È oggi frequente ascoltare un servizio in tv, o leggere un articolo o un sondaggio su una rivista, che illustrano il costante aumento di separazioni e divorzi nel nostro Paese, dovuti alle più disparate ragioni ma per i quali spesso il motivo addotto è una semplice e generica “incompatibilità di carattere”
[1]. Fatti di questo tipo costituiscono indubbia testimonianza della fragilità delle persone ma forse in particolare della sempre minor tolleranza che i membri di una coppia reciprocamente manifestano, mettendo in risalto quanto in queste circostanze la famiglia sia mutevole e contraddittoria rispetto al ruolo di stabilità che le si vorrebbe invece assegnare
[2]. Pochi problemi sorgono nel caso di separazioni fra persone le quali non hanno avuto figli, nonostante sia pur sempre e comunque auspicabile trovare ove possibile una soluzione ai problemi coniugali che hanno portato a una tale situazione al fine di mantenere un legame in vita in presenza di prospettive di riequilibrio e miglioramento, ma qualora da una relazione coniugale si sia avuta procreazione un genitore non può non orientare le proprie scelte al miglior interesse del bambino, e valutare con maggiore attenzione e ponderazione gli effetti di una decisione di tal peso, adempiendo al non semplice compito di un’organizzazione successiva alla separazione che rechi il miglior pregiudizio possibile al figlio. Purtroppo la legge quasi mai è in grado apprestare strumenti adatti a dare una risposta adeguata ai problemi di una coppia, ed è appunto per questo motivo ed in questo contesto che prende corpo la figura del mediatore familiare, è allo scopo di coadiuvare i coniugi in questa complicata fase della loro vita insieme che è predisposto lo strumento della mediazione familiare, intervento professionale rivolto alle coppie in crisi e finalizzato a riorganizzare le relazioni familiari in presenza di una volontà di separazione o di divorzio, avente quale obiettivo centrale il raggiungimento della cogenitorialità, ovvero la salvaguardia della responsabilità genitoriale individuale nei confronti dei figli, in special modo se minori. In un momento così delicato i protagonisti della vicenda hanno difficoltà a trovare possibili accordi riguardanti la loro vita da separati e soprattutto a continuare una collaborazione effettiva come genitori?educatori dei figli che troppo spesso in tali situazioni vengono usati come arma per privare del loro affetto l’altro coniuge su cui si intendono far ricadere tutte le responsabilità del fallimento matrimoniale
[3]. Lo scopo della mediazione familiare è quindi quello di risolvere o attenuare questi conflitti dando così la possibilità alla coppia di riorganizzare la propria vita e porre le basi per un possibile ricongiungimento oppure per una scelta di separazione che sia meno traumatica per i due partner e soprattutto per i loro figli
[4]. La mediazione familiare nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60 e da qui si diffonde in Canada e successivamente in tutta l’Europa occidentale, specie nei paesi di lingua inglese e francese, facendosi strada in Italia solo a partire dagli anni ’90 in seguito all’incremento di separazioni e divorzi. Attraverso questo processo i genitori in via di separazione, separati o divorziati, si rivolgono liberamente ad un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli effetti distruttivi di un grave conflitto che interrompe o disturba la comunicazione tra loro
[5], e requisito indispensabile per intraprendere un tale percorso è l’assenza di conflitto giudiziale in corso
[6], in quanto finalizzato al raggiungimento degli obiettivi definiti dalla coppia al di fuori del sistema giudiziario, al quale ultimo si ricorre soltanto per le omologhe degli accordi raggiunti. Il ruolo del mediatore familiare è quello di portare i coniugi a trovare da sé le basi di un accordo durevole e accettabile tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità ed uguaglianza dei ruoli genitoriali
[7]. Il concetto di mediazione nel senso di attività di conciliazione nelle dispute fra cittadini è però tutt’altro che nuovo. Volendo risalire piuttosto indietro nel tempo possiamo fare riferimento al tempo degli antichi romani, quando Menenio Agrippa cercava di indurre alla “conciliazione” patrizi e plebei tentando di dimostrare loro come entrambi fossero complementari nella società dell’epoca, mentre successivamente presso altre culture veniva convocata l’assemblea degli anziani al fine di valutare la questione che creava disaccordo fra i membri della comunità al fine di trovare un’intesa. Ovviamente si tratta di strumenti notevolmente potenziati dal legislatore nel corso del tempo, predisposti al fine di ottenere uno snellimento del contenzioso dinanzi all’Autorità Giudiziaria che non riesce a gestire in tempi accettabili le controversie legali. Persegue un tale obiettivo la legge n.54/2006
[8], intervenuta per riformare alcune norme del codice civile relative al diritto di famiglia, che ha previsto espressamente il ricorso alla figura del mediatore da parte dei coniugi in via di separazione, statuendo che il giudice possa loro consentire di avvalersi di esperti
[9] per tentare una mediazione volta al raggiungimento di un accordo con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli
[10]. Si tratta del primo intervento normativo in materia nel nostro Paese, frutto dell’opera del Prof. Marino Maglietta, presidente dell’associazione “Crescere Insieme”, che si occupa da un punto di vista giuridico delle questioni relative alla mediazione familiare e segnatamente all’affido condiviso della prole, di una norma introduttiva di un nuovo potere discrezionale del Giudice, che può rimettere le parti in causa dinanzi ad un collegio di esperti al fine di stimolare la nascita di accordi tra i coniugi per regolamentare il nuovo
menage familiare successivo alla crisi coniugale
[11]. Il mediatore familiare è una persona laureata in Scienze Giuridiche o Sociali che riceve una specifica preparazione post?laurea al fine di operare come soggetto neutrale il cui compito non è soltanto quello di intervenire per riorganizzare le relazioni familiari, nel senso di negoziazione di tutte le questioni relative alla separazione o al divorzio, ad esempio con riferimento alle condizioni economiche dei coniugi o alla suddivisione delle proprietà, ma anche ad aiutare la coppia a trovare gli strumenti con cui far fronte ad una coniugalità perduta e mantenere inalterata la loro responsabilità genitoriale. Infatti il mediatore familiare affronta sia gli aspetti “materiali” della situazione, come la divisione dei beni e la determinazione dell’assegno di mantenimento, sia gli aspetti “emotivi”, quali l’affidamento dei figli e la comunicazione della separazione al nucleo familiare
[12], agendo come un punto di osservazione esterna che attraverso una serie di incontri, in genere una decina, aiuta la coppia a instaurare un dialogo “mediato” da una persona terza. Non si può però parlare di quella di mediatore come una “professione”, in considerazione dell’assenza di un organo di vigilanza come un albo o un ordine professionale e di requisiti minimi richiesti per il suo esercizio, ma è sufficiente il possesso di adeguate conoscenze e competenze, al fine dello svolgimento di questa funzione di “promozione sociale” a baluardo di quella socialità umana che fece il suo ingresso giuridico nella nostra Costituzione e che trova la sua più completa realizzazione nella formazione sociale basilare, la famiglia
[13]. Comunque attraverso la figura del mediatore e l’aiuto che indubbiamente costui può dare a due genitori in crisi, si consente anche e soprattutto ai figli di vivere in un contesto familiare più sereno e di avere dei genitori che, seppur separati o divorziati, continuano ad occuparsi responsabilmente di loro e ad essere un punto di riferimento stabile nella loro crescita. A tale scopo risponde anche la previsione dell’affidamento cd condiviso
[14], comportante l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi ed una condivisione delle decisioni di maggiore importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore, non più come evenienza residuale come nel precedente sistema, bensì come regola rispetto alla quale l’affidamento esclusivo costituisce ora un’eccezione
[15]. Infatti è oggi possibile derogarvi soltanto ove risulti che uno dei due genitori si trovi in una condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa o comunque tale da rendere quell’affidamento in concreto pregiudizievole per il minore
[16]. La mediazione è stata infatti definita anche come un intervento volto a mettere in relazione due o più familiari in conflitto, attuale o potenziale, per la conclusione di un “progetto”, a cominciare appunto dal cd “progetto figlio”, visto che sono comunque questi ultimi i beneficiari privilegiati di questo tipo di intervento, e specialmente se piccoli sono assenti nel processo di mediazione, che è considerato il modo migliore affinché questi vedano tutelati i loro diritti, bisogni ed interessi ma che comunque, nel rispetto della privacy del nucleo familiare, non si occupa del passato e dei motivi che hanno condotto la coppia alla decisione di separarsi, soffermandosi soprattutto sui ruoli presenti e futuri e su tutti gli aspetti di gestione del nuovo assetto familiare. Con la mediazione familiare si metteranno in atto tutti quei procedimenti che consentiranno alle parti di decidere in un clima di rispetto l’uno verso l’altro e di consapevolezza delle proprie e altrui necessità quali sono le scelte migliori per tutti, in modo da ridurre al minimo i rischi che esse non vengano più rispettate. Il contenuto della volontà delle parti verrà riportato in un accordo finale che sarà presentato al giudice dall’avvocato delle parti per essere omologato, diventando così vincolante a tutti gli effetti. In considerazione però della costante mutevolezza dei rapporti familiari e dei bisogni espressi dai suoi membri è possibile che si renda necessaria successivamente una revisione dell’accordo alla quale le parti potranno provvedere ogni qual volta non lo ritengano più rispondente alle proprie necessità e soprattutto a quelle dei figli. Si tratta infatti di accordi i quali non vincolano giuridicamente la coppia, la quale può decidere di rispettarli per riorganizzare la propria vita in modo autonomo o di sottoporli al proprio avvocato perché li trasfonda in un atto giuridico e avviare così una procedura legale congiunta
[17]. I dati sperimentali derivati dagli studi condotti a livello mondiale relativi alle conseguenze del divorzio indicano infatti che la durata degli accordi è direttamente proporzionale al grado di soddisfazione che questi procurano a chi è tenuto a rispettarli, e conseguentemente soltanto un accordo il quale rispetti gli interessi di entrambi i coniugi avrà possibilità di resistere durevolmente nel tempo. Queste ricerche, avviate negli Stati Uniti e in Canada ma sviluppatesi anche in Europa, mostrano inoltre con evidenza che in percentuale gli accordi raggiunti in sede di mediazione familiare presentano un numero considerevolmente più basso di successivi ricorsi in tribunale rispetto agli accordi imposti dal giudice in sede giudiziaria, confermando l’utilità di tale strumento ai fini della definizione in modo sereno e di non antagonismo fra i soggetti interessati dei principali aspetti relativi alla loro vita da separati. Bisogna però tener presente che lo strumento della mediazione familiare non è necessariamente o esclusivamente rivolto alle coppie che hanno già deciso di separarsi, poiché in quanto servizio di aiuto in caso di conflittualità familiare, possono recarsi dal mediatore tutti coloro che vivono una situazione di conflitto in famiglia e che avvertono il bisogno di trovare uno spazio neutro in cui confrontarsi per chiarire la propria posizione, le proprie idee, o ritrovare un proprio ruolo coniugale o genitoriale corroso dal tempo o da situazioni conflittuali. Il primo centro di mediazione familiare nasce nel 1974 ad Atlanta per opera dello psicologo e avvocato statunitense James Coogler, e la pratica della mediazione familiare si diffonde poi anche in Europa, in particolare in Inghilterra trova il suo
input nell’associazione
Family Mediators Association[18] ed il
Family Law Act[19], il quale ultimo ne riconosce l’importanza prevedendo l’obbligo di almeno un incontro di mediazione per le dispute aventi carattere familiare. In Francia viene invece emanato nel 1996 il
Nouveau Code de Procédure Civile[20], la cui rilevanza è determinata anche dalle novità introdotte in materia di diritto di famiglia, e prevede la possibilità per il Giudice di nominare un terzo soggetto che ascolti le due parti tra loro in dissidio al fine di tentare il raggiungimento di una soluzione, dando soltanto il via all’utilizzo di una pratica che pochi anni dopo sarebbe diventata un’attività complementare a quella del giudice
[21]. Quanto all’esperienza italiana, lo strumento della mediazione familiare si diffonde negli anni ’80, più per geminazione di attività esistenti quali ad esempio i consultori familiari che per mutuazione da esperienze straniere, ma manca attualmente una disciplina e univocità di pensiero sulla definizione, modalità di esercizio e limiti dello svolgimento di tale attività. Nel 1987 nasce a Milano l’associazione GeA, Genitori Ancora, per la divulgazione dello strumento della mediazione familiare, e si diffondono poi in tutto il Paese di centri sperimentali e le prime scuole per la formazione dei mediatori familiari, e benché non si tratti tutt’oggi di una figura professionale oggetto di specifica regolamentazione, esistono dei corsi di formazione riconosciuti dalle Regioni ed erogati da apposite agenzie formative che rilasciano un attestato di qualifica professionale di “Esperto Mediatore Familaire
[22]”. Dal punto di vista normativo possiamo comunque tener presente che il codice del 1942 ha introdotto importanti innovazioni rispetto al suo predecessore, riconoscendo la centralità della persona e non più della proprietà e la centralità della famiglia, nonché i doveri di correttezza e buona fede, l’equità, principi questi ai quali la mediazione familiare, pur non trovando esplicito riconoscimento nel codice, indubbiamente si uniforma, e costituisce inoltre applicazione anche e soprattutto di quanto sancito con la riforma del diritto di famiglia
[23], con la quale che in particolare ha introdotto il principio di parità dei coniugi e la regola della ricerca del consenso
[24]. Ma possiamo fare riferimento anche a fonti normative internazionali, innanzitutto la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, la quale disciplina all’art. 8 il diritto al rispetto della vita privata e familiare, che presenta indubbia connessione con l’argomento in oggetto, in quanto la mediazione familiare è volta ad appianare la conflittualità tra le parti al fine di ristabilire tale rispetto
[25]. Inoltre, in considerazione della preminenza dell’interesse dei figli nell’esplicazione dell’attività di mediazione, possiamo menzionare la Dichiarazione dei diritti del bambino adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959, in cui si stabilisce la superiorità dell’interesse del bambino in ogni attività degli adulti che lo riguardi, ed il cui contenuto è stato ulteriormente precisato successivamente nella Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York nel 1989 e ratificata nel 1991, la quale pone l’accento sull’esigenza che l’interesse del minore prevalga su ogni altro interesse eventuale in conflitto e sulla necessità di preservale la personalità del bambino da ogni forma di manipolazione proveniente dalla famiglia o da chiunque altro, oltre a prevedere il diritto di quest’ultimo ad essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari e amministrativi che lo coinvolgono
[26].
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