La partecipazione dell’imputato al procedimento penale

Indice dei paragrafi:

  1. L’ impostazione generale della problematica in Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948
  2. Il primo orientamento esegetico
  3. Il secondo orientamento.
  4. L’ evoluzione storica della nozione di “ cognizione [ effettiva ] del procedimento “
  5. La contumacia nel procedimento penale ai sensi dell’ Art. 6 CEDU
  6. Il dispositivo finale di Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948

 

L’ impostazione generale della problematica in Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948.

La questione di Diritto rimessa a Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948 è la seguente: “ se, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’ Art. 420 bis Cpp, integri di per sé presupposto idoneo l’ intervenuta elezione, da parte dell’ indagato, di un domicilio presso il difensore d’ ufficio nominatogli, o, laddove non lo sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza o di suoi atti “.

Dato normativo di base:

Art. 420 bis Cpp – Rinnovazione dell’ avviso

“ Il giudice dispone, anche d’ ufficio, che sia rinnovato l’ avviso dell’ udienza preliminare, a norma dell’ Art. 419 comma 1 Cpp, quando è provato o è probabile che l’ imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa e fuori dai casi della notificazione mediante consegna al difensore a norma degli Artt. 159, 161 comma 4 e 169 Cpp

La probabilità che l’ imputato non abbia avuto conoscenza dell’ avviso è liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né è motivo di impugnazione “.

Il primo orientamento esegetico.

Secondo un primo gruppo di Precedenti di legittimità della Suprema Corte, l’ elezione di domicilio presso l’ avvocato d’ ufficio non è sufficiente al fine di poter parlare di una effettiva conoscenza del Procedimento Penale in corso da parte dell’ imputato. A tal proposito, Cass., sez. pen. II, 24 gennaio 2017, n. 9441 afferma che “ un’ effettiva conoscenza del procedimento ai fini del processo in absentia non si può far coincidere con la cognizione di un atto [ meramente preliminare ] posto in essere per inziativa della polizia giudiziaria prima dell’ inizio del procedimento, momento che coincide con l’ iscrizione del nome della persona sottoposta alle indagini nel registro ex Art. 335 Cpp “. Parimenti, Cass., sez. pen. I, 2 marzo 2017, n. 16416 asserisce che “ la conoscenza degli atti [ iniziali ] della polizia giudiziaria [ che procede all’ elezione di un difensore d’ ufficio ] non dimostra la conoscenza del procedimento, che si instaura solo dal momento dell’ iscrizione del nominativo dell’ accusato nel registro ex Art. 335 Cpp “. Molto interessante, sempre nel solco di tale primo orientamento interpretativo, è pure Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2019, n. 43140, a parere della quale “ la conoscenza del processo che preclude la rescissione deve essere riferita all’ accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio ad judicium [ e si deve escludere che ] sia sufficiente la conoscenza dell’ avviso di chiusura delle indagini preliminari [ … ] [ e inoltre ] il sistema di conoscenza legale in base a notifiche regolari non incide sulla questione della conoscenza effettiva del procedimento “. Chi redige apprezza molto, in Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2019, n. 43140, la predicazione della non rilevanza delle notifiche nel contesto dell’ Art. 420 bis Cpp, in tanto in quanto la notifica nulla ha a che fare con la ben differente nozione di “ conoscenza del procedimento “. Le notifiche rispondono ad un criterio di formalità incompatibile con la sostanzialità ben concreta  e materiale del giusto processo ex Art. 111 Cost. . P.e., la notifica per la via postale potrebbe essere stata non compresa, oppure ricevuta da un familiare non convivente o non collaborante, oppure ancora perduta a causa di un malfunzionamento nella tracciatura postale della notifiche ad uso giudiziario. Pertinentemente, Cass., sez. pen. V, 7 febbraio 2019, n. 10443 precisa, con lodevole correttezza, che “ [ ai fini di quanto disposto dall’ Art. 420 bis Cpp ] non è idonea la [ sola ] notifica dell’ atto presso il difensore d’ ufficio domiciliatario, salvo che [ … ] non si dimostri che il difensore d’ ufficio è riuscito a rintracciare il proprio assistito e ad instaurare un effettivo rapporto professionale con lui “. Forse, nel Procedimento Civile, tranne nella fattispecie della volontaria giurisdizione, la notifica può essere sufficiente, ma, nel caso del Procedimento Penale, l’ Art. 111 Cost. impone una lettura fortemente oggettiva della ratio del “ diritto alla difesa “ ex Art. 24 Cost. . Anche sotto il profilo dei valori in discussione, la tutela suprema della libertà personale ex Art. 13 Cost. impone, nel contesto dell’ Art. 420 bis Cpp, di abbandonare qualsivoglia formalismo di origine processual-civilistica. L’ assenza dell’ imputato nel Procedimento Penale chiama in causa il delicato tema di una potenziale contrazione delle libertà personali e difensive, e ciò toglie valore concreto alla rituale, non decisiva e sterile notifica degli atti presso il difensore d’ ufficio che non abbia o non abbia più rapporti con il cliente. Il giusto processo, nell’ ambito della Procedura Penale, richiede una conoscenza reale e non potenziale dell’ imputazione e del percorso del procedimento, così come sottolineato anche da Cass., sez. pen. I, 11 ottobre 2017, n. 6479, Cass., sez. pen. IV, 18 luglio 2013, n. 991 nonché da Cass., sez. pen. I, 10 febbraio 2010, n. 8225.

Il secondo orientamento.

Esiste un secondo orientamento ermeneutico a parere del quale è legittimo procedere nei confronti dell’ imputato irreperibile, alla sola condizione che egli abbia eletto domicilio, innanzi alla polizia giudiziaria, presso un avvocato d’ ufficio. Entro tale solco interpretativo, di certo meno sensibile agli Artt. 24 e 111 Cost.,  si inserisce pure Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2017, n. 40848, secondo la quale “ è sufficiente [ per procedere egualmente in contumacia ] un ‘ elezione di domicilio effettuata nel corso delle prime attività della PG [ … ] l’ Art. 420 bis Cpp  ha introdotto dei casi di presunzione di conoscenza del processo [ … ] tali da indurre lo stesso legislatore a presumere che l’ imputato abbia avuto con certezza conoscenza del procedimento, ovvero si sia volontariamente sottratto a tale conoscenza [ ex cpv. 3 comma 1 Art. 420 bis Cpp ] “. Come si può notare, Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2017, n. 40848 tende a diminuire la precettività, suprema e fondamentale, degli Artt. 24 e 111 Cost. in tema di diritto alla difesa e di giusto processo. Senza dubbio, Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2017, n. 40848, a parere di chi commenta, sottovaluta il fatto, non secondario, che il procedimento penale, a differenza di quello civile, tange la delicata tematica dell’ inviolabilità e, anzi della sacralità basilare della libertà personale tutelata dal comma 1 Art. 13 Cost. . Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2017, n. 40848 dimentica tre secoli di garantismo di matrice accusatoria, collegando l’ Art. 420 bis Cpp al dettaglio insignificante dell’ elezione di domicilio presso il difensore d’ ufficio, il quale, soprattutto nella fattispecie di imputati stranieri, spesso non è nemmeno in grado di reperire il proprio cliente, formalisticamente conosciuto per poche ore innanzi alla PG. Altrettanto culturalmente sorda all’ Art. 111 Cost. si dimostra pure Cass., sez. pen. IV, 16 ottobre 2018, n. 49916, secondo cui “ dall’ elezione di domicilio [ presso l’ avvocato d’ ufficio ] deriva una presunzione di conoscenza del processo, la quale legittima il giudice a procedere in assenza dell’ imputato; su quest’ ultimo, quindi, grava l’ onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento “. Dunque, pure Cass., sez. pen. IV, 16 ottobre 2018, n. 49916 confonde il formalismo della procedura civile con l’ opposto criterio di sostanzialità e di concretezza effettiva che fonda il procedimento penale. La contumacia processual-civilistica nulla ha a che fare con quella processual-penalistica. Il procedimento penale si fonda sul favor rei e l’ Art. 420 bis Cpp si deve anch’ esso conformare al garantismo granitico ed irrinunciabile di cui al comma 2 Art. 24 Cost., ovverosia “ la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento “ ( comma 2 Art. 24 Cost. ). Il petitum di un procedimento penale inerisce la libertà personale dell’ imputato e tale principio fondante non è equipollente alle regole di una esecuzione mobiliare od immobiliare, in cui la contumacia è tollerabile. P.e., si pensi alla frequente fattispecie dell’ extracomunitario irreperibile, che non potrà mai avere una cognizione dello stato del procedimento a suo carico; né, tantomeno, è ragionevole, nel contesto dell’ Art. 420 bis Cpp, ipostatizzare un’ elezione del difensore connotata da una precettività più formale che sostanziale, quindi più ipotetica che realistica. Criticabile, a parere di chi scrive, è pure il non- garantismo di Cass., sez. pen. II, 23 maggio 2018, n. 25996, la quale asserisce che “ non si può dar luogo alla rescissione del giudicato se l’ imputato ha avuto notizia del procedimento nella fase delle indagini [ e, quindi, ha eletto domicilio presso un avvocato d’ ufficio in occasione della notifica di un atto garantito ] [ … ]. L’ Art. 420 bis Cpp introduce delle presunzioni assolute di conoscenza del procedimento “. Cass., sez. pen. II; 23 maggio 2018, n. 25996  parla anch’ essa di una presunzione assoluta di conoscenza del procedimento ancorata ad un criterio di formalità, anziché di sostanzialità penalistica. Si prosegue ad interpretare l’ Art. 420 bis Cpp come se si trattasse di un dato normativo contenuto nel Codice di Procedura Civile. A tal proposito si vedano anche Cass., sez. pen. II, 10 settembre 2019, n. 39158, Cass., sez. pen. IV, 7 maggio 2019, n. 32065, Cass., sez. pen. V, 7 luglio 2016, n. 36855, Cass., sez. pen. V, 13 novembre 2015, n. 12445, Cass., sez. pen. II, 25 gennaio 2017, n. 14787 nonché Cass., sez. pen. II, 14 luglio 2016, n. 33574. Malaugurevolmente, anche Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948 concorda con tale secondo orientamento esegetico, ovverosia afferma che “ l’ argomento ricorrente [ … ] è l’ adeguatezza dell’ elezione di domicilio presso il difensore, anche d’ ufficio, anche nella fase iniziale del procedimento. Tale dichiarazione consente di ritenere che la parte sia a conoscenza dello sviluppo processuale, sulla scorta del meccanismo delle presunzioni [ ex Art. 420 bis Cpp ] e dell’ onere di diligenza nel mantenersi informati [ … ] anche il solo arresto in flagranza genera un onere di diligenza che si esprime nel dovere di mantenere i contatti con il difensore, sia egli di fiducia, che d’ ufficio “ A parere di chi redige, ognimmodo, tale onere di diligenza è, tuttavia, utopistico nella quotidiana fattispecie dell’ imputato extracomunitario emarginato e cronicamente contumace, in tanto in quanto pecuniariamente povero e quasi sempre irreperibile e/o senza fissa dimora.

L’ evoluzione storica della nozione di “ cognizione [ effettiva ] del procedimento “.

Cass., SS.UU., 28 febbraio 2019, n. 28912 è particolarmente ricca di dettagli storico-giuridici afferenti alla Normazione previgente all’ Art. 420 bis Cpp. Prima del nuovo rito Vassalli-Pisapia, entrato in vigore nel 1989, il sistema della conoscenza del procedimento da parte del contumace era regolato sulla base della pertinenza formale ( rectius: formalistica ) delle notifiche. Senza dubbio, tanto la Dottrina quanto la Giurisprudenza erano consapevoli di quanto tale disciplina fosse fondata su bizantinismi esteriori che non garantivano quasi mai il diritto alla difesa tutelato dall’ Art. 24 Cost. . P.e., era sufficiente che l’ imputato non avesse comunicato la variazione del proprio domicilio perché si procedesse egualmente con il sistema della contumacia, la quale, a differenza di quanto accade nella Procedura Civile, costituisce un istituto barbarico ed anti-democratico nel diverso ambito della Procedura Penale, che ha per oggetto la libertà personale ex Art. 13 Cost. e non un meno fondamentale debito pecuniario. Del resto, anche il procedimento civile, pone, per quanto possibile, dei limiti alla figura del convenuto contumace, come nel caso della volontaria giurisdizione, che tange diritti indisponibili gerarchicamente pari-ordinabili alle libertà fondamentali trattate nel procedimento penale. Nel Codice di Procedura Penale, prima del 1989, era comunque presente l’ istituto dell’ impugnazione tardiva della sentenza di primo grado, ma era poi assai difficile o improbabile, nella Prassi, che il condannato riuscisse a provare la propria ignoranza scusabile. In buona sostanza, non erano ben bilanciati tra di loro, da un lato, il diritto, seppur auto-lesivo, di sottrarsi al procedimento penale e, dal lato opposto, l’ onere di mantenere contatti con il proprio difensore per finalità infomative. Del resto, la partecipazione al processo configura un diritto e non un dovere. Molti Precedenti della Suprema Corte, tuttavia, facevano utopisticamente notare che la presenza del difensore d’ ufficio costituiva, ognimmodo, una garanzia conforme all’ Art. 24 Cost. . In effetti, negli Anni Duemila, si è osservato, in Giurisprudenza, che la presenza dell’ avvocato d’ ufficio non reca a garanzie solide, in tanto in quanto, sotto il profilo qualitativo, è necessario, ai fini del patrocinio, un rapporto concreto e stabile da parte del difensore con il cliente. Anzi, alla luce dell’ Art. 24 Cost.,  non è mancato chi rimarcava la totale illegittimità costituzionale della celebrazione di un procedimento penale a carico di un imputato irreperibile. Finalmente, dopo decenni di aporie dotrinarie e giurisprudenziali, Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza vs. Italia chiarì che “ le regole di conoscenza [ solo ] legale del procedimento sono inadeguate rispetto alle esigenze di un giusto processo delineate nella CEDU; [ … ] non è affatto possibile determinare [ in via presuntiva ] se un imputato ha deciso volontariamente o meno di non partecipare ad un processo [ … ] . La regola essenziale, individuata nella CEDU, quindi è che non può essere posto a carico del richiedente [ e condannato ] l’ onere della prova di non aver egli inteso sottrarsi alla giustizia o di esser stato condizionato da una situazione di forza maggiore “. Per di più, Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza vs. Italia precisava che nemmeno un latitante reca l’ onere di informarsi, né, tantomeno, un latitante è sempre e comunque in grado di mantenere stabili contatti con il proprio difensore d’ ufficio. Grazie al dibattito giuridico acceso da Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza vs. Italia, il Legislatore decise, con la L. 22/1988, di introdurre la regola del “legittimo impedimento “, ripresa anche dall’ Art. 486 Cpp, rimasto in vigore sino a L. 479/1999. Detto Art. 486 Cpp imponeva al Giudice di rinnovare la citazione a giudizio, pur in presenza di regolari notifiche, “ quando è provato o appare probabile che l’ imputato non abbia avuto un’ effettiva conoscenza [ del rinvio a giudizio ], sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa e fuori dai casi di notificazione mediante consegna al difensore a norma degli Artt. 159, 161 comma 4 e 169 Cpp “. Grazie all’ Art. 486, introdotto dalla predetta L. 22/1988, si poneva al centro della problematica la conoscenza “ effettiva “ del procedimento da parte dell’ imputato e non la conoscenza “ formale “, ovvero “ potenziale “ ( non ) garantita dalle notifiche. La L. 22/1988 asseriva, giustamente, la priorità della sostanzialità sulla formalità, in tanto in quanto il formalismo rituale non appartiene e non deve appartenere all’ ambito assai pragmatico della Procedura Penale, giacché è profondamente anti-costituzionale garantire una difesa meramente teorica e, dunque, contraria alla concretezza piena ed assoluta dell’ Art. 24 Cost. . La Procedura Penale necessita di tutele materiali, oggettive, tangibili, poiché la contumacia tende a ledere la garanzia fondamentale della libertà personale ex Art. 13 Cost. .

La contumacia nel procedimento penale ai sensi dell’ Art. 6 CEDU.

Si reputa basilare riportare qui di seguito l’ Art. 6 CEDU, assai simile, peraltro, all’ Art. 111 Cost. . E’ indispensabile, infatti, valutare l’ applicabilità concreta dell’ Art. 420 bis Cpp alla luce dell’ Art. 6 CEDU, norma gemella degli Artt. 24 e 111 Cost.

Art. 6 CEDU – Diritto ad un processo equo

Ogni persona ha diritto ad un’ equa pubblica udienza, entra un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’ accesso alla sala d’ udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico durante tutto o una parte del processo nell’ interesse della morale, dell’ ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti del processo o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia.

Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

Ogni accusato ha, segnatamente, diritto a:

  1. a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un

                modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’ accusa elevata a suo carico

  1. b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa
  2. c) difendersi da sé o avere l’ assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per ricompensare un difensore di fiducia, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia
  3. d) interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’ interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico.
  4. e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua

impiegata nell’ udienza

Corte EDU, 18 maggio 2004, Somogyi vs. Italia afferisce ad un contumace cui è stata negata la rimessione in termini nonché l’ appello tardivo, in tanto in quanto l’ imputato / condannato non era riuscito a provare la falsità materiale della propria firma su una notifica. Ora, secondo Corte EDU, 18 maggio 2004, Somogyi vs. Italia, l’ Ordinamento interno italiano si è macchiato di déni de justice, giacché “ se un procedimento che si svolge in assenza dell’ imputato non è di per sé incompatibile con l’ Art. 6 CEDU [ rubricato : diritto ad un giusto processo ], resta il fatto che quando un individuo condannato in absentia non può ottenere successivamente che un’ autorità giudiziaria decida di nuovo, dopo averlo ascoltato, sul fondamento dell’ accusa, in fatto ed in diritto, mentre non è stabilito in maniera non equivoca che abbia rinunciato al suo diritto a comparire e a difendersi, costituisce un rifiuto di rendere giustizia [ … ]. In particolare, occorre che le risorse offerte dal diritto interno si rivelino effettive, se l’ accusato non ha né rinunciato a comparire e a difendersi, né ha avuto l’ intenzione di sottrarsi alla giustizia “.  A parere di chi commenta, Corte EDU, 18 maggio 2004, Somogyi vs. Italia eccelle nell’ affermare che, alla luce dell’ evidente fallimento empirico dell’ Art. 420 bis Cpp, “ le risorse offerte dal diritto interno si [ sono rivelate non ] effettive “. Finalmente, Corte EDU, 18 maggio 2004, Somogyi vs. Italia ha recato il coraggio culturale di svelare l’ antinomia surrettizia sussistente tra l’ Art. 420 bis Cpp e gli Artt. 24 e 111 Cost., insufficientemente rispettati dalla disciplina italiana in tema di contumacia non volontaria. Corte EDU, 18 maggio 2004,  Somogyi vs. Italia ha lodevolmente svelato un meccanismo formalistico ed anti-garantistico, ancora troppo legato allo strumento non sicuro delle notifiche.

Pure Corte EDU, 10 novembre 2004,  Sejdovic vs. Italia critica negativamente il funzionamento italiano del procedimento penale al contumace, in tanto in quanto “ per negare l’ impugnazione della sentenza resa in contumacia e notificata al difensore, deve esservi una seria prova della specifica intenzione dell’ imputato di sottrarsi alla conoscenza degli atti [ … ] comunque vi è un diniego di giiustizia quando un individuo condannato in absentia non può ottenere successivamente che una giurisdizione statuisca di nuovo [ … ] sul merito dell’ accusa, in fatto ed in diritto, ove non sia stabilito in maniera non equivoca che egli ha rinunciato al suo diritto di comparire e di difendersi [ … ]. In Italia, manca un meccanismo effettivo volto a mettere in opera il diritto delle persone condannate in contumacia – che non siano informate in maniera effettiva delle pendenze a loro carico e che non abbiano rinunciato in maniera non equivoca al loro diritto di comparire – ad ottenere ulteriormente che una giurisdizione statuisca di nuovo [ … ]. Lo Stato italiano deve garantire attraverso [ nuove ] misure appropriate [ diverse dall’ attuale Art. 420 bis Cpp ], la messa in opera del diritto in questione.

Il dispositivo finale di Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948.

E’ stato stabilito in seguente dispositivo in Cass., SS.UU., 28 novembre 2019, n. 23948:

“ la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ ufficio, da parte dell’ indagato [ quindi prima dell’ udienza preliminare ], non è di per sé pressuposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’ Art. 420 bis Cpp, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di tali elementi, che vi sia stata un’ effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’ indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso “.

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