I contenuti del sistema di valutazione
I cambiamenti organizzativi e sociali avvenuti negli ultimi anni anche nelle aziende sanitarie pubbliche rendono ormai inefficaci le regole di gestione delle risorse umane proprie delle strutture fondate sul comando ed il controllo o sull’applicazione delle norme e delle procedure.
Nelle nuove organizzazioni complesse i rapporti tradizionalmente ben definiti hanno subito un riassetto e le capacità di ottenere dei risultati con i propri collaboratori dipende, non tanto dall’autorità legata alla posizione gerarchica, ma dalla capacità di influenzare e motivare.
Il grado di raggiungimento degli obiettivi è l’indicatore utilizzato nella valutazione delle prestazioni e la motivazione si può identificare con ciò che induce una persona a mettere in atto un determinato comportamento o prestazione. Il processo di valutazione ha assunto la funzione di essere il luogo di scambio fra il capo ed il collaboratore in fase di progettazione e pianificazione ed in fase di verifica e di sviluppo, ed è quindi, fortemente correlato alla motivazione.
Il sistema di valutazione del personale usualmente riguarda la “posizione”, ovvero il ruolo che la persona occupa nella struttura organizzativa aziendale e che corrisponde ad un determinato valore per l’organizzazione stessa. La determinazione di una graduatoria delle diverse posizioni aziendali espresse da un punteggio o da una fascia di punteggio detta classe , scaturisce dalla definizione di quanto due ruoli differiscano fra loro per importanza, prescindendo dal valore della persona che occupa il ruolo. Al punteggio o classe è collegato un certo valore della retribuzione determinato a sua volta dalla politica retributiva dell’azienda sanitaria. Questo tipo di valutazione è denominato valutazione delle posizioni.
Il sistema valutativo riguarda inoltre la valutazione della “prestazione” che rappresenta la modalità con la quale la persona che occupa una data posizione aziendale assolve ai compiti propri della posizione stessa.
Infine la valutazione non può prescindere dall’analisi del “potenziale” ovvero dalla previsione di possibili cambiamenti della posizione organizzativa all’interno di una potenzialità a crescere verticalmente o trasversalmente all’interno dell’organizzazione.
Il grado di oggettività delle valutazioni descritte è decrescente: maggiore nella valutazione delle posizioni, minore nella valutazione delle prestazioni, fino alla valutazione del potenziale dove ci si muove sul terreno delle previsioni e della soggettività.
Gli organi aziendali di valutazione
Grazie ai principi enunciati dai decreti legislativi n° 29/’93 e n° 229/’99 si è arrivati a disciplinare l’attuale struttura della valutazione della dirigenza tramite il contratto collettivo nazionale nel quale si afferma che il “collegio tecnico” procede alla verifica:
- delle attività professionali svolte e dei risultati raggiunti da parte di tutti i dirigenti indipendentemente dall’incarico conferito, con cadenza triennale;
- dei dirigenti titolari di incarico di direzione di struttura complessa o semplice, alla scadenza dell’incarico loro conferito;
- dei dirigenti di nuova assunzione ai fini del conferimento di incarico, al termine del primo quinquennio di servizio.
Sempre nel contratto collettivo nazionale è previsto il “nucleo di valutazione”, organismo che procede alla verifica annuale:
- dei risultati di gestione del dirigente di struttura complessa ed anche di struttura semplice, ove sia affidata la gestione di risorse;
- dei risultati raggiunti da tutti i dirigenti, in relazione agli obiettivi affidati, ai fini dell’attribuzione della retribuzione di risultato.
Relativamente all’oggetto della valutazione, ovvero su quali contenuti sottoporre i dirigenti al processo valutativo, l’art. 32 del Ccnl 2000 ha definito i seguenti elementi:
Ø il grado di collaborazione interna ed il livello di partecipazione multiprofessionale nell’organizzazione dipartimentale;
Ø il livello di espletamento delle funzioni affidate nella gestione delle attività e la qualità dell’apporto specifico;
Ø la capacità dimostrata nel motivare, guidare e valutare i collaboratori e di generare un clima organizzativo favorevole alla produttività, attraverso una equilibrata individuazione dei carichi di lavoro e la gestione degli istituti contrattuali;
Ø i risultati delle procedure di controllo con particolare riguardo all’appropriatezza e qualità clinica delle prestazioni, all’orientamento all’utenza, alle certificazioni di qualità dei servizi;
Ø la capacità dimostrata nel gestire e promuovere le innovazioni tecnologiche e procedimentali nonché i conseguenti processi formativi e la selezione del personale;
Ø osservanza degli obiettivi prestazionali assegnati;
Ø rispetto del codice di comportamento allegato al Ccnl del 05/12/1996.
Verifica e valutazione dei dirigenti
Indubbiamente, nelle aziende di produzione di beni o di erogazione di servizi che non attengono al settore della sanità, la verifica dei risultati e la valutazione della dirigenza si presentano sotto un aspetto molto più semplice, in quanto tali funzioni rispondono a criteri, parametri e principi ormai consolidati nel mondo produttivo e, quindi, facilmente quantificabili in termini matematici. Di gran lunga più complesso si presenta il quadro di riferimento ove si intenda calarlo nel settore sanitario/assistenziale, laddove i parametri elaborati ed universalmente accettati nel mondo produttivo di beni e servizi non calzano con quella che è una realtà oltremodo soggettiva, sia con riferimento agli operatori sanitari, sia con riguardo ai destinatari della loro azione: la popolazione assistita. Al limite, quei parametri potrebbero anche valere per i dirigenti responsabili di struttura complessa o per i dirigenti responsabili di struttura semplice a valenza dipartimentale – i quali devono gestire in piena autonomia i rispettivi budget e le risorse assegnate loro – ma non certamente per i dirigenti titolari di altri incarichi dirigenziali.
L’esigenza della verifica dei risultati e dell’attività svolta e della correlata valutazione dei dirigenti è nata con il riordino del Servizio Sanitario Nazionale attuato negli anni 1992/1993, quando la figura del sanitario nelle aziende sanitarie ha iniziato ad evolversi in qualcosa di più del tradizionale professionista, come sino ad allora era stato considerato. Infatti, in quegli anni il legislatore ha richiesto al dirigente sanitario non solo quelle conoscenze tecnico/scientifiche che lo hanno sempre contraddistinto, ma anche una capacità organizzativa, direzionale e gestionale della struttura nella quale prestava la sua attività; in pratica, si esigeva la trasformazione di quel professionista in un “vero e proprio manager”. Da questo sconvolgimento dell’assetto tradizionale della sanità pubblica e, soprattutto, dalle nuove funzioni attribuite ai dirigenti sanitari è stata delineata la cd. “responsabilità manageriale” (o gestionale, o direzionale) che ha investito la dirigenza del SSN e che ha comportato, come prima e diretta conseguenza, la necessità della verifica dei risultati conseguiti e delle attività professionali esercitate e della valutazione dei singoli dirigenti in relazione alla loro posizione nel sistema organizzativo delle aziende sanitarie.
Il provvedimento delegato di razionalizzazione del SSN (D. Lgs. n° 229/’99), da ultimo, ha completato il quadro del sistema verificatorio e valutativo, stabilendo gli organi aziendali titolari di tale funzione, le modalità, sia pure di larga massima, alle quali essi avrebbero dovuto uniformare la loro azione, ma soprattutto, le ripercussioni che i due istituti – verifica e valutazione – avrebbero avuto sullo stato giuridico e sulla carriera dei dirigenti interessati.
L’intervento del dirigente interessato nel processo di valutazione
Il sistema contrattuale vigente per le diverse aree dirigenziali del SSN prevede, nei diversi processi di valutazione del personale relativo, l’intervento dell’interessato – mediante adeguata informazione e partecipazione, anche attraverso la comunicazione e il contraddittorio – nel processo in questione; tale diritto di intervento, nelle sue varie forme, del dirigente interessato investe sia il procedimento valutativo attivato dal Collegio tecnico, sia il processo di verifica gestionale dinanzi al Nucleo di valutazione. Nel caso di più livelli gerarchici di valutazione, l’intervento dell’interessato è attivato in ogni livello di giudizio.
Il principio della partecipazione al procedimento del valutato trova la sua prima collocazione normativa nell’art. 21 del D. Lgs. n° 29/’93 che stabilisce come il dirigente della P.A., nel caso di grave inosservanza delle direttive impartite e di ripetuta valutazione negativa, possa essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi, previa contestazione e contraddittorio.
I Ccnl del comparto sanità (aree dirigenziali e non), all’atto dei loro rinnovi, hanno recepito tale principio generale prevedendo – laddove esiste una valutazione dell’operato (gestionale e/o prestazionale) del dipendente – particolari modalità garantiste per gli interessati nel caso di valutazione negativa. Così, i due contratti dirigenziali prevedono l’obbligo di informazione adeguata e partecipazione del valutato, anche mediante la comunicazione ed il contraddittorio. Sullo specifico argomento si è anche pronunciato il D. Lgs. n° 286/1999, in tema di valutazione del personale con incarico dirigenziale, stabilendo espressamente la partecipazione al procedimento del valutato.
In particolare, per l’area della dirigenza, il Ccnl vigente prevede che l’accertamento della responsabilità dirigenziale, a seguito dei processi di valutazione prestabiliti, debba essere preceduto, prima della formulazione del giudizio negativo, da un contraddittorio nel corso del quale devono essere acquisite le controdeduzioni del dirigente, anche assistito da una persona di fiducia. A prescindere dalla terminologia usata per indicare le eventuali “repliche” dell’interessato, rimane il fatto che esse servono per dare modo all’organo valutatore di conoscere la posizione del soggetto sottoposto a valutazione rispetto alle eventuali responsabilità contestategli.
Questa partecipazione al processo di valutazione del dirigente interessato assume, quindi, due tipologie e, per il solo personale dirigente non responsabile di struttura complessa (o semplice, ma con autonomia di budget), due fasi differenziate.
La prima tipologia di partecipazione si riferisce alla informazione adeguata che l’organismo valutatore ha l’obbligo di fornire all’interessato; è evidente che questo compito deve anticipare in forma idonea – prima della formalizzazione dell’esito finale del processo di valutazione – il presumibile esito del giudizio. E’ ancora più evidente che la forma dell’idonea informazione non può essere che scritta e deve contenere le motivazioni del giudizio che, nel caso di esito positivo, saranno sicuramente accettate dal dirigente, mentre, nell’ipotesi opposta, gli consentiranno di intervenire come soggetto attivo nel procedimento valutativo, anche con la richiesta di essere sentito personalmente, oltre che di predisporre per tempo le sue controdeduzioni. Ovviamente, il dirigente può scegliere di non intervenire in prima persona, trasmettendo le sue considerazioni scritte sugli addebiti mossigli; in ordine alle controdeduzioni, dobbiamo ricordare che la mancata assegnazione degli obiettivi aziendali ovvero la mancata assegnazione delle risorse (umane, finanziarie e strumentali) indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi non possono assolutamente costituire una motivazione valida per un esito negativo della valutazione del dirigente.
La seconda tipologia della partecipazione dell’interessato al processo si concretizza nel cd. contraddittorio; innanzitutto, il contraddittorio è rappresentato dalla partecipazione, personale o meno, del dirigente alla fase finale del processo valutativo; in questa fase il dirigente può contestare il giudizio – ancora non definito – espresso dall’organismo valutatore, proponendo le sue giustificazioni, motivazioni e considerazioni sui singoli punti contestati. In secondo luogo riteniamo opportuno chiarire il significato dell’assistenza da parte di persona di sua fiducia. Questa scelta fiduciaria può ricadere o su un dirigente sindacale o su un esperto della materia oggetto di giudizio: e, quindi, un medico per gli aspetti professionali o un legale o un esperto di gestione e/o di organizzazione aziendale. Riteniamo anche esser possibile che il dirigente si faccia assistere da un collegio di sua fiducia, soprattutto quando il giudizio sia più complesso e coinvolga tanto gli aspetti professionali quanto quelli relativi alla responsabilità manageriale; in ogni caso, l’interessato dovrebbe comunicare per tempo all’organismo di valutazione se ritenga o meno di farsi assistere nel contraddittorio.
Qualche perplessità, semmai, può essere avanzata in ordine alla legittimità procedurale di un intervento del fiduciario nel dibattimento senza la presenza dell’interessato, ossia se il fiduciario può agire in veste di procuratore del dirigente soggetto a valutazione; ma anche su questo punto, in considerazione che l’impianto del contraddittorio è posto a tutela e garanzia del valutato, siamo dell’avviso che sia legittimo – sempre, peraltro, in presenza di apposita specifica procura – l’intervento di tale figura.
Un aspetto particolare della partecipazione del dirigente interessato al processo valutativo è rappresentato – limitatamente ai medici non investiti di incarichi di direzione di struttura complessa – dai due gradi di valutazione previsti dal D. Lgs. n° 286/’99; infatti, il provvedimento, ispirato al criterio del doppio grado di giudizio, prevede espressamente il principio della diretta conoscenza dell’attività del valutato da parte dell’organo proponente (valutatore di prima istanza). Di conseguenza, calando questo principio nel procedimento di valutazione della dirigenza medica e non, siamo portati a pensare che il giudizio debba essere proposto per tale tipologia dirigenziale dal direttore della struttura complessa ovvero dal responsabile della struttura semplice a valenza dipartimentale alla quale afferisce il dirigente valutato. Ma anche in questo caso l’interessato deve essere portato a conoscere – mediante idonea informazione – l’esito del giudizio di primo grado, per cui la scheda predisposta dal dirigente primo valutatore, quale proposta all’organo di valutazione, deve essere visionata (e controfirmata per presa visione) dall’interessato che viene, così, a conoscere il giudizio di prima istanza prima della sua trasmissione all’organismo istituzionalmente preposto al procedimento, potendo così, di conseguenza, contestare immediatamente il giudizio, controdeducendo nella sede istituzionale più idonea.
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