La non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art.131 bis c.p. e l’applicabilità della stessa in caso di continuazione

La natura giuridica

L’art 131 bis c.p. è stato introdotto dal legislatore con d.lgs del 2015 n. 28. La norma al I comma prevede l’applicazione della causa di esclusione della punibilità nei reati per i quali la pena non supera nel massimo i 5 anni quando, per le modalità della condotta e per l‘esiguità del danno o del pericolo, l’offesa risulta di particolare tenuità e il comportamento non abituale. Il giudice dovrà valutare i parametri descritti ai sensi dell’art.133 c.p.

Sulla natura giuridica dogmatica della nuova disposizione la dottrina si è divisa. Un’impostazione processualistica ha ritenuto che si trattasse di una condizione dell’azione penale mentre altra parte della dottrina, secondo una visione sostanziale, riteneva che l’art 131 bis rappresentasse una causa di non punibilità. Quest’ultima, tesi venne acclarata dalla giurisprudenza di legittimità che ne affermò la natura sostanziale. L’istituto, cosi inteso, soggiace al principio di retroattività favorevole potendosi, dunque, applicare ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, ad eccezione di quei casi in cui si è formato il giudicato.

La ratio della norma introdotta dal legislatore è plurima. Sul piano sostanziale si ravvisa nel principio di proporzionalità della pena poiché si è inteso sottrarre alla punibilità quei fatti che son caratterizzati in concreto da un’offesa totalmente esigua da far apparire sproporzionata la sanzione.

Inoltre, sul piano processuale, l’istituto della particolare tenuità del fatto ha una finalità diversa da quella già presente nel sistema penale minorile e nei reati di competenza del giudice di pace. Invero, in tema di processo minorile, vi è la possibilità che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando ricorrono la tenuità del fatto, l’occasionalità del comportamento e il pregiudizio delle esigenze educative del minorenne.  Ciò al fine di preservare la personalità del minore che è ancora in formazione.

Nei reati di competenza del giudice di pace la causa di esclusione di procedibilità opera in presenza di un fatto di particolare tenuità se vi è l’esiguità del danno o del pericolo, e quando l’occasionalità e il grado di colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale. L’applicazione della disposizione di cui all’art 34 del d.lgs. n. 274/2000  prevede la valutazione dell’interesse della persona offesa nella fase dell’indagini preliminari mentre in seguito all’esercizio dell’azione penale l’eventuale opposizione della stessa non consente l’applicazione dell’istituto de quo.

A differenza dei due istituti menzionati che hanno alla base una ratio conciliativa, l’art 131 bis ha una finalità deflattiva. A tal proposito attesa, la logica differente, ci si è chiesti se è possibile applicare la nuova disposizione anche nei procedimenti dinanzi al Giudice di Pace. In tale direzione, si è sviluppata una contrapposizione in giurisprudenza.

Un primo orientamento ha escluso l’applicabilità della nuova disposizione nei reati di competenza del giudice di pace considerando l’operatività dell’art 34 quale norma speciale rispetto alla norma generale d cui all’art 131 bis. Secondo tale indirizzo interpretativo, quindi, sulla base del criterio di specialità, non sarebbe possibile l’applicazione del nuovo istituto.

Un differente filone giurisprudenziale ritiene applicabile la nuova causa di esclusione della punibilità, ancor più nei reati di competenza del giudice di pace se i fatti sono connotati da un’offensività minima. Il giudice di legittimità precisa il differente ambito di applicazione delle due fattispecie e, pertanto, esclude l’operatività del criterio di specialità. Il giudice di pace potrebbe, dunque, in assenza dei requisiti previsti dall’art 34 ravvisare l’applicazione della nuova norma qualora ricorrono i presupposti.

La questione venne posta all’attenzione delle Sezioni Unite che stabilirono l’esclusione della nuova norma nei reati di competenza del Giudice di pace. Tuttavia, precisarono che tra le due norme non sussiste un rapporto di specialità poiché la finalità dei due istituti è diversa. La nuova fattispecie, invero, opera come depenalizzazione in concreto alla stregua del principio dell’estrema ratio dell’intervento penale.

I due istituti coesistono nell’ordinamento nonostante la natura giuridica diversa. Tuttavia, si è obiettato che qualora il giudice di pace non possa riconoscere la causa di improcedibilità potrebbe applicare la nuova disposizione.

Il perimetro applicativo

Quanto ai presupposti per l’applicazione dell’art 131 bis il legislatore ne prevede l’operatività per i reati nei quali la pena massima non supera i cinque anni senza tener conto delle circostanze aggravanti.

Altro presupposto riguarda l’esiguità del danno o del pericolo e le modalità della condotta valutabili ai sensi dell’art. 133 c.p.. Pertanto, assumono particolare rilevanza la natura, la specie, i mezzi, l’ oggetto, il tempo, il luogo e il grado della colpevolezza. Inoltre, il giudice dovrà valutare il tipo di motivazione che ha spinto la gente ad agire.

Per quanto riguarda l’esiguità del danno o del pericolo il giudice dovrà accertare che via sia stato un danno o un pericolo dell’interesse protetto dalla fattispecie altrimenti si tratterebbe di reato impossibile. Nell’ipotesi menzionata, invece il fatto è tipico ma attraverso una valutazione in concreto dell’offesa si ritiene l’autore non sanzionabile.

Le SS.UU. hanno chiarito che non esiste un’offesa tenue o grave ai fini dell’applicazione dell’art 131 bis ma occorre verificare la concreta manifestazione del reato.

La norma a sensi del III comma della medesima disposizione non opera se il comportamento dell’autore del reato è abituale. In particolare, non è applicabile se si tratta di un delinquente abituale, professionale o per tendenza a delinquere ovvero quando l’autore ha commesso più reati della stessa indole o quando si è in presenza di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituale e reiterati.

Si è posto il problema circa l’ambito applicativo dell’art 131 bis nelle ipotesi di reato continuato. Invero, che sia inteso come reato unico o come pluralità di reati la giurisprudenza ha ritenuto che sarebbe ugualmente preclusa l’operatività della causa di non punibilità nel reato continuato poiché lo identifica in comportamento abituale.

Tuttavia, recentemente la Suprema Corte ne ha escluso l’applicazione solo quando i comportamenti dell’autore sono espressione di una seriazione dell’attività criminosa  e di un’abitudine del soggetto a violare la legge. Inoltre, non applicare la nuova disposizione nelle fattispecie continuata significherebbe andare contro l’intenzione del legislatore che ha voluto riservare con l’art 81 c.p. al reo un regime sanzionatorio di favore. Pertanto, la nuova norma non sarebbe applicabile ai solo comportamenti espressivi di una vera e propria inclinazione al crimine.

Un differente orientamento ritiene che sia applicabile quando più reati della stessa indole siano compiuti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso nelle stesse circostanze di tempo e di luogo ma non anche quando siano stati realizzati in diversi spazi temporali.

L’art.131 bis al comma II tipizza i casi che rimangono esclusi dall’ambito applicativo della causa di non punibilità. Il legislatore, in particolare, ha previsto che l’offesa non può ritenersi tenue quando l’autore ha agito per motivi futili o con crudeltà, anche a danno di animali, ovvero se ha adoperato sevizie o ha approfittato della minorata difesa in cui versava la vittima o ancora nei casi in cui la condotta ha cagionato come conseguenza non volutala morte o lesioni gravissime della persona.

Alla luce di quanto esposto si ritiene che l’art 131 bis rappresenti una causa di non punibilità, una depenalizzazione in concreto che esclude l’applicazione della pena ma non impedisce l’esistenza del reato. Invero, il legislatore ha introdotto nel 2015 anche l’art 651 bis c.p.p. prevedendo che la pronuncia di proscioglimento per particolare tenuità del fatto a seguito di dibattimento accerta l’esistenza del fatto e della sua illiceità penale, ai fini del giudizio civile.

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