La mancata prova del nesso causale tra danno subito e condotta del medico determina il rigetto della domanda risarcitoria

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La vicenda

Nella vicenda oggetto della sentenza in esame, l’attore, pochi anni dopo aver subito due distinti interventi di artroprotesi alle due gambe in quanto era affetto da coxartrosi bilaterale, aveva eseguito dei controlli radiografici, a causa di dolori e degli strani rumori che aveva sentito provenire dalle gambe dove erano presenti le due protesi, attraverso i quali appurava che si era rotta la testina in ceramica della protesi inserita nella gamba destra. In ragione di ciò, l’attore si sottoponeva ad un nuovo intervento chirurgico per la sostituzione di tutta la protesi inserita nella gamba destra e successivamente faceva valutare da un medico legale le conseguenze dannose derivanti dalla rottura della prima protesi.

Dopo una serie di richieste stragiudiziali e di un tentativo di definizione bonaria della vicenda presso la camera di conciliazione, l’attore, non ricevendo alcuna proposta risarcitoria né dal medico e dalla struttura sanitaria dove era stato eseguito l’intervento di inserimento della protesi poi danneggiatasi, né dalla ditta fornitrice della suddetta protesi, si vedeva costretto ad adire il Tribunale di Milano per richiedere il risarcimento dei danni.

La decisione

Il tribunale di Milano, in via preliminare, ha ripercorso l’orientamento ormai consolidato e i giudici di legittimità in tema di onere probatorio nella materia delle risarcimento danni per, facendo presente che in tale settore nel caso in cui l’attore faccia valere una responsabilità contrattuale del medico o della struttura sanitaria per inadempimento della prestazione, deve dare la prova del contratto stipulato con la struttura o il medico e dell’aggravamento della malattia o comunque dell’insorgenza di nuove malattie nonché il relativo nesso causale tra questi ultimi e il comportamento attivo o omissivo del medico. Soltanto dopo che l’attore ha fornito la prova che i danni lamentati siano dipesi dal comportamento del medico o della struttura, secondo il principio del più probabile che non, grava sul convenuto l’onere di dimostrare che la prestazione sanitaria è stata effettuata diligentemente e che pertanto l’evento dannoso è dipeso da fattori non previsti e non prevedibili non dipendenti dal comportamento del sanitario.

All’esito della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio è emerso che l’intervento sanitario di inserimento delle protesi nelle due gambe dell’attore era stato correttamente effettuato dal medico e che la tecnica chirurgica che era stata utilizzata in detto intervento era quella usuale in interventi analoghi nonché che anche le protesi utilizzate erano compatibili con la tipologia di intervento da eseguire ed erano state posizionate correttamente. Inoltre, il consulente d’ufficio ha accertato che il paziente aveva un peso corporeo rientrante nei limiti previsti per l’utilizzo di quel tipo di protesi e non è emerso alcun elemento idoneo a provare la presenza di un difetto nelle protesi impiegate ed anzi, a detta del consulente, è possibile sostenere che la rottura della testina ceramica della protesi sia un limite intrinseco al tipo di materiale utilizzato. Infine, il perito nominato dal giudice ha accertato che all’esito dell’intervento chirurgico sostitutivo della prima protesi, l’attore aveva subito un’invalidità biologica permanente, derivante dalla mortificazione ulteriore dei tessuti e da nuove cicatrici, quantificabile nella misura del 5 o 6%.

In considerazione degli accertamenti effettuati dal consulente tecnico d’ufficio, il Giudice ha, quindi, concluso sostenendo che non è possibile affermare che la rottura della protesi inserita all’interno del paziente possa essere in qualche modo riconducibile alla condotta tenuta dalla struttura sanitaria o dal medico che ha eseguito l’intervento, né tantomeno ad un difetto di fabbricazione imputabile al produttore e al distributore del prodotto stesso.

Detto, il giudice milanese è andato ad esaminare l’orientamento giurisprudenziale nel caso in cui resti incerta la causa dell’evento. In particolare, secondo il giudice meneghino è necessario distinguere tra la causalità che riguarda la realizzazione dell’evento o il successivo danno, definita causalità materiale per quanto riguarda l’evento e causalità giuridica per quanto riguarda invece il danno, rispetto alla causalità relativa all’impossibilità della prestazione. Infatti secondo la giurisprudenza di legittimità sussistano due distinti cicli di causalità: quello che riguarda l’evento dannoso, che deve essere provato dal danneggiato e quello che riguarda invece l’impossibilità di adempiere che deve essere provato dal danneggiante. In altri termini, il danneggiato e onerato della prova che vi sia un nesso di causalità fra la malattia insorta o aggravatasi e il comportamento tenuto dal sanitario; mentre il danneggiante e tenuto a provare, per andare esente da responsabilità, che sussista una causa imprevedibile e inevitabile che ha impedito di effettuare la prestazione sanitaria. In ragione di ciò, se e ignota la causa che ha determinato l’evento dannoso, il danneggiato attore non avrà assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante. Mentre soltanto se quest’ultimo abbia fornito la prova del suddetto nesso causale tra malattia e condotta del sanitario, acquisterà rilievo il ciclo causale relativo alla possibilità o meno di adempiere e pertanto graverà sul danneggiante l’onere di dimostrare che l’inadempimento dal quale è derivato il danno è stato determinato da una causa imprevedibile e inevitabile. Conseguentemente, in quest’ultimo caso, la causa ignota e quindi la mancata dimostrazione della causa che ha reso impossibile l’adempimento della prestazione sanitaria, sarà sfavorevole al danneggiante che pertanto non potrà andare esente da responsabilità.

Ebbene, secondo il giudice milanese, nel caso di specie l’attore ha provato soltanto la sussistenza del contratto tra il medesimo e la struttura sanitaria, mentre non è riuscito a fornire la prova del nesso di causalità fra l’evento dannoso lamentato, cioè la rottura della protesi, e l’intervento chirurgico effettuato dal medico nella struttura sanitaria. Anzi, dalla stessa consulenza tecnica d’ufficio espletata e emerso il contrario e cioè che il danno accertato in capo all’attore non è addebitabile alla condotta posta in essere dal sanitario.

Lo stesso dicasi per quanto concerne la responsabilità della ditta distributrice della protesi, in quanto dalla consulenza tecnica d’ufficio non è emerso un collegamento causale fra danno e un difetto eventuale della testina ceramica della protesi. Anzi, il consulente tecnico ha accertato che la protesi non presentava alcun vizio o difetto e che la sua rottura era un limite intrinseco e non eliminabile del materiale che era stato utilizzato per la realizzazione della protesi.

Il giudice ha così escluso la responsabilità sia dei sanitari che della ditta distributrice della protesi, rigettando la domanda dell’attore.

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Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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