La nuova legge anticorruzione: alcune riflessioni a riguardo

PRIME RIFLESSIONI SULLA LEGGE 9 GENNAIO 2019, N. 3 IN G.U. DEL 16 GENNAIO 2019, N. 13: “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”.

 

Introduzione

Sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 16 Gennaio 2019, al numero 3, è stata pubblicata la Legge 9 gennaio 2019 n. 3, contenente: “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”.

La Legge n° 13/2019 costituisce – come è noto – il punto di arrivo di un complesso percorso (articolato e costellato da innumerevoli ed unanimi posizioni critiche di giuristi – avvocati e magistrati – nonchè  accademici e professori universitari sulle principali tematiche dell’intervento legislativo, in specie in materia di prescrizione, quali mai si erano registrate in precedenza da decenni) legislativo che, partendo dal c.d. “decreto spazza-corrotti” (proposto dall’On. Ministro della Giustizia, avv. Bonafede) e con l’inserimento dell’emendamento sulla prescrizione, si è concluso con la approvazione in via definitiva del testo.

Ciò è avvenuto (occorre, qui, brevemente ricordarlo, soltanto per poter comprendere alcune argomentazioni critiche che verranno meglio esposte e sviluppate nel prosieguo della narrazione) dopo tale “levata di scudi” da parte della migliore cultura e tradizione giuridica italiana che, comunque – a parte compattare il fronte giuridico universale contro questa manovra – non ha sortito risultati apprezzabili.

Così come anche il decorso di un tempo insolitamente lungo (che si è riservato il Presidente della Repubblica) prima di promulgare la legge de qua non ha cambiato nulla.

La legge anticorruzione n° 3/19 ha così visto la luce ed occorrerà, dunque, necessariamente fare i conti con le “innovazioni” apportate dalla stessa, considerato che la legge entrerà in vigore, decorso il periodo ordinario di vacatio legis, il 31.01.2019.

Infatti, a parte le modifiche in materia di prescrizione (le disposizioni di cui al comma 1, lettere d), e) ed f) entreranno in vigore a partire dal 01.01.2020) – la cui natura sostanziale impedisce di applicarle ai procedimenti penali in corso anche perché si tratta di modifiche chiaramente in peius (come si vedrà meglio nel paragrafo seguente) – le altre norme introdotte dalla legge, e, quindi, la c.d. “riforma dei reati contro la pubblica amministrazione”, è destinata a trovare immediata applicazione dal 31.01.2019.

E’ necessario, dunque, analizzare le disposizioni introdotte dalla Legge n° 3/2019, in modo da individuare ambito applicativo e profili problematici, interpretativi e sistematici, che si porterà dietro la novella legislativa, in modo da anticipare (o cercare quanto più possibile di ragionare sulle) le possibili soluzioni delle questioni giuridiche che le nuove norme porranno.

Nonostante la riforma riguardi – almeno a giudicare dalla “copertina” (rectius, rubrica) e dal fatto che le modifiche in materia di prescrizione sono un’aggiunta sopravvenuta a quella che sarebbe (o meglio, aspira ad essere) una legislazione riformatrice del settore dei reati contro la pubblica amministrazione che si pone l’ambizioso obiettivo di incidere significativamente sul dilagante fenomeno corruttivo e di mercimonio delle pubbliche funzioni e di sradicarlo dalla vita pubblica italiana (“spazzacorrotti” non a caso, nella propaganda populista del governo penta-leghista) – i reati contro la p.a., occorre riservare la trattazione alle modifiche in materia di prescrizione dei reati.

E ciò perchè non solo questa tematica (per la sua indubbia importanza ed i conflitti che ha immediatamente generato, come sopra ricordato) si è immediatamente “presa la scena” – rispetto alla magna pars dell’intervento riformatore, riguardante, appunto, i reati contro la p.a. – ma anche perché le modifiche in materia di prescrizione sono quelle che presentano gli aspetti maggiormente problematici ed idonei ad incidere, in peius, già a brevissimo (se si considera che tali norme sostanziali potranno essere applicate già a partire dal 01.01.2020, data nella quale, secondo il Governo, dovrebbe già essere stato realizzato l’ambizioso – ma rimasto indeterminato, nei contenuti, fino ad ora – progetto di riforma del processo penale che l’Esecutivo avrebbe in mente e che andrebbe a risolvere magicamente tutte le iniquità ed inefficienze del sistema della giustizia penale, meritandosi così non solo il plauso di tutti i cittadini votanti ed anche la riconferma elettorale, ma anche l’eterna gratitudine di tutti i soggetti che quotidianamente incappano, a vario titolo, nelle maglie dei processi penali, presunte persone offese o indagati/imputati che siano).

Con il novum in materia di prescrizione è indispensabile, dunque, non solo fare immediatamente i conti ma è necessario anche, parimenti, immaginarne le ricadute applicative andando così a “ricalibrare” le effettive possibilità di tutela degli indagati/imputati dai profili di dubbia (se non aperta) illegittimità costituzionale delle nuove disposizioni, cercando, al contempo, di capire come si profila ed è destinato a diventare in futuro il processo penale accusatorio nel caso di applicazione pedissequa (e non scalfita dall’intervento della Corte Costituzionale) del meccanismo di sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado previsto dall’art. 159, comma 2, c.p.

Sul punto:“Spazza corrotti”: prime riflessioni sui nuovi delitti contro la Pubblica amministrazione”

Le modifiche in materia di prescrizione: l’art. 159, comma 2, c.p. Verso un processo d’appello e di Cassazione eterno

La Legge n° 3/2019 ha modificato, notevolmente, l’istituto sostanziale della prescrizione (art. 157 c.p.), previsto – come è noto – dal nostro ordinamento quale causa di estinzione del reato, qualora lo Stato non eserciti (o non riesca ad esercitare) la propria pretesa punitiva nei confronti del reo concludendo il procedimento penale in un tempo ragionevole, previsto ed imposto (in via preventiva) dalla legge, al fine di assicurare la ragionevole durata del processo stesso (art. 111 Cost.).

La prima modifica apportata dalla legge 3/2019 alla prescrizione riguarda l’art. 158 c.p., che ha visto sostituito il testo del primo comma dalla seguente disposizione: “Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione”.

Nulla quaestio (e nulla di strano) nel prevedere che per il reato consumato la prescrizione decorra dal momento della consumazione o per il reato tentato decorra dalla cessazione dell’attività colpevole (si sarebbe potuto dire dall’ultimo atto idoneo ex art. 56 c.p.), in quanto è stato semplicemente trasposto e riportato il vecchio testo della norma per legarlo alle successive modifiche apportate.

Suscita maggiori perplessità, innanzitutto, l’equiparazione operata (più in basso) ai fini del regime della decorrenza della prescrizione tra gli istituti della continuazione e della permanenza.

Il vecchio testo dell’art. 158 c.p. si riferiva, soltanto, alla determinazione del tempo necessario a prescrivere per il reato permanente (cioè quel reato che continua a produrre i suoi effetti nel tempo per effetto di una condotta cosciente e volontaria dell’agente), non menzionando affatto il reato continuato.

Questo in quanto il legislatore penale dell’epoca era ben consapevole della diversità tra i due istituti – permanenza e continuazione – ai fini della individuazione del tempo necessario a prescrivere.

Il Legislatore “riformatore” invece ha assimilato, ad prescriptionem, permanenza e continuazione.

Il fine – evidente, ma non condivisibile – è di “spostare in avanti” le lancette della prescrizione, in modo tale che essa cominci a decorrere per il reato continuato non dal primo atto (legato agli altri da un medesimo disegno criminoso) ma dall’ultimo di essi, come avviene per il reato permanente.

La modifica più importante – in materia di prescrizione – è (come si diceva) però costituita dall’art. 159, comma 2, c.p., secondo cui: “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto penale di condanna”.

La disposizione in esame costituisce sicuramente una norma rivoluzionaria ed epocale, che, se applicata nella sua portata e significato letterale, rischia di far deflagrare il procedimento penale attuale come una “bomba” ed, anziché velocizzarlo, di renderlo eterno non a vantaggio ma sicuramente in danno di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento penale (indagato, imputato, persona offesa, ed altre parti eventuali), in evidente spregio di una serie di valori e principi costituzionali fondamentali, tra cui gli artt. 24, 25, 27 e 111 Cost.

Vediamo perché.

La prima cosa che colpisce della norma è la scarsa dimestichezza nella formulazione del legislatore, che cade subito in un errore.

Infatti, si parla di irrevocabilità – riferendola al decreto penale – e di esecutività – accostandola alla sentenza, quando invece è esattamente il contrario.

E’ la sentenza che diviene irrevocabile al momento del passaggio in giudicato della pronuncia impugnata.

Il decreto, invece, con la mancata proposizione dell’opposizione nel termine di legge, diviene esecutivo (e non può diventare altro che questo).

Chiarito questo equivoco terminologico (forse dovuto all’accavallamento nelle frasi e alla fretta di fissare il concetto fondamentale della norma da parte del Legislatore, e cioè che dopo la sentenza di primo grado la prescrizione doveva restare sospesa, sostanzialmente, per sempre), si può passare adesso ad esaminare il testo della disposizione del novellato art. 159 comma 2 c.p.

Il primo problema (non trascurabile) è che la norma non fa distinzione, ai fini della prescrizione, tra le due tipologie possibili di sentenza di primo grado.

E cioè tra assoluzione  e  condanna.

In altre parole, la prescrizione viene sospesa ugualmente sia che l’imputato sia dichiarato colpevole sia che venga assolto.

E’ evidente l’irragionevolezza della norma in quanto, da un lato, equipara le due tipologie di sentenze (che hanno presupposti e criteri diversi per la loro emissione) e, dall’altro, soprattutto, discrimina l’imputato che sia stato assolto all’esito del giudizio di primo grado, in quanto – nell’ipotesi in cui il P.M. interponga appello avverso la sentenza assolutoria, censurando, ad esempio, la valutazione attribuita dal giudice alle prove dichiarative assunte nel corso del dibattimento – la prescrizione rimarrà sospesa ugualmente anche per lui (come se fosse stato invece condannato) per tutta la durata del giudizio di appello ed anche di quello eventuale di cassazione, in eterno e per un periodo di tempo indeterminabile.

Così sul capo dell’imputato assolto (a cui forse, paradossalmente, un domani, potrebbe, ad esempio, spettare un risarcimento danni per ingiusta detenzione oppure che potrebbe, a seguito della sentenza di assoluzione, assumere la qualità di persona offesa per essere stato ingiustamente accusato di un reato inesistente perseguibile a querela o d’ufficio) potrebbe pendere una spada di Damocle, consistente nella sottoposizione a processo penale per una durata ed un periodo indefinito, solo perché una parte (quella pubblica) ha interposto gravame avverso la sentenza a lei sfavorevole.

La sottoposizione a procedimento penale in eterno – si può concludere – costituisce, secondo il legislatore, la punizione riservata all’assunzione della qualità di imputato, che viene dunque presunto colpevole tanto che sia dichiarato tale (anche se non in via definitiva) quanto che venga invece assolto (sicuramente per fortuna o un abile cavillo del proprio difensore, secondo quella che evidentemente sembra essere la “visione” del Governo).

L’imputato va, quindi, sottoposto a processo penale a prescrizione sospesa per sempre, in quanto viene implicitamente presunto colpevole.

Questo assunto contrasta, in modo chiaro ed evidente (plastico, si potrebbe dire) con il principio (opposto) di presunzione innocenza di cui all’art. 27 comma 2 Cost.

L’art. 159 comma 2 c.p. deve ritenersi, pertanto, costituzionalmente illegittimo in quanto comporta la sospensione del corso della prescrizione del reato dalla pronunzia della sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio nei confronti dell’imputato (tanto quello condannato, sia pure in via non definitiva, quanto quello assolto) in violazione del principio della presunzione di innocenza, che, invece, deve costituire la regola di giudizio del procedimento penale.

I contrasti tra la norma e i principi costituzionali non finiscono, però, qui.

L’art. 159 comma 2 c.p. contrasta anche con altri principi fondamentali previsti dalla nostra Carta Fondamentale.

In primo luogo, con l’art. 24, comma 2, Cost., in relazione all’art. 111 Cost.

Infatti, è fuori dubbio che la sospensione del corso della prescrizione comprometterà l’inviolabilità ed effettività del diritto di difesa dell’imputato, comprimendolo (e di fatto privandolo) del suo diritto di difendersi provando, che, come noto, non ha soltanto un contenuto negativo – cioè di impedire, attraverso la formazione e creazione del ragionevole dubbio, l’assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla pubblica accusa, tenuta a provare la colpevolezza dell’imputato dal reato a lui ascritto, in ossequio al noto brocardo secondo cui onus probandi incumbit ei qui dicit – ma anche uno positivo e più ampio, consistente nel ricercare ed acquisire elementi di prova a discarico.

La sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado comporterà un infinito – ed imprevedibile, nella sua durata – allungamento della durata del procedimento penale (sicuramente non rispettoso del principio di ragionevole durata di cui all’art. 111 Cost., già molte volte leso in passato e che adesso lo sarà in via definitiva ad ulteriore detrimento di tutti i cittadini), nel quale sarà impossibile – a distanza di decenni o lustri – raccogliere prove o far convocare testi a discarico, nelle stesse condizioni dell’accusa peraltro, o esercitare attività istruttoria anche mediante rinnovazione in appello controinterrogando i testimoni a distanza di un così considerevole lasso di tempo.

Il principio dialettico ed il contraddittorio nella formazione della prova – che costituisce il metodo ritenuto più affidabile e garantista per raggiungere la verità – non avrà più alcun senso, riducendosi ad un simulacro, in cui la dilatazione del tempo causata dalla sospensione del corso della prescrizione, in appello ed in cassazione, non impedirà la pronunzia della sentenza, ma farà qualcosa di peggio: impedirà semplicemente il raggiungimento di una decisione giusta e aderente ai fatti, che sia rispettosa dei diritti e delle garanzie dell’imputato e nel quale il suo difensore possa esercitare effettivamente ed efficacemente il proprio ruolo di garante dei diritti e delle libertà individuali, sancendo, di fatto, il ritorno all’inquisitorio e alla prevalenza dell’atto scritto e del documento sulla assunzione orale della testimonianza e la formazione della prova in contraddittorio (che saranno state definitivamente screditate o avranno perso ogni minimo, residuo, valore).

In pratica, con questo meccanismo – sospensione eterna, dopo la sentenza di primo grado – cesserà la possibilità, in pratica, di poter comprendere efficacemente, ricostruire ed esaminare i fatti di reato contestati in un’ottica difensiva impedendo, così, in pratica, una effettiva e reale contrapposizione tra accusa e difesa nel procedimento penale e un esercizio delle prerogative e funzioni difensive che sia efficace ed incisivo e che invece il dettato dell’art. 24 comma 2 Cost assume come inviolabile ed avrebbe voluto per questo espressamente garantire e proteggere in ogni fase e grado del processo penale.

Un simile processo non può essere sicuramente giusto e neppure di ragionevole durata (art. 111 Cost.), in quanto la sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (quale che sia, di condanna o assoluzione) fino alla pronuncia che definisce il giudizio imporrà la sottoposizione dell’imputato ad un procedimento penale che – sganciato e liberato oramai da termini processuali certi, che il diritto all’oblio, nella impostazione previgente, voleva assicurare all’imputato, protagonista e primo attore del processo penale, a tutela della certezza dei rapporti giuridici, in modo da evitare che l’accusato dovesse considerarsi sempre sottoposto alla spada di Damocle della pretesa punitiva statuale – potrà essere ancora infinitamente più lungo ed interminabile nella sua durata al punto non solo da non essere ragionevole, ma da poter essere considerato la vera – ed unica – punizione riservata all’imputato mettendo in secondo piano l’irrogazione della pena.

In secondo luogo, la norma contrasta, anche, con l’art. 25, comma 2, Cost., ed in generale con il principio di legalità in materia penale.

Infatti, la prescrizione è un istituto di diritto sostanziale, il che la rende soggetta al principio di legalità.

La legge deve stabilire, dunque, non soltanto il reato e la pena applicabile, ma anche necessariamente il termine massimo di prescrizione dello stesso (che costituisce, plasticamente, il rovescio della stessa medaglia), oltre il quale deve cessare la pretesa punitiva dello Stato in caso di mancato esercizio da parte dello stesso; cioè il c.d. “diritto all’oblio”, quale necessaria garanzia per l’individuo da abusi dello Stato nell’esercizio della sua potestà punitiva di repressione dei reati ed al contempo della correttezza e certezza dei rapporti giuridici.

La sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (e la sua protrazione fino alla sentenza che definisce il giudizio) contrasta, dunque, con il principio di legalità in materia penale, sotto un duplice profilo: il primo è che cancella il c.d. diritto all’oblio, imponendo la prosecuzione e la continuazione del processo penale a carico dell’imputato anche dopo il decorso di un lasso di tempo notevolmente superiore al limite massimo di prescrizione previsto dalla legge per il reato contestato all’accusato, in violazione del principio di legalità; il secondo (che rimane sullo sfondo, ma che rappresenta la violazione del principio di legalità più insidiosa) è che la sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado opera per tutta la durata del processo penale fino alla sentenza che definisce il giudizio senza che siano previsti termini massimi di sospensione processuale del corso della prescrizione o specifiche esigenze processuali o fattuali che possano interrompere la prescrizione sospesa – facendone riprendere il naturale corso – e comunque in violazione del disposto dell’art. 161 c.p. (norma che la riforma non tocca in alcun modo e sulla quale non ha inciso).

Infatti, la previsione di una sospensione del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado destinata a protrarsi ab eterno, per tutto il grado di appello e quello di legittimità, non può che contrastare con il principio di legalità nella misura in cui non prevede e non consente di tenere conto dei termini massimi di sospensione del corso della prescrizione (dopo i quali debba cessare ed andare estinta la pretesa punitiva statuale) – pure previsti dall’art. 161 c.p., norma non abrogata – o comunque di specifiche esigenze processuali o fattuali che possano interrompere la sospensione ex lege.

E la violazione del principio di legalità consiste – e sta – proprio nel fatto che la sospensione sine die della prescrizione del reato opera senza che siano previsti dei termini massimi di questa sospensione o comunque senza che si possa tener conto dei termini massimi dell’interruzione e sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 161 c.p., in violazione così del principio di legalità in materia penale, che deve essere rispettato anche in relazione alla determinazione del tempo necessario a prescrivere del reato e che è garantito ed assistito nella sua interezza (non solo nella determinazione della condotta e della pena prevista) anch’esso dalla riserva di legge, da un lato, in modo da rendere la previsione incriminatrice nota e prevedibile nel suo complessivo contenuto (comprensivo anche del termine del diritto all’oblio) all’imputato prima della commissione del fatto di reato, e, dall’altro, dal principio di tassatività e determinatezza, violato anch’essa dalla previsione di una sospensione indeterminata ed indefinita del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado, non assistita (nel caso di specie) da una base legale esistente e sufficientemente determinata.

Infine, la norma in commento contrasta, anche, con l’art. 27 Cost.

Il contrasto con l’art. 27, comma 2, Cost., è già stato affrontato sopra e non richiede (ad avviso dello scrivente) ulteriori spiegazioni: disporre la sospensione del corso della prescrizione del reato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado fino alla sentenza che definisce il giudizio equivale a considerare colpevole l’imputato prima che sia emessa sentenza irrevocabile di condanna nei suoi confronti, in violazione del principio (opposto) di presunzione di innocenza sancito dalla nostra Carta Fondamentale e che costituisce la regola di giudizio che contraddistingue il procedimento penale, dalla sua apertura alla conclusione, e che deve sempre infirmare il comportamento e la valutazione del Giudice, diventando poi e specchiandosi al momento della sentenza nella sua accezione e dimensione valutativa della fondatezza dell’accusa, e cioè il ragionevole dubbio.

Il nuovo art. 159 comma 2 c.p. contrasta, però – oltre che con il principio presunzione di innocenza  – anche con il comma 3 dell’art. 27 Cost., cioè con la finalità rieducativa della pena.

Se, infatti, è vero che la pena non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e comunque deve tendere alla rieducazione del condannato, in funzione del suo reinserimento in quella società i cui precetti ha violato come viene accertato con la condanna penale irrevocabile (ma dalla quale non merita certo di essere escluso per sempre, altrimenti la pena sarebbe vendetta sociale e non giustizia, cioè il ripristino della legalità violata), la sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado fino alla pronuncia che definisce il giudizio comporterebbe che la pena irrogata – al termine di un processo penale lunghissimo e della durata indefinita e quasi eterna – non solo costituirebbe un ostacolo per il reinserimento del condannato nella società dopo la condanna (in quanto, per la lunghissima durata del processo, alcuna reintegrazione dell’accusato sarebbe possibile e questo si troverebbe a dover subire il peso di affrontare un processo penale con tutto ciò che comporta della durata di decenni, mettendo la sua vita in “stand by”) ma comporterebbe soprattutto che la pena verrebbe irrogata a distanza di moltissimo tempo – svariati decenni o alcuni lustri – dalla commissione del fatto di reato e quindi non solo sarebbe percepita come ingiusta da chi si troverebbe a subirla ma non potrebbe in alcun modo tendere alla rieducazione del condannato ed al suo utile reinserimento nella società, essendo sostanzialmente la vita dell’imputato già spirata (come la prescrizione).

Non può dubitarsi, dunque, che il meccanismo di sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (previsto dalla norma in commento) contrasti, anche, con la finalità rieducativa e di emenda della pena prevista dalla nostra Carta Fondamentale, all’art. 27 comma 3 della Costituzione.

I profili di incostituzionalità del nuovo art. 159, comma 2, c.p. (per come concepita e strutturata dal legislatore) sono, dunque, molteplici e renderebbero necessaria la sua eliminazione o completa riscrittura, in modo tale che siano evitate le lesioni dei principi fondamentali sopra indicati e che sia, al contempo, scongiurato il rischio, assai concreto e tangibile, di una demolizione del nostro procedimento penale di stampo accusatorio – già seriamente e pesantemente danneggiato ed incrinato dalle numerose incursioni normative condotte dal Legislatore nell’ultimo decennio – insieme ai resti delle guarentigie e garanzie difensive rimaste ma che ancora resistono e consentono, con la loro sopravvivenza, la tutela dei diritti della persona accusata di un reato e del suo fondamentale diritto di difesa.

A questo punto, appare possibile formulare delle considerazioni conclusive.

Conclusioni

Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace, amen!”.

Questa era la formula conclusiva di un funerale e serviva (e serve) – da tempo immemorabile – nella tradizione cattolica ad assicurare il riposo ad un defunto, passato a miglior vita.

Il diritto all’oblio esiste da sempre e, da sempre, è stato dato per scontato.

La sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (che viene introdotta con la presente legge, della quale si differisce soltanto l’entrata in vigore al 01.01.2020) fino alla pronuncia che definisce il giudizio – se dovesse essere applicata e non incorrere nella declaratoria di illegittimità della Corte Costituzionale per uno qualsiasi dei profili sopra denunciati – cancella, di fatto, la prescrizione.

Elimina il c.d. “diritto all’oblio”, cioè il diritto dell’imputato (e di ogni persona che sia accusata di un reato, che si presume innocente) ad essere sottoposto a procedimento in un periodo di tempo massimo predeterminato, previsto ed imposto dalla legge, entro il quale deve necessariamente compiersi l’accertamento della responsabilità penale da parte dello Stato.

L’imputato verrà così sottoposto a processo penale per un lunghissimo lasso di tempo, indeterminabile a priori, tanto che sia stato condannato che assolto, senza che sia possibile preventivare esattamente – con la sospensione della prescrizione nel grado di appello e nel giudizio di legittimità – quanto durerà (e dovrebbe durare) la “gogna mediatica penale”.

Il vero crimine sarà, dunque, essere imputati, e cioè accusati di un reato, potendosi presumere, soltanto per questo, la colpevolezza dell’accusato (e cioè il contrario di un fondamentale principio, proprio di ogni società civile ed evoluta, quello di presunzione di innocenza).

E la pena sarà non tanto la sanzione irrogata dal giudice, la cui esecuzione verrà differita al momento della irrevocabilità della sentenza e che non sarà quindi mai percepita da nessuno come dotata di efficacia preventiva dalla commissione di ulteriori reati né tantomeno utile alla rieducazione del colpevole e al suo reinserimento nella società (essendo destinata ad essere applicata al termine di un processo penale che potrà avere una durata indeterminata ed infinita con la sospensione della prescrizione nel grado di appello ed anche nel giudizio di cassazione), ma la protrazione e continuazione del procedimento penale a carico dell’accusato.

In definitiva, la pena per l’imputato è il processo penale.

A questo si arriva con l’introduzione di questa “piccola”, ed, apparentemente insignificante, novella.

Si migliora il funzionamento ed accorcia la durata del processo penale, a garanzia della certezza del diritto e dei diritti della persona offesa?

No, di certo.

Si fa soltanto in modo che l’imputato possa continuare ad essere tenuto “ostaggio” del meccanismo di accertamento della penale responsabilità (il processo penale) per un tempo indefinito e lunghissimo, senza termini procedurali o preclusioni che possano porre termine alla vicenda umana che vi ha dato origine, insieme, naturalmente, alla eventuale persona offesa dal reato, che si ritrova (ironia della sorte) rinchiusa dentro questa “trappola” insieme all’imputato e che diventa vittima, questa volta di sicuro e senza margine di incertezza, una seconda volta.

Se è questo il processo penale del futuro – che ha in mente il “Governo del cambiamento” – non ci sembra un risultato a cui si possa (e debba) tendere o aspirare, tantomeno nel nostro ordinamento penale in cui i processi penali sono già lunghissimi e di durata irragionevole (ci vorrebbe quindi un notevole sforzo di immaginazione ed una sovrumana capacità di ignorare la realtà per ritenere auspicabili processi di appello penali e di cassazione dalla durata indeterminata e, potenzialmente, eterni, come potrebbe succedere nell’ipotesi in cui venissero applicate e non dichiarate costituzionalmente illegittime alcune norme della legge in commento come l’art. 159 comma 2 c.p.).

Una società civile, infatti, deve sempre essere rispettosa e tutelare i diritti e le garanzie fondamentali della persona accusata, perché questi sono poi – alla fin fine – i diritti di ciascuno di noi.

Ecco a che cosa serve il diritto all’oblio.

Ad evitare che la notte scenda su di noi, dopo che non sarà rimasta più nessuna certezza e le guarentigie saranno scomparse.

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