1 – Riflessioni introduttive – 2.1 La Repubblica Napoletana. Brevi cenni storici – 2.2 Il Regolamento sui comitati della Repubblica Partenopea – 2.3 Le disposizioni di ordine generale – 2.4.1 Le funzioni dei Comitati. Il Comitato centrale – 2.4.2 Gli altri Comitati
1 – Riflessioni introduttive
Questa breve ricerca si propone di analizzare le strutture tecniche ed i meccanismi di funzionamento dei regolamenti parlamentari vigenti nelle prime Repubbliche italiane, al fine di operare un confronto (seppure indiretto, poiché non è questa la sede per tale approfondimento) con la disciplina dei regolamenti parlamentari attuali.
A tal fine, Viene preso in esame anzitutto il Regolamenti parlamentare della Repubblica napoletana. Successive ricerche approfondiranno quelli relativi alle Repubbliche (o municipalità) di Venezia, Brescia e Padova. Si tratta, in ciascuno dei casi esposti, di esempi significativi di legislazione tecnica e regolamentare, nei quali si rinvengono alcune norme che verranno successivamente reiterate nei regolamenti parlamentari moderni.
L’analisi è stata compiuta tenendo conto che si tratta di una ricerca di natura tecnica e non storica. È stato tuttavia necessario inserire di tanto in tanto dei riferimenti di natura storicistica per offrire un quadro esaustivo del problema.
2.1 La Repubblica Napoletana. Brevi cenni storici
La ricerca sulle aspettative ed i propositi dei patrioti napoletani nel periodo che va dalla fine del processo contro i primi congiurati alle soglie della Repubblica Napoletana non è agevole. Si tratta di un periodo molto importante perché anticipa i caratteri che contraddistingueranno la Repubblica Napoletana e gli organi decisionali di questa.
Brevemente, può dirsi che, pur nella mancanza di documenti specifici, esistono alcuni opuscoli o fogli volanti scritti a Napoli nel periodo che va dal 1794 al gennaio del 1799, immediatamente antecedenti all’ingresso dei francesi in città.
In particolare è interessante un opuscolo il cui titolo è “
Catechismo su i diritti dell’uomo composto dai cittadini Tomaso ed Orsi, Patrioti Napoletani rifuggiti”. In esso viene raffigurato l’albero della libertà e, ai lati, si riportano le parole di eguaglianza e libertà
[1]. Questo Catechismo altro non è che l’esposizione della Dichiarazione dei diritti che precederà la Costituzione, cosiddetta “Giacobina”, del 1793. Sebbene la costituzione giacobina non entrerà mai in vigore, tuttavia questo Catechismo può essere letto come una riprova degli ideali che univano i congiurati napoletani con i giacobini francesi dei quali i primi accoglievano in pieno, e senza riserve, tutte le affermazioni di principio, anche le più radicali
[2].
Questo documento, assieme a quelli che ad esso seguirono
[3], dimostra il clima estremamente liberale che si stava creando in tutta la penisola, ed in particolare a Napoli. Un clima estremamente importante se si tiene conto degli sviluppi che subì in seguito, con l’arrivo dei francesi e con l’avvio di un’esperienza parlamentare estremamente significativa, come evidenzia il documento storico analizzato in questa trattazione.
Anche la fuga di Ferdinando IV da Napoli nel dicembre 1798 presenta aspetti interessanti che meritano un approfondimento in quanto avranno conseguenze decisive sulla storia dello Stato napoletano
[4]. Infatti, la notizia dell’imminente fuga di questo ed rinnovo con ritardo di un giorno (il 16 dicembre, anziché il 15, come da tradizione) del miracolo di San Gennaro, fece scoppiare la sommossa
[5]. Il popolo sentiva di non avere più l’appoggio né del Re, né tanto meno del Santo. In sostanza il movimento dei rivoltosi si presentò come un movimento in cui vennero ad intrecciarsi insieme il rancore contro il potere e l’odio contro lo straniero invasore. Contro il potere che non voleva il suo aiuto e non sapeva far altro che “
con persuasive e buone maniere farli ritirarare”[6].
Finalmente, con l’occupazione francese in Italia si avranno, tra le altre conseguenze, anche importanti modificazioni alle strutture costituzionali ed amministrative nelle zone occupate. In un primo momento
[7], strettamente legato all’occupazione militare, si assiste alla coesistenza del vecchio regime e degli organi militari francesi. In qualche caso il regime soppresso lascia organi propri, provvisori, destinati a facilitare il passaggio al nuovo regime o a reggere lo Stato in assenza degli organi costituzionali originari.
Una seconda fase vedrà invece la creazione, da parte dell’armata francese, di governi che è possibile chiamare “di comitati”
[8]. In particolare, nel crearli, si farà riferimento a quel periodo che va dall’agosto del 1792, data della caduta della monarchia francese, al 22 agosto 1795, quando venne approvata la Costituzione Termidoriana. In questa fase infatti la Francia non è retta da alcuna costituzione ma è solamente governata da due Comitati
[9].
La ragione principale che portò a questo sistema di governo fu data anche dalla difficoltà ad instaurare elezioni che dessero vita ad organismi rappresentativi. Considerando anche che, trattandosi di un paese in regime di occupazione militare, la Francia non voleva certo lasciare all’incognita delle elezioni il predominio che le era necessario, e quindi preferiva procedere alla nomina dei mebri dei vari governi, direttamente ad opera del Generale in capo
[10].
Infine, con l’approvazione della Costituzione (che sarà generalmente una traduzione, con piccole modifiche, di quella francese del 1795) si instaurerà un governo definitivo modellato su quello direttoriale francese
[11].
2.2 Il Regolamento sui comitati della Repubblica Partenopea
Il Regolamento più interessante relativo alla Repubblica Partenopea, risalente al 1797, disciplina “la formazione dei Comitati del Governo, lo stabilimento delle loro facoltà, ed i limiti della loro giurisdizione”. Si tratta dunque di un regolamento che, a differenza di alcuni tra gli altri che verranno presi in considerazione, riveste particolare importanza con riferimento alle strutture di base degli istituendi Governi Provvisori in Italia, a seguito dell’arrivo dei francesi.
Si è visto infatti che il comune denominatore di questi governi fu quello di avere una struttura collegiale unitaria, preposta allo svolgimento delle funzioni decisionali di maggior rilievo, ed un numero più o meno ampio di Comitati, a loro volta organi collegiali composti da membri dell’Assemblea, esercenti funzioni specifiche in determinati settori di interesse pubblico.
Questa struttura, che costituisce il primo esempio di struttura burocratica amministrativa (quella che si trasformerà poi nell’apparato ministeriale così come oggi lo conosciamo), era ricalcata sul modello francese. Aveva lo scopo di agevolare lo svolgimento delle funzioni dell’Assemblea, impedendone la paralisi. Si basava sugli stretti rapporti che i singoli Comitati avevano tra loro, con le amministrazioni sottoposte al loro controllo e con l’Assemblea stessa.
L’esempio del regolamento della Repubblica Partenopea è dunque estremamente appropriato per ben comprendere questi tratti distintivi. Significativo a tal proposito è l’
incipit del regolamento, ove, su dichiarazione del Generale in capo francese Championnet
[12], si specifica che la legge (così infatti viene chiamato il documento dai redattori) fissava le facoltà ed i limiti della giurisdizione dei Comitati. In ciò si riassumendosi l’intero contenuto del documento.
2.3 Le disposizioni di ordine generale
Di estremo interesse è anche la dichiarazione di intenti
[13] che precede il corpo regolamentare vero e proprio. In essa si specifica, indirettamente, quale sarebbe stato lo scopo della legge nell’organizzare i Comitati, ovvero: ristabilire l’ordine pubblico senza ritardo; rigenerare l’amministrazione generale in tutti i suoi rami; riorganizzare la comunicazione della capitale con le province; rendere profittevoli le rendite pubbliche; regolare e custodire adeguatamente le spese generali; armare le forze nazionali per difendere il territorio dai nemici, secondo i principi di un governo libero.
L’intento è dunque chiaro. Il regolamento interviene in una situazione politica evidentemente complessa ed estremamente caotica, dove si rende assolutamente necessario riorganizzare le strutture basilari dell’amministrazione. Bisognerà provvedere a rimettere in sesto le forze armate, ristabilire i contatti (presumibilmente interrotti dalle operazioni belliche), ma anche far tornare profittevoli le rendite pubbliche, riportando il bilancio pubblico in attivo. Per farlo si procederà all’istituzione dei Comitati, sulla falsariga del modello francese, che andava in quegli anni affermandosi in tutte le realtà politiche pre-unitarie filofrancesi.
Prima di affrontare la disciplina di ogni singolo comitato il documento stabilisce una serie di interessanti regole generali. Anzitutto introducendo la figura del Presidente della Rappresentazione Nazionale, il quale esercita una serie di rilevanti funzioni. Ha non solo il diritto di partecipazione, ma anche quello di voto in tutti i Comitati
[14]. Il potere di voto di questo svolge un’altra funzione essenziale: in caso di parità nelle votazioni infatti, al fine di superare l’
impasse, si rende necessaria l’opinione del Presidente del Comitato centrale per la deliberazione o elezione dei membri del comitato stesso. Due sono quindi le considerazioni da svolgersi: anzitutto il fatto che il Presidente pare eserciti, nel primo caso, una facoltà di voto, mentre, in questo secondo caso, la disposizione pare configurare piuttosto un dovere, necessario al fine di sbloccare una situazione di momentanea paralisi decisionale, dovuta alla parità dei voti.
In secondo luogo sembra che in realtà questo potere-dovere comprenda a sua volta due ipotesi: ovvero la semplice deliberazione, oppure l’elezione, in concerto con gli altri membri del comitato stesso.
Da notarsi è infine il fatto che alla questione della parità di voti il regolamento dedica un altro articolo, il quattordicesimo. In esso stabilisce che, qualora si presenti una situazione simile, e sia impossibile comporre il Comitato in numero dispari, allora spetta al Comitato Centrale (si presume attraverso la figura del Presidente) di avvertire i rispettivi Comitati affinché prestino un membro al primo, consentendo di ottenere, con il suo voto, una soluzione decisiva al problema creatosi.
Benché alcuni regolamenti contengano disposizioni specifiche su una nutrita serie di figure istituzionali, nel caso di specie, oltre al Presidente, si fa menzione del solo Segretario. Nell’art. XII infatti si stabilisce che la nomina di questo avviene per opera del Comitato Centrale, e che le sue funzioni consistono essenzialmente nella redazione scritta di tutte le deliberazioni, nonché nell’esercizio di un potere di firma congiunta (con l’organo Presidenziale) delle stesse.
L’art. XXIX specifica che ciascun Comitato ha un proprio segretario, che assiste alle deliberazioni e firma assieme al Presidente gli atti di questi.
Circa il funzionamento dei Comitati, la legge si sofferma anzitutto sui luoghi nei quali questi si riuniscono. L’art. IV, in via generica, dispone che ciascun Comitato, in attesa dello stabilimento e costituzione del Comitato Centrale, si riunisca nei luoghi in cui è predisposto eserciti le sue funzioni
[15]. Anche in questo caso due sono le considerazioni che possono farsi. In primo luogo il fatto che il regolamento tralasci di indicare quali siano specificatamente questi luoghi, probabilmente perché già noti.
Dunque (questa la seconda considerazione sul merito) posticipando ad un successivo ed ulteriore riordino degli stessi la costituzione del Comitato Centrale. Certo è che anche questo elemento contribuisce a chiarire l’idea della estrema confusionarietà ed incertezza sulle sorti politiche della città e del territorio circostante che dovevano regnare in quei giorni tra i cittadini e le stesse istituzioni.
Successivamente, all’art. XIII, il regolamento dispone che ogni deliberazione si prende a maggioranza di voti. Il sistema adottato è dunque quello più semplice ed efficace: la maggioranza semplice dei votanti, senza introdurre alcuno sbarramento particolare per le votazioni nelle materie più delicate.
La deliberazione però richiede un’ulteriore requisito, ossia la sussistenza di un numero legale di partecipanti al voto affinché questo possa risultare valido. Servono pertanto almeno tre membri del Comitato perché la deliberazione possa considerarsi validamente assunta.
Ciascun membro dei comitati, conclude l’articolo, ha diritto di far registrare (presumibilmente ad opera del Segretario, benché il regolamento non si soffermi sul punto) le sue opposizioni alle decisioni prese.
Alcune norme che riguardano il funzionamento dell’intero apparato collegiale sono contenute tra le disposizioni che disciplinano il funzionamento del Comitato Centrale. In particolare gli artt. IX e XI, stabiliscono, rispettivamente, che spetta al Comitato Centrale stabilire la data e l’ora in cui dovranno presentarsi presso questo per relazionare della propria attività, e che le comunicazioni avvengano per il tramite di un rappresentante per ciascun Comitato, perlopiù in forma scritta e che in sede di deliberazione del Comitato Centrale il suddetto rappresentante possa esercitare diritto di parola.
2.4.1 Le funzioni dei Comitati. Il Comitato centrale
La parte centrale e più importante di tutto il regolamento tratta dei singoli Comitati e delle loro funzioni, che sono le seguenti. Quanto al Comitato Centrale le sue funzioni sono quelle più articolate ed, ovviamente, importanti. Risulta anzitutto incaricato della direzione e dell’impiego di tutte le forze di terra e di mare, evidentemente in concerto con il Comitato Militare, che esercita le medesime funzioni. Ma soprattutto è incaricato della negoziazione di tutti gli affari e di tutti gli interessi della Repubblica con le potenze straniere, nonché di ogni missione diplomatica, della gestisce la corrispondenza con il Direttorio esecutivo della Repubblica Francese, con il Generale in capo e con le altre Repubbliche alleate alla Francia. In pratica cioè è deputato alla gestione di ogni aspetto delle pubbliche relazioni, riferendo direttamente agli organi di comando francesi.
Tra le sue funzioni sono poi da annoverarsi anche quelle di tipo più specificatamente esecutivo. È infatti responsabile di ogni misura esecutiva delle leggi, di quelle concernenti la polizia generale e la pubblica amministrazione
[16].
Poiché ciascuna di queste funzioni è affidati anche ad altri Comitati, risulta evidente che quella del Comitato Centrale è più un’azione di vigilanza e coordinamento, essendo presumibile che vengano lasciate le questioni di ordinaria amministrazione alla gestione dei Comitati competenti in materia. A conferma di ciò vi è l’art. VIII, nel quale si ribadisce che, in concerto con il corpo legislativo, il Comitato Centrale regola la distribuzione delle rendite dei ministeri, le entrate e le uscite, nonché vigila sull’impiego e ne approva il pagamento.
Ancora, è necessaria l’approvazione di questo, ex art. X per l’esecuzione o pagamento di qualsiasi contratto di somministrazione nei lavori pubblici.
Benché in apparenza le funzioni possano sembrare numerose, queste vanno lette alla luce della disposizione conclusiva del regolamento, l’art. XXXI, in cui si dispone che tutte le deliberazioni assunte da questo Comitato che non siano relative all’esecuzione letterale di una legge, dovranno essere approvate dal Generale in capo. In sostanza quindi il governo francese intende, con questa disposizione conclusiva, mantenere saldo il controllo sulla normazione dello Stato, garantendosi una sorta di potere di veto sulle deliberazioni che non ritenesse conformi alla propria volontà. Il che non fa che confermare le conclusioni raggiunte nel corso della prima parte di questa trattazione, ove si è posto in risalto il fatto che spesso le autorità francesi dimostrarono di avere maggiore interesse al controllo dei territori piuttosto che all’effettivo sviluppi dei principi democratici nelle istituzioni di questi.
2.4.2 Gli altri Comitati
Tra gli altri Comitati vanno ricordati il Comitato di Legislazione; ad esso non spetta la gestione dell’amministrazione bensì la preparazione della Costituzione e delle leggi riguardanti l’abolizione di tutti quegli istituti giuridici che siano contrari ai principi di libertà.
C’è poi il Comitato di Polizia Generale, incaricato di tutte le misure relative alla sicurezza e l’incolumità pubblica. Ma soprattutto svolge funzioni di accusa (in termini moderni si direbbe di pubblico ministero), presso qualsiasi Tribunale, nei confronti di chi complotti contro la Repubblica e le sue istituzioni
[17].
Il rapporto con i Tribunali però non si esaurisce all’esercizio della pubblica accusa. Esso, in concerto con il Corpo Legislativo, si occupa anche di relazionare in merito all’attività giudiziaria e predisporre un’adeguata legislazione civile e penale.
Di estrema importanza è infine la norma contenuta nell’art. XXI, nel quale si dispone che tutte le deliberazioni assunte dal Comitato in materia di sicurezza e tranquillità pubblica, non possono essere riformate se non a seguito di un decreto dei Rappresentanti che avvenga con scrutinio segreto.
Terzo è il Comitato Militare. Tra i suoi compiti vi sono ovviamente quelli di gestione delle truppe di mare e terra, del mantenimento delle caserme e dei porti. Gli sono invece espressamente precluse le funzioni di sottoscrizione di contratti e la nomina di ufficiali che sia avvenuta senza l’approvazione del Comitato Centrale.
Opera, ancora, il Comitato delle Finanze. I compiti svolti da questo Comitato sono estremamente importanti, avendo il dovere di vigilare ed ispezionare tutti gli immobili e le proprietà nazionali, ma soprattutto vigilare e predisporre l’esazione fiscale, convogliando gli introiti nella Cassa Pubblica
[18]. Inoltre ad esso è affidata la gestione del conio, con tutte le operazioni che a questo si legano (peso, esattezza, titolo legale, ecc.).
Infine, il Comitato Interno esercita funzioni strettamente legate all’amministrazione pubblica: ne cura l’organizzazione. La dirige nello svolgimento delle funzioni affidate. In sostanza ha il compito di vigilare sul corretto funzionamento di questa, mettendola, se necessario, nelle condizioni di operare.
Il documento specifica infatti all’art. XXVIII che sono sotto la sua giurisdizione gli ospedali, i monumenti pubblici, le sussistenze, nonché i teatri, il clero e la posta.
[1] V. Marongiu A., Storia del diritto pubblico – Principi e istituti di governo in Italia dalla metà del IX alla metà del XIX secolo, Milano, 1992, pagg. 46 ss, il quale specifica che il luogo di stampa è indicato in Forte d’Ercole e manca invece la data di stampa, sebbene si possa ritenere ragionevolmente che sia stato stampato intorno al 1794.
[2] Interessanti, in merito, gli spunti offerti da Battaglini M., Un episodio ignorato dalla congiura del 1792-1794: la traduzione di Lauberg della costituzione francese del 1793, in rivista storica, 1983, I, pag. 65 ss., il quale svolge un’esame storico sugli autori del testo, e soprattutto sul luogo nel quale l’opera venne pubblicata: Oneglia, dove i Francesi, a seguito dell’occupazione del 1794, istituirono un’amministrazione civile repubblicana a capo della quale venne posto Filippo Buonarroti.
[3] Un altro esempio potrebbe essere costituito da una “Allocuzione al popolo napoletano nello stabilimento della sua repubblica” di un anonimo, che termina con le seguenti parole “Siam liberi ed eguali: solleviamoci al di sopra della insensata fortuna, i di cui incerti rischi per li soli schiavi sono fatti, né mai posson turbare un vero cuore repubblicano. Siam liberi ed uguali: amiamoci come fratelli, e come figli di una madre comune: amiam la patria…”. Il testo integrale viene riportato da Perrella A., Il 1799 nella provincia di Capobasso. Memorie e narrazioni documentate con notizie riguardanti l’intiero Regno di Napoli, raccolte e coordinate da Alfonso Perrella, Napoli, 1900, pagg. 156 ss.
Oppure, più recente, è la “Lettera di un patriota napoletano ai francesi”, scritta il 21 gennaio 1799 da Ignazio Gentile, un personaggio sconosciuto alla cronaca del tempo, il cui testo viene riportato nel giornale patriottico (più precisamente: “Giornale degli amici della libertà ed uguaglianza” del 1796). In questo documento si vengono a tracciare due programmi differenti, di politica interna ed internazionale in cui si inneggia più volte allo spirito democratico, all’uguaglianza dei diritti e la garanzia di questi ad opera di organismi di governo, come il parlamento, composti da rappresentanti di tutte le classi sociali..
[4] Si veda per l’analisi storica Caldora U., Ferdinando IV di Borbone, diario (1796-1799), Napoli, 1995, pagg. 401 ss.
[5] Cfr. Agnoli F. M., Le insorgenze antigiacobine in Italia 1796-1815, Milano, 1985, pag. 113: “Non appena informato di un accordo che equivaleva alla peggiore delle sconfitte, il popolo al grido di Viva San Gennaro, Viva il Re, Viva la Santa Fede” prese a tumultuare contro il Pignatelli, contestato anche dalla nobiltà napoletana che pretendeva che gli antichi statuti del Regno attribuissero esclusivamente al suo organo rappresentativo, i cosiddetti Sedili, il potere di governare in assenza del Re non solo la città, ma tutto il Regno. Assalito da tutti i lati il vicario fuggì nottetempo, travestito da donna, per rifugiarsi a Palermo, dove il Re, sdegnato per l’abbandono del Regno che gli aveva affidato, lo fece arrestare…a questo punto, mentre in città crescevano le trame dei giacobini prossimi alla realizzazione della sospirata repubblica, restava col popolo qualche rappresentante dell’aristocrazia…”.
[6] Caldora U., Ferdinando IV di Borbone, diario (1796-1799), Napoli, 1995, pag. 405
In merito si vedano anche gli scritti di rodolico N., Il popolo agli inizi del risorgimento nell’italia meridionale 1798-1801, Firenze, 1925, pagg. 85 ss., ove si chiarisce come i francesi erano oramai da più di dieci anni indicati come nemici del popolo e del Re. Ovvio dunque che la sommossa si rivolgesse proprio nei loro confronti, pur invocando gli stessi principi che erano emersi dalla rivoluzione francese. Viene presa ad esempio anche la corrispondenza della regina, Maria Carolina, che trasmette la paura delle classi nobili di fronte al furore delle masse.
[7] La tripartizione è di Marongiu A., Storia del diritto pubblico – Principi e istituti di governo in Italia dalla metà del IX alla metà del XIX secolo, Milano, 1992, pagg. 201 ss
[8] V. Marongiu A., Storia del diritto pubblico – Principi e istituti di governo in Italia dalla metà del IX alla metà del XIX secolo, Milano, 1992, pag. 203: “Se si prende in esame la struttura dei governi delle Repubbliche italiane in quella che abbiamo chiamato la seconda fase delle modificazioni costituzionali, si nota che tale struttura è identica dappertutto. Nella cisalpina, appena occupata la Lombardia e prima ancora che si parlasse di Repubblica, fu istituito il 29 ottobre 1796 un governo provvisorio che prese il nome di Amministrazione generale della Lombardia…una volta creata la Repubblica cisalpina le fu dato un governo composto da quattro comitati…In Piemonte il governo Provvisorio decise che i comitati sarebbero stati cinque…anche nella Repubblica Ligure il governo provvisorio di quindici membri, istituito il 14 giugno 1797, si divise in quattro Comitati”.
[9] Per un’analisi approfondita sui Comites de gouvernement si veda Godechot A., Les institutions de la France sous la Rèvolution ed l’Empire, Paris, 1925, pagg. 340 ss., in cui si traccia una storia completa dei diversi comitati, a partire dal più antico, quello creato il 28 luglio 1789 dall’Assemblea Costituente, col nome di Comitè d’information e che aveva il compito di esaminare tutti i reclami in materia di sicurezza pubblica, trasmettendo i relativi rapporti all’Assemblea, che li avrebbe giudicati. Successivamente il Comitato avrebbe avuto anche il potere di emettere ordini di arresto e porre alle sue dipendenze i ministri della Giustizia e degli Interni. Successivamente poi si istituiranno i Comites de surveillance, Comitè de suretè generale, Comitè de salut publique. Dopo Termidoro si pensò dapprima di sopprimere alcuni comitati, ma si riconobbe poi che erano assolutamente indispensabili e si decise pertanto di mantenerli in vita fino a quando, nel 1794, si decise di dar loro una struttura completamente rinnovata, portando il loro numero addirittura alle sedici unità.
[10] In questo senso esiste addirittura una norma della Costituzione della Repubblica romana che, all’art. 368, stabiliva che le differenti nomine sarebbero state fatte per la prima volta dal Generale comandante delle truppe francesi in Roma, ed avrebbero avuto lo stesso effetto che se fossero state fatte in modo costituzionale
[11] Cfr. Croce B., La rivoluzione napoletana del 1799, Bari, 1931, in cui si sottolinea criticamente come la Repubblica napoletana sia stata in realtà poco più che un fuoco fatuo. Napoleone, dopo aver tollerato che Ferdinando IV restasse sul trono, decise successivamente di occupare la parte peninsulare del regno, affermando che il perdurare della dinastia era incompatibile con la tranquillità dell’Europa e con l’onore della sua stessa corona. Ferdinando e Maria Carolina si sarebbero perciò ritirati in Sicilia. Ma lo studio delle istituzioni successive all’occupazione francese, secondo lo storico, dimostra come la Francia fosse preoccupata di instaurare un regime analogo a quello realizzatosi in patria, e tentasse dunque di controllare il territorio appunto attraverso la costituzione di comitati che dipendevano, più o meno direttamente, dal governo centrale francese.
In merito anche Ungari P., I precedenti storici del diritto parlamentare in Italia, pag. 48: “Benché in ragione di certi caratteri, che appartengono piuttosto alla sotria politica o all’ideologia, si sia mantenuto l’uso di parlare (magari tra virgolette) di Repubbliche ecostituzioni giacobine, non è però dubbio che esse si modellino piuttosto sulla costituzione direttoriale francese dell’anno III, dettata da un preciso spirito di reazione antigiacobina. Questa faceva ritorno ad un suffragio largo sì, ma censitario, e soprattutto introduceva il nuovo principio strutturale del bicameralismo, attribuendo al ramo più numeroso del Corpo Legislativo, il consiglio dei Cinquecento, l’iniziativa esclusiva delle leggi, e all’altro, il consiglio degli Anziani, il potere di accettarle o respingerle in blocco sia per motivi di merito, sia per averne ritenuto l’incostituzionalità…le Repubbliche Italiane fecero proprie le linee essenziali di questa disciplina con pochi adattamenti, ora derivati da spirito di combinazione con qualche raro e sparso precedente degli ordinamenti patrizi cittadini (Bologna, Genova, Lucca, Municipalità provvisoria di Venezia), ora in ragione del fatto stesso che, toltane l’eccezione di bologna che pur aveva trecentosessanta rappresentanti in confronto ai settecentocinquanta del Corpo legislativo francese, si tendeva in Italia ad assemblee molto più ristrette: da quarantotto a centoventi rappresentanti in un ramo, e da ventiquattro a sessanta nell’altro, ciò che non era senza riflessi nella disciplina normativa e, più ancora, nella prassi.
[12] Si ricordi infatti che, come si è visto nella prima parte della trattazione, il timore dei Francesi di delegare tutte le funzioni ai governi provvisori li spinse a subordinare qualunque attività amministrativa al controllo del Generale in capo presso i singoli territori. Nel caso della Repubblica Partenopea il nome del Generale era appunto quello di Championnet.
[13] Il testo recita così: “…Desiderando che tutt’i Comitati del governo, stabiliti per la legge del 6 piovoso, agiscano prontamente, affinché l’ordine pubblico sia senza ritardo ristabilito, l’amministrazione generale riguardata in tutt’i suoi rami, riorganizzata la comunicazione della capitale colle province, le rendite pubbliche poste in profitto, le spese generali ben segnalate e custodite, ed affinché finalmente le forze nazionali, che debbono vegliare alla sicurezza dell’interno ed a proteggere le frontiere contro gli attacchi dei nemici, siano ordinate ed armate secondo il principio di un governo libero, ordina ciò che segue…”
[14] Art. II: “Il Presidente della Rappresentazione nazionale ha il diritto di assistere a tutti i comitati e di deliberare con essi.
[15] Art. IV: “Tutti i Comitati del Governo sono in permanenza ne’ luoghi destinati al travaglio de’ loro Burò, fino allo stabilimento della costituzione, cioè il Comitato Centrale nella sua totalità, e gli altri Comitati per mezzo del loro Presidente.
[16] Art. VII: “Tutte le misure relative alla esecuzione delle leggi, tutte quelle che concernono la polizia generale, e la pubblica amministrazione sono sotto la giurisdizione del Comitato. Egli è investito del diritto di regolarle, di dirigerle, d’invigilarvi.
[17] Tuttavia, aggiunge l’art. XX, non è possibile arrestare nessun Cittadino se almeno tre membri del Comitato non abbiano deliberato previamente in tal senso. Inoltre, entro i successivi tre giorni dall’arresto, è necessario dare notizia all’arrestato dei motivi per cui è stato privato della propria libertà personale.
[18] Specifica però l’art. XXV che sulle spese il comitato non esercita nessun altro compito che vada oltre l’ispezione, in sostanza affidando la parte gestoria vera e propria al comitato Centrale, che di quei fondi fa utilizzo al fine di predisporre le diverse voci di spesa publica.
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