Le invalidità: nullità e annullabilità
L’ordinamento italiano riconosce ai privati un’ampia libertà nella definizione dei rapporti contrattuali perché attraverso lo strumento negoziale le parti delineano i propri interessi patrimoniali. Non a caso, alcuni autori, definiscono il contratto come un vero e proprio ottimo paretiano.
Ma non ogni libertà è priva di limiti. Le parti sono pur sempre tenute al rispetto delle normative di riferimento. Quando questi limiti vengono superati il contratto entra in uno stato patologico ove l’ invalidità ne rappresenta l’ipotesi più incisiva.
Il codice civile non detta alcuna definizione della stessa ma disciplina le due ipotesi più rilevanti ossia la nullità e l’annullabilità. Talvolta, ed erroneamente, le due fattispecie vengono distinte attraverso l’adozione di un criterio quantitativo. Purtuttavia da un’attenta analisi della disciplina codicistica, relativa alle medesime, si evince che la differenza tra le due concerne la tutela di interessi diseguali. Si tratta, quindi, di una difformità qualitativa che si riverbera sul differente regime sostanziale.
Il contratto è nullo quando viola norme poste alla tutela di interessi generali. Questo è reso ancora più tangibile dal dettato legislativo, contenuto nel primo comma dell’art. 1418 cc laddove sancisce la nullità di tutti quei contratti violativi di norme imperative, ovverosia norme enunciative di principi generali dell’ordinamento (la c.d. nullità virtuale)
Viceversa la disciplina della annullabilità rinviene la sua ratio nella tutela dell’interesse di una delle parti contrattuali o perché legalmente incapace, o perché la volontà si sia formata affetta da un vizio riconducibile ad errore, dolo o violenza.
Nullità di protezione
Affianco a queste due figure nel corso degli anni ne è stata inserita una terza che prende il nome di nullità di protezione. Per tale motivo, tra i vari giuristi, si è diffusa l’idea che non è più corretto parlare di nullità, considerata nella sua singolarità, ma di nullità in una accezione pluralistica. E’ una ipotesi di nullità peculiare perché, nonostante ne abbia il nomen, il fatto di essere posta a tutela della parte debole del rapporto fa sì che presenti diversi tratti comuni anche alla disciplina dell’annullabilità.
In via preliminare è bene evidenziare che, seppur nella trattazione dell’articolo si analizzerà la figura delineata dal Codice del Consumo, perché è la più discussa, non si può identificare la nullità di protezione solo con quest’ultima.
La Cassazione, in una recente pronuncia, ha statuito che l’art. 13 della legge 431/98, in materia di locazioni di immobili ad uso abitativo, rappresenti una ipotesi di nullità posta a tutela della parte debole che, in questo caso, è il conduttore. E’, quindi, una nullità di protezione. Altresì è indiscusso che l’obbligo di forma scritta ad substantiam richiesto dall’articolo suesposto non tuteli solo il conduttore ma anche il fisco da ogni condotta evasiva del locatore.
Nullità consumeristica
E qui si recupera un tratto caratterizzante la nullità codicistica concernente nella tutela di un interesse generale. Questa duplice natura e finalità è presente anche nella nullità consumeristica, posta si alla tutela del consumatore ma anche della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato.
Ed è proprio su questa duplice natura che sorgono i dubbi relativi alla disciplina generale applicabile su quei profili non regolati dalla normativa di settore. Ci si chiede in primo luogo se possa parlarsi di nullità virtuale di protezione. Questione negli anni tutt’altro che pacifica.
In una prima fase si escludeva la possibilità suddetta sulla base del presupposto che la nullità consumeristica fosse una ipotesi eccezionale e, quindi, non poteva che essere testuale. Solo successivamente, con la presa di coscienza che i principi contenuti nella legge consumeristica rappresentino espressioni di principi generali, è suffragato ogni dubbio relativo alla sua ammissibilità. Dubbi che, tuttavia, ancora permangono con riguardo la convalidabilità o meno del negozio affetto da una nullità di protezione.
Sul punto la disciplina consumeristica è silente. Quella generale codicistica prevede la convalida per il solo negozio annullabile e non per quello nullo. La ratio è manifesta, essa compete al contraente legittimato ad esperire l’azione di annullamento e, quindi, a colui cui l’ordinamento ne ha riconosciuto la tutela dell’interesse.
Non si può dire la stessa cosa con riguardo la nullità perché qui l’interesse tutelato non è ascrivibile a nessuno in virtù del suo carattere generale. Adottando una prospettiva prettamente formalistica che da rilievo al nomen iuris (nullità di protezione) si dovrebbe concludere per la non convalidabilità dello stesso.
Ma sul fronte emerge un’altra tesi più attenta al dato sostanziale volta a dare rilievo privilegiato all’interesse del consumatore. Ciò paventerebbe una ipotesi analoga alla annullabilità, ammettendone pacificamente la convalida. Se proprio ci si volesse spingere un po’ oltre si potrebbe dare uno sguardo al ruolo che svolge la trattativa privata idonea a rimuovere a monte la vessatorietà di alcune clausole. Quindi escludendola ab origine non ci sarebbe alcun problema ad ammetterne la sanatoria a valle.
In aggiunta, senza voler scomodare il rilievo dell’autonomia privata con la trattativa, si evidenzia che, laddove il consumatore non faccia valere la nullità si tratterebbe pur sempre di una convalida tacita. Ed è proprio qui che si pone un problema consequenziale ovvero se l’azione de qua sia o meno soggetta a termini di prescrizione.
L’actio nullitatis è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c. L’azione di annullamento è soggetta ad un termine di prescrizione quinquennale.
Anche qui la soluzione al quesito è data dalla differente prospettiva assunta. I teorici dell’orientamento formalistico ne sanciscono l’imprescrittibilità. Gli altri (i sostanzialisti) evidenziano che, se la legittimazione attiva spetta al consumatore, il contratto, almeno per una delle due parti, è vincolante.
Ed è un vincolo che limita la sfera giuridica-patrimoniale del contraente c.d. “forte. L’ordinamento italiano, come ben si sa, non tollera vincoli perpetui alla luce del ben noto precetto normativo contenuto nell’art. 13 della Costituzione.Ne consegue che anche la nullità di protezione, secondo siffatta teoria, è soggetta al termine prescrizionale quinquennale disposto dal legislatore per l’annullamento.
A prescindere dalla necessità o meno del termine per farla valere ci si chiede, ulteriormente, cosa succeda se il consumatore non sollevi l’azione.
L’art. 1421 cc in relazione alla nullità codicistica parla di rivelabilità d’ufficio del giudice “in ogni stato e grado del processo”. La norma rispecchia il fondamento della disciplina della nullità poiché, tutelando interessi generali impone al giudice, quale custode degli stessi, a rimuovere dall’ordinamento ogni atto negoziale che vi si ponga in contrasto.
Ciò nonostante la disciplina processualistica si fonda sul principio dispositivo ai sensi degli artt. 99 e 112 c.p.c. Non è, quindi, il giudice ad esserne il dominus ma le parti stesse
Questo apparente ossimoro di principi ordinamentali è stato risolto dalle note sentenze da SS.UU. 2012 sino alle sentenze n. 26242 del 12/12/2014 e n. 26243 del 12/12/2014. Con tali pronunce si è posto in rilievo che la rilevazione officiosa è possibile in via di eccezione e giammai di azione sia quando venga sollevata l’azione di esatto adempimento, che quando vengano sollevate quelle caducatorie (risoluzione, rescissione e annullamento) perché in ambedue i casi la nullità rappresenta un presupposto logico imprescindibile.
Quanto appena esposto dovrebbe estendersi anche alla nullità di protezione allorquando si desse rilevanza al nomen (teoria formale). Ed, altresì, lo stesso legislatore all’art. 36 comma 3 c. Consumo parla espressamente di rilevazione officiosa. Ma a ben vedere, nel corso degli ultimi anni, si è dato più rilievo alla ratio protezionistica della normativa.
La stessa Corte di Giustizia europea evidenziando il fondamento della disciplina, in conformità alle corti interne, ha statuito che il giudice può sì rilevare d’ufficio la nullità ma solo se questo sia favorevole al consumatore. Il giudice europeo evidenzia, altresì, che è necessario un invito al contraddittorio dello stesso e che si debba tener conto della volontà espressa della parte debole, anche se oppositiva alla rimozione. Alla luce di ciò diversi dubbi permangono in caso di contumacia del consumatore.
Due sono le tesi emerse sul punto. Una attenta al dato letterale dell’art. 36 C. Consumo ed alla terminologia da questo utilizzata e, quindi, il giudice possa solo rilevarla e non dichiararla (si veda la distinzione tra rilevazione e dichiarazione ben definita nella SS.UU. 2014 in relazione all’efficacia del giudicato). Altri invece si spingono oltre ritenendo che anche in tal caso il giudice possa dichiararla perché la mancata costituzione del consumatore può dipendere dall’ignoranza dei suoi diritti o a causa delle ingenti spese processuali (Così corte di Giustizia 4 giugno 2009, C243/08).
Alla luce dell’analisi appena esposta si evidenzia come spesso la fattispecie de qua, nonostante in nomen, venga avvicinata più alla annullabilità che alla nullità dai fautori della tesi sostanzialista. Teoria, d’altro canto, maggioritaria.
C’è un aspetto, tuttavia, incontestato – anche da questi ultimi- che la allontana dalla annullabilità. Questo aspetto è la parziarietà. Non si è mai sentito parlare di un contratto parzialmente annullabile. Evidente ne è la ragione della scelta legislativa. Il vizio che inficia la volontà o l’assenza di capacità dell’individuo si estende su tutto il regolamento contrattuale. La parziarietà, invece, è prevista per la nullità ai sensi dell’art. 1419 cc.
Nella disciplina consumeristica la ratio protezionistica fa sì che la nullità menzionata sia quasi sempre parziale. Questo perché la nullità totale del contratto potrebbe presentarsi alquanto pregiudizievole per il consumatore. Eppure sono presenti alcune ipotesi che in virtù della loro essenza devono necessariamente essere totali. Si pensi al contratto privo di forma scritta. Qui il contratto sarà totalmente nullo perché manca un requisito essenziale che abbraccia la sua complessità anche perché la forma nei contratti asimmetrici ha un valore aggiuntivo rispetto ai contratti per così dire “classici” in quanto potrebbe essere indiziaria di un abuso della parte forte.
In conclusione non si può non notare la particolare evoluzione dell’ordinamento civilistico. Basato sì su istituti millenari ma nello stesso tempo sempre a passo con i tempi e con le esigenze dei vari consociati. Vero è che particolare merito debba essere riconosciuto alla spinta euro-unitaria attenta alle esigenze del consumatore ed estensibile a tutte le parti deboli dei rapporti negoziali.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento