Normativa di riferimento ed ambito di applicazione
Il D.lgs 28/2010 in Italia e la Ley Organica 5/2012 in Spagna danno attuazione alla direttiva europea 52/2008 sulla mediazione civile e commerciale.
L’ambito di applicazione della Ley Organica è il diritto privato. La mediazione civile e commerciale è esperibile per ogni tipo di conflitto, sia a livello nazionale che transfrontaliero[1], vertente su diritti ed obbligazioni disponibili “in virtù della legislazione applicabile”, quando le parti espressamente si accordino in tal senso e almeno una delle parti abbia il domicilio in Spagna o il procedimento si svolga nel territorio nazionale (art. 2.1)[2]. Anche in Italia la mediazione è esperibile per la conciliazione di una controversia civile e commerciale “vertente su diritti disponibili”, come affermato dal legislatore in modo esplicito all’ art. 2 co.1, D.Lgs 28/2010 ed implicitamente agli artt. 12 e 14, quando precisa che “accordo” e “proposta conciliativa” trovano il loro limite del rispetto dell’ordine pubblico e delle norme imperative.
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I principi informatori della mediazione. La volontarietà
Partendo da una analisi comparata dei principi informatori dell’istituto è possibile cogliere le maggiori divergenze tra le due discipline.
In primo luogo, va evidenziata l’imprescindibile e puntualizzata natura volontaria che fonda l’istituto in Spagna (art. 1 Ley), a fronte dei connotati di obbligatorietà che il legislatore italiano ha insistentemente prescritto. Tuttavia, nell’articolo 1, D.lgs. 28/2010, si afferma che scopo della mediazione è la “ricerca di un accordo amichevole” (un accordo non può che essere frutto della volontà dei soggetti) tra le parti per dirimere una controversia ovvero, sempre nello stesso articolo, alla lettera b), viene sancita la natura facilitativa della mediazione (il mediatore, infatti, è privo del potere di “rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”): in tal modo, il potere di vincolarsi è lasciato alla sola volontà delle parti .
Invero, l’essenza della mediazione è rappresentata dalla volontarietà. Le parti sono il baricentro della mediazione e la loro volontà è il perno su cui ruota l’intero procedimento. La previsione, che troviamo in entrambi gli ordinamenti, di incentivi e benefici fiscali in favore di coloro che scelgono la mediazione per risolvere una controversia non incide sulla volontarietà dell’istituto, che in Spagna si atteggia come principio cardine ed informatore di tutte le fasi del procedimento, dall’inizio alla conclusione, sia essa positiva che negativa. Unica apparente eccezione è possibile coglierla nel caso di clausola o accordo di mediazione che vincola le parti che l’hanno disposta volontariamente in un contratto a pena di improcedibilità (art. 6.2 Ley). In questo caso, però, l’obbligatorietà trova comunque la sua fonte nella volontà e libera determinazione delle parti. Secondo parte della dottrina non si realizzerebbe una compressione del principio di volontarietà, atteso che la volontà delle parti si estrinseca in una scelta libera, anche se previa e non successiva al sorgere della controversia. In Italia, la cd. mediazione concordata (art. 5, co. 5 D.Lgs. 28/2010) viene inclusa nelle ipotesi di mediazione facoltativa. Si intende per mediazione concordata quella prevista in virtù di una clausola di mediazione o conciliazione contenuta in un contratto, nello statuto o nell’atto costitutivo di un ente. Ai sensi del succitato articolo, se il tentativo di mediazione non viene esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte proposta nella prima difesa, assegna alle stesse il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa già la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 (tre mesi).
Il principio di volontarietà, in Italia, quantomeno nel momento iniziale, è passato in secondo piano a fronte della scelta politica di incentivare l’affermazione dell’istituto attraverso la prescrizione del tentativo di mediazione obbligatoria, che è necessario a pena di improcedibilità sia nei casi stabiliti dalla legge in relazione a determinate materie (art. 5, co. 1bis D.lgs 28/2010), sia in caso di mediazione delegata dal giudice in corso di causa e sia in caso di clausola di mediazione.
In Spagna, la centralità del principio volontaristico comporta un diverso sviluppo procedimentale dell’istituto rispetto a quanto disciplinato nell’ordinamento italiano. Occorre evidenziare, innanzitutto, la diversità di ruolo attribuita all’organismo di mediazione. In Spagna non è sancito che le parti si affidino necessariamente ad un organismo di mediazione. Le parti possono, infatti, concordare di rivolgersi ad un organismo di mediazione per la designazione del mediatore ma anche in questo caso il rapporto intercorrerà tra le parti e il mediatore, il quale risponde direttamente del proprio operato. In Italia, il rapporto intercorre tra le parti e l’organismo di mediazione mentre il mediatore, secondo parte della dottrina, oltre a rispondere degli eventuali danni patiti dalle parti in forza del principio di neminem leadere, sarebbe gravato anche da una responsabilità da “contatto sociale”[3].
Come già affermato, in Spagna, il principio di volontarietà, permea tutto l’istituto. L’art. 3 co. 3 de la Ley, sancisce che “nessuno è obbligato a proseguire nel procedimento o a concludere un accordo” e il successivo art. 19.1 rafforza il concetto, allorquando afferma che le parti debbono espressamente dichiarare la “accettazione volontaria” della mediazione[4].
Anche in Italia sono le parti a decidere le sorti della mediazione ma il mediatore può, di sua iniziativa o su istanza delle parti, formulare una proposta. Le parti possono rifiutare la proposta ma il diniego potrebbe comportare la condanna alle spese nel caso in cui, l’eventuale successivo giudizio si concludesse con una sentenza in linea con la proposta del mediatore (c.f.r. art. 13, D.lgs. 28/2010). Una previsione di tal guisa non è inclusa nella normativa spagnola.
I principi di neutralidad e imparcialidad del mediatore
L’art. 8 Ley Organica prevede che il procedimento di mediazione deve garantire che parti intervengano nello stesso su un piano paritario, mantenendo un equilibrio tra le varie posizioni e nel rispetto dei punti di vista espressi. Di contro, le parti, ai sensi dell’art. 10.2, sono tenute ad agire tra loro in conformità ai principi di lealtà, buona fede e rispetto reciproco.
Il principio di neutralità (art. 8) e il rimando dello stesso all’art. 14 consentirebbe di tradurre il suo contenuto nell’obbligo per il mediatore di astenersi da imporre alle parti alcuna decisione e di adempiere fedelmente all’incarico di sostenere le parti che debbono, por si mismas, raggiungere un accordo in pieno consenso. Imparzialità e neutralità, dunque, non sono sinonimi: l’imparzialità è una qualità del mediatore e si sostanzia nell’assenza di conflitti di interesse di questi rispetto alle parti o all’oggetto della controversia, mentre la neutralità attiene al ruolo del mediatore nel procedimento, che non ha carattere né aggiudicativo né valutativo bensì unicamente facoltativo, sebbene “attivo” nel propiziare l’accordo delle parti, secondo quanto previsto dall’art. 13 co. 1 e 2[5].
La Ley impone che il mediatore svolga la sua attività senza pregiudizio o a favore di nessuna delle parti, sancendo così in maniera espressa il principio di imparzialità, che nella normativa italiana è desunto dal contesto della disciplina.
Il comportamento imparziale va garantito nel corso di tutto il procedimento. In forza di questo principio, l’art. 13. 4 de la Ley impone al mediatore di non iniziare o, se già intrapresa, di abbandonare la mediazione quando si verificano circostanze che possano interferire con la sua imparzialità. A tal proposito, i commi 5 e 6 dello stesso articolo prevedono che il mediatore, prima di iniziare o nel corso della mediazione, debba informare le parti delle circostanze che possono renderlo parziale o generare un conflitto di interessi. La norma prevede un elenco non tassativo di casi che fanno sorgere in capo al mediatore l’obbligo di comunicazione alle parti di tali circostanze. I rimedi preventivi previsti in casi di parzialità o conflitto di interessi o che comunque incidono sul rapporto di fiducia che deve sussistere tra le parti e il mediatore, al fine della buona riuscita della mediazione, sono, per il mediatore, il diritto di rinunciare all’incarico che, nella normativa spagnola, non richiede altro onere che l’informativa scritta alle parti (art. 13.3), e, per le parti, la ricusazione (rechazo) del mediatore, che va comunicata a quest’ultimo per iscritto.
Sia la rinuncia che la ricusazione non comporteranno l’arresto della procedura, se non nel caso in cui le parti non procedano a nominare altro mediatore (art. 22.2) [6]. A posteriori, le parti sono tutelate dalla previsione di una responsabilità diretta del mediatore che non adempia fedelmente al suo incarico e sussidiaria dell’organismo di mediazione che lo abbia designato (salvo diritto di regresso, cfr. art. 14). A copertura degli eventuali danni subiti dalle parti, in conseguenza dell’agire infedele del mediatore, la disciplina impone a quest’ultimo di sottoscrivere una polizza assicurativa per la responsabilità civile derivante dal suo comportamento nelle controversie nelle quali intervenga (art. 11.3)[7]. D’altra parte, in Italia, un siffatto obbligo grava sull’organismo di mediazione (c.f.r. art. 4, co.2, lett. b), D.M. 180/2010). In particolare, tali organismi devono stipulare una polizza di importo non inferiore a cinquecentomila euro, che garantisca le richieste di risarcimento e le circostanze avanzate nei confronti dei medesimi e di tutti i suoi componenti regolarmente abilitati, nello svolgimento dell’attività di conciliazione delle controversie civili e commerciali. A tal proposito, la Corte di Cassazione, sez. III civile, con sent. n. 10506 del 26 aprile 2017 ha dichiarato che la clausola claims made, diffusa nei contratti assicurativi dei professionisti, quando esclude la copertura dei danni richiesti dopo la vigenza del contratto è illecita perché immeritevole di tutela si sensi dell’art. 1322, co.2 c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio nei confronti dell’assicuratore.
La riservatezza
Altro principio informatore della mediazione è la riservatezza o confidencialidad (art. 9, D.lgs. 28/2010 ed art. 9 della Ley Organica), necessaria per instaurare un clima di fiducia che consente alle parti di esprimere i loro interessi prima di giungere ad un accordo. Questo principio vincola il mediatore, le parti, le istituzioni di mediazione e tutti coloro che partecipano alla procedura e garantisce la tutela della riservatezza non solo in riferimento alla documentazione ma anche all’intero procedimento e coinvolge ogni informazione che possa essere stata ottenuta in relazione alla mediazione.
In tal senso, secondo la normativa spagnola, il mediatore, che è coperto (protegido) dal segreto professionale e tutti gli altri soggetti indicati non possono essere obbligati a rilasciare dichiarazioni o a consegnare, nell’eventuale successivo giudizio od arbitrato, documentazioni acquisite o relazionate con la mediazione. L’articolo in esame, però, pone delle eccezioni a tale obbligo di riservatezza, sia in ossequio al principio volontaristico che fondamenta l’intera normativa, sia per ragioni di interesse superindividuale. Le ipotesi individuate dalla legge sono due e riguardano, precisamente, quando le parti espressamente e in forma scritta dispensino dall’obbligo di riservatezza i soggetti ad esso vincolati e quando un giudice penale, con provvedimento motivato, emetta un ordine di esibizione o comparizione a dichiarare.
Il comma 3 dell’art. 9 Ley sancisce la responsabilità dei soggetti obbligati al rispetto della riservatezza, in caso di violazione. Tale responsabilità si atteggerebbe come contrattuale od extracontrattuale da fatto illecito, a seconda dei casi[8]. C’è inoltre da segnalare che, aldilà della responsabilità per violazione della riservatezza, il Tribunale Supremo è conforme nel ritenere ammissibili e validamente utilizzabili, a fondamento della sentenza, le prove allegate dalle parti al giudizio ma acquisite durante la mediazione, con il solo requisito della rilevanza per la causa (Sentencia N°: 109/2011, de 10 de febrero de 2011). Da più parti si auspica una modifica del codice di procedura civile spagnolo che preveda espressamente l’inutilizzabilità degli atti acquisiti in violazione al dovere di riservatezza nel procedimento di mediazione.
In Italia, il principio di riservatezza va analizzato sotto una duplice valenza, esterna ed interna. In particolare, la riservatezza cd. esterna è garantita dalla prescrizione, contenuta nell’art. 9 D.lgs 28/2010, secondo cui le dichiarazioni e alle informazioni apprese durante il procedimento di mediazione, non potranno essere utilizzate in sede processuale, salvo esplicito consenso della parte da cui provengono. Gli organismi di mediazione, inoltre, ai sensi dell’art. 3, co.2 D.Lgs. 28/2010 hanno l’obbligo di predisporre norme regolamentari idonee ad assicurare il rispetto del principio di riservatezza. Siffatto principio garantisce la posizione processuale di parità delle parti in un eventuale, successivo giudizio sul medesimo oggetto della mediazione, anche solo parziale. Inoltre, le parti, tutelate da tale principio, saranno in gradi di esporre liberamente anche fatti utili alla buona riuscita della mediazione ma che potrebbero essere potenzialmente pregiudizievoli in un eventuale giudizio. Ad ulteriore presidio del principio di riservatezza esterna, il decreto legislativo prevede l’inammissibilità della prova testimoniale, in aggiunta ai limiti già previsti agli artt. 2721 c.c. e seguenti e l’impossibilità di deferire giuramento decisorio sulle medesime circostanze. Inoltre, il mediatore non può essere costretto a deporre sulle stesse dichiarazioni ed informazioni dinanzi ad ogni altra autorità, giudiziaria o di altra natura. In particolare, sono estese al mediatore le disposizioni di cui all’art. 200 c.p.p. e le garanzie di cui all’art. 103 c.p.p. Per quel che concerne la cd. riservatezza interna, le informazioni e le dichiarazioni che una parte fa al mediatore durante le sessioni separate, sono coperte da riservatezza e solo la parte che le ha rese può autorizzare il mediatore a rivelare tali informazioni. A presidio di tale principio, il mediatore ha il dovere di non rivelare quanto appreso nelle sessioni separate non solo alle altre parti del procedimento ma anche di trasfondere tali informazioni nella proposta o nel verbale che chiude la mediazione[9].
I doveri imposti dalla Ley Organica alle parti e al mediatore, tuttavia, non si traducono in una compressione del principio di volontarietà della procedura, atteso che le parti ben possono accettare un mediatore che, “in potenza” potrebbe tenere un comportamento imparziale ma che “in fatto” assicuri che si atterrà ai doveri ed obblighi prescritti dalla legge e a tal proposito l’art.13.5 dispone che le parti debbano dare il loro consenso espresso e consapevole (hagan constar), lasciando desumere che nell’atto di accettazione debba risultare esattamente il motivo di potenziale imparzialità[10].
Cenni sullo statuto minimo del mediatore nella normativa spagnola: il principio della calidad de la mediación
La Ley Organica disciplina lo statuto minimo del mediatore al Titolo III. L’art. 11 indica i requisiti per assumere la qualità di mediatore, lasciando al Ministero della giustizia, alle Amministrazioni pubbliche competenti, in collaborazione con gli organismi di mediazione, la facoltà di richiedere un’adeguata preparazione iniziale e eventuali obblighi di formazione continua dei mediatori, nonché l’elaborazione di codici di condotta su base volontaria, così come la determinazione delle modalità di adesione volontaria a detti codici (art. 12) al fine di garantire un servizio di qualità al cittadino[11].
Il mediatore deve essere una persona fisica nel pieno possesso della capacità di agire ed esercitare una professione che non sia incompatibile con suddetto ruolo. Possono, in caso di materie complesse ovvero qualora le parti lo ritengano conveniente, essere incaricati anche più mediatori persone fisiche, che dovranno agire in modo coordinato (art. 18). Le persone giuridiche e le associazioni professionali costituite per offrire un servizio di mediazione possono assumere l’incarico che, però, deve essere svolto da un loro designato persona fisica (art. 11). Per assumere la qualità di mediatore è necessario essere in possesso di un titolo universitario o diploma di scuola superiore, oltre ad avere una specifica preparazione in mediazione, conseguita attraverso la frequenza di uno o vari corsi specifici, impartiti da Istituzioni accreditate. I soggetti in possesso di questi titoli possono esercitare la mediazione in tutto il territorio nazionale (art. 11.2) [12].
La preparazione del mediatore è multidisciplinare, al fine di poter facilitare la comunicazione tra le parti in conflitto e vigilare affinché le stesse possano ricevere le informazioni e il supporto professionale adeguato, così come disposto dall’art. 13.1[13]. La prima disposizione finale ha modificato la Ley 2/1974 sui Collegi Professionali, per cui, attualmente, gli avvocati iscritti all’albo possono esercitare, dare impulso, svolgere la mediazione, cosi come assumere il ruolo di arbitro, nazionale e internazionale, in conformità a quanto stabilito dalla legislazione vigente. Ad ogni modo, gli avvocati che esercitino funzioni di mediatore sono tenuti alla formazione continua, come ogni mediatore[14]. La Ley 5/2012 e il R.D. 980/2013 istituiscono il Registro de Mediadores e Instituciones de Mediación (Registro dei mediatori e degli organismi di mediazione) e prevedono che i professionisti in possesso dei requisiti di legge potranno iscriversi, su richiesta, alla banca dati presso il Ministerio de Justicia. Il Registro è pubblico ed ha funzione informativa. L’iscrizione è facoltativa e volontaria e la mancata iscrizione non impedisce al mediatore l’esercizio del suo incarico.
In Italia, i mediatori possono essere iscritti nel registro degli organismi di mediazione solo dopo aver frequentato un percorso formativo ad hoc, tenuto da enti di formazione accreditati (art. 16 d.lgs n. 28/2010, in combinato a quanto previsto al capo V del D.M. 180/2010). L’elenco degli enti abilitati a svolgere l’attività di formazione dei mediatori è tenuto presso il Dipartimento per gli affari di giustizia, del Ministero della giustizia, di cui è responsabile il Direttore generale della giustizia civile. I mediatori sono, altresì, tenuti ad adempiere agli obblighi di formazione continua[15].
Osservazioni conclusive
La direttiva 2008/52/CE ha imposto agli Stati membri di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime, incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra tale strumento e il procedimento giudiziario.
L’Italia ha dato attuazione alla direttiva comunitaria con il D.Lgs 28/2010, seguito dal regolamento attuativo D.M. 180/2010. La disciplina è stata oggetto di sindacato costituzionale, con la sentenza del 2012 n. 272, che ha indotto il legislatore a modificare la normativa con il D.L. 69/2013 (decreto del fare, conv. in L. 98/2013).
In Spagna, il Real Decreto Ley 5/2012 ha disciplinato la mediación en asuntos civiles y mercantiles in maniera organica e per tutto il territorio nazionale. La mediazione era già nota ed applicata nel Paese ma limitatamente alla materia familiare ovvero attraverso una normativa frammentaria in relazione alle singole Comunità Autonome.
La Spagna, benché nell’Anteproyecto prevedesse l’obbligatorietà del tentativo di mediazione, analogamente al modello italiano, ha comunque preferito dare all’istituto il carattere della volontarietà. La scelta, che si discosta dalla tendenza maggioritaria di altri ordinamenti di lingua iberica (si veda l’Argentina), non appare convincente agli stessi operatori del diritto, i quali lamentano una ancora timida diffusione dell’istituto.
Più aderente alle linee guida europee risulta essere la disciplina spagnola nella parte in cui mostra una natura internazionale, regolando le controversie transfrontaliere quando prevede che una parte straniera possa avviare una procedura di mediazione in Spagna, se le rispettive leggi nazionali lo consentono.
Il legislatore spagnolo ha puntualmente enunciato i principi informatori della materia, ovverosia: il principio di volontarietà e libera disposizione, quello di imparzialità, quello di neutralità e quello di confidenzialità. A questi principi si aggiungono le regole o direttrici che devono guidare la partecipazione delle parti alla mediazione, come la buona fede e il rispetto reciproco, così come anche il dovere di collaborazione e appoggio al mediatore, mantenendo il rispetto per la sua attività. In Italia, i principi sono desunti dal contesto normativo, mancando una puntuale razionalizzazione.
La centralità del principio volontaristico comporta un diverso sviluppo procedimentale dell’istituto, rispetto a quanto disciplinato nell’ordinamento italiano. In primo luogo, si evidenzia la diversità di ruolo attribuita all’organismo di mediazione. In Italia è l’organismo di mediazione accreditato che, una volta interpellato, procede alla designazione del mediatore, tant’è che il rapporto giuridico, anche dal punto di vista delle responsabilità, intercorre fra le parti in contesa e l’organismo. In Spagna, la scelta del mediatore è lasciata alla libera determinazione delle parti e l’intervento dell’organismo di mediazione è solamente eventuale: il rapporto giuridico si instaura esclusivamente fra le parti e il mediatore.
Concludendo, appare possibile affermare che la disciplina della mediazione civile e commerciale, in entrambi i Paesi, si pone come un valido percorso atto non solo a deflazionare il contenzioso giudiziale, ma anche a realizzare una nuova e vantaggiosa offerta di giustizia più vicina al cittadino e maggiormente accessibile. In un contesto socio-politico caratterizzato dalla eterogeneità di culture ed interessi, l’affermarsi di una “cultura della mediazione” potrebbe costituire un valido supporto ad una pacifica integrazione ed un rafforzamento dei rapporti intersoggettivi, sostituendo la logica dell’accordo (win/win) a quella del conflitto e della necessaria soccombenza di una parte rispetto all’altra. L’obbligatorietà del tentativo di mediazione voluto dal legislatore Italiano è una scelta pragmatica per assicurare una maggior diffusione dell’istituto, almeno fino a quando il tessuto sociale non colga l’effettiva utilità della logica conciliativa.
[1]La previsione della mediazione transfrontaliera, alla quale il R.D.L dedica l’art. 3, rappresenta un punto di differenziazione con il D. Lgs 28/2010, che invece tace al riguardo. L’articolo definisce “transfrontaliera” una controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno stato diverso da quello delle altre. Il Real Decreto trova applicazione, inoltre, nel caso in cui le parti si accordino a risolvere la controversia con la mediazione, oppure la legge che disciplina la materia lo prescrive. Quando le parti risiedono in distinti Paesi UE, l’articolo prevede che, ai fini della determinazione del domicilio, vengano applicati gli artt. 59 e 60 del Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, relativo alla competenza giudiziaria e al riconoscimento e l’esecuzine di provvedimenti giudiziari in materia civile e commerciale (Cfr. PEREIRA PARDO M. C., BOTANA CASTRO V., FERNADES MURINOS B., 2014, La mediacion paso a paso: de la teoria a la parctica, Dykinson, España)
[2]Così MONTERO AROCA, J. (2010). Derecho Jurisdiccional I, parte General, Tirant Lo Blanch, España
[3] TISCINI R. (2012). Corso di mediazione civile e commerciale, Giuffré, Milano
[4]TALAVRERO CABRERA V. (2013). Nuevo procedimiento de resolución de conflictos: Manual práctico de mediació, Cultiva Libros, España
[5]TALAVERO CABRERA V. (2013). Nuevo procedimiento de resolución de conflictos: Manual práctico de mediación, Cultiva Libros, España
[6]PEREIRA PARDO M. C., BOTANA CASTRO V., FERNADES MURINOS B. (2014). La mediacion paso a paso: de la teoria a la parctica, Dykinson, España
[7]BOLDÓ RODA C. (2015). La Mediación en asuntos mercantiles, Tirant Lo Blanch, España
[8]ORTUÑO M. (2013) Comentarios a la Ley 5/2012, de mediación en asuntos civiles y mercantiles, Tirant Lo Blanch, España
[9]AUTORINO G., NOVIELLO D., TROISI C. (2013). Mediazione e conciliazione nelle controversie civili e commerciali, Maggioli, Santarcangelo di Romagna
[10]CORSON PEREIRA F., GUTIERRES HERNANS E. (2014). Mediación y Teoria, Dykinson, España
[11]RIPOL I. (2014). El nuevo registro de mediadores, Consejo General Abogacia Española, consultabile in http://www.abogacia.es. Il Real Decreto 980/2013 del 27 dicembre 2013 regola determinati aspetti della Ley 5/2012. In particolare, vengono affrontati quattro temi essenziali della normativa spagnola sulla mediazione civile e commerciale: la formazione dei mediatori, la creazione di un registro di mediatori, l’obbligo per i mediatori di copertura assicurativa e il procedimento semplificato di mediazione attraverso mezzi elettronici
[12]VILLALUENGA GACIA L., ROGE VIDE C. (2012). Mediación en asuntos civiles y mercantiles: Comentarios a la Ley 5/2012, Reus, España
[13]MONTERO BONILLO C., PEREZ ANGULO MARTIN A., TEJERINA BLANCO S., VEGA SANCHES Y. (2015). Gestión de conflictos y procesos de mediación, Paraninfo, España
[14]ALVAREZ SACRISTÁN I. (2014). El mediador en asuntos civiles y mercantiles, in La Ley, anno XXV, n. 8328, 9, España
[15]MARTELLO M. (2014). La formazione del mediatore, Utet, Milano
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