La Commissione Giustizia del Senato, su proposta dei due relatori Pd Felice Casson e Giuseppe Cucca, ha approvato di recente il testo base del disegno di legge sulla riforma del codice penale e di procedura penale[1], che contiene l’accorpamento dei provvedimenti in tema di prescrizione dei reati contro la Pubblica Amministrazione, i quali erano già stati approvati dalla Camera dei deputati. Alla modifica del processo penale vengono pertanto abbinati gli otto disegni di legge sulla prescrizione, compreso quello che prevede l’allungamento dei tempi fino al doppio per i reati contro la Pubblica Amministrazione, incluso il reato di corruzione.
Particolare importanza assume la rimessa in discussione, dopo oltre un anno di stallo presso la Commissione Giustizia del Senato, del disegno di legge in tema di prescrizione contenente il cosiddetto “Emendamento Ferranti” che modifica la legge n. 5 dicembre 2005, n. 251, c.d. Legge Cirielli, voluta dal Governo Berlusconi, la quale ha in modo rivoluzionario dimezzato i termini della prescrizione nei reati contro la Pubblica Amministrazione.
Prima di soffermarci sul contenuto di tale emendamento che ha fatto tanto discutere, è opportuno analizzare l’istituto giuridico della prescrizione.
Nell’ordinamento penale la prescrizione del reato (ex artt. 157-161 c.p.) è una causa di estinzione dello stesso sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo. La ratio di questo istituto risiede nel fatto che, a distanza di molto tempo, viene meno l’interesse dello Stato a perseguire un comportamento penalmente rilevante ed a tentare un reinserimento sociale del reo. La prescrizione è poi frutto del bilanciamento di due beni costituzionalmente tutelati, quali, da un lato, il diritto ad avere giustizia, e quindi, l’obbligatorietà dell’azione penale, e, dall’altro, assicurare al cittadino la ragionevole durata del processo.
Orbene, la disciplina sulla prescrizione è stata fortemente modificata con la sopra citata Legge Cirielli, la quale modifica la modalità di calcolo della prescrizione dei reati. Se prima di tale intervento legislativo la durata della prescrizione veniva calcolata a scaglioni, a seconda della fascia a cui apparteneva la pena massima dell’illecito contestato al reo, l’attuale configurazione dell’art. 157 c.p. prevede che i termini di prescrizione siano resi uguali al massimo della pena edittale prevista per la tipologia di reato, mantenendo la prescrizione fissa in 4 anni per i reati contravvenzionali e in 6 anni per i delitti la cui pena non sia superiore ai 6 anni oppure sia pecuniaria. Detta legge prevede altresì un aumento del termine prescrizionale nel caso in cui si realizzi un atto interruttivo pari ad ¼ della pena, sia in caso di delitti che di reati contravvenzionali.
La nuova normativa prevista dal disegno di legge in tema di prescrizione non si limita a modificare i termini prescrittivi ma introduce una sospensione del decorso dei termini, e precisamente, di due anni dopo il giudizio di primo grado, e di un anno dopo la sentenza emessa in appello. Tutto ciò unicamente in caso di sentenza di condanna dell’imputato. Nel caso in cui la vittima sia un minore, la decorrenza della prescrizione si ha a partire dalla maggiore età, tranne nei casi in cui l’azione penale non inizi prima di tale momento. Inoltre, il disegno di legge in oggetto non ha valore retroattivo, ciò significa che esso avrà efficacia soltanto per i reati commessi in futuro, ossia dopo la sua entrata in vigore.
Come accennato in precedenza, deve necessariamente farsi riferimento al divisivo emendamento creato dalla Presidente Pd della Commissione Giustizia al Senato, On. Donatella Ferranti, approvato dalla Camera dei deputati il 23 Settembre 2015, il quale apporta significative modifiche all’impianto della legge Cirielli. Detto provvedimento allunga notevolmente i termini di prescrizione per il reato di corruzione, prevedendo un’aggiunta di due righe all’art. 157 c.p. In particolare, dispone che “sono aumentati della metà” i termini di prescrizione per i reati previsti dagli articoli 318, 319 e 319ter c.p., ossia corruzione per l’esercizio della funzione pubblica, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari. In sostanza, per i reati di corruzione propria (la cui pena va da 1 ai 6 anni) e per i reati di corruzione impropria (la cui pena va dai 6 ai 10 anni) e in atti giudiziari (le cui pene variano a seconda del comma di riferimento dai 6 ai 20 anni) i termini prescrizionali corrispondono alla pena edittale aumentata del 50%. Ad esempio per i reati di corruzione propria, la prescrizione sarà pari a 3 anni.
È da sottolineare che l’emendamento su esposto rappresenta una risposta chiara ai richiami dell’OCSE, la quale ha sanzionato l’italia perché l’istituto della prescrizione, così come descritto dalla Legge Cirielli, impedisce il contrasto al reato di corruzione. Esso rappresenta altresì una reazione alla sentenza emessa a settembre del 2015 dalla Corte di Giustizia Europea la quale ha stabilito che una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, del codice penale, come modificato dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell’articolo 161 di tale codice – normativa che prevedeva che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale – è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea. Il giudice nazionale è dunque tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
A sostegno dunque di tutto quanto sopra delineato, pare opportuno concludere che non è affatto giusto che i processi rimangano incompiuti. È anzi necessario che essi si concludano tutti con una sentenza, che sia di assoluzione o di condanna. E dunque si deve riconoscere l’innocenza di colui che sia stato ingiustamente accusato e comminare pene nei confronti di colui che è ritenuto colpevole. Difatti nel nostro paese vige il principio dello Stato di diritto per cui il potere giurisdizionale va esercitato conformemente a quanto disposto dalla legge.
[1] Il 23 Dicembre 2014 il Governo ha presentato alla Camera dei deputati un corposo disegno di legge recante “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto al fenomeno corruttivo oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena”.
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