A ben guardare, in tema di lavoro autonomo, il codice civile riserva una precisa disposizione per le professioni intellettuali, laddove il contenuto tipico del rapporto tra professionista e cliente si contraddistingue per lo svolgimento di una specifica attività qualificata da un quid pluris rappresentato dal ruolo svolto dall’intelligenza e cultura del professionista stesso. Tale rapporto giuridico trova il suo equilibrio proprio sulla base della fiducia e affidamento dell’assistito, oltre che sull’aspettativa riposta nelle capacità professionali.
Leggi le Sezioni Unite del 22 febbraio 2018
In tale prospettiva, l’evoluzione della responsabilità medica si muove di pari passo con i nuovi costumi che caratterizzano la società civile e contraddistinguono il rapporto con l’ammalato, laddove i precedenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali si pongono a confronto con le nuove tendenze ed interpretazioni giuridiche.
Al riguardo il tema della responsabilità medica e le novità introdotte dalla legge numero 24 dell’8 marzo 2017, meglio nota come riforma Gelli-Bianco, impongono la risoluzione di due questioni ben precise. La prima volta ad analizzare le prospettive del nuovo scenario giuridico dal contatto sociale all’illecito aquiliano, mentre l’altra finalizzata ad inquadrare il riparto dell’onere probatorio nella nuova responsabilità sanitaria.
Il Prof. Giulio Ponzanelli in una sua recente pubblicazione, dal titolo:“La responsabilità medica: dal primato della giurisprudenza alla disciplina legislativa”, ha interpretato l’ultima legge di riforma come diretta conseguenza delle decisioni operate dagli stessi giudici di legittimità[2], in quanto carichi probatori eccessivamente sbilanciati in favore del paziente hanno costretto il legislatore ad intervenire.
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Alla luce della recente riforma sulla responsabilità del medico e della struttura sanitaria (Legge n. 24 dell’8 marzo 2017), questa nuovissima Opera esamina gli aspetti processuali più problematici, che l’operatore del diritto si trova ad affrontare e fornisce indicazioni pratiche nella gestione delle fasi della controversia e soluzione operative, nella forma di quesiti/risposte, per impostare un’efficace strategia giudiziale.Attraverso un’analisi sistematica e ragionata delle più significative pronunce giurisprudenziali, il testo, a partire dalla conciliazione obbligatoria medico-legale, illustra tipologia, risarcibilità e liquidazione del danno compreso quello da emotrasfusione e da nascita indesiderata e approfondisce le tematiche più rilevanti quali la funzione della CTU medico-legale, la responsabilità della struttura sanitaria e d’équipe, il consenso informato, il nesso causale, l’onere della prova e i rapporti tra il giudizio penale e quello civile.Arricchito da una ricca e aggiornata rassegna giurisprudenziale, suddivisa per argomento, questa Guida analizza nel dettaglio la nuova disciplina della responsabilità medica.Antonio Scalera Magistrato con funzioni di consigliere presso la Corte di Appello di Catanzaro, componente della Struttura Territoriale della Scuola Superiore della Magistratura. Svolge attività di docenza in materia di diritto civile presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro.È autore di numerose pubblicazioni e collabora con diverse riviste.
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Al riguardo giova richiamare tre punti cardine dell’evoluzione giurisprudenziale avvenuta in materia:
1) la regola del contatto sociale applicando lo schema normativo dell’art. 1218 cod. civ., quest’ultimo ritenuto compatibile non solo in presenza di un vero e proprio contratto, ma anche sussistendo un semplice contatto tra medico e paziente[3];
2) il principio del nesso di causalità[4] con la separazione della causalità civile da quella penale, ove la prima orientata verso la teoria del “più probabile che non”, mentre la seconda secondo il principio della “certezza oltre ogni ragionevole dubbio”[5];
3) il superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato con evidenti ripercussioni sull’onere probatorio.
In tale ottica è possibile riassumere il pensiero del Prof. Giulio Ponzanelli nel modo seguente:“la giurisprudenza ha provocato questa trasformazione, non essendo stata capace di controllare, ovvero, di riequilibrare le conseguenze ulteriori e, quasi inesorabilmente, ha provocato l’intervento legislativo[6]”.
Senza dubbio, con la L. n. 24/2017, meglio nota come riforma Gelli-Bianco, il legislatore ha inteso tipizzare la responsabilità medica. Tale circostanza viene trascritta al quinto comma dell’articolo 7 della legge di riforma:“Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile”. Una necessità che nasce dall’incompletezza della L n. 189/2012, in quanto, il filo conduttore comune si delinea con la “Legge Balduzzi”[7] e il suo articolo 3, laddove, in ambito penale, la materia della responsabilità del medico è stata governata dall’accertamento del nesso di causa spostando l’attenzione sulla colpa.
La suddetta operazione viene apprestata anche in ambito civile cercando di spostare l’area della responsabilità nell’ambito dell’illecito aquiliano (ex art. 2043 cod. civ.). Tuttavia, il predetto tentativo è fallito, ma viene prontamente riproposto con la L n. 24/2017.
Sul punto si assiste ad una metamorfosi della responsabilità medica, ove sarà interessante analizzare la condotta colposa, il nesso di causa, il danno e la natura dell’obbligazione.
D’altronde, il progettista Gelli (come già il suo predecessore Balduzzi) ha fra i suoi scopi principali quello di scongiurare la c.d. “medicina difensiva”.
Nel dettaglio la legge numero 24 dell’8 marzo 2017 presenta alcuni aspetti di sicuro rilievo giuridico.
L’art. 1 della L. n. 24/2017 tratta la prevenzione collocandola al primo posto con l’adozione del c.d. “Risk Management” per le strutture pubbliche e private. Di conseguenza l’adozione di processi e piani per prevenire i rischi inducono ad aumentare le ipotesi di responsabilità diretta della struttura introducendo, così, il concetto di gestione del rischio e adozione di misure di prevenzione nell’ambito di un piano di organizzazione e condivisione delle informazioni.
Gli effetti giuridici sono più che evidenti, in quanto se il paziente muore nell’ospedale costituisce statistica negativa, pertanto, ove possibile, le strutture saranno incentivate a dimettere l’ammalato prima che ciò accada.
Il predetto articolo 1 della legge di riforma deve essere letto in combinato disposto con i successivi articoli 3 e 4. Al riguardo giova rilevare che l’art. 3 della L. n.24/2017 prevede l’istituzione di un “Osservatorio Nazionale” di buone pratiche sanitarie che acquisirà dai Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente tutti i dati regionali relativi ai rischi ed eventi avversi, nonché l’onere finanziario del contenzioso, oltre che monitorare le buone pratiche per la sicurezza delle cure per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie.
In tale visione l’articolo 4 della legge di riforma sancisce l’obbligo di trasparenza in merito alle prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private, mentre il successivo articolo 5 detta le linee guida e le raccomandazioni essenziali da seguire nell’esecuzione della prestazione sanitaria.
Ciò posto, l’articolo 6 del testo di riforma introduce nel codice penale l’articolo 590 sexies per i reati di lesione e omicidio colposo.
A ben guardare, il medico non risponde in ambito penale se la condotta imperita, ovvero, per colpa grave o lieve, sia stata conforme alle linee guida.
Dunque, se la condotta è conforme alle linee guida come può essere imperita?
La contraddizione è insita nella confusione tra diligenza e imperizia.
Ad ogni buon conto la quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 28187 del 7 giugno 2017, ha ritenuto l’art. 3 della L. n. 189/2012 (Legge Balduzzi) la norma più favorevole al reo rispetto all’art. 590 sexies cod. pen. introdotto dall’art. 6 della L. n.24/2017 (riforma Gelli-Bianco).
Sul punto occorre riflettere in merito alla configurabilità di detto quadro normativo caso per caso, poiché troverebbe la sua collocazione per il mancato rispetto delle linee guida.
Il successivo articolo 7 della riforma Gelli-Bianco (L. n. 24/2017) introduce e disciplina il c.d. “doppio binario” di responsabilità:
1) Responsabilità Contrattuale (ex art. 1218 cod. civ.) a carico delle strutture sanitarie (pubbliche e private), quindi, rimane il contratto atipico c.d. rapporto di spedalità tra ospedale e paziente;
2) Responsabilità Extracontrattuale (ex art. 2043 cod. civ.) per l’esercente la professione sanitaria (salvo che non abbia concluso un’obbligazione contrattuale con il paziente) che svolge la propria attività nell’ambito di una struttura sanitaria (pubblica o privata, ovvero, in rapporto convenzionale con il servizio sanitario nazionale).
Al riguardo occorre operare, però, una breve riflessione sulla reintegrazione del danno. A ben vedere, la responsabilità civile non può essere sempre riparatoria. D’altronde quale somma potrà mai ridare una gamba amputata per errore ad un paziente? Di conseguenza, il risarcimento assume carattere sanzionatorio ai sensi dell’art. 2058 cod. civ. Ciò posto, al fine di meglio comprendere tale asserzione appare necessario citare l’art. 185 cod. pen. e il suo richiamo normativo all’art. 2059 cod. civ. Detta operazione consente la rilettura della fattispecie nell’ottica della seguente deduzione: se non è possibile riparare il danno è meglio sanzionare.
Ad ogni buon conto appare utile effettuare una annotazione “incidenter tantum” partendo dal concetto della colpa. Tale elemento psicologico nel soggetto agente lo si ricava dall’art. 43 cod. pen., ma nel codice civile occorre procedere ad un’interpretazione normativa. Difatti, il concetto di colpa parte dall’analisi dell’art. 2043 cod. civ. per poi terminare con la disamina dell’art. 1176 cod. civ., ove si opera una distinzione tra colpa generica (ex art. 11761 cod. civ., diligenza media del buon padre di famiglia) e colpa specifica (ex art. 11762 cod. civ., diligenza professionale).
In tale prospettiva, la colpa è sì una devianza della regola di condotta, ma in campo professionale rappresenta anche la violazione delle legis artis.
Tout court, detta violazione può accertarsi in concreto dalla lettura del secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. D’altronde se la figura del buon professionista viene qualificata come un parametro astratto a cui ricondurre l’immagine del professionista medio, allora, l’asticella della responsabilità dipende dal modo in cui gli operatori del diritto immaginano il modello di perfezione. Sul punto, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 20216 del 16 novembre 2012 (Cfr. Cass. sent. n. 16023/2002), ha ribadito un concetto chiave in merito alla diligenza professionale. Difatti, il professionista medio, di cui all’art. 1176, co. 2, cod. civ., non è il professionista mediocre, ma è il professionista bravo.
In tale visione giuridica viene elevata la soglia minima di diligenza richiesta nell’obbligazione reinterpretando il concetto di diligenza professionale dettato dal secondo comma dell’art. 1176 cod. civ. In questo senso l’alea della colpa si è allargata.
Ne consegue che, secondo tale prospettazione, la valutazione della colpa si desume dalla condotta del professionista, ovvero come si sarebbe comportato il professionista medio, il quale osserva le regole del codice deontologico.
A ben guardare, la corrispondenza tra il codice deontologico e la responsabilità civile è dettata dalla conclusione del seguente sillogismo giuridico:
A) Premessa minore: il professionista medio non viola il codice deontologico.
Il rispetto del codice deontologico comporta l’osservanza delle regole delle legis artis.
B) Premessa maggiore: se vengono osservate le legis artis si è un professionista medio.
In conclusione solo il rispetto delle legis artis evita la responsabilità del medico, ma non è tutto. Difatti tornando all’analisi dell’articolo 7 della riforma Gelli-Bianco che, con spirito innovativo, introduce il c.d. “doppio binario” di responsabilità, si deve ricondurre la riflessione giuridica su un duplice aspetto: il riparto dell’onere probatorio e i termini di prescrizione dell’azione.
Sul tema le ricadute sono più che evidenti.
L’art. 7 della L. n. 24/2017 salva il contratto atipico, ovvero, il c.d. rapporto di spedalità tra paziente e struttura sanitaria. D’altronde, l’art. 1372 cod. civ. prevede che il contratto produce i suoi effetti solo tra le parti contraenti (paziente-struttura), ma non produce alcun effetto rispetto ai terzi (ex art. 1372, co. 2, cod. civ.), se non nei casi previsti dalla legge. Al riguardo il riferimento è più che manifesto nei confronti del marito della gestante, ovvero dei fratelli del nato malformato, quali titolari di un interesse meritevole di tutela, sia pur di riflesso rispetto alla partoriente[8].
Sulla responsabilità del professionista sanitario, invece, c’è chi ha intravisto la possibile diminuzione dei giudizi, in tema di responsabilità medica, nell’immediato futuro, ma non è così, perché il focus (il mirino) delle azioni giudiziarie si è spostato nei confronti della struttura ospedaliera lasciando maggior respiro al professionista.
Ad ogni buon conto con la tipizzazione della responsabilità extracontrattuale in capo al medico non può ritenersi abbandonato del tutto lo schema normativo dell’art. 1218 cod. civ. A ben guardare, l’art. 7 della L. n. 24/2017 afferma l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., salvo che il medico abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
In tale prospettiva, forse, la via di fuga dalla responsabilità extracontrattuale potrebbe essere rappresentata dalla firma del modulo del consenso informato che, qualificherebbe il rapporto contrattuale medico-paziente (ex art. 1218 cod. civ.), sia pur nei limiti dell’obbligazione assunta nella predetta sottoscrizione. Tale questione però è discutibile in dottrina, in quanto non è possibile qualificare come contratto ogni fattispecie invocando la responsabilità ex art. 1218 cod. civ., ma è altresì vero che lo schema normativo di cui all’art. 2043 cod. civ. rappresenta un “vestito” estremamente corto per il professionista sanitario[9]. D’altronde il paziente si rivolge al medico, perché in lui ripone tutta la fiducia e l’affidamento (contatto sociale). Tuttavia, se la regola giurisprudenziale del contatto sociale la si ricava dall’interpretazione dell’art. 1173 cod. civ., ovvero:”le obbligazioni derivano anche da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle“, tale norma termina con la seguente asserzione:”in conformità dell’ordinamento giuridico“. Ciò farebbe intendere che non dovrebbe mai mancare la norma di richiamo, ovvero la legge di copertura, con riferimento al rapporto in questione.
Ciò posto, sulla volontà legislativa dettata dall’art. 7 della L. n. 24/2017 si sono sviluppate tre orientamenti in dottrina.
Il primo ha ritenuto applicabile la responsabilità ex art. 1218 cod. civ. solamente all’atto di assunzione di un’obbligazione contrattuale.
Il secondo orientamento dottrinale ha valutato l’intento legislativo come il voler collocare l’ars medica nell’ambito delle attività pericolose ai sensi dell’art. 2050 cod. civ. e, quindi, il sanitario risponderebbe anche ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. per le cose in custodia, come ad esempio il bisturi ed altri strumenti in suo possesso necessari per esercitare l’attività professionale. Seppur suggestiva, tale argomentazione, non appare convincente, perché sul piano probatorio risulterebbe difficoltoso imputare la responsabilità del professionista nell’ambito della violazione delle linee guida con conseguente decompressione del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.).
Il terzo orientamento che, attualmente, in dottrina è il più accreditato ha valutato il doppio binario di responsabilità introdotto dall’articolo 7 della legge di riforma come il voler ripristinare il principio dell’art. 2043 cod. civ. e, di conseguenza, un inversione della regola di vicinanza della prova a favore del medico.
Sul piano dei termini di prescrizione, invece, non troverà più applicazione lo schema normativo di cui all’art. 2946 cod. civ. (prescrizione ordinaria) nell’ambito della responsabilità del sanitario, bensì l’art. 2947 cod. civ. (prescrizioni del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, ex art. 2043 cod. civ.) che prevede un termine quinquennale per il diritto all’azione.
Ad ogni modo, in caso di danni da emotrasfusioni, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento in cui la malattia viene percepita, ovvero, da quando può essere percepita quale danno ingiusto conseguente alla condotta dolosa o colposa posta in essere dal terzo.
Nel prosieguo dell’analisi della L. n. 24/2017 gli ultimi rilevanti aspetti giuridici attengono alla procedura risarcitoria in ambito civile.
L’articolo 8 della legge di riforma stabilisce l’opportunità di introitare il giudizio ai sensi dell’art. 696 bis cod. proc. civ. (consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite). Tale ricorso è alternativo al D.lgs. n. 28/2010, in quanto è possibile non avviare il giudizio con ricorso 696 bis cod. proc. civ. ed esperire il procedimento di mediazione (D.lgs. n. 28/2010) e, in caso di fallimento del predetto tentativo conciliativo, si potrà introitare il giudizio di cognizione con atto di citazione (ex art. 163 cod. proc. civ.).
La differenza tra i due procedimenti non è solamente connessa alle spese di giustizia, in quanto se la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite non si conclude entro sei mesi, al fine di salvare gli effetti della domanda sarà necessario esperire il ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ. (rito sommario di cognizione) entro il termine perentorio di novanta giorni fissato dal giudice.
Il successivo art. 9 della L. n. 24/2017 prevede, invece, l’azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria nei confronti del medico, in caso di dolo o colpa grave.
Inoltre, per quanto concerne l’azione diretta da esperirsi nei confronti della Compagnia assicurativa della struttura sanitaria sarà necessario convenire in giudizio anche il medico, in qualità di litisconsorte necessario, il quale sarà chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. Infine viene istituito il fondo di garanzia nelle ipotesi in cui non vi sia copertura risarcitoria.
In tale prospettiva si evidenzia, certamente, la peculiare situazione in cui oggi versa il sottosistema della responsabilità civile del professionista intellettuale, il che rende doveroso delineare alcune riflessioni conclusive.
I profili propulsivi di evoluzione hanno visto, in ambito civilistico, sia l’inasprimento dello standard di diligenza richiesto, sia l’alleggerimento dei parametri di riscontro del nesso causale sempre più orientato a radicarsi verso il “more likely than not” (più probabile che non).
Se si allarga lo sguardo verso le altre professioni si scopre come il modello classico della responsabilità civile professionale sia stato oramai abbondantemente superato in ogni sottosettore e si assiste ad un modello ineluttabile di inasprimento, nonché di crescita della responsabilità civile delle professioni intellettuali in tutti gli ambiti secondo le direttive proprie della responsabilità medica.
Dunque, se si volesse descrivere il fenomeno considerato e la direzione evolutiva degli elementi costitutivi, in base alle complessive strutture invarianti, fuori dalle differenziazioni tipologiche di attività, occorrerebbe cogliere il modificarsi dell’atteggiarsi di tre componenti: le norme deontologiche, la qualificazione della natura della prestazione professionale e il riparto dell’onere della prova.
In conclusione, il medico resta sempre determinante e protagonista assoluto nell’ambito delle proprie scelte operate. Tale elemento chiude il cerchio su un tema delicato ed in continua evoluzione sul quale sarà interessante osservare l’orientamento delle Corti nei futuri pronunciati.
NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Art. 32 Cost.
Art. 1173 cod. civ.
Art. 1176, co. 1 e 2, cod. civ.
Art. 1218 cod. civ.
Art. 1227, co. 1 e 2, cod. civ.
Art. 1228 cod. civ.
Art. 1372, co. 1 e 2, cod. civ.
Art. 2043 cod. civ.
Art. 2050 cod. civ.
Art. 2051 cod. civ.
Art. 2058 cod. civ.
Art. 2059 cod. civ.
Art. 2946 cod. civ.
Art. 2947 cod. civ.
Art. 43 cod. pen.
Art. 185 cod. pen.
Art. 590 sexies cod. pen.
Art. 163 cod. proc. civ.
Art. 696 bis cod. proc. civ.
Art. 702 bis cod. proc. civ.
- n. 189/2012
- n. 24/2017
D.lgs. n. 28/2010
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Articoli
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– P. Rescigno, Trattato di diritto privato, Utet, p. 1.
Voci enciclopediche
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[1] Sulla responsabilità civile da malpractice medica, nell’ampio panorama dei contributi esistenti cfr.: Rossetti, Responsabilità medica – le fattispecie di danno e il consenso informato, Milano, 2012, 12; Naso, La responsabilità civile del medico e i danni risarcibili, Padova, 2012, 1; Ferrando, Mariotti, Serpetti, La responsabilità medica, Milano 2010, 1.
[2] P. Pierlingieri, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, 1; M. Pennasilico, L’interpretazione dei contratti tra relativismo e assiologia, in Rass. dir. civ., 2005; Facci, responsabilità del medico, in Responsabilità civile (La), 2008, n. 1, Padova, 83; Gallo, Responsabilità professionale del medico: prova della causalità e valutazione della colpa derivante da un approccio terapeutico di «minoranza», in Giurisprudenza di merito, 2008, 1, Milano, 188; Vallini, Rifiuto di cure “salvavita” e responsabilità del medico: suggestioni e conferme dalla più recente giurisprudenza, in Diritto penale e processo, 2008, n. 1, Milano, p. 68; Brusco, La causalità nella responsabilità penale del medico, in Danno e responsabilità, 2007, n. 12, Milano, p. 1209; Vallini, Lasciar morire, lasciarsi morire: delitto del medico o diritto del malato?, in Studium Iuris, 2007, n. 5, CEDAM, 539.
[3] Cass. 22 gennaio 1999 n. 589, in Foro it., 1999, I, c. 3332.
[4] La prima pronuncia che attesta l’evoluzione giurisprudenziale dal criterio della certezza a quello della probabilità, riguardante un caso di malpractice medica, risale al 1983, Cass., 7 gennaio 1983, n. 4320, in Foro.it, 1986, II, c. 351. Sentenza Franzese, Cass. 10 luglio 2002 n. 30328, in Danno e resp., 2003, p. 195, con nota di S, Cacace ; in Foro.it 2002, II, c. 601, con nota di O. Di Giovine. Tra gli innumerevoli e recenti contributi, v. G. Iadecola, Colpa medica e causalità omissiva: nuovi criteri di accertamento, in Dir. Pen. E processo, 2003, p. 597, A. Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Padova, 2002, 1; F. Stella, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 767; in generale, sui rapporti tra ragionamento sul nesso di causalità e regole del giudizio, vedi G. Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, 1193. Sul problema giuridico della causalità si vedano le fondamentali ricostruzioni F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Torino, 1934, rist. 1960; F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, seconda edizione, Milano, 2000; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987; G. Fiandaca, Causalità (rapporto di), voce Dig. Pen., III, 1988, 455; M. Maiwald, Causalità e diritto penale, Milano, 1999; più in generale: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970; C. G. Hempei, Filosofia delle scienze naturali, Bologna, 1968; P. Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1966, 35.
[5] F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1997, 173.
[6] G. Ponzanelli, La responsabilità medica: dal primato della giurisprudenza alla disciplina legislativa, in Danno e responsabilità, 2016, 8-9/2016, Ipsoa, 816; M. Pennasilico, Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, Torino, 2012, 1; Id., Metodo e valori nell’interpretazione dei contratti, Napoli, 2011; F. Volpe, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli, 2004, 1; P. Pierlingieri, Istituzioni di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2012, p. 1; Id., Manuale di diritto civile, Napoli, 2007.
[7] Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013 per cui:« Tenuto conto che il primo periodo prevede l’esclusione della responsabilità penale (per colpa lieve) in favore dei sanitari che si attengano alle linee guida e alle buone pratiche accreditate (introducendo quella che -secondo i primi commenti- parrebbe integrare un’esimente speciale), la norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità penale non fa venir meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi “l’obbligo di cui all’art. 2043 cod. civ.”). Atteso che richiamo all’art. 2043 cod. civ. è limitato all’individuazione di un obbligo (“obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile”, che equivale a dire “obbligo di risarcimento del danno”), senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (se non che deve tenersi “debitamente conto” del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche), non sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull’attuale costruzione della responsabilità medica (“diritto vivente”) e che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto di riparto degli oneri probatori e di durata del termine di prescrizione». Tra i primi commenti sul tema: De Luca, La nuova responsabilità del medico dopo la legge Balduzzi, Roma 2012, 102. Cass. 19 febbraio 2013 n. 4030, in Danno resp., 4, 2013, 367, con nota di Carbone, cit., 384. Interessanti spunti di riflessione provengono dalla pronuncia di merito Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013 per cui:« Tenuto conto che il primo periodo prevede l’esclusione della responsabilità penale (per colpa lieve) in favore dei sanitari che si attengano alle linee guida e alle buone pratiche accreditate (introducendo quella che -secondo i primi commenti- parrebbe integrare un’esimente speciale), la norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità penale non fa venir meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi “l’obbligo di cui all’art. 2043 cod. civ.”). Atteso che richiamo all’art. 2043 cod. civ. è limitato all’individuazione di un obbligo (“obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile”, che equivale a dire “obbligo di risarcimento del danno”), senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (se non che deve tenersi “debitamente conto” del rispetto delle linee guida e delle buone pratiche), non sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull’attuale costruzione della responsabilità medica (“diritto vivente”) e che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto di riparto degli oneri probatori e di durata del termine di prescrizione». Tra i primi commenti sul tema: De Luca, La nuova responsabilità del medico dopo la legge Balduzzi, Roma 2012, 102.
[8] R. F. IANNONE, Omessa o tardiva diagnosi prenatale: profili risarcitori, 2016, Giuffrè Editore, Milano;
[9] L. Viola, La nuova responsabilità sanitaria (L. 8.3.2017, n. 24, Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, in G.U. 17.3.2017, n. 64), Centro Studi Diritto Avanzato Edizioni, Milano, 2017; R. F. IANNONE, La responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco – Legge 24/2017, Edizioni Ad Maiora, Roma.
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