La nuova conformazione della responsabilità amministrativa

Redazione 27/09/04
di Rosa Francaviglia e Elena Brandolini

La responsabilità amministrativa ( patrimoniale ) è preposta alla salvaguardia delle pubbliche finanze ( responsabilità finanziarie ) ossia che le gestioni finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici si svolgano senza lesioni o pregiudizi . Pertanto, chi cagiona un danno erariale ( danno all’ erario quale danno ad una pubblica amministrazione ) è tenuto a risarcirlo.

L’ indirizzo giurisprudenziale della Corte dei Conti , che considerava la responsabilità amministrativa alla stregua della comune azione civilistica di risarcimento del danno, attribuendole la qualificazione di responsabilità contrattuale, è stato posto fortemente in crisi dalla riforma della giurisidizione contabile , attuata dalle leggi nn° 19 e 20 del 1994 e, soprattutto, dalla L. n° 639/1996, nonché dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale che, con le note pronunzie nn° 371/1998 e 453/1998 , ne ha affermato la natura non più esclusivamente risarcitoria, ma anche e specialmente sanzionatoria.

Il legislatore del 1994 ha innovato il sistema della responsabilità amministrativa ( COSIDDETTA “ NUOVA CONFORMAZIONE DELLA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA “) introducendo: il carattere della personalità di detta responsabilità, la sua limitazione ai casi di dolo o colpa grave; l’ insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali; la limitazione della solidarietà ( responsabilità in via solidale: risponde uno dei coobbligati per l’ intero fatta salva l’ azione di regresso nei rapporti interni ) alle ipotesi di dolo od illecito arricchimento; l’ estensione della regola della parziarietà fatti salvi i casi di responsabilità solidale ( ciascuno risponde per la quota di danno erariale arrecata ); il divieto di agire contro gli amministratori per la mancata copertura minima dei costi dei servizi; il regime prescrizionale quinquennale e non più decennale;il danno obliquo ( responsabilità per danno arrecato ad amministrazione diversa da quella di appartenenza ); la “ compensatio lucri cum damno “ ossia nel giudizio di responsabilità deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dalla amministrazione o dalla comunità amministrata; la previsione che, nel caso di deliberazioni di organi collegiali, la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole ; la responsabilità degli organi tecnici non si estende ai titolari degli organi politici; l’ irresponsabilità degli eredi eccettuata l’ ipotesi di illecito arricchimento.

I riferimenti normativi sono rinvenibili negli artt. 81,82 ed 83 del R.D. n° 2440/1923 ( legge di contabilità generale dello Stato ), nell’ art. 52 T.U. C.d.C. ( R.D. n° 1214/1934 ), negli artt. 18 e 19 del T.U. n° 3/1957, nell’ art. 58 della L. n° 142/1990 sulle autonomie locali , ora art. 93, comma 1° del T.U.E.L. n° 267/2000, nelle Leggi di riforma della Corte dei Conti nn° 19 e 20 del 1994 e Legge n° 639/1996.

I pubblici agenti sono responsabili del loro operato per i danni causati nell’ esercizio delle proprie funzioni o per la violazione degli obblighi di servizio .

La condotta dannosa può consistere sia in una azione che in un’ omissione e deve essere riconducibile al rapporto di impiego o di servizio ovvero ad un rapporto di occasionalità necessaria.

Solo in assenza di tale legame, i danni causati potranno essere imputati secondo le norme del diritto comune. Perché si configurino gli estremi di illecito erariale necessitano l’ elemento soggettivo della natura pubblica dell’ ente; quello oggettivo concernente la qualificazione pubblica del denaro o del bene oggetto della gestione ( maneggio di pubblico denaro o beni pubblici );l’ elemento psicologico del dolo o della colpa grave; la condotta commissiva od omissiva imputabile al soggetto ; il nesso di causalità ; l’ evento di danno.

La volontà colpevole concretizzatesi nel dolo e nella colpa è individuata sulla base del diritto penale ( artt. 42 e 43 c.p. ) intendendosi per dolo coscienza e volontà dell’ azione e previsione e volontà dell’ evento . Tuttavia, la giurisprudenza lo configura nei termini di dolo “ contrattuale “ ossia di cosciente inadempimento di una specifica obbligazione contrattuale e non di dolo penale.

Per la colpa grave si intende la sprezzante trascuratezza dei propri doveri da parte del pubblico dipendente, che si manifesta con comportamenti caratterizzati dalla massima imprudenza , negligenza, imperizia, noncurante superficialità nell’ applicazione delle norme di diritto.

La Corte ha, comunque, evidenziato che ai fini della sussistenza della colpa grave, si debba tenere in debita considerazione la funzionalità dell’ organizzazione in cui il presunto responsabile ha agito, rilevando le gravi disfunzioni della struttura talora tali da rendere scusabili gli errori professionali commessi.

Tutto ciò in termini generali con l’ avvertenza che la situazione è più complessa laddove il rapporto è intermediato ovvero non è costituito direttamente con l’ agente, bensì attraverso lo schermo di una persona giuridica ( società ).

Si verte in tali ipotesi allorquando si utilizzino società di capitali per la cura di pubblici interessi. Già nel secolo scorso ci si avvaleva di società di economia mista , di società pubbliche o semipubbliche ( rectius: azionariato di stato ), a cui sono seguite le società in partecipazione pubblica, tutti organismi succedanei dell’ ente pubblico quali strumenti privatistici impiegati a fini pubblicistici.

L’ evoluzione del fenomeno “ ente pubblico e succedanei “ ci pone di fronte ad una innegabile realtà e cioè : che l’ ente pubblico, così come in origine concepito, si sia nel tempo differenziato in così tanti moduli da non poter più essere definito tale per la presenza di caratteri giuridici sicuramente definibili . Si riscontrano, infatti, tanti modelli organizzativi ( definibili come enti pubblici ) ciascuno dei quali denota dei tratti caratteristici e produce effetti o risultati giuridici differenti rispetto agli altri . La stessa tradizionale dicotomia fra S.P.A. ed ente pubblico è, peraltro, andata progressivamente sfumando sia a livello normativo che giurisprudenziale, a cagione del crescente impiego dello strumento della società per azioni per il perseguimento dei pubblici interessi , per l’ affermazione in sede comunitaria della nozione sostanziale di impresa pubblica e di organismo di diritto pubblico nonché per la oramai accertata possibilità di individuare nelle S.P.A. derivanti dai precedenti enti pubblici connotazioni particolari e derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina civilistica.

Come del resto è noto, la problematica della qualificazione giuridica delle società a partecipazione statatle è stata fra le più dibattute degli ultimi anni a causa della sempre più frequente costituzione , direttamente “ ex lege “ ovvero ad opera di enti pubblici a ciò espressamente autorizzati da un atto normativo , di S.P.A. preposte all’ espletamento di compiti di pubblico interesse e, per ciò stesso, assoggettate ad una disciplina , per vari aspetti differenti, da quella codicistica.

Oggi è, quindi , possibile enucleare:

– le cd. Società “obbligatorie” , rispetto alle quali la legge si pone come fonte dell’ obbligo, gravante sui soggetti ivi previsti, di costituire le società;

– le cd. Società “ autorizzate “, il cui tipico esempio è dato dall’ art. 22 lett. e) della L. n° 142/1990 e successive modificazioni ed integrazioni, rispetto alle quali la legge si pone quale soluzione facoltativa ai fini della erogazione del servizio;

– le cd. Società “legificate”, le quali, a differenza di quanto accade per le precedenti tipologie, che presuppongono un intervento legislativo anteriore alla loro costituzione e, per ciò stesso, sono asseverate come legali , derivano la loro fonte da un atto contrattuale a cui si accompagna, successivamente alla loro costituzione, uno statuto legale “ ad hoc ”.

– Alle tipologie sopra enucleate vanno ad aggiungersi tutte quelle società che sono scaturite dal massiccio processo di privatizzazione degli enti pubblici economici e quelle nate per trasformazione di ex aziende municipalizzate.

– Storicamente si è, quindi, passati da un processo di intervento pubblicistico nell’ economia a mezzo dell’ azionariato di stato a quello inverso di privatizzazione societaria, di dismissione del patrimonio pubblico immobiliare e di cartolarizzazione dei crediti degli enti pubblici previdenziali. Il fenomeno delle Authorities e delle Agenzie è direttamente connesso a tale processo, essendo , in particolare, le prime preposte ad esercitare una forma di controllo – vigilanza in un mercato sempre maggiormente orientato verso il privato piuttosto che verso il pubblico. Il chè ha comportato un vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulla qualificazione giuridica effettiva di detti organismi ( mere società di diritto privato con tutte le implicazioni che involge la riforma del diritto societario anche in caso di capitale pubblico maggioritario ovvero loro riconduzione nell’ alveo degli enti pubblici ? ), sulle conseguenze in punto riparto di giurisidizione fra G.O. e G.A. e, soprattutto, in tema di controlli e di responsabilità amministrativo-contabile e di assoggettamento o meno alla giurisidizione della Corte dei Conti .

– Sul riparto di giurisdizione , fermo restando quanto già sopraevidenziato per la responsabilità civile, si puntualizza che, in via di principio, il G.O. conosce dei danni derivanti da atti gestori degli amministratori e dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economiche. Ai fini penali, sussiste incapacità dello scopo perseguito a connotare come esercizio di pubblici poteri un’ attività che si realizza mediante il compimento di atti negoziali.

– In siffatto contesto va segnala la L. n° 97/2001 che disciplina i rapporti fra procedimento penale e disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti pubblici, che ha disposto che la sentenza passata in giudicato di condanna emessa nei confronti di dipendenti di enti a prevalente partecipazione pubblica per delitti contro la P.A. va comunicata alla Procura regionale della Corte dei Conti competente per territorio.

– Ciò ai fini del promuovimento dell’ eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale.

– Essa, quindi, pur non esprimendosi direttamente sulla natura giuridica delle società per azioni a partecipazione pubblica, ha realizzato quella necessaria “ interpositio legislatoris “ per l’ estensione della giurisdizione contabile ai settori di cui sopra e, nel contempo, ha fornito una nuova chiave di lettura per la qualificazione giuridica di detti organismi , a cui hanno fatto seguito, attraverso la giurisprudenza della Cassazione e della stessa Corte dei Conti, ulteriori innovazioni concernenti il danno cosiddetto “ oggettivamente pubblico “ ( Teoria della funzionalizzazione amministrativa ).

– Difatti, ai fini della incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti assume rilievo non tanto la qualificazione soggettiva pubblica del convenuto in giudizio quanto la qualificazione oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie gestite dal presunto responsabile ed in relazione alle quali si configura il danno patrimoniale di cui alla pretesa risarcitoria della Procura Contabile ( Sent. CdC Sez. Giur. Molise n° 234/2002 ). Da ultimo, la Cassazione con Ord. N° 19667/2003 ha attribuito alla Corte dei Conti i giudizi di responsabilità amministrativa per fatti commessi dopo l’ entrata in vigore dell’ art. 1 della L. n° 20/1994, anche nei confronti di amministratori e di dipendenti di enti pubblici economici , essendo irrilevante il fatto che detti enti – soggetti pubblici per definizione , istituiti per il raggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di uguale natura – perseguano le proprie finalità istituzionali mediante un’ attività disciplinata in tutto od in parte dal diritto vivente.

– Le novità poste dalla legge del 2001 si presentano di particolare rilievo, poiché dal combinato disposto degli artt. 3 e 7 è desumibile l’ esplicita volontà legislativa di ritenere sussistente la giurisdizione contabile , quantomeno per le ipotesi astrattamente ricollegabili a fattispecie penali – nei confronti di soggetti che operano presso enti di qualsivoglia natura giuridica , purchè a prevalente capitale pubblico e, quindi, anche nei confronti delle società per azioni .

– L’ art. 7 rileva perché le figure delittuose in esso contemplate sono quelle per le quali l’ offesa implica sempre una violazione di doveri funzionali da parte di soggetti che esercitano pubbliche mansioni, unitamente alla sussistenza di un nesso causale fra l’ evento criminoso e le attività che giustificano la qualifica stessa.

– Ne segue che i reati previsti possono essere commessi solo da soggetti qualificati come pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio o come esercenti servizi di pubblica necessità.

– Rileva anche l’ art. 3, perché sottopone espressamente alla giurisdizione contabile di danno erariale anche i dipendenti degli enti a prevalente partecipazione pubblica laddove gli stessi siano destinatari di una sentenza di condanna irrevocabile per tali reati. Di talchè i soggetti medesimi assumono automaticamente la qualifica di pubblici ufficiali “ e con ciò implicitamente può ritenersi confermato l’ assunto in base al quale la trasformazione degli enti pubblici in S.P.A. rappresenta solo un modo più agile e snello di strutturare una P.A. tanto che essa non determina , per i dipendenti dell’ ente trasformato, la perdita della qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio ( in special modo se trattasi di trasformazione meramente formale e non sostanziale ). Alle stesse conclusioni è pervenuta la giurisprudenza comunitaria con l’ introduzione del concetto di organismo di diritto pubblico , evidenziando come la definizione di P.A. non discende dal regime giuridico cui l’ ente è sottoposto , ma dalla natura sostanziale dell’ attività svolta e che, in particolare, l’ attribuzione a soggetti privati , come le S.P.A. , della qualifica di organismi pubblici, non è legata a criteri formali bensì ad elementi funzionali , relativi alla preordinazione della attività imprenditoriale al soddisfacimento dei bisogni della collettività.

– Pertanto, tanto la pubblica funzione quanto il pubblico servizio possono essere oggi esercitati sia da pubblici dipendenti che da semplici privati.

– Va, ordunque, accolta la nozione oggettiva di attività amministrativa a prescindere che l’ atto sia riconducibile al diritto privato od al diritto pubblico.

In merito alle esimenti applicabili in materia di responsabilità amministrativa, si applicano quelle codicistiche tipiche, oltre ad alcune specifiche ( vedasi al successivo paragrafo ). Inoltre, sussiste l’ esenzione di responsabilità per l’ impiegato che abbia agito per un ordine che era obbligato ad eseguire, ferma restando la responsabilità del superiore che ha impartito l’ ordine ( potere di rimostranza di cui all’ art. 17 del T.U. n° 3/1957: se l’ ordine è rinnovato per iscritto, lo si deve eseguire salvo che l’ atto ordinato non sia vietato dalla legge penale ).

Se, invece, l’ impiegato agisce per delega del superiore, diviene responsabile dell’ affare o della questione delegatagli essendo la delega un atto organizzatorio che sposta, in via autoritativa ed unilaterale seppure temporaneamente, la competenza a provvedere per un certo quid.

Per danno erariale si intende una diminuzione del patrimonio che l’ erario abbia sofferto a causa della condotta illecita del pubblico agente. Danno che deve essere ingiusto incidente su un diritto o su interesse legittimo e da cui scaturisca l’ obbligazione risarcitoria.

Nel danno in questione occorre tener conto sia del danno emergente ( le perdite subite ) sia del lucro cessante ( mancato guadagno ).

Il danno è diretto quando la “ deminutio” patrimoniale sia conseguente alla perpetrazione di un illecito rivolto direttamente verso la P.A. , mentre è indiretto quando la lesione patrimoniale sia prodotta verso terzi che la P.A. ha dovuto risarcire .

La giurisprudenza della Corte dei Conti ha sempre ritenuto necessari i requisiti indefettibili di certezza, attualità ed effettività.

Il chè ha comportato che la decorrenza del termine prescrizionale del diritto al risarcimento vada individuata dal momento effettivo della spesa ossia dell’ esborso di pubblico denaro e non dalla deliberazione della stessa non essendo sufficiente la generica assunzione di un’ obbligazione ovvero – per il danno indiretto – dal momento del passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna o dalla stipula dell’ atto transattivi ( CdC Sez. Giur. Puglia n° 85/1995 – S.R. n° 12/1997 – Sez.App. III n° 57/1999- Sez. Giur. Toscana n° 322/1998 – Sez. Giur. Veneto n° 251/1999 ). Il mero impegno contabile di una spesa non integra danno erariale attuale imputabile a titolo di responsabilità ( CdC Sez. Giur. Umbria n° 523/2001 ).

Il danno contabile coincide con l’ effettiva erogazione della spesa e da tale momento inizia a decorrere il termine prescrizionale quinquennale ( CdC – II App. nn° 13/2001 e 161/2001 ).

Altro orientamento ritiene poi dies a quo del termine di prescrizione quello del verificarsi della liquidazione, atto realizzante la alterazione certa delle previsioni di spesa con squilibrio dei conti pubblici e necessità di individuare le fonti di finanziamento ( CdC Sez.Giur. Campania n°44/1999 ).

La responsabilità “formale “ va esclusa, ossia non sono sanzionabili i meri comportamenti amministrativi non causativi di danno.

L’ obbligazione risarcitoria è di valore e non di valuta conseguendone che all’ importo della condanna per sorte capitale vanno aggiunti gli accessori di legge ( interessi legali e/o rivalutazione monetaria ).

L’ evoluzione giurisprudenziale ha elaborato una nozione di danno pubblico in senso lato quale lesione di pubblici interessi propri della comunità organizzata e riferentesi all’ ambiente, all’ equilibrio di bilancio, alla stabilità finanziaria, all’ economia nazionale ( frodi fiscali ed illecita esportazione di valuta per mancato introito fiscale da parte statuale ), all’ equilibrio monetario.

Il danno all’ immagine si qualifica come ipotesi di danno proprio della giurisprudenza contabile, da intendersi come danno da “ clamor fori “, da

“ strepitus fori “ ossia come lesione all’ immagine ed al prestigio della P.A. dimostrabile mediante specifici elementi idonei a comprovare l’ effettivo avvenuto discredito della P.A. in conseguenza della condotta posta in essere dal responsabile.

E’, ordunque, un danno non patrimoniale, ma ben diverso dal danno morale da reato che sanziona i patemi d’ animo da ipotesi criminosa ( artt. 185 c.p. e 2059 c.c.). Il danno all’ immagine viene arrecato ad una P.A. per la quale è in configurabile la “ pecunia doloris “ trattandosi di persone giuridiche pubbliche e non di persone fisiche. Tuttavia, la P.A. ben può subire un danno alla propria immagine a seguito – ad esempio – della propagazione delle notizie sugli illeciti commessi da un suo dipendente sui mass-media . Perciò, seppure non patrimoniale, detto nocumento è suscettibile di valutazione patrimoniale secondo una valutazione di tipo equitativo ( tesi dominante ) in relazione a determinati parametri sussulti dalla giurisprudenza contabile ( criterio soggettivo e criterio oggettivo ) ovvero rapportandolo al quantum delle spese sostenute dalla P.A. per ripristinare il proprio prestigio ( tesi in via di superamento ) ( Ex plurimis: CdC Sez. Giur.Centrale I nn° 16,45,48,109,195,289/2002 ).

Di notevole importanza è poi il cosiddetto danno da tangente , derivante dai maggiori costi ( da dimostrare a livello probatorio ) accollati alla P.A. e, perciò, sulla collettività, a seguito della illecita dazione pecuniaria. La provenienza delle tangenti da privati implica come controprestazioni irregolarità o favoritismi che espongono la P.A. a costi superiori quantomeno di importo pari alla somma versata o promessa ( S.U. Cass. n° 98/2000 e CdC n° 102/2002 – Sez. I App. ).

La responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti degli enti regionali segue lo stesso regime previsto per i dipendenti statali ai sensi dell’ art. 31 della L. n° 335/1976 di estensione della giurisdizione contabile anche ai soggetti regionali , disposizione normativa di poi abrogata dall’ art. 35 del D.Lgs. n° 76/2000, attuativo dell’ art. 1, co. 4° della L. n° 208/1999. L’ art. 33 del D. Lgs. n°76/2000, peraltro, ha regolamentato siffatta responsabilità assimilandola a quella dei dipendenti statali ed assoggettandola alla giurisdizione della Corte dei conti con conseguente applicazioni della relativa disciplina di cui alla L. n° 20/1994 e successive modificazioni.

Per quanto riguarda, invece, la responsabilità amministrativa degli amministratori, dei dipendenti e degli agenti degli enti locali, occorre premettere che il regime normativo pregresso era basato sul T.U. comunale e provinciale del 1915 e del 1934 che contemplava sia le tipologie tipiche di responsabilità civili, penali , amministrative e contabili, ma anche quell’ ipotesi particolare e peculiare che era la responsabilità formale ( patrimoniale ed a carattere sanzionatorio ). Quest’ ultima era ravvisabile a fonte della semplice violazione degli obblighi di legge , posta in essere mediante atti di gestione, ma prescindeva dall’ esistenza di un danno economico arrecato all’ ente locale con presunzione di colpa e del danno .

Inoltre, l’ accertamento di responsabilità era devoluto al G.O. e non alla Corte dei Conti; il regime prescrizionale era quinquennale e non decennale come per gli statali ; si rispondeva solo per dolo o per colpa grave, mentre i dipendenti statali rispondevano anche per colpa lieve.

Con la L. n° 142/1990 ( art. 58 ) il sistema viene mutato unificando la giurisdizione di responsabilità in capo alla Corte e sancendo i principi della personalità della responsabilità, della intrasmissibilità agli eredi della stessa, della prescrizione quinquennale.

Successivamente, con il T.U.E.L. n° 267/2000 si perviene alla abrogazione della L. n° 142/1990 ed all’ art. 93 si ribadisce che per gli amministratori e per il personale degli enti locali si applicano le stesse disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato; che l’ azione di responsabilità si prescrive in anni cinque dalla commissione del fatto; che la responsabilità è personale e non estensibile agli eredi , fatta salva l’ ipotesi dell’ illecito arricchimento.

Analogamente , per il Parastato, l’ art. 8 della L. n° 70/1975, al comma 3°, prevede

l’ applicazione della stessa disciplina prevista per gli statali e l’ assoggettamento alla giurisdizione contabile.

Di particolare importanza è l’ ipotesi prevista dall’ art. 3 , co. 2°- ter, della L. n° 639/1996, ritenuta da alcuni come una sorta di causa di giustificazione intendendosi con tale termine indicare le cause oggettive di esclusione dell’ illecito in presenza delle quali l’ autore del danno va esente da colpa.

Detta disposizione prescrive che “ l’ azione di responsabilità per danno erariale non si esercita nei confronti degli amministratori locali per la mancata copertura minima del costo dei servizi “. In sostanza, si tratterebbe di un’ esimente da responsabilità nel caso di mancata copertura del costo dei servizi a domanda individuale da parte degli amministratori locali ( M. Oricchio – 2001 e M. Mirabella – 2004 ).

Tuttavia, altra dottrina ( Morgante 1999 ) vi ravvisa non un’ esimente, bensì una fattispecie di carenza di danno all’ erario , in quanto un mancato introito dell’ ente locale sarebbe compensato da un mancato trasferimento dai fondi perequativi statali.

In ogni caso, a favore della prima tesi, depone la circostanza per cui la giurisprudenza contabile è orientata nel ritenere sussistente responsabilità degli amministratori comunali che non si curino degli incombenti necessari a conseguire i finanziamenti statali,” non essendovi compensazione fra l’ entrata venuta meno e la mancata erogazione della stessa dai fondi dello Stato, atteso che l’ omissione violerebbe comunque la destinazione delle somme indirizzate , secondo la volontà parlamentare, in via preliminare, a far fronte ad esigenze della collettività locale, con un conseguente danno “.

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