La discussa questione del passaggio di qualifica da “ausiliario del giudice” a “parte processuale” nel giudizio di accertamento ex art. 549 c.p.c.
Cenni sul processo di esecuzione – Il pignoramento presso terzi – La dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c. – La contestazione della dichiarazione del terzo e la successiva “nuova” fase endoprocedimentale ex art. 549 c.p.c. – L’assunzione della veste di “parte processuale” del “terzo” nel giudizio ex art. 549 c.p.c. – L’applicazione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. come conseguenza dell’assunzione della qualifica di “parte”.
a cura del p. Avv. Gianluigi Capaccio e dell’Avv. Raffaele Chianese*
Premessa.
La nuova disciplina introdotta con la legge n. 228 del 24 dicembre 2012, in merito all’accertamento dell’obbligo del terzo, ha modificato l’art. 549 c.p.c., introducendo una fase endoprocedimentale nell’ambito del medesimo processo di esecuzione ed eliminando il gravoso e autonomo giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, per il quale bisognava attendere il passaggio in giudicato della sentenza al fine di ottenere l’assegnazione delle somme accertate a conclusione dell’originario processo esecutivo, che restava sospeso in attesa della definizione dello stesso giudizio di accertamento.
Infatti, con la novella, il legislatore ha demandato al Giudice dell’esecuzione il potere di emettere, con ordinanza, i provvedimenti necessari sostitutivi dell’accertamento dell’obbligo del terzo: tale ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.
Ciò significa che nella suddetta fase il terzo assume sostanzialmente la veste giuridica di “parte processuale” e non solo, come nella fase procedimentale anteriore, di “ausiliario del Giudice”, chiamato a collaborare tramite una dichiarazione circa l’esistenza di crediti o beni in suo possesso, di proprietà del debitore esecutato.
Si procederà, quindi, prima a una breve analisi del processo esecutivo e del pignoramento presso terzi, per poi porre specificamente l’attenzione sulla discussa questione circa il ruolo del terzo nel giudizio ex art. 549 c.p.c.
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Cenni sul processo di esecuzione.
Il processo esecutivo si sviluppa attraverso l’emissione di misure rivolte a soddisfare, in mancanza di adempimento spontaneo del debitore, la pretesa del creditore. Quest’ultimo, già titolare di un diritto di credito, fondato su uno dei titoli esecutivi indicati nell’art. 474 c.p.c. utilizza l’azione esecutiva per ottenere, coattivamente e contro la volontà del debitore, la soddisfazione del proprio diritto.
Più frequentemente si assisterà a un’espropriazione forzata, ossia una serie di atti volti a sottrarre coattivamente dei beni, facenti parte del patrimonio del debitore, al fine di convertirli in denaro, così ottenendo il controvalore pecuniario della prestazione inadempiuta.
Il pignoramento è l’atto con cui ha inizio l’espropriazione forzata e consiste nell’estrinsecazione del potere autoritativo dello Stato, ossia un potere caratterizzato dall’imperatività, in quanto in grado di incidere unilateralmente nella sfera giuridica dei destinatari.
Infatti tale atto consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore, invitandolo ad astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che vi si assoggettano.
Tali beni, pur restando ancora nella sfera patrimoniale del debitore, vengono assoggettati al c.d. vincolo di destinazione, per cui ogni eventuale atto di disposizione compiuto dal debitore stesso sui beni pignorati sarà inefficace e, quindi, inopponibile nei confronti del creditore procedente e di quelli, eventualmente, intervenuti.
Tuttavia, occorre una precisazione: pur essendo l’atto di pignoramento il primo atto con cui ha inizio l’espropriazione forzata, lo stesso deve essere necessariamente preceduto dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto.
Infatti, come accennato prima, l’esistenza di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile, è una condizione necessaria dell’azione esecutiva ai sensi dell’art. 474 c.p.c., che elenca tassativamente quali sono i titoli validi in tal senso[1].
Successivamente all’emissione del titolo, sullo stesso dovrà essere apposta la formula esecutiva, su istanza di parte, ad opera del cancelliere nonché il c.d. “comandiamo”, ossia la formula esecutiva che sarà, invece, apposta solo sulle copie che dovranno essere utilizzate per l’esecuzione, insieme all’atto di precetto.
Invero ai sensi dell’art. 475 c.p.c. il creditore dovrà procedere alla spedizione in forma esecutiva del titolo che, salvo i casi in cui la legge dispone diversamente, avverrà insieme al precetto.
L’atto di precetto è disciplinato dall’art. 480 c.p.c. e consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni, salva l’autorizzazione di cui all’articolo 482 c.p.c[2], con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata.
Quindi, alla luce di quanto analizzato, la notifica del titolo esecutivo e del precetto costituisce una formalità preliminare indispensabile, ossia una condizione di procedibilità per l’esercizio dell’azione esecutiva, la cui mancanza legittima il debitore a opporsi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., all’atto di pignoramento.
Infine, diversamente dal titolo esecutivo, che ex art. 2953 c.c. può essere fatto valere entro i dieci anni dal passaggio in giudicato, il precetto, una volta notificato, conserva la sua efficacia di atto preliminare all’esecuzione forzata solo per novanta giorni ex art. 481 c.p.c.
Quindi il precetto diventa inefficace se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione, ossia non venga notificato l’atto di pignoramento.
Infatti, nel caso in cui l’esecuzione non venga iniziata entro il suddetto termine, il precetto deve essere rinnovato con l’indicazione della precedente data di notifica del titolo esecutivo, mentre la notifica del titolo esecutivo ed il titolo stesso conservano la loro efficacia.
Per completezza, si rileva che il termine di novanta giorni ha carattere acceleratorio e non è suscettibile di proroga.
Si legga anche:”Pignoramento presso terzi: le tutele per il terzo”
Il pignoramento presso terzi.
Da quanto descritto al primo paragrafo, il pignoramento è l’atto iniziale e fondamentale dell’espropriazione forzata che trova un presupposto nell’atto di precetto, potendosi compiere solo dopo la notifica del precetto stesso e dopo che sia decorso il termine per l’adempimento spontaneo.
Specificamente, il pignoramento presso terzi riguarda i beni del debitore che sono nella disponibilità del terzo.
Orbene può avvenire che il creditore sappia che il debitore vanti crediti nei confronti di terzi soggetti ovvero che il terzo stesso sia in possesso di cose mobili del debitore.
È evidente che, a differenza del pignoramento mobiliare che è un atto compiuto esclusivamente dall’ufficiale giudiziario, il pignoramento presso terzi è più complesso:
- il creditore deve individuare i crediti o le cose da pignorare;
- l’ufficiale giudiziario deve vincolarle con la formale ingiunzione, avvertendo altresì il terzo dell’esistenza del vincolo;
- si deve accertare che effettivamente i crediti o le cose esistano.
Più precisamente, l’articolo 543 c.p.c., che disciplina l’istituto, contempla, appunto, le due distinte ipotesi di pignoramento presso terzi: quella in cui il terzo sia in possesso di beni del debitore o quella in cui quest’ultimo vanti crediti nei confronti del terzo.
L’atto di pignoramento, redatto per iscritto, notificato sia al terzo che al debitore, deve innanzitutto contenere l’indicazione del titolo esecutivo e del precetto, l’indicazione del credito per il quale si procede e, altresì, l’ingiunzione a non compiere atti dispositivi sui beni e sui crediti assoggettati al pignoramento, come previsto in via generale dall’articolo 492 c.p.c.
In esso devono poi essere riportate l’indicazione, almeno generica, delle cose e delle somme dovute, l’intimazione al terzo di non disporne se non per ordine del giudice, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente e l’indicazione dell’indirizzo P.E.C. del creditore procedente.
L’atto deve infine contenere non solo la citazione del debitore a comparire dinanzi al giudice competente, indicando un’udienza nel rispetto del termine dilatorio di pignoramento di cui all’articolo 501 c.p.c.[3], ma, soprattutto, l’invito al terzo a rendere entro dieci giorni al creditore procedente la dichiarazione prevista dall’articolo 547 c.p.c. (che sarà analizzata nel prossimo paragrafo), con l’avvertimento che, in caso contrario, la stessa dovrà essere resa comparendo in un’apposita udienza e che se il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore si considereranno non contestati nell’ammontare o nei termini indicati dal creditore, ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.
La dichiarazione del terzo ex art. 547 c.p.c.
Bisogna fare una precisazione essenziale, per non essere tratti in inganno: il pignoramento presso terzi avrà sempre ad oggetto il patrimonio del debitore e il terzo, presso il quale verrà eseguito il pignoramento stesso, non deve essere considerato come il soggetto passivo dell’esecuzione, ma solo il soggetto (con l’iniziale qualifica di “ausiliario del Giudice”) che consente l’effettivo assoggettamento dei beni pignorati al vincolo esecutivo ed alla disponibilità del Giudice e, quindi, che consente la realizzazione del credito nei confronti dell’esecutato che, appunto, resta solo il debitore.
Invero la preventiva notificazione del titolo esecutivo e del precetto va compiuta nei soli confronti del debitore, e non del terzo: quest’ultimo è un soggetto ancora estraneo all’esecuzione.
Quindi il terzo è, quantomeno in questa prima fase, un mero ausiliario del Giudice, ossia un eventuale collaboratore nel processo esecutivo di cui si tratta.
Infatti, ai sensi dell’art. 547 c.p.c., il terzo è tenuto, anche personalmente (non rivestendo ancora il ruolo di “parte” e potendo, perciò, stare in giudizio senza la necessaria assistenza di un difensore), a specificare di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna.
Nella dichiarazione che deve rilasciare, il terzo ha l’obbligo di fornire tutti gli elementi che possano consentire la precisa individuazione delle cose possedute, nonché di specificare la causa per cui queste si trovino presso di lui.
Per quanto riguarda i crediti, il terzo deve indicare gli elementi soggettivi, oggettivi e causali.
Inoltre deve altresì specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato, anteriori al pignoramento.
Quindi la norma in analisi indica l’importanza, nel pignoramento presso terzi, del ruolo che riveste la dichiarazione del terzo, debitore del debitore esecutato.
Invero, la dichiarazione del terzo svolge la funzione di accertare l’esistenza del credito (precisandone l’entità) o l’appartenenza del bene pignorato al patrimonio del debitore escusso (determinandolo specificamente) rilevando come elemento perfezionativo del pignoramento presso terzi, rendendolo efficace.
In ogni caso, una volta notificato l’atto, sarà comunque necessaria la comparizione del creditore e del debitore dinanzi al giudice dell’esecuzione per l’udienza fissata non prima di dieci giorni dalla notifica dell’atto.
Orbene se il terzo ha fatto pervenire la sua dichiarazione positiva prima della citata udienza o la rende comparendo nella stessa, il pignoramento si avrà per perfezionato e si procederà oltre nell’esecuzione.
Tuttavia, può accadere che il terzo non renda alcuna dichiarazione.
Tale ipotesi è disciplinata dall’art. 548 c.p.c. il quale prescrive che quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione del terzo, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva.
L’ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza.
Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, solo se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.
Quindi sostanzialmente il risultato sarà il medesimo analizzato nel caso di dichiarazione positiva del terzo ex art. 547 c.p.c.: il pignoramento si riterrà perfezionato e il creditore potrà vedere soddisfatto il proprio credito.
La contestazione della dichiarazione del terzo e la successiva “nuova” fase endoprocedimentale ex art. 549 c.p.c.
Ma cosa succede se sulla dichiarazione del terzo sorgono delle contestazioni oppure se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non può operare il meccanismo della non contestazione, non essendo possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo?
La Legge 24 dicembre 2012, n. 228[4] c.d. di stabilità, ha completamente riscritto le norme relative alla mancata e contestata dichiarazione del terzo di cui all’art. 548 c.p.c., poc’anzi analizzato, nonchè all’art. 549 c.p.c., scindendo le due ipotesi.
Nella prima formulazione del codice di rito l’ipotesi di una contestazione mossa dal creditore alla dichiarazione resa dal terzo comportava l’apertura di un ordinario giudizio di cognizione, su domanda del procedente, davanti a un giudice istruttore, con sospensione ex lege del processo esecutivo in corso.
Nel giudizio in questione era pacifico che le parti processuali fossero il creditore e l’originario “terzo”, i quali godevano di tutte le garanzie processuali, con libera esperibilità dei mezzi di prova di fronte a un giudice con pieni poteri istruttori.
La definizione del giudizio era affidata a una sentenza appellabile e solo nel caso in cui, anche in quella sede, il terzo avesse mantenuto una condotta non collaborativa, avrebbe soccorso l’art. 232 c.p.c., ai sensi del quale “se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”.
Nonostante la linearità e la chiarezza della norma in questione, si venivano a creare ingenti problematiche: tale procedura si poneva molto spesso in contrasto con gli interessi, ritenuti preminenti, del procedente, costretto a subordinare la soddisfazione del proprio credito certo, liquido ed esigibile alla durata del processo cognitivo e, eventualmente, alla celebrazione dei tre gradi di giudizio.
In ogni caso il terzo, estraneo all’esecuzione in corso, ma inevitabilmente coinvolto poiché debitore dell’esecutato, era citato come una vera e propria “parte processuale” in senso sostanziale, potendo usufruire dei mezzi riconosciutigli dall’ordinamento come un qualsiasi convenuto.
L’odierno sistema è stato totalmente riformato in seguito alla Legge 24 dicembre 2012 n. 228 e al Decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni nella Legge 6 agosto 2015, n. 132[5].
Infatti, ai sensi del nuovo art. 549 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo.
L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617 c.p.c., ossia l’opposizione agli atti esecutivi[6].
Dunque, l’art. 549 c.p.c. è stato modificato nel senso per cui il creditore procedente può rivolgersi al giudice dell’esecuzione non solo quando sorgano contestazioni sulla dichiarazione resa dal terzo, ma anche quando, a seguito della mancata dichiarazione, non sia possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del debitor debitoris.
Concludendo, oggi, per il perfezionarsi del pignoramento sono sufficienti la non contestazione ex art. 548 c.p.c. o l’ordinanza del giudice dell’esecuzione ex art. 549 c.p.c., i cui effetti sono espressamente circoscritti all’esecuzione in corso e a quella che il creditore dovesse poi intraprendere in danno del terzo e in forza dell’ordinanza di assegnazione del credito pignorato.
Tuttavia, per quanto si tratti di una parentesi endoprocedimentale, la stessa assume profili cognitivi di accertamento che incidono indubbiamente sulla veste processuale del terzo, che (nonostante sia tutt’oggi una questione oggetto di discussione) non può più essere considerato un mero “ausiliario del Giudice”, come nella prima fase del processo esecutivo, ma una vera e propria “parte processuale”.
L’assunzione della veste di parte “processuale” del “terzo” nel giudizio ex art. 549 c.p.c.
Sulla scorta di quanto descritto in precedenza, si passa ora a esaminare gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza che hanno messo in risalto come il procedimento che si svolge nelle forme dell’art. 549 c.p.c. dia vita ad un procedimento autonomo, sul modello del rito camerale, che segue le ordinarie regole processuali, anche per quanto riguarda la soccombenza ed il pagamento delle spese processuali (oggetto di analisi nel prossimo paragrafo).
Da ciò deriva la conclusione in virtù della quale, nel processo in questione, il terzo assume la qualità di “parte processuale”, cessando di essere semplicemente un ausiliario del Giudice.
In tal senso, il Tribunale di Monza, con ordinanza della Sez. III del 17 luglio 2017 ha confermato come nella procedura ex art. 549 c.p.c. il procedimento segue le regole del rito camerale, il che consente di ritenere che il Giudice dell’esecuzione sia svincolato dalle regole processuali del giudizio ordinario di cognizione.
Da qui l’operatività della piena deformalizzazione della fase istruttoria, mediante l’assunzione di prove tipiche secondo modalità atipiche, nonché di prove atipiche purché non illegittime.
D’altra parte, anche la Suprema Corte di Cassazione civile, sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26329. Pres. De Stefano, Est. D’Arrigo[7], ha avuto modo di stabilire come nell’accertamento dell’obbligo di cui all’art. 549 c.p.c. il terzo sia una vera e propria parte del procedimento destinatario degli effetti della pronuncia.
Quindi appare pacifico che il terzo assuma la veste di parte nell’ambito della fase endoprocedimentale che si svolge ai sensi dell’art. 549 c.p.c., tanto che la giurisprudenza della Suprema Corte, anche in giudizi che concernono il risarcimento dei danni del terzo pignorato per dichiarazione reticente nei confronti del creditore procedente, è perentoria a riguardo: ritenendo che “deve escludersi che a carico del terzo sia configurabile un’ipotesi di responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dato che egli, al momento di quella dichiarazione, non aveva ancora la qualità di parte”, sancisce un dato incontrovertibile in virtù del quale il terzo, nel processo esecutivo, non assume la qualità di “parte” (che funge da presupposto per l’applicazione dell’art. 91 c.p.c) ma la assume nel giudizio di accertamento, tant’è che il provvedimento emesso all’esito di quest’ultimo contiene un accertamento (efficace nei rapporti tra il terzo pignorato e il creditore procedente) che produce effetti endoesecutivi, rilevanti ai fini dell’assegnazione dei crediti oggetto del pignoramento[8].
Tali conclusioni sono avallate anche in ambito dottrinario, come sostenuto espressamente nelle Linee Guida per quanto riguarda il Pignoramento presso Terzi, elaborate dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Parma[9].
E ancora, nel testo delle “Esecuzioni mobiliari” della Camera Civile di Rimini si legge espressamente che “È quindi inutile chiedere al G.E di disporre provvedimenti nei confronti del terzo sino a che non sarà instaurato il contraddittorio all’interno della fase endoprocessuale ex art. 549 cpc ( in questa fase sono litisconsorti necessari il debitore il terzo pignorato ed il creditore procedente), solo in quel momento il terzo diventa parte nella procedura esecutiva”.
Alla luce di tali considerazioni non appare revocabile in dubbio che il terzo nella prima fase del pignoramento presso terzi, in cui è chiamato a rendere una dichiarazione circa i crediti o i beni in suo possesso, di proprietà del debitore esecutato, sia un mero collaboratore del Giudice, ossia un tramite attraverso cui avviene la realizzazione del credito.
Tuttavia, non è altrettanto revocabile in dubbio che, nel giudizio istaurato ai sensi dell’art. 549 c.p.c., in seguito al sorgere di contestazioni sulla dichiarazione del terzo, quest’ultimo assuma la veste processuale di “parte” con tutte le conseguenze del caso, compresa l’applicazione del principio della soccombenza delle spese legali ex art. 91 c.p.c., laddove la fase endoprocedimentale di accertamento dell’obbligo del terzo (ex at. 549 c.p.c.) si concluda con un’ordinanza che riconosca il credito o il bene del debitore esecutato, in possesso del terzo, debitor debitoris.
L’applicazione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. come conseguenza dell’assunzione della qualifica di “parte”
L’ordinanza con la quale il G.E. si pronuncia, ai sensi dell’art. 549 c.p.c., circa l’esistenza o meno del credito o del bene in possesso del terzo, di proprietà del debitore esecutato, è un provvedimento che, seppur, come detto, reso all’esito di un procedimento deformalizzato e a cognizione sommaria, presenta i caratteri della decisorietà su diritti in posizione di contrasto (l’esistenza o meno dell’obbligo del terzo) e della definitività, intesa come idoneità a concludere il procedimento dinanzi al giudice.
Quindi, dal momento che la procedura ex art. 549 c.p.c. si conclude con l’accertamento dell’esistenza dell’obbligo del terzo, il Giudice dell’esecuzione, accogliendo l’istanza del creditore procedente, deve condannare il terzo alla refusione delle spese nei confronti del creditore pignorante in applicazione dei principi generali del sistema, stabiliti dagli artt. 91 e ss. c.p.c.[10].
Ed in verità tale ultima considerazione risulta supportata non solo rifacendosi ai provvedimenti giurisprudenziali sopra indicati, ma anche rispetto ai principi generali previsti dalla Legge in tema di condanna alle spese di lite.
Difatti, in applicazione dei principi di logica giuridica, il terzo dovrà essere condannato a pagare le spese di lite di un procedimento cautelare ex art. 549 c.p.c. che è sorto solo ed esclusivamente a seguito di una sua erronea e infondata dichiarazione ex art. 547 c.p.c. e solo per accertare l’effettiva sussistenza dell’obbligo del medesimo “terzo”.
Giova ricordare che l’art. 91 c.p.c. stabilisce che: “Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa.”
Nel procedimento endoprocessuale ex art. 549 c.p.c., la parte soccombente, a seguito dell’accertamento dell’esistenza del credito o del bene pignorato, è sicuramente il terzo, debitor debitoris, e non il solo debitore esecutato.
A tal riguardo, si riporta anche una recente decisione della Corte costituzionale n. 172 del 10/07/2019 che, affrontando il tema della legittimità dell’accertamento dell’obbligo del terzo pignorato nel caso di contestazione della relativa dichiarazione ex art. 549 c.p.c., ha sancito che “il procedimento de quo si conclude con un’ordinanza” e che “resta in facoltà del terzo pignorato anche il successivo esercizio di un’azione di ripetizione per indebito oggettivo”.
Per rigor di logica, come potrebbe il terzo, non assumendo la veste di parte processuale nel giudizio di cui all’art.549 c.p.c., agire autonomamente per un’azione di ripetizione per indebito nei confronti del creditore pignorante?
Concludendo, quindi, la questione circa la veste giuridica del terzo nel giudizio ex art. 549 c.p.c. sembra doversi risolvere nella direzione sopradescritta: d’altronde, non riconoscendo la corretta qualità di “parte” al “terzo” si cadrebbe in una palese e grave contraddizione in termini, lesiva dei principi che regolano il nostro ordinamento.
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*Il presente saggio è il frutto di uno studio congiunto di entrambi gli autori. Tuttavia, ai fini della ripartizione dei paragrafi, si precisa che i paragrafi 1, 2 e 5 vanno attribuiti a Gianluigi Capaccio, mentre i paragrafi 3, 4 e 6 a Raffaele Chianese
Note
[1] Art. 474 c.p.c.: 1. L’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile.
- Sono titoli esecutivi:
1) le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;
3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli.
- L’esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma. Il precetto deve contenere trascrizione integrale, ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, delle scritture private autenticate di cui al numero 2) del secondo comma.
[2] Art. 482 c.p.c.: “Non si può iniziare l’esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso; ma il presidente del tribunale competente per l’esecuzione o un giudice da lui delegato, se vi è pericolo nel ritardo, può autorizzare l’esecuzione immediata, con cauzione o senza. L’autorizzazione è data con decreto scritto in calce al precetto e trascritto a cura dell’ufficiale giudiziario nella copia da notificarsi”.
[3] Art. 501 c.p.c.: “L’istanza di assegnazione o di vendita dei beni pignorati non può essere proposta se non decorsi dieci giorni dal pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l’assegnazione o la vendita immediata.”
[4] Legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita’ 2013). (12G0252) (GU Serie Generale n.302 del 29-12-2012 – Suppl. Ordinario n. 212).
[5] Legge 6 agosto 2015, n. 132 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria. (15G00136) (GU Serie Generale n.192 del 20-08-2015 – Suppl. Ordinario n. 50).
[6] Cfr. Sentenza della Corte di Cassazione del 23.10.2018 n. 26702: “Nella vigenza del regime dell’art. 549 cod. proc. civ. introdotto dalla riforma di cui alla I. n. 228 del 2012, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi è l’unico esperibile contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, all’esito della risoluzione delle questioni indicate dallo stesso art. 549 e, dunque, anche qualora con il relativo procedimento si sia sommariamente accertata l’esistenza della situazione debitoria del terzo pignorato in presenza di una sua dichiarazione negativa, abbia assegnato le somme pignorate. Non è più concepibile ipotizzare invece il rimedio dell’appello, previa qualificazione come sentenza sostanziale dell’ordinanza, nei casi che nel regime antecedente si individuavano come risolutivi da parte del giudice dell’esecuzione di questioni da decidersi in base ad un procedimento di cognizione, atteso che il giudice dell’esecuzione è abilitato dal nuovo art. 549 a risolvere con un accertamento sommario ogni questione insorta in relazione alla dichiarazione del terzo”.
[7] Cfr. Corte di Cassazione civile, sez. III, sentenza del 17 ottobre 2019, n. 26329. Pres. De Stefano, Est. D’Arrigo: “Nell’accertamento dell’obbligo del terzo, come disciplinato a seguito delle modifiche apportate agli artt. 548 e 549 c.p.c., il debitore esecutato è litisconsorte necessario, in quanto interessato all’accertamento del rapporto di credito oggetto di pignoramento, ancorchè la pronuncia non faccia stato nei suoi confronti”.
[8] Cfr. Cassazione civile, Sez. III, 15 novembre 2017, n. 26962 – pres. Chiarini, est. D’Arrigo.
[9] Cfr. Linee Guida del Pignoramento presso Terzi elaborate dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Parma, p. 5: “trattandosi in buona sostanza di stabilire se il terzo sia o meno debitore del debitore esecutato, sia pure con sommari accertamenti, ciò determina l’assunzione della qualità di parte processuale da parte del terzo, cessando il medesimo dall’essere un semplice ausiliario del Giudice”.
[10] Cfr. sul punto A.M. SOLDI, “Manuale dell’ESECUZIONE FORZATA”, CEDAM, quinta edizione, 2015, pp. 1240 e ss.
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