Anche la Camera dei deputati ha approvato il testo sicchè, a meno di altolà quirinalizi, la norma inserita nel c. detto Decreto sblocca cantieri e definita da senatori del gruppo misto “Salva Toninelli“ diverrà a giorni legge dello Stato e si potrà addivenire all’agognata revoca (recte, atto dichiarativo della decadenza) della concessione ad Autostrade.
Con la novella legislativa si raggiungerà “l’obiettivo di scongiurare la firmite, ovvero la paura di firmare, che spesso colpisce il dirigente pubblico in queste situazioni”. Tale la risalente dichiarazione del ministro Toninelli, che, sempre per come riportato dai media, aveva ancora avuto modo di affermare che “vi è paura di incorrere nella responsabilità erariale e quindi nessuno firma niente”.
Beh, che dire?
E’ verosimile, anche se non del tutto scontato, che l’usbergo fornito (non al Ministro, ma) al dirigente cui spetterà apporre la propria firma in calce all’atto di estromissione di Autostrade consegua il fine voluto.
La novella, infatti, aggiunge all’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994 (recante l’azione di responsabilità innanzi alla Corte dei Conti) un periodo che così recita: “La gravità della colpa e ogni conseguente responsabilità sono in ogni caso escluse per ogni profilo se il fatto dannoso trae origine da decreti che determinano la cessazione anticipata, per qualsiasi ragione, di rapporti di concessione autostradale, allorché detti decreti siano stati vistati e registrati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità svolto su richiesta dell’amministrazione procedente”.
Evitando di entrare in tecnicismi, nella intentio legis sono gli incisi “per ogni profilo” e “per qualsiasi ragione” ad assicurare al malcapitato dirigente che sarà protetto, dalla legge, a 360 gradi per il solo fatto che il visto vi sarà stato, ossia (che sarà protetto) non più solo “limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”: restrizione, questa, di palese rilievo e che continua a valere come previsione generale applicabile a tutti ed a tutte le fattispecie di azioni di responsabilità.
E dunque, ove mai la Corte avrà a vistare ed a registrare il decreto che avesse a intervenire in forza del sopra descritto “ius singulare” tutto dovrebbe, come dire, filare liscio. E tanto (il filar liscio) dovrebbe valere anche per il Ministro, alla luce del già vigente art. 1, comma 1-ter, secondo periodo, stessa legge, ai cui sensi: “…. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione”.
Sarà così? Tutto filerà liscio? Milady potrà sventolare utilmente il salvacondotto fornito dal cardinal di Richelieu?
Vedremo.
Ma soprattutto vedremo se ed in che modo il decreto e il visto che nel caso sarà concesso, oltre a salvaguardare personalmente i singoli, sarà in grado – ed è quel che rileva – di mandare indenne anche lo Stato dal risarcimento/indennizzo plurimiliardario che Autostrade pretenderà in forza delle clausole contrattuali e senza quindi nemmeno dover invocare l’art. 43 Cost.
Al riguardo ho già scritto abbastanza e quindi qui me ne astengo.
Son oggi reintervenuto solo alla luce dei dubia che mi son sorti sulla portata/efficacia concreta della norma/provvedimento che diverrà a giorni legge dello Stato, sempre che superi il vaglio del Colle più alto.
Ad evitare fraintendimenti, devo ribadire ancora – con forza – che i miei diversi interventi su questa dolorosa vicenda non intendono minimamente:
– sminuire le responsabilità, quali che siano, di Autostrade e, per converso, la “doverosità” per lo Stato, sotto i profili giuridici ed etici, di attivare tutti gli strumenti necessari per sanzionarle compiutamente, costi quel che costi, ovvero quale che abbia ad essere, anche sotto i profili soggettivi, il quadro compiuto delle responsabilità;
– avallare l’invero abnorme redditività della convenzione;
– avallare le clausole convenzionali a mente delle quali “in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione anche per inadempimento del concedente … ” sarà comunque sempre dovuto al concessionario “un indennizzo/risarcimento” di inusitata consistenza (art. 9 e 9 bis della convenzione unica del 2007);
– per altri, se pur connessi versi, far ipotizzare che io sia convinto che una nazionalizzazione (recte: una gestione pubblica) sarebbe una iattura e non invece operazione convincente pur in presenza dei costi da pagare: questo non lo so, non sono un economista e, quindi, non mi pronuncio.
In definitiva – ancora oggi, ancora qui – non nego affatto che vi siano, per lo Stato, vie maestre per procedere nelle diverse direzioni possibili e/o dovute, evitando di inciampare… di grosso.
Tutt’altro, tutt’altro! Sol che queste vie – talune già indicate nei miei precedenti scritti sul tema, sia pur solo come invito a verificarne la praticabilità – non le vedo percorse, finora; e, del resto, coprire con un più ampio mantello della legge, ovvero con uno “scudo protettivo” (tale la definizione datane nelle relazioni parlamentari) una specifica, individua, responsabilità dirigenziale potrebbe apparire come una sorta di pre-ammissione di sconfitta (di qui la necessità della copertura legislativa alla responsabilità, pena il rifiuto a “firmare”, per come sostanzialmente già ammesso apertis verbis).
Sconfitta che ben potrà avere forme diverse.
Già nei miei precedenti interventi sull’argomento, pur senza esser Tiresia, ho vaticinato che non vi saranno né nazionalizzazioni né soluzioni giudiziarie, ma “transattive” …. con quanti oneri a carico della collettività avranno a conseguirne.
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