La misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio. Problematiche sulla rilevanza dell’interrogatorio di garanzia e sulla competenza per territorio dei tribunali militari in funzione di giudici del riesame e dell’appello dopo l

SOMMARIO: 1. La vicenda processuale. – 2. La competenza del Tribunale Militare di Napoli e Verona in funzione di giudice del riesame e dell’appello ex artt. 309 e 310 c.p.p. dopo la L. 244/2007. – 3. La rilevanza dell’interrogatorio “di garanzia” ai fini dell’efficacia della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di uffici o servizi pubblici.

 

1. Con istanza avanzata ai sensi dell’art. 291 c.p.p. il P.M. richiedeva nei confronti dell’indagato l’emissione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari ex art. 284 c.p.p..

Il G.I.P. presso il Tribunale Militare di Napoli, nel rigettare la richiesta degli arresti domiciliari, ravvisava l’applicabilità della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio ex art. 289, comma 1, c.p.p. e, di conseguenza, fissava l’interrogatorio (preventivo) dell’indagato ai sensi dell’art. 289, comma 2, c.p.p..

Successivamente, con ordinanza adottata ai sensi dell’art. 292 c.p.p. disponeva la misura cautelare interdittiva.

Avverso quest’ultima ordinanza l’indagato interponeva l’appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p. innanzi al Tribunale Militare di Roma.

Chiedeva al G.I.P. emittente, inoltre, con apposita istanza, di dichiarare la perdita di efficacia della misura adottata, non essendosi proceduto, nel termine di Legge di dieci giorni, all’interrogatorio cosiddetto “di garanzia” di cui all’art. 294, comma 1 bis, c.p.p..

Con successiva ordinanza il G.I.P. rigettava l’istanza ritenendo che l’art. 289, comma 2, c.p.p. costituisse norma speciale rispetto a quella generale dell’art. 294, comma 1 bis, c.p.p., ovvero che l’interrogatorio preventivamente eseguito a norma della prima delle disposizioni citate esaurisse gli obblighi connessi al rispetto delle facoltà difensive dell’indagato.

Anche tale ordinanza, tuttavia, veniva gravata da appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p..

Entrambi i mezzi d’impugnazione venivano, poi, riuniti, trattati dal Tribunale Militare di Napoli e decisi con la commentata ordinanza del 13.11.2009.

Quest’ultima, per l’importanza e l’attualità delle questioni risolte, costituisce un utile occasione per riflettere in ordine alle conseguenza che la Legge Finanziaria per il 2008 (L. 24.12.227 n. 244), nel sopprimere “le sezioni distaccate di Verona e Napoli della Corte Militare d’Appello e i relativi uffici della Procura Generale Militare della Repubblica” (art. 2, comma 603), ha prodotto in ordine alla competenza territoriale dei Tribunali Militari di Napoli e Verona in materia di riesame e/o appello cautelare, nonché dei rapporti che intercorrono – in materia di sospensione cautelare dall’ufficio o dal servizio pubblico – fra gli interrogatori, preventivi e successivi all’esecuzione della misura, di cui agli artt. 289, comma 2, e 294, comma 1 bis, c.p.p..

 

2. L’art. 309, comma 7, c.p.p. prevede che: “Sulla richiesta di riesame decide, in composizione collegiale il Tribunale del luogo nel quale ha sede la Corte di Appello o la sezione distaccata della Corte di Appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza”.

Tale disposizione, poi, per espresso richiamo dell’art. 310, comma 2, c.p.p., trova applicazione anche in materia di appello cautelare.

Nessun dubbio sussisteva, di conseguenza, ante legem 244/2007, in ordine alla competenza dei Tribunali di Napoli e Verona a decidere in funzione di giudici del riesame e dell’appello avverso le ordinanze pronunciate dai G.I.P. presso i rispettivi uffici.

Sia Verona che Napoli, infatti, erano sede di sezione distaccata della Corte d’Appello Militare.

All’indomani della soppressione di questi ultimi uffici giudiziari ad opera della citata L. 244/2007, tuttavia, non costituisce mero esercizio di scuola – ed, anzi, ha costituito oggetto di specifica questione decisa con l’ordinanza in commento dal Tribunale di Napoli – interrogarsi circa la competenza a giudicare in funzione di riesame e/o di appello avverso le ordinanze dei Tribunali di Napoli e Verona.

Ove, infatti, trovasse integrale applicazione la disciplina degli artt. 309, comma 7, e 310, comma 2, c.p.p., la competenza a decidere sulle richieste di riesame e/o appello non potrebbe più appartenersi ai Tribunali di Napoli e Verona, avendo la cit. L. 244/2007, all’art. 2, comma 603, soppresso le relative sezioni di Corte Militare d’Appello.

La questione, d’altronde, era stata espressamente dedotta come motivo d’incompetenza per territorio dalla difesa dell’indagato nella specifica vicenda giudiziaria.

Essa, tuttavia, è stata efficacemente e convincentemente risolta dal Tribunale Militare di Napoli con l’ordinanza in commento, nella quale infatti si legge che: “l’art. 5 del D.L. n. 553/96, convertito con modifiche nella L. 23.12.1996 n. 652, nel fissare i criteri di attribuzione della competenza in materia di gravami su misure cautelari personali emesse dall’autorità giudiziaria militare, ha fatto riferimento non già alle sedi di Corte di Appello – o delle relative sezioni distaccate, bensì letteralmente ai Tribunali militari di Verona, Roma e Napoli, sicché la circostanza della soppressione delle suddette sezioni distaccate e delle altre sedi di ********* non ha comportato alcuna variazione rispetto al precedente meccanismo di attribuzione di competenza. Deve ritenersi, quindi, confermato che per i provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dal G.I.P. del Tribunale militare di Napoli, la competenza a conoscere dei relativi atti di impugnazione appartiene allo stesso Tribunale militare di Napoli”.

L’interpretazione offerta dal Tribunale delle libertà appare corretta sotto il profilo della teoria generale del diritto.

La stessa, infatti, senza pretermettere l’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 309 e 310 c.p.p. al processo militare giusta la previsione di cui all’art. 261 c.p.m.p., fa esplicita applicazione del particolare regime di attribuzione delle competenze in materia di “impugnazioni, diverse dal ricorso per cassazione, dei provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dall’Autorità Giudiziaria militare” di cui all’art. 5 cit. D.L. 553/1996.

Tale norma, in altri termini, di per se derogatoria rispetto a quella di cui all’art. 309, comma 7, e 310, comma 2, c.p.p., è stata ritenuta prevalente sul regime ordinario previsto dal codice di procedura penale poiché in rapporto di specialità con quest’ultimo.

La soluzione merita di essere condivisa: l’art. 5 cit. D.L. 553/1996, infatti, nel riguardare specificatamente i “provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dall’Autorità Giudiziaria militare”, è norma speciale rispetto agli artt. 309, comma 7, e 310, comma 2, D.P.R. 447/1988.

Né, a conferma della deliberata volontà del Legislatore di differenziare i criteri attributivi della competenza in materia di riesame ed appello cautelare dei Tribunali ordinari rispetto a quelli militari, si può sottacere la circostanza che anche la disciplina dell’art. 309, comma 7, c.p.p. (oltre a quella “speciale” applicata dal Tribunale nell’ordinanza commentata) è stata introdotta dalla medesima fonte normativa (art. 2 cit. D.L. 553/1996).

 

3. L’altra questione trattata e decisa dal Tribunale Militare con la commentata ordinanza attiene al rapporto di alternanza e/o di indifferenza intercorrente fra le disposizioni di cui agli artt. 289, comma 2, e 294, comma 1 e 1 bis, c.p.p..

La prima delle citate disposizioni prevede, infatti, che: “Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, la misura (della sospensione dall’esercizio di un ufficio o servizio pubblico) può essere disposta a carico del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 287, comma 1. Nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all’interrogatorio dell’indagato con le modalità indicate agli articoli 64 e 65”.

La seconda, invece, stabilisce, che: “Fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura cautelare, se non vi ha proceduto nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto, procede all’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia, salvo il caso in cui essa sia assolutamente impedita.

1-bis. Se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l’interrogatorio deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione”.

Nel caso specifico il G.I.P., applicando previo interrogatorio dell’indagato ex art. 289, comma 2, c.p.p. la misura interdittiva della sospensione dall’ufficio, aveva omesso di procedere all’ulteriore interrogatorio “di garanzia” ex art. 294, comma 1 bis, c.p.p..

Tale scelta aveva poi motivato nel provvedimento reiettivo dell’istanza di declaratoria di inefficacia della misura cautelare proposta nell’interesse dell’indagato.

In questa ordinanza (G.I.P. presso il Tribunale militare di Napoli, 5.11.2009), infatti, si legge: “che il comma 2 dell’art. 289 c.p.p., che prevede l’obbligo di procedere preventivamente all’interrogatorio dell’indagato, “costituisce norma speciale rispetto alla previsione generale di cui al comma 1 bis dell’art. 294 c.p.p.” (vedi Cass., sez. VI, 14.12.2000 – 24.1.2001;

che la previsione del “previo interrogatorio” di cui al citato comma 2 (inserita dall’art. 2 della legge 234/97) è successiva all’introduzione del comma 1 bis dell’art. 294 c.p.p. (previsto dall’art. 11 della legge 332/95);

che il “previo interrogatorio” soddisfi le esigenze difensive trova implicita conferma nella sentenza n. 16 del 5.2.1992 in cui la Corte Costituzionale, decidendo sulla questione di costituzionalità dell’art. 294 co. 1 c.p.p. nella parte in cui preclude al giudice di procedere all’interrogatorio di garanzia nei casi in cui abbia già interrogato l’arrestato o il fermato nel corso dell’udienza di convalida (e, quindi, prima dell’adozione del provvedimento cautelare) risulta, considerato il complessivo contesto in cui la relativa udienza si svolge, in grado di soddisfare compiutamente l’esigenza di tutela dell’indagato anche con riferimento alla misura poi disposta”;

che, anzi, il disposto del predetto comma 2, che introduce in concreto l’anticipazione dell’interrogatorio di garanzia, “amplia la sfera delle garanzie – con particolare riguardo alla difesa – dei soggetti in favore dei quali opera e la sua ratio sembra essere rinvenibile nell’esigenza di verificare anticipatamente che la sospensione dall’ufficio o dal servizio non rechi, senza effettiva necessità, pregiudizio alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico” (vedi Corte Costituzionale 22.6.2000, sentenza n. 229);

che, infine, la situazione della persona che venga sottoposta alla misura di cui all’art. 289 c.p.p. trova tutela, in assenza della previsione del necessario nuovo interrogatorio da parte del giudice, attraverso i mezzi di impugnazione propri di tali provvedimenti, che consentiranno all’interessato di dedurre e provare gli elementi utili a contrastare il giudizio sulla sussistenza e sulla valenza delle violazioni a lui contestate”.

L’impostazione sostenuta nel caso specifico dal G.I.P. presso il Tribunale Militare di Napoli sembra confermata, oltre che dalla giurisprudenza di legittimità in essa stessa richiamata, da una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, per cui: “In tema di misure interdittive, il G.I.P. è tenuto a procedere preventivamente all’interrogatorio dell’indagato ai sensi dell’art. 289, comma 2, c.p.p. nell’ipotesi in cui, disattendendo la richiesta del P.M. di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, applichi invece la misura della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio, costituendo la previsione di cui all’art. 289, comma 2, c.p.p. norma speciale rispetto alla previsione generale di cui all’art. 294, comma 1 bis, c.p.p.” (Cass., sez. VI, 5.2.2008 – 21.4.2008, n. 16364, CED 239728).

Essa, tuttavia, non è stata condivisa dal Giudice dell’appello, che, proprio per l’ “omessa effettuazione dell’interrogatorio ex art. 294, comma 1 bis, c.p.p.”, ha “dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare interdittiva adottata dal G.I.P.”.

Nella parte motiva del provvedimento, più in particolare, si legge che: “Il collegio ritiene fondato il gravame nella parte in cui lo stesso fa riferimento alla necessità che l’adozione della misura interdittiva della sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia non solo preceduto dall’interrogatorio ex art. 289 c. 2 c.p.p., ma sia anche seguito, nei termini di legge di giorni dieci, dall’interrogatorio ex art. 294 c. 1 bis c.p.p..

Preliminarmente va osservato che la ratio sottesa alle due forme di interrogatorio appare sensibilmente diversa: mentre il primo, infatti, risponde ad esigenze di natura anche pubblicistiche, legate alla necessità di compiere una preventiva valutazione circa eventuali pregiudizi arrecati dalla adozione della misura alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico (v. C. Cost. 22 giugno 2000, n. 229), il secondo risponde esclusivamente ad esigenze di difesa dell’indagato.

In proposito è opportuno evidenziare quanto segue.

La previsione espressa dell’obbligo di procedere all’interrogatorio “di garanzia” ex art. 294 c. 1 bis c.p.p. per tutte le misure cautelari personali, sia coercitive che interdittive, è stata introdotta con sentenza della Corte Costituzionale n. 95 in data 4 aprile 2001. Questa, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 302 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva la perdita di efficacia delle misure interdittive in caso di mancato interrogatorio nei dieci giorni successivi, ha ritenuto di dover precisare che tale istituto si “configura come la specifica garanzia processuale preordinata alla verifica delle condizioni di applicabilità e del permanere delle esigenze cautelari”. La Corte ha, ancora, sottolineato l’ “identità della funzione che l’interrogatorio dispiega in relazione a tutte le misure cautelari personali, posto che anche quelle coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive limitano la libertà della persona …. incidono negativamente sulla sua attività di lavoro e costituiscono un consistente impedimento alla vita sociale. Proprio l’attitudine a comprimere beni fondamentali della persona, che rappresenta il tratto comune di tutte le misure cautelari personali, esige che identica sia la sanzione processuale nel caso in cui l’interrogatorio non venga compiuto nel termine prescritto”.

Ulteriore riprova della diversa natura e funzione dei due istituti si rinviene dall’esame della dinamica di esecuzione delle due forme di interrogatorio: infatti quello preventivo ex art. 289 c. 2 c.p.p. viene eseguito con le modalità indicate negli artt. 64 e 65 c.p.p. e senza previo deposito degli atti di indagine eventualmente utilizzati per la successiva emissione della misura cautelare. L’interrogatorio ex art. 294 c. 1 bis c.p.p., invece, si svolge a seguito di rituale deposito degli atti utilizzati per l’adozione della misura cautelare (già emessa) e, quindi, nella piena conoscenza da parte dell’indagato del materiale probatorio a suo carico.

In proposito, per rimarcare l’ineludibilità dell’interrogatorio di garanzia ai sensi dell’art. 302 c.p.p., risultano fondamentali le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite della Cassazione (Sent. 20 luglio 2005, n. 26798) nel senso che “la conoscenza anticipata degli atti, in base ai quali il pubblico ministero ha proposto l’istanza ed il giudice ha adottato il provvedimento cautelare, permette alla difesa di affrontare con adeguata preparazione l’interrogatorio” rimanendo, quindi, “indefettibile il deposito che costituisce di per se strumento basilare di conoscenza”, deposito che, ai sensi dell’art. 293 c. 3 c.p.p., avviene esclusivamente all’atto della adozione della misura cautelare e proprio ai fini di porre l’indagato in condizioni di poter esercitare appieno il proprio diritto di difesa”.

Sebbene innovativa nel panorama giurisprudenziale, la soluzione prescelta e motivata dal Tribunale Militare di Napoli risulta la più coerente con i principi costituzionali ed il sistema normativo di riferimento.

L’opposto orientamento si espone, viceversa, a plurime osservazioni critiche.

Il G.I.P., infatti, aveva posto a fondamento dell’impugnata ordinanza il fatto “che il comma 2 dell’art. 289 c.p.p., che prevede l’obbligo di procedere preventivamente all’interrogatorio dell’indagato, “costituisce norma speciale rispetto alla previsione generale di cui al comma 1 bis dell’art. 294 c.p.p.””, citando una giurisprudenza (vedi Cass., sez. VI, 14.12.2000 – 24.1.2001) che, comunque anteriore e, conseguentemente superata dalla sentenza (n. 95 del 4.4.2001) con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 302 c.p.p. “nella parte in cui non prevede che le misure cautelari coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio nel termine previsto dall’art. 294, comma I bis”, lungi dall’escludere la necessità dell’interrogatorio “di garanzia” di cui all’art. 294, comma 1 bis, c.p.p., sottolinea invece la diversa funzione di quest’ultimo rispetto a quello “preventivo” ex art. 289, comma 2, c.p.p..

La ratio di tale ultima norma, invero, piuttosto che nel fornire un’occasione di difesa alla persona attinta dalla misura cautelare (come per l’interrogatorio di cui all’art. 294 c.p.p.), consiste nel “consentire la verifica da parte dell’organo giudicante della obiettiva idoneità della misura speciale (perché destinata esclusivamente nei confronti del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio indagato per un reato contro la pubblica amministrazione) in relazione allo svolgimento della pubblica funzione. La misura, infatti, non incide soltanto sulla posizione del soggetto investito delle pubbliche funzioni, ma ha innegabili riflessi anche sull’immagine stessa dell’amministrazione pubblica nei confronti dei terzi, così da richiedere una tutela “preventiva”. Non si tratta di un “privilegio” riservato ai pubblici ufficiali o agli incaricati di un pubblico servizio – il che potrebbe al limite proporre rilievi di costituzionalità – bensì di una disposizione che ha riguardo alla pubblica funzione in quanto tale, il cui prestigio può essere compromesso da una misura, tutto sommato di minore incidenza soggettiva per l’indagato, di indubbio rilievo pubblicistico” (Cass., sez. VI, 14.12.2000, n. 3310).

Il Giudice di prime cure, inoltre, aveva argomentato nell’ordinanza reiettiva “che la previsione del “previo interrogatorio” di cui al citato comma 2 (inserita dall’art. 2 della legge 234/97) è successiva all’introduzione del comma 1 bis dell’art. 294 c.p.p. (previsto dall’art. 11 della legge 332/95)”.

In tal modo, tuttavia, ometteva di considerare che la sentenza dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale dell’art. 302 c.p.p. “nella parte in cui non prevede che le misure cautelari coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive perdono immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio nel termine previsto dall’art. 294, comma I bis”, è ancora successiva (Corte Cost., 4.4.2001, n. 95).

Applicava, in più, il criterio della lex posterior in assenza di ogni e qualsiasi antinomia fra norme che, invece, ne costituisce il presupposto: nessun contrasto, infatti, v’è fra la disposizione di cui all’art. 289, comma 2, c.p.p., e quella di cui all’art. 294, comma 1 bis, c.p.p.; le stesse, anzi, in mancanza di una specifica ed espressa disciplina derogatoria, possono – e devono – essere contestualmente applicate.

Anche la “sentenza n. 16 del 5.2.1992 in cui la Corte Costituzionale, decidendo sulla questione di costituzionalità dell’art. 294 co. 1 c.p.p. nella parte in cui preclude al giudice di procedere all’interrogatorio di garanzia nei casi in cui abbia già interrogato l’arrestato o il fermato nel corso dell’udienza di convalida, osserva che “l’interrogatorio in sede di convalida (e, quindi, prima dell’adozione del provvedimento cautelare) risulta, considerato il complessivo contesto in cui la relativa udienza si svolge, in grado di soddisfare compiutamente l’esigenza di tutela dell’indagato anche con riferimento alla misura poi disposta” (G.I.P. presso il Tribunale Militare di Napoli, ordinanza del 5.11.2009), lungi dall’inficiare le ragioni poste a fondamento della concorrenza dell’interrogatorio ex art. 294, comma 1bis, c.p.p. con quello di cui all’art. 289, comma 2, c.p.p., ne conferma la validità.

L’interrogatorio di cui all’art. 289, comma 2, c.p.p., in altri termini, non può essere considerato un valido “surrogato” di quello imposto dall’art. 294, comma 1 bis, c.p.p. proprio perché si svolge secondo modalità e garanzie difensive minori di quelle previste da quest’ultima norma (in tema di misure cautelari), nonché dall’art. 391 c.p.p. (in tema di udienza di convalida).

Se, infatti, “l’omesso previo deposito in favore del difensore dell’ordinanza applicativa, della richiesta del P.M. e degli atti allegati compromette ingiustificatamente il pieno esercizio del diritto di difesa che si esplica nell’interrogatorio di garanzia e conseguentemente ne determina l’invalidità” (Cass., SS. UU., 28.6 – 20.7.2005, n. 26798, in Dir. & Giust., 2005, 34, p. 65), tali garanzie non sono previste per l’interrogatorio ex art. 289, comma 2, c.p.p..

Rebus sic stantibus, qualora l’interrogatorio previsto dall’art. 289, comma 2, c.p.p. producesse efficacia escludente dell’art. 294 c.p.p., esso, lungi dall’ “ampliare la sfera delle garanzie dei soggetti a favore dei quali opera” (G.I.P. presso il Tribunale Militare di Napoli, ordinanza del 5.11.2009), ne comprimerebbe la portata e l’effettiva possibilità di attuazione.

Anche l’asserzione per cui “la situazione della persona che venga sottoposta alla misura di cui all’art. 289 c.p.p. trova tutela, in assenza della previsione del necessario nuovo interrogatorio da parte del giudice, attraverso i mezzi di impugnazione propri di tali provvedimenti, che consentiranno all’interessato di dedurre e provare gli elementi utili a contrastare il giudizio sulla sussistenza e sulla valenza delle violazioni a lui contestate”, infine, nel rendere evidente la lesione imposta al diritto dell’indagato di conoscere le ragioni e gli atti posti a fondamento della misura cautelare ed esercitare il conseguente diritto di difesa innanzi allo stesso Giudice che l’ha disposta (in ciò identificandosi la ratio dell’art. 294 c.p.p.), rivela un ulteriore ed evidente illegittimità dell’orientamento opposto a quello sostenuto con l’ordinanza in commento poiché, costringendo la persona attinta dalla misura interdittiva della sospensione dall’ufficio pubblico a far valere le proprie ragioni difensive direttamente attraverso l’appello dell’ordinanza applicativa, irragionevolmente la priva di un’ulteriore possibilità di sindacato in ordine alla legittimità della misura cautelare, altrimenti – ed in ogni altro caso – garantita dalla Legge.

 

Trib. Mil. Napoli – Sez. II – 13 novembre 2009 – Pres. Sabino – Rel. **********.

Misure cautelari – Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio – Interrogatorio di garanzia – Necessità ai fini dell’efficacia della misura – Sussiste. (****** art. 389 e 394).

Misure cautelari – Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio – Competenza in materia di appello del tribunale Militare di Napoli post L. 244/2007 – Sussiste. (****** art. 310; D.L. 553/1996, art. 5; L. 244/2007, art. 2, comma 603).

 

E’ necessario che l’adozione della misura interdittiva della sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia non solo preceduta dall’interrogatorio ex art. 289 c. 2 c.p.p., ma sia anche seguita, nei termini di legge di giorni dieci, dall’interrogatorio ex art 294 c. 1 bis c.p.p.. La ratio sottesa alle due forme di interrogatorio appare sensibilmente diversa: mentre il primo, infatti, risponde ad esigenze di natura anche pubblicistiche, legate alla necessità di compiere una preventiva valutazione circa eventuali pregiudizi arrecati dalla adozione della misura alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico, il secondo risponde esclusivamente ad esigenze di difesa dell’indagato.

 

L’art. 5 del d.l. n. 553/96, convertito con modifiche nella L. 23 dicembre 1996, n. 652, nel fissare i criteri di attribuzione della competenza in materia di gravami su misure cautelari personali emessi dall’autorità giudiziaria militare, ha fatto riferimento non già alle sedi di corte di appello o delle relative sezioni distaccate, bensì letteralmente ai tribunali militari di Verona, Roma e Napoli, sicché la circostanza della soppressione delle suddette sezioni distaccate e delle altre sedi di tribunale non ha comportato alcuna variazione rispetto al precedente meccanismo di attribuzione di competenza. Deve ritenersi, quindi, confermato che per i provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dal G.I.P. del Tribunale militare di Napoli, la competenza a conoscere dei relativi atti di impugnazione appartiene allo stesso Tribunale militare di ‘Napoli.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con atto in data 28 settembre 2009, depositato il giorno successivo nella cancelleria del G.I.P. in sede, il pubblico ministero richiedeva l’emissione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari ex art 285 c.p.p. a carico del G. A. per i reati di Simulazione di infermità continuata e aggravata, diserzione aggravata e continuata e truffa militare pluriaggravata e continuata, ivi meglio descritti.

Con provvedimento del 29 settembre 2009 il G.I.P., nel rigettare la richiesta di arresti domiciliari, fissava l’interrogatorio dell’indagato, ai sensi dell’art. 289 c.2 c.p.p., ravvisando l’applicabilità della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289 c.1 c.p.p.).

A seguito dell’interrogatorio effettuato in data 13 ottobre 2009, lo stesso G.I.P emetteva ordinanza in data 22 ottobre 2009, con la quale disponeva l’applicazione nei confronti del G. della suddetta misura interdittiva per la durata di giorni sessanta.

Con atto in data 3 novembre 2009 il difensore di fiducia dell’indagato chiedeva al G.I.P. di dichiarare la perdita di efficacia della misura adottata, non essendosi proceduto, nel termine di legge di giorni dieci, all’interrogatorio cosiddetto “di garanzia” della persona sottoposta alla misura interdittiva previsto dall’art. 294 c.l bis c.p.p..

Il G.I.P. in data 5 novembre 2009 rigettava l’istanza ritenendo che l’art. 289 c.2 c.p.p. costituisse norma speciale rispetto a quella generale dell’art. 294 c.p.p. c. 1 bis, sicché l’interrogatorio preventivamente eseguito a norma della prima delle disposizioni citate esaurisse gli obblighi connessi al rispetto dell’esercizio delle facoltà difensive dell’indagato.

Il difensore, con atto depositato in data 5 novembre 2009, proponeva appello avverso l’ordinanza in data 22 ottobre 2009 applicativa della misura interdittiva con atto depositato in data 9 novembre 2009, lo stesso difensore proponeva appello avverso

la successiva ordinanza del G.I.P. in data 5 novembre 2009.

Con il primo motivo di gravame il difensore rilevava l’incompetenza di questa seconda sezione del Tribunale militare di Napoli, osservando che, a suo avviso, in seguito alla soppressione delle sezioni distaccate della Corte militare di Appello di Napoli e Verona, disposta con la legge n. 244/2007, la competenza a conoscere dei gravami sulle misure cautelari fosse concentrata sul Tribunale militare di Roma, ai sensi dell’art. 309, c. 7 c.p.p.,trattandosi dell’unica sede di Corte di Appello per la giurisdizione militare.

Con il medesimo atto il difensore lamentava anche l’omesso interrogatorio di garanzia dell’indagato previsto dall’art. 294 c.1 bis c.p.p., nonché il difetto di motivazione per mancata valutazione degli elementi favorevoli all’indagato e la insussistenza dei gravi. indizi di colpevolezza per tutte e tre le fattispecie ipotizzate. Da ultimo il difensore evidenziava l’insussistenza, delle esigenze cautelari.

In relazione a quanto sopra chiedeva l’annullamento dell’ordinanza in data 22 ottobre 2009.

Con il successivo atto di impugnazione in data 9 novembre 2009, il difensore chiedeva l’annullamento della ordinanza del G.I.P. in data 5 novembre 2009 e, di conseguenza, la dichiarazione di estinzione della misura cautelare, ribadendo l’osservazione relativa alla mancata effettuazione dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c. 1 bis c.p.p..

All’odierna udienza i procedimenti scaturiti dai due atti di appello, su richiesta delle parti, venivano riuniti.

L’indagato ha reso dichiarazioni spontanee, ribadendo quanto già dichiarato in sede di interrogatorio dinanzi al G.I.P. in data 13 ottobre 2009 e lamentando di non aver avuto la possibilità, a causa del mancato interrogatorio ex art. 294 c. 1 bis c.p.p., di potersi adeguatamente difendere non avendo avuto accesso, al momento dell’interrogatorio ex art. 289 c.p.p. alla conoscenza degli atti posti a fondamento della richiesta di misura cautelare.

Il pubblico ministero ha quindi concluso chiedendo il rigetto di tutti i motivi di gravame.

Il difensore, invece, ne ha chiesto I1 accoglimento.

Riguardo al preliminare profilo della competenza va osservato che l’art. 5 del d.l. n. 553/96, convertito con modifiche nella L. 23 dicembre 1996, n. 652, nel fissare i criteri di attribuzione della competenza in materia di gravami su misure cautelari personali emessi dall’autorità giudiziaria militare, ha fatto riferimento non già alle sedi di corte di appello o delle relative sezioni distaccate, bensì letteralmente ai tribunali militari di Verona, Roma e Napoli, sicché la circostanza della soppressione delle suddette sezioni distaccate e delle altre sedi di tribunale non ha comportato alcuna variazione rispetto al precedente meccanismo di attribuzione di competenza. Deve ritenersi, quindi, confermato che per i provvedimenti in materia di misure cautelari personali emessi dal G.I.P. del Tribunale militare di Napoli, la competenza a conoscere dei relativi atti di impugnazione appartiene allo stesso Tribunale militare di ‘Napoli.

Il collegio ritiene, invece, fondato il gravame nella parte in cui lo stesso fa riferimento alla necessità che l’adozione della misura interdittiva della sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio sia non solo preceduto dall’interrogatorio ex art. 289 c. 2 c.p.p., ma sia anche seguito, nei termini di legge di giorni dieci, dall’interrogatorio ex art 294 c. 1 bis c.p.p..

Preliminarmente va osservato che la ratio sottesa alle due forme di interrogatorio appare sensibilmente diversa: mentre il primo, infatti, risponde ad esigenze di natura anche pubblicistiche, legate alla necessità di compiere una preventiva valutazione circa eventuali pregiudizi arrecati dalla adozione della misura alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico (v. C. Cost 22 giugno 2000, n. 229), il secondo risponde esclusivamente ad esigenze di difesa dell’indagato.

In proposito è opportuno evidenziare quanto segue.

La previsione espressa dell’obbligo di procedere all’interrogatorio “di garanzia” ex art. 294 c. 1 bis c.p.p. per tutte le misure cautelari personali, sia coercitive che interdittive, è stata introdotta con sentenza della Corte Costituzionale n. 95 in data 4 aprile 2001. Questa, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’alt. 302 c.p.p., nella parte in cui non prevedeva la perdita di efficacia delle misure interdittive in caso di mancato interrogatorio nei dieci giorni successivi, ha ritenuto di dover precisare che tale istituto si “configura come la specifica garanzia processuale preordinata alla verifica delle condizioni di applicabilità e del permanere delle esigenze cautelari“. La Corte ha, ancora, sottolineato l’ “identità della funzione che l’interrogatorio dispiega in relazione a tutte le misure cautelari personali posto che anche quelle coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle interdittive limitano la libertà della persona, incidono negativamente sulla sua attività di lavoro e costituiscono. un consistente impedimento alla vita sociale. Proprio l’attitudine a comprimere beni fondamentali della persona, che rappresenta il tratto comune di tutte le misure cautelari personali, esige che identica sia la sanzione processuale nel caso in cui l’interrogatorio non venga compiuto nel termine prescritto “.

Ulteriore riprova della diversa natura e funzione dei due istituti si rinviene dall’esame della dinamica di esecuzione delle due forme di interrogatorio; infatti quello preventivo ex art. 289 c.2 c.p.p. viene eseguito con le modalità indicate negli arti 64 e 65 c.p.p. e senza previo deposito degli atti di indagine eventualmente utilizzati per la successiva emissione della misura cautelare. L’interrogatorio ex art. 294 c. 1 bis c.p.p., invece, si svolge a seguito di rituale deposito degli atti utilizzati per l’adozione della misura cautelare (già emessa) e, quindi, nella piena conoscenza da parte dell’indagato del materiale probatorio a suo carico.

In proposito, par rimarcare l’ineludibilità dell’interrogatorio di garanzia ai sensi dell’art. 302 c.p.p,, risultano fondamentali le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite della Cassazione (Sent. 20 luglio 2005, n. 26798) nel senso che ” la conoscenza anticipata degli alti, in base ai quali il pubblico ministero ha proposto l’istanza ed il giudice ha adottato il provvedimento cautelare, permette alla difesa di affrontare con affettata preparazione l’interrogatorio” rimanendo, quindi, “indefettibile il deposito che costituisce di per sé strumento basilare di conoscenza”, deposito che, ai sensi dell’art. 293 c.3 c.p.p., avviene esclusivamente all’atto della adozione della misura cautelare e proprio ai fini di porre l’indagato in condizioni di poter esercitare appieno il proprio diritto di difesa.

In considerazione delle osservazioni che precedono, in accoglimento della istanza difensiva, va dichiarata la perdita di efficacia della misura cautelare interdittiva adottata dal G.I.P con ordinanza in data 22 ottobre 2009, per omessa effettuazione dell’interrogatorio ex art. 294 c.1 bis c.p.p..

Tale statuizione assorbe ogni altro motivo di gravame, ivi compreso quello relativo al mancato accoglimento da parte del G.I.P, della istanza volta ad ottenere, con altre forme, la determinazione di cui sopra.

P.Q.M.

letto l’art. 310 c.p.p.

in accoglimento dell’appello proposto dal difensore dichiara l’inefficacia della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio per il termine di giorni sessanta, adottata dal G.I.P con ordinanza in data 22 Ottobre 2009, nei confronti di G.C.

 

 

Avv. Garzone Francesco Paolo

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