Il presente articolo si prefigge l’obbiettivo di offrire al lettore un quadro conciso sulla nuova prospettiva avvalorata dalla più recente giurisprudenza amministrativa, circa la possibilità di limitare nel tempo l’efficacia delle sentenze. In merito, i sostenitori del predetto orientamento ermeneutico muovono dal presupposto che, in base ai principi della pienezza e della effettività sanciti all’art. 1 del codice del processo amministrativo, il giudice possa operare un ridimensionamento dell’efficacia delle proprie decisioni, al fine di meglio tutelare l’interesse del ricorrente vittorioso, ovvero di evitare che l’efficacia retroattiva della decisione possa contrastare con interessi generali, tutelati a livello costituzionale. Infine, si espone la disamina delle possibili conseguenze derivanti da questo nuovo indirizzo esegetico, che sono state oggetto di dibattito in dottrina e in giurisprudenza.
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Indice
- 1. La modulazione degli effetti delle sentenze di annullamento
- 2. I riferimenti normativi della modulazione nel tempo degli effetti delle sentenze
- 3. I precedenti delle Supreme Corti
- 4. Le possibili conseguenze, sul piano processuale, della modulazione degli effetti delle sentenze
- Volume consigliato
1. La modulazione degli effetti delle sentenze di annullamento
Nella più recente giurisprudenza amministrativa si è sviluppato un indirizzo interpretativo finalizzato a riconoscere al giudice il potere di modulare l’efficacia nel tempo delle proprie decisioni, specialmente con riferimento alle sentenze di annullamento.
A questo proposito, si segnala la sentenza n. 2755/2011 del Consiglio di Stato, emessa in merito ad una vicenda che ha visto contrapposte una nota associazione ambientalista e la Regione Puglia. Nello specifico, l’associazione ambientalista ricorreva al giudice amministrativo di appello, al fine di ottenere la riforma della decisione di primo grado, ove non erano state accolte le censure di illegittimità proposte avverso il piano faunistico venatorio, adottato dalla Regione Puglia.
In accoglimento dell’appello, il Consiglio di Stato, in luogo dell’annullamento tradizionale, ha disposto una sentenza ad efficacia conformativa, fissando a tal fine un termine entro il quale l’amministrazione appellata avrebbe dovuto adeguare il piano faunistico venatorio alla disposizione di legge violata.
La ratio della decisione in parola risiede nel principio di effettività, in quanto l’annullamento con efficacia retroattiva avrebbe lasciato la Regione Puglia senza un piano faunistico venatorio e, quindi, senza una (seppur minima) tutela ambientale, con evidente pregiudizio per il prevalente interesse dell’associazione appellante.
Rimanendo in tema di graduazione degli effetti delle pronunce di annullamento emesse dal giudice amministrativo, si rileva la sentenza n. 1488/2011 della sez. VI del Consiglio di Stato, con la quale il giudice di secondo grado ha demolito il licenziamento emanato dalla P.A. nei confronti di un agente di Polizia di Stato per motivi disciplinari, disponendo, però, l’efficacia ex nunc della propria decisione, con conseguente salvezza degli effetti retroattivi del licenziamento.
2. I riferimenti normativi della modulazione nel tempo degli effetti delle sentenze
Il potere del giudice di graduare l’efficacia delle proprie decisioni trova fondamento nelle diverse pronunce della Corte di Giustizia europea, la quale ammette tale potere sul presupposto che l’art. 264, comma 2 TFUE sancisce che la Corte di Giustizia, ove lo ritenga opportuno, può precisare gli effetti dell’atto giuridico annullato.
Inoltre, la fondatezza di tale potere si riscontra soprattutto nei principi di effettività e di pienezza, sanciti entrambi dall’art. 1 del codice del processo amministrativo, i quali impongono al giudice di apprestare in concreto la migliore tutela giuridica all’interesse del ricorrente vittorioso in giudizio.
Infine, si evidenzia che la modulazione dell’efficacia delle sentenze è, nei casi previsti dalla legge, un potere afferenti alle funzioni proprie del giudice amministrativo, come sancito dal combinato disposto degli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo. I poc’anzi menzionati articoli, infatti, sanciscono che, nell’ambito dei giudizi instaurati riguardo alle aggiudicazioni di contratti pubblici, il giudice amministrativo, ove ritenga l’aggiudicazione illegittima, stabilisce se gli effetti dell’annullamento si estendono anche alle prestazioni già effettuate dalla aggiudicataria, ovvero si estrinsecano solo con riferimento alle lavorazioni da effettuarsi.
3. I precedenti delle Supreme Corti
In diversi precedenti, la Corte Costituzionale ha stabilito il principio di diritto secondo cui la declaratoria di incostituzionalità, emessa avverso le disposizioni di legge nei cui confronti viene sollevato il dubbio di illegittimità costituzionale, ha efficacia retroattiva, anche se vengono fatti salvi i rapporti giuridici esauriti e le situazioni giuridiche consolidate, che restano disciplinate dalla disposizione di legge dichiarata incostituzionale. Tali eccezioni sono giustificate dalla esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto.
Ebbene, in una recente pronuncia, il giudice delle leggi, in deroga al suddetto principio di retroattività delle pronunce di incostituzionalità, ha disposto la caducazione irretroattiva della sentenza con la quale ha accolto un dubbio di illegittimità costituzionale.
Nello specifico, la graduazione degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità è stata effettuata dalla Consulta nella sentenza n. 10/2015, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17, e 18 del D.L. n. 112/2008, convertito in legge dall’art. 1, comma 1 della legge n. 133/2008 (c.d. Robin Tax), per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
In particolare, le disposizioni di legge censurate sancivano l’applicazione di un’addizionale di 5,5 punti percentuali al reddito di imprese impegnate nel settore energetico, le quali avevano maturato un reddito superiore a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, a condizione che le suddette imprese operassero nei settori della ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi; o raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gas per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale; o produzione o commercializzazione di energia elettrica.
Orbene, il giudice delle leggi, nel caso di specie, ha preferito derogare al principio di retroattività delle pronunce di incostituzionalità, al fine di garantire l’integrità della Carta Costituzionale, tenuto conto dell’impatto che la efficacia retroattiva della pronuncia avrebbe avuto su altri principi costituzionali. Più precisamente, l’efficacia retroattiva avrebbe fondato la richiesta di rimborso dell’imposta illegittimamente adempiuta, da parte delle imprese contribuenti, causando così un ammanco alle casse dell’Erario e, quindi, privando lo Stato degli strumenti economici necessari per garantire l’attuazione di politiche sociali e di redistribuzione del reddito, in favore di classi sociali più deboli. Nonché, per evitare che l’efficacia retroattiva sarebbe entrata in contrasto anche con i principi costituzionali di pareggio del bilancio ed equilibrio finanziario.
Con riferimento all’argomento trattato, si rileva la sussistenza di pronunce del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, con le quali il giudice amministrativo di nomofilachia ha ribadito il principio di diritto secondo il quale al giudice è consentito determinare gli effetti nel tempo delle proprie decisioni.
Nello specifico, il riferimento è alla sentenza n. 13/2017, con la quale l’Adunanza Plenaria ha risolto un contrasto giurisprudenziale sull’efficacia ultra-attiva delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico su beni immobili o aree geografiche, avanzate anteriormente alla entrata del d.lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), nonché delle modifiche ad esso apportate con il d.lgs. n. 157/2006 prima, e con il d.lgs. n. 63/2008 poi.
A tal fine, si evidenzia che l’Adunanza Plenaria, aderendo all’indirizzo giurisprudenziale più recente che sostiene la tesi della discontinuità, ha stabilito che il termine di 180 giorni per l’accoglimento della proposta di notevole interesse pubblico di complessi di beni immobili o aree geografiche, previsto dal codice dei beni culturali in seguito alle successive modifiche legislative, è applicabile anche per le proposte avanzate anteriormente alla entrata in vigore del codice dei beni culturali e delle modifiche legislative ad esso apportate.
Tuttavia, nel caso che ci occupa, l’Adunanza Plenaria, tenuto conto dell’impatto socio-economico che altrimenti avrebbe avuto la sua decisione e dei possibili contrasti con il principio costituzionale sulla tutela paesaggistica, ha derogato al principio di retroattività delle sue decisioni con le quali si risolvono contrasti interpretativi, disponendo, così, che il suddetto termine di 180 giorni decorresse dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza.
Un’altra pronuncia della Adunanza Plenaria che può ritenersi rilevante ai fini che qui interessano, riguarda le cc.dd. sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 2021, emesse in merito alla legittimità dei provvedimenti di proroga delle concessioni demaniali marittime, per finalità turistico- ricettive.
A tal proposito, occorre preliminarmente precisare che l’appartenenza all’Unione Europea comporta, per tutti gli Stati membri, la cessione di alcune materie alla legislazione esclusiva della predetta organizzazione internazionale. Pertanto, uno dei titoli in virtù dei quali l’UE esercita la potestà legislativa esclusiva è la materia della concorrenza.
Orbene, è utile ricordare che l’antinomia tra una norma nazionale e una norma eurounitaria, nell’ambito di materie devolute alla legislazione esclusiva dell’UE, si risolve con la disapplicazione della norma interna e la conseguente applicazione della norma eurounitaria.
Così stando le cose, nelle suddette pronunce, l’Adunanza Plenaria ha rilevato che la disciplina nazionale (ivi compresa quella introdotta in via emergenziale per la pandemia dovuta alla diffusione di Covid 19) che consente la proroga delle concessioni demaniali marittime risultain contrasto con la disciplina eurounitaria, in particolare con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Ne consegue che, come detto, le proroghe delle concessioni rilasciate in base alla normativa nazionale risultano illegittime e, pertanto, il giudice amministrativo dovrebbe dichiarane la decadenza degli effetti. Tuttavia, nel caso di specie l’Adunanza Plenaria ha ritenuto opportuno non intaccare l’efficacia delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, fino alla loro fisiologica scadenza fissata per il 31 dicembre 2023, al fine di non incidere gli interessi pubblici rilevanti che, altrimenti, risulterebbero compromessi.
4. Le possibili conseguenze, sul piano processuale, della modulazione degli effetti delle sentenze
Il consolidato orientamento giurisprudenziale che ammette il potere del giudice di graduare gli effetti delle proprie sentenze, specie con riferimento ai provvedimenti demolitori, ha sollevato un dibattito in dottrina e in giurisprudenza, circa i possibili effetti che il predetto potere avrebbe potuto comportare sul piano del diritto amministrativo processuale.
Infatti, sulla scorta del predetto orientamento giurisprudenziale, parte della dottrina ha ritenuto che il potere di modulazione degli effetti delle sentenze abbia segnato il passaggio della giurisdizione amministrativa da giurisdizione prettamente soggettiva a giurisdizione di tipo oggettivo.
A tal fine, occorre precisare che per giurisdizione di tipo soggettivo si intende che il potere giurisdizionale deve essere esercitato dal giudice entro il limite del petitum, tracciato dalle parti in giudizio con i propri atti, con la conseguenza che, superati i limiti del petitum, il giudice incorre nel divieto di ultrapetizione e la relativa sentenza è affetta da nullità.
Di contro, la giurisdizione di tipo oggettivo consente alla autorità giudiziaria di esercitare il potere giurisdizionale anche oltre alle richieste avanzate dalle parti in giudizio, a tutela di un prevalente interesse pubblico. Così, ad es., la giurisdizione civile è di tipo soggettivo, nel senso che il giudice ordinario è tenuto a decidere la controversia in base a quelle che sono le pretese e le prove poste a supporto, avanzate dalla parte ricorrente; tuttavia, nei riti speciali che si tengono in camera di consiglio, con particolare riguardo ai giudizi di volontaria giurisdizione, la giurisdizione del giudice civile è di tipo oggettivo, in quanto quest’ultimo può adottare decisioni diverse e non corrispondenti alle richieste avanzate dalle parti in causa, a tutela di un prevalente interesse pubblico (si pensi alle controversie in tema di affidamento di minore).
Orbene, come è stato detto sopra, la giurisdizione amministrativa nasce come giurisdizione prettamente soggettiva, in quanto l’autorità giudiziaria deve decidere della legittimità di un provvedimento amministrativo sulla base delle censure proposte dal ricorrente, nel ricorso introduttivo. Invero, solo in alcuni casi stabiliti dalla legge, la giurisdizione amministrativa è di tipo oggettivo, come accade nell’ambito delle controversie relative ai contratti pubblici ai sensi degli artt. 121 e 122 del codice del processo amministrativo; o, ancora, con riferimento al fatto che al giudice amministrativo, come anche a quello civile con riferimento agli atti giuridici, è consentito rilevare d’ufficio una causa di nullità che inficia l’atto amministrativo impugnato. La configurazione di una giurisdizione di tipo oggettivo, in questi casi, è giustificata dalla necessità di dover tutelare un prevalente interesse pubblico.
Con riferimento alla suddetta ipotesi, avanzata in dottrina, circa la trasformazione della giurisdizione amministrativa da soggettiva a oggettiva, è intervenuta l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2015, sancendo il principio di diritto secondo il quale la giurisdizione amministrativa rimane sempre e comunque una giurisdizione di tipo soggettivo, quindi strettamente legata al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. È vera la circostanza che la legge, in casi eccezionali, ammette aperture parziali alla giurisdizione oggettiva, ma rimane il fatto che il potere del giudice di modulare gli effetti delle proprie pronunce non è officioso, in quanto sempre connesso alle richieste avanzate dalla parte ricorrente e al fine di garantire una migliore e più effettiva tutela all’interesse di quest’ultimo, nel qual caso dovesse risultare prevalente.
Inoltre, si deve rilevare anche il fatto che, conformemente al principio espresso dalla Adunanza Plenaria, anche il Tar Campania, statisticamente uno dei tribunali amministrativi più attivi in ambito di ricorsi contro l’abusivismo edilizio, in una recente pronuncia ha sancito che la giurisdizione amministrativa è di tipo soggettivo, tanto è vero che, a fronte di una azione di annullamento, il giudice è tenuto a valutare la legittimità del provvedimento censurato sulla base delle censure proposte dal ricorrente nell’atto introduttivo, non potendo sollevare d’ufficio cause di annullamento diverse ed ulteriori rispetto a quelle sollevate dal ricorrente. In caso contrario, il giudice amministrativo incorre nel divieto di ultrapetizione, con le conseguenze che sono state sopra esposte.
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A cura di Marzia De Donno, Gianluca Gardini e Marco Magri | Maggioli Editore 2022
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