Dott.ssa Roberta Caragnano
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La disciplina sul lavoro a tempo parziale o part-time è contenuta nel capo III all’art. 46 del D.Lgs. 276/03. In Italia il lavoro a tempo parziale è stato per molto tempo osteggiato dal legislatore e dalle associazioni sindacali in quanto la prestazione ad orario ridotto poneva il lavoratore part-time in una condizione socio-economica di debolezza rispetto al lavoratore subordinato. Per tale motivo la normativa sia interna che internazionale, in materia, ha posto il principio di non discriminazione del lavoratore a tempo parziale rispetto al lavoratore tempo pieno comparabile, ossia quello svolgente le stesse o analoghe mansioni. In base a tale principio, il lavoratore tempo parziale non deve essere assoggettato ad un trattamento economico-normativo inferiore in virtù della prestazione ad orario ridotto, pertanto ad esempio, l’importo della retribuzione “oraria” dovrà essere lo stesso di un lavoratore a tempo pieno.
In precedenza, il lavoro part-time era disciplinato dal D.Lgs. 61/00 successivamente integrato e modificato sino al D.Lgs. 276/03 e al successivo D.Lgs. 66/03 che ha introdotto nuove norme in materia di orario di lavoro e che trova applicazione, ai sensi dell’art. 2 di suddetto decreto, in “tutti i settori di attività pubblici e privati”.
Nei Paesi occidentali il ricorso al lavoro a tempo parziale è fortemente cresciuto negli ultimi anni, per diversi motivi. Gli Stati hanno incoraggiato il ricorso a tale tipologia contrattuale, sul presupposto che la riduzione dell’orario di lavoro fosse strumento idoneo a creare nuovi posti di lavoro. Nel dettaglio si ritiene che il part-time possa favorire l’ingresso o il reingresso nel mercato del lavoro di fasce deboli della popolazione. Inoltre, il lavoro a tempo parziale consente al lavoratore di utilizzare il “tempo di non lavoro” per occuparsi della famiglia, per svolgere una seconda attività lavorativa, per curare la propria formazione.
La legge individua tre tipologie di lavoro a tempo parziale:
1. part-time orizzontale per cui la riduzione dell’orario è effettuata in base ad ogni singola giornata lavorativa;
2. part-time verticale, nel quale la prestazione lavorativa è svolta a tempo pieno ma limitatamente a predeterminati periodi nel corso della settimana, del mese, dell’anno;
3. part-time misto, risultante dalla combinazione del part-time orizzontale con quello verticale.
Inoltre, il contratto a tempo parziale si può combinare con il contratto a termine, pertanto è consentito stipulare un contratto di lavoro a tempo parziale e determinato.
Per entrate più nel dettaglio, l’art. 46 del D.Lgs. 276/03 affida ai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul territorio nazionale, il compito di stabilire il numero massimo delle ore di lavoro straordinario effettuabili e le relative causali, nonché le conseguenze del superamento delle ore di lavoro straordinario consentite dagli stessi contratti collettivi.
In riferimento al lavoro supplementare (per essere effettuato), nel caso di contratto part-time è richiesto il consenso del lavoratore interessato ove non sia prevista e regolamentata dal contratto collettivo. Il rifiuto da parte del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.
In passato la contrattazione collettiva aveva il compito di stabilire il numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili in ragione dell’anno nella singola giornata lavorativa, nonché le causali obiettive che consentivano il ricorso al lavoro supplementare.
FORMA E CONTENUTO DEL CONTRATTO
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta, richiesta ad probationem e non ad substantiam pertanto, la mancanza della forma scritta non comporta la nullità del contratto. Nel caso in cui il contraente abbia perduto, senza colpa, il documento che gli forniva la prova scritta è possibile stipulare il contratto a tempo parziale mediante la prova testimoniale, nei limiti di cui all’art. 2725 c.c. In caso di assenza di prova, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza, tra le stesse parti, di un rapporto di lavoro a tempo “pieno” a partire dalla data in cui la mancanza della scrittura sia giudizialmente accertata.
Inoltre, nel contratto devono essere indicate la durata della prestazione e la sua collocazione temporale nel giorno, nella settimana, nel mese o nell’anno, ossia il quantum di ore di lavoro, la sua distribuzione e il datore di lavoro non può modificare unilateralmente la collocazione della prestazione lavorativa rispetto a quella contrattualmente stabilita. Se, anche in tal caso non è indicata la durata della prestazione, su richiesta del lavoratore può essere dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale.
Nel caso in cui sia in difetto la collocazione temporale, sarà il giudice a determinarla sulla base di due elementi:
1. facendo riferimento alla eventuale disciplina del part-time contenuta nei contratti collettivi;
2. in mancanza di detta disciplina, con valutazione equitativa, tenuto conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato, della sua necessità di integrazione del reddito derivante del rapporto al tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro.
Per il periodo antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha , in entrambi i casi, diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa.
Le parti del contratto individuale hanno la facoltà di stipulare un patto, in forma scritta, avente ad oggetto una clausola flessibile (art. 46, comma 1, let. J) e l) del D.Lgs. 276/03).
Il patto può essere stipulato anche quando il rapporto di lavoro a tempo parziale è stipulato a termine e la stipula può avvenire contestualmente o successivamente all’assunzione. Nella stipulazioni di detto patto il lavoratore può chiedere di farsi assistere da un componente della rappresentanza sindacale indicato dal lavoratore medesimo.
La regolamentazione del lavoro flessibile è demandata all’autonomia collettiva che individua le condizioni e le modalità di esercizio del potere unilaterale del datore di lavoro di variare la collocazione temporale della prestazione. La disciplina prevede, in favore del lavoratore, un preavviso di due giorni lavorativi anche se, le parti del contratto individuale possono stabilire una diversa misura del preavviso ma non eliminarlo completamente. In caso di lavoro flessibile il lavoratore ha diritto a specifiche compensazioni e la misura e la forma delle stesse è rinviata all’autonomia collettiva; per rendere edotto il lavoratore sui propri diritti, occorre che il datore di lavoro indichi il contratto collettivo cui si fa riferimento.
In assenza di una regolamentazione per via collettiva le parti possono accodarsi per lo svolgimento di lavoro flessibile ma devono regolamentarne le condizioni e le modalità oltre ad indicare forma e misura della compensazione.
Il rifiuto del prestatore di lavoro di stipulare la clausola flessibile non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Inoltre l’art. 46 del D.Lgs. 276/03 ha abolito il diritto di ripensamento per cui, in passato, era possibile, per il prestatore di lavoro, recedere dal patto di flessibilità.
LE CLAUSOLE ELASTICHE
L’art. 46 del D.Lgs. 276/03 limitatamente al part-time verticale e misto prevede la facoltà, per le parti del contratto, di stipulare una clausola elastica relativa alla variazione in aumento della prestazione lavorativa. Tale clausola si differenzia da quella flessibile perché non concerne la collocazione del monte ore concordato ma attiene alla possibilità, vietata in passato, di ampliare il numero di ore concordate.
La clausola elastica determina un incremento definitivo della quantità della prestazione, a differenza dello straordinario o del supplementare ove si verifichi un aumento temporaneo della prestazione, riferito ad ogni singola giornata nella quale viene richiesta una prestazione aggiuntiva. Tale incremento può ovviamente essere delimitato nel tempo ma potrebbe essere anche solo eventuale.
La clausola elastica è regolamentata dalla medesima disciplina prevista per la clausola flessibile; all’autonomia collettiva è demandata la possibilità, oltre che la regolamentazione delle condizioni e modalità di esercizio del potere datoriale, di variare in aumento la prestazione lavorativa e di individuare dei limiti entro cui è legittimo il ricorso al lavoro elastico.
In mancanza di regolamentazione tali limiti devono essere previsti dalle parti del contratto individuale che stipulano il patto avente ad oggetto la clausola elastica.
L’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, prevede, come nel caso di clausole flessibili, un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno 2 giorni lavorativi, non ché il diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3 del D.lgs. 276/03.
LA POSSIBILITA’ DI TRASFORMARE IL RAPPORTO DI LAVORO.
La nuova disciplina prevede per il lavoratore due possibilità:
§ trasformare il rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno;
§ trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
La rinuncia dal parte del lavoratore di optare per una delle suddette possibilità non costituisce giustificato motivi di licenziamento.
Su accordo delle parti risultante da atto scritto, convalidato dalla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio, è ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. La mancata comunicazione alla DPL comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa a carico del datore di lavoro per ciascun lavoratore interessato e per ciascun giorno di ritardo. I corrispondenti importi sono versati a favore della gestione contro la disoccupazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Ipns).
Il contratto individuale può prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione.
Viceversa, in caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro é tenuto a dare tempestiva informazione al personale già dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unità produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell’impresa, ed a prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno.
In caso di violazione, da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura corrispondente alla differenza fra l’importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei successivi sei mesi a detto passaggio.
L’art. 5 del D.Lgs. 276/0 stabilisce che gli incentivi economici all’utilizzo del lavoro tempo parziale, anche a tempo determinato, saranno definiti compatibilmente con la disciplina comunitaria i materia di aiuti di Stato, nell’ambito della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione.
Nel caso di lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita , accertata da una commissione medica istituita presso l’ASL territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno n lavoro a tempo parziale verticale o orizzontale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore. Restano salve, in ogni caso, le disposizioni più favorevoli per il prestatore di lavoro.
LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE
La retribuzione minima oraria, da assumere quale base per il calcolo dei contributi previdenziali dovuti per i lavoratori a tempo parziale, si determina rapportando alle giornate di lavoro settimanale ad orario normale il mimale giornaliero i cui all’art. 7 D.L. 463/83, convertito con modificazioni dalla L. 638/83 e dividendo l’importo così ottenuto per il numero delle ore di orario normale settimanale previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria per i lavoratori a tempo pieno.
Gli assegni per il nucleo familiare spettano ai lavoratori a tempo parziale per l’intera misura settimanale in presenza di una prestazione lavorativa settimanale d durata non inferiore al minimo di 24 ore. A al fine sono cumulate le ore prestate in diversi rapporti di lavoro. In caso contrario spettano tanti assegni giornalieri quante sono le giornate di lavoro effettivamente prestate, qualunque sia il numero delle ore lavorate nella giornata. Qualora non si possa individuare l’attività principale per gli effetti dell’art. 20 del TU delle norme sugli assegni familiari, approvato con DPR n. 797/55 e successive modificazioni, gli assegni per il nucleo familiare sono corrisposti direttamente dall’Inps. Il 2° comma dell’art. 26 del citato Tu è stato sostituito, con il D. Lgs, 276/03 dal seguente “il contributo non è dovuto per i lavoratori cui non spettano gli assegni a norma dell’art. 2”.
La retribuzione da valere ai fini dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e el malattie professionali di lavoratori a tempo parziale è uguale alla retribuzione gabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto d lavoro a tempo pieno. La retribuzione gabellare è determinata su base oraria in relazione alla durata normale annua della prestazione di lavoro espressa in ore. La retribuzione minima oraria da assumere quale base di calcolo dei premi per l’assicurazione è stabilita in base alla modalità previste su dette.
Nel caso di trasformazione dl rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione si computa per intero, l’anzianità relativa ai periodo di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamente svolto l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale.
Dott.ssa Roberta Caragnano
Praticante Avvocato. Esperta in formazione e gestione Risorse Umane
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