerazione della necessità per la quale è stato introdotto l’istituto della mediazione civile e commerciale, quale strumento alternativo per la risoluzione delle controversie, ovverossia quella di permettere alle parti in lite di trovare un “accordo amichevole”, ove questo non fosse raggiungibile tramite i soli mezzi di cui dispongono le parti e i loro avvocati. Ciò è stato quindi ricollegato all’art. 8 D. Lgs. 28/2010, sottolineando che, proprio tenendo conto dello spirito di questa disposizione normativa che regola aspetti attinenti allo svolgimento del procedimento di mediazione, la partecipazione delle parti, tanto al primo incontro di mediazione quanto agli eventuali incontri successivi, consiste in una condotta “assolutamente doverosa”, che le parti stesse possono omettere soltanto in presenza di un “giustificato motivo impeditivo” avente i caratteri della “assolutezza” e della “non temporaneità”.

Con l’ultimo motivo di gravame, l’appellante aveva contestato la condanna alle spese di lite pronunciata nei suoi confronti all’esito del giudizio di primo grado, e anzi riteneva che fosse la controparte a dover essere condannata a rifondere, in suo favore, tali spese, per due ordini di ragioni, ossia perché era stata rifiutata da controparte la proposta transattiva formulata durante un’udienza del processo di primo grado, e perché risultava manifesta l’inconsistenza delle pretese vantate da controparte. L’appellato, dal canto suo, aveva chiesto di respingere l’appello, invocando le motivazioni esposte a tale proposito nel provvedimento di primo grado.

Nel caso di specie, non era stato ritenuto applicabile l’art. 91 c.p.c. [iv], integrato dalla L. 18/06/2009, n. 69 [v] con una previsione in deroga al principio di soccombenza, per cui, qualora il giudice accolga la domanda in misura non superiore alla proposta eventualmente formulata, egli condanna la parte che abbia rifiutato la proposta, senza che ve ne fosse giustificato motivo, al pagamento delle spese processuali maturate dopo la formulazione della proposta medesima. Accettando la proposta formulata dall’appellante, l’appellato si sarebbe trovato a rinunciare alle spese di lite, che invece sarebbero state poste a suo carico in base all’accordo transattivo. Si tratta però di una soluzione difforme rispetto a quella che era stata adottata dal giudice di primo grado nella pronuncia poi impugnata in appello. Ne derivava, pertanto, l’irrilevanza della circostanza che l’appellato avesse rifiutato la proposta transattiva.

La posizione assunta dal Tribunale nella pronuncia di primo grado è stata ritenuta condivisibile dalla Corte d’Appello, poiché, secondo lo stesso giudice di secondo grado, parte appellante aveva un modo per evitare il giudizio: partecipare al procedimento di mediazione. Non avendo tenuto tale “comportamento doveroso”, l’appellante ha comportato, con la propria condotta, le sue spese di lite.

Quanto alla domanda presentata dall’appellante ai sensi dell’art. 96 c.p.c. [vi], disposizione del codice di rito che sanziona il comportamento della parte che, pur essendo consapevole dell’infondatezza della sua domanda od eccezione (e versando quindi in “mala fede”), la propone lo stesso (dando luogo alla cosiddetta “lite temeraria”), la Corte di Appello di Genova ha ritenuto di respingere, nel caso di specie, tale domanda, sia perché il comportamento concretamente tenuto dall’appellato non era inquadrabile in quello descritto dalla norma sia perché non era stato chiarito in cosa consistesse il presunto “danno” cagionato dal comportamento dell’appellato stesso.

La Corte d’Appello, infine, ha ritenuto condivisibile la posizione del Tribunale in ordine alla compensazione delle spese di lite: richiamando una giurisprudenza secondo la quale, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. [vii] applicabile ratione temporis, la compensazione può essere disposta pur in difetto di soccombenza reciproca in considerazione di “gravi ed eccezionali ragioni” (tra le quali può considerarsi rientrante una situazione di oggettiva incertezza riguardo al diritto controverso) [viii].

Conclusioni

La pronuncia appena esaminata consente dunque di richiamare l’attenzione su un aspetto della disciplina della mediazione civile e commerciale del quale, talvolta, si potrebbe mancare di tenere dovutamente conto, ovverossia quello relativo alle conseguenze derivanti dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura stragiudiziale in ipotesi di mediazione obbligatoria, tema suscettibile di riflessioni come quella, ad esempio, che porta a chiedersi se la parte presentatasi al primo incontro (notoriamente prodromico alla mediazione vera e propria) debba manifestare, al mediatore designato, i motivi sulla base dei quali non intenda aderire alla procedura stragiudiziale, e se di tali motivi debba rimanere traccia per scongiurare le conseguenze indicate dall’art. 8 D. Lgs. 28/2010.

Quanto affermato nella pronuncia presa in esame, che qualifica la partecipazione agli incontri di mediazione come “condotta assolutamente doverosa” e che sottolinea come debba sussistere un “giustificato motivo impeditivo” avente determinati caratteri affinché tale condotta possa essere omessa, ha rilevanza rispetto all’ipotesi in cui la parte chiamata in mediazione pretenda di basare la propria mancata partecipazione sulla asserita infondatezza delle ragioni di controparte, tenendo tra l’altro presente che, in questo contesto, si parte da un contrasto di opinioni, di vedute e di intenti che poi va sciolto favorendo l’avvicinamento tra le parti in prospettiva di un accordo amichevole [ix].

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Note

[i] Art. 8 D. Lgs. n. 28 del 2010

[ii] Art. 116, comma 2, c.p.c.

[iii] Tribunale di Firenze, ordinanza del 03/06/201

[iv] Art. 91 c.p.c., disposizione in materia di condanna alle spese fondata sul principio di soccombenza, per cui la necessità di ricorrere al giudice non deve danneggiare colui che, all’esito del giudizio, risulti aver ragione. Giova altresì precisare, a tale riguardo, che la condanna alle spese non deve essere intesa come una sanzione che viene inflitta alla parte soccombente, bensì come qualcosa di consequenziale alla soccombenza stessa.

[v] L. 18/06/2009, n. 69

[vi] Art. 96 c.p.c.

[vii] Art. 92, comma 2, c.p.c., modificato prima dalla L. 18/06/2009, n. 69 e poi dal D.L. 12/09/2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10/11/2014, n. 162

[viii] Cass., ordinanza n. 21157 del 07/08/2019

 

[ix] Tribunale di Roma, sentenza del 29/05/2014

 

 

Dott. Edoardo Luigi Barni

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