La parodia dei marchi noti: è contraffazione?

della Dott.ssa Serena Biondi

La parodia è un argomento controverso e rilevante, soprattutto nell’ambito della moda, in quanto alcuni brand emergenti sono diventati noti proprio grazie alla rielaborazione ironica di marchi rinomati.

Alcune case di moda famose ritengono tuttavia che detti marchi ironici siano in contraffazione con i propri; altre, diversamente, sostengono che la contraffazione non sussista in questo caso.

Prima di citare alcuni casi giurisprudenziali, si analizza la normativa annessa e connessa all’argomento.

Le norme

L’articolo 473 del Codice Penale stabilisce che è contraffattore chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi di prodotti industriali; integra il reato di contraffazione, si legge al secondo comma, anche la condotta di chi fa uso di detti prodotti.

Inoltre, l’articolo 474 del Codice Penale punisce chi introduce in Italia prodotti industriali aventi marchi o altri segni contraffatti o alterati; punisce inoltre chi detiene questi prodotti per la vendita nonché chi li vende o li immette in circolazione in qualsiasi altro modo.

A livello europeo, rileva ai fini dell’argomento di cui trattasi, l’articolo 27 della Direttiva UE 2015/2536 (Direttiva sul ravvicinamento della legislazione degli Stati Membri in materia di marchi di impresa):

detto articolo stabilisce che l’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi, consistente in un’espressione artistica, dovrebbe essere considerato corretto ma solo se conforme alle consuetudini di lealtà, in campo industriale e commerciale.

Ebbene, cosa si intende per fini di impressione artistica? In questa definizione rientra la finalità parodistica o ironica del marchio?

Lo vedremo nel prosieguo.  Prima però, al fine di avere un quadro più completo della normativa, si menziona:

a livello europeo l’ articolo 9 del Regolamento 2007/1001 nel quale si legge che il titolare di un marchio europeo ha il diritto di vietare a terzi soggetti l’utilizzo di segni che il pubblico potrebbe confondere con prodotti e servizi identici ai prodotti per i quali il marchio europeo è stato registrato.

Lo stesso principio si ritrova, nella normativa italiana, all’articolo 20 del Codice di Proprietà Industriale.

Alla luce di quanto detto e dedotto, la contraffazione, in linea teorica, sussiste se un prodotto è confondibile, agli occhi dei consumatori a cui è destinato, con i prodotti originali.

Ebbene, anche i marchi utilizzati con fini parodistici possono indurre il consumatore in confusione con i prodotti originali?

A tal proposito analizziamo la giurisprudenza rilevante:

Sentenza della cassazione penale, sezione ii, numero 35166 del 31/07/2019

Il caso oggetto di causa riguardava marchi utilizzati per creare immagini originali con finalità parodistiche appunto, le quali venivano rappresentate su delle t-shirt e vendute in negozi aventi l’ insegna “Fake lab”. Nello specifico trattasi di t–shirt caratterizzate dalla reinterpretazione parodistica di marchi noti.

Ebbene, la Corte di Cassazione si è espressa sulla base del principio su menzionato secondo il quale, presupposto necessario per la configurazione della violazione di un marchio, è il rischio di confusione tra il prodotto contestato e quello originale, circa la provenienza degli stessi.

Invero, nel caso di specie i prodotti ironici (le t-shirt) sono stati dichiarati dai Supremi Giudici, di indiscussa originalità e non utilizzati a fini imitativi ma a fini parodistici quindi artistici.

Detti marchi non sono risultati pertanto idonei a creare confusone con i famosi marchi originali registrati.

La contraffazione non è stata quindi riscontrata nel caso de quo.

Spesso però la giurisprudenza italiana si è schierata a favore dei grandi marchi, a discapito dei brand parodistici emergenti

Si citano, a tal proposito due pronunce, entrambe emesse dal TRIBUNALE DI MILANO precisamente nei procedimenti R.G. 53747 del 2012 E 59550 del 2012.

Detti casi riguardano la produzione e commercializzazione, da parte di imprese terze, di prodotti parodistici dei marchi Chanel e Louis Vuitton.

I Giudici Meneghini, in questi procedimenti, hanno ritenuto i prodotti oggetto di causa, in contraffazione con i prodotti dei famosi marchi appena menzionati in quanto creati e venduti solo indirettamente a fini artistici ma principalmente a scopo commerciale.

Il Tribunale di Milano ha quindi ritenuto sussistere il rischio di confusione e di associazione tra i prodotti in quanto le parodie non arrecavano solo un vantaggio alle società emergenti ma anche un pregiudizio alla reputazione dei marchi imitati.

L’esito di queste pronunce è quindi opposto rispetto alla recente sentenza penale su menzionata che tuttavia non è l’unica ad aver supportato gli emergenti marchi parodistici.

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Dott. Lione Federico

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