La manutenzione delle opere pubbliche. L’approccio metodologico e le opportunità

Redazione 07/11/18
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di Francesco Sebastio 

Il drammatico crollo di una parte del viadotto sul fiume Polcevera (anche noto come Ponte Morandi) ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della manutenzione e del monitoraggio delle infrastrutture stradali. Constatiamo come il livello di attenzione e di consapevolezza della necessità di affrontare questo tema – sia sul piano della programmazione degli investimenti che sul piano del dibattito tecnico – cresca in funzione del numero di vite umane coinvolte in eventi tragici, così come è accaduto dopo quello recente di Genova.
Il 17 agosto, appena tre giorni dopo il crollo del Ponte Morandi, i sindaci dei comuni pugliesi hanno ricevuto una nota della struttura decentrata del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con la quale sono stati invitati “a procedere, con la massima urgenza, all’avvio di un’azione di monitoraggio dello stato di conservazione e manutenzione delle opere infrastrutturali, viarie e non, che ricadono nella competenza di codesti enti/amministrazioni”, e a segnalare, “entro e non oltre il 30 agosto, gli interventi necessari a rimuovere le condizioni di rischio riscontrate nelle tratte infrastrutturali di competenza, corredando le predette segnalazioni di adeguate attestazioni tecniche (perizie tecniche, verbali di sopralluogo, ecc.) ed indicazioni di priorità, nonché della stima indicativa dei relativi costi”.
Tale nota ha subito messo in fibrillazione gli uffici tecnici comunali, i quali, già ridotti al minimo dell’organico nel periodo estivo, hanno avuto a disposizione meno di due settimane di tempo per riscontrare la nota del ministero. A ciò si è aggiunta la consapevolezza della impossibilità di corrispondere alla richiesta ministeriale, con la produzione di elaborati tecnici che fossero dotati dei contenuti minimi e del grado di approfondimento normativamente prescritti dal d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) e dal d.P.R. n. 207/2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice dei contratti pubblici).

Uffici competenti

Tali considerazioni sono state poi rappresentate alla struttura ministeriale territorialmente competente, unitamente all’invio del riscontro richiesto. Negli stessi giorni, anche il Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) ha fatto sentire la sua voce inviando una nota al senatore Danilo Toninelli – Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – stigmatizzando l’ansia del ministero di ricevere in poco tempo informazioni sullo stato delle infrastrutture presenti a livello locale ed evidenziando che “non servono provvedimenti urgenti e non organici: serve un piano di conoscenza su tutto il territorio, redatto da tecnici esperti e competenti nelle varie discipline coinvolte, con protocolli specifici in funzione delle tipologie, dei materiali, delle prestazioni”.
Il CNI ha pure affermato che “servono responsabilità ed azioni tecniche adeguate, e sarebbe sbagliato scambiare per emergenza quello che, al contrario, dovrebbe essere un impegno costante di ogni amministrazione centrale e periferica: conoscere, censire, mantenere, prevenire, stabilire criteri di intervento e priorità, ottimizzare le tipologie di intervento, acquisendo dati e informazioni omogenei utilizzabili a livello nazionale”.
Un interessante contributo al dibattito tecnico che merita di essere menzionato, in quanto condivisibile sul piano metodologico, è la proposta che lo scorso 4 settembre l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Taranto ha trasmesso ai sindaci sotto forma di un protocollo tecnico-procedurale per la valutazione dello stato dei ponti e dei viadotti nei territori di competenza degli enti locali.
La finalità di questo protocollo è quella di uniformare il linguaggio tecnico-scientifico del processo cognitivo e del monitoraggio delle opere infrastrutturali che consentirà di ottenere una sorta di censimento delle infrastrutture, i cui dati omogenei, una volta inseriti in uno specifico database, potranno dar vita ad una sorta di “anagrafe” dalla quale attingere per programmare le attività successive. Ad esempio sarà possibile estrarre un elenco delle prove strumentali o degli interventi da eseguire in base alle priorità.
Il protocollo proposto si compone di 7 step, dei quali i primi 3 sono finalizzati alla conoscenza delle infrastrutture e alla valutazione del relativo stato di degrado; mentre i restanti 4 riguardano la progettazione, l’esecuzione e il collaudo degli interventi ove si decidesse, appunto, di realizzarli.
(continua a leggere…)

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