Oggetto : la particolare tenuità del fatto nelle contravvenzioni ex d.lgs. n. 81/08; esito del giudizio: accoglimento; normativa di riferimento : artt. 131 bis c.p., artt. 18, comma 1, lett. a) e art. 71, comma 1, d.lgs. n. 81/08; orientamento giurisprudenziale : confermato.
La causa di non punibilità ex art. 131 bis, comma 1, c.p. non può essere ravvisata né nella condotta di chi abbia regolarizzato le inadempienze contestategli ottemperando alle prescrizioni del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro; né, tanto meno, nel pagamento delle relative sanzioni amministrative.
E’ da escludere, poi, che la condizione di abitualità presupponga un pregresso accertamento giudiziario per reati analoghi, essendo sufficienti, a tal uopo, anche condotte valutate nell’ambito del medesimo procedimento.
Il caso
Il titolare di un’azienda agricola veniva assolto dalle contravvenzioni di cui al d.lgs. n. 81/08, art. 18, comma 1, lett. a) e art. 71, comma 1, contestategli per non aver nominato il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria e per non aver fornito le attrezzature idonee al lavoro da svolgere in quota.
A fondamento del proscioglimento tribunalizio la particolare tenuità del fatto e la conseguente non punibilità ex art. 131 bis c.p., avendone ravvisato i presupposti applicativi nell’avvenuta regolarizzazione delle prescrizioni del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, nel pagamento della sanzione ex art. 21 del d.lgs. n. 758/94 e nella non abitualità della condotta, stante l’incensuratezza dell’imputato e la non riconducibilità del caso alle condizioni di cui all’art. 131 bis, comma 3, c.p.
Il Procuratore della Repubblica impugna la sentenza censurando – per qual che qui rileva – quanto motivato dal Tribunale circa la ritenuta non abitualità del reo, non potendo la stessa essere riferita alle sole precedenti condanne per reati analoghi a quelli per cui è processo (c.d. abitualità esterna), dovendo, invece, essere estesa anche all’abitualità interna intesa come reiterazione di condotte criminose sintomatiche di una propensione del soggetto ad agire in contrasto con la legalità, e come tale rinvenibile anche nei confronti di chi, come nel caso in specie, venga giudicato nel medesimo procedimento per aver commesso due reati contravvenzionali della stessa indole
La decisione della Corte
La Corte specifica che la causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. è configurabile in presenza di una duplice condizione quale la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Con riferimento al primo requisito, applicabile tanto ai reati di danno quanto a quelli di pericolo, quali i reati contravvenzionali di cui all’odierno vaglio giudiziale (configurabili in caso di mera lesione potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma, quale la sicurezza sul lavoro), il relativo giudizio sulla tenuità del fatto va parametrato su “tutte le peculiarità della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto”, così come affermato dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 13681/16).
Da ciò se ne desume che il metro di valutazione è rappresentato dall’art. 133, comma 1, c.p. sul quale parametrare tutti gli aspetti della condotta quali i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell’azione, unitamente al grado di colpevolezza da esse desumibile e alle conseguenze derivatene.
Quanto sopra dovrà essere effettuato anche in presenza di reati contravvenzionali meramente omissivi – come quelli ravvisabili nel caso in specie – in relazione ai quali “non può non assumere valore dirimente l’elemento temporale, ovverosia la protrazione della stessa omissione”.
Ebbene – proseguono i giudici di legittimità –, sulla base delle su indicate premesse risulta censurabile il percorso argomentativo del giudice a quo allorquando pone rilievo esclusivo ad un dato che non rientra tra i parametri assunti dal succitato art. 133, comma 1 c.p., quale l’ottemperanza alla prescrizioni imposte ed il pagamento della sanzione amministrativa, entrambi riconducibili, invece, al novero dei criteri volti a valutare la personalità del reo ex art. 133, comma 2, c.p.
Di nessuna valenza, poi, la condizione di incensuratezza del reo e l’insussistenza delle condizioni di cui all’art. 131 bis c.p., comma 3.
Infatti, come precisato dai Giudici di legittimità, la causa di esclusione della punibilità in argomento non può essere applicata allorquando l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”).
Secondo la prospettiva di valutazione della norma in commento, secondo cui il fatto viene considerato nella sua dimensione plurima, la tenuità dei singoli segmenti di cui si compone non può assumere rilevanza alcuna ai fini dell’esimente in parola.
Quanto sopra trova una conferma – proseguono gli Ermellini – nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 28/15, la quale espressamente rileva “che non vi è, nel testo, alcun indizio che consenta di ritenere, considerati i termini utilizzati, che l’indicazione di abitualità presupponga un pregresso accertamento in sede giudiziaria ed, anzi, sembra proprio che possa pervenirsi alla soluzione diametralmente opposta, con la conseguenza che possono essere oggetto di valutazione anche condotte prese in considerazione nell’ambito del medesimo procedimento”.
Da ciò ne consegue che la motivazione sottesa alla sentenza impugnata non risulta conforme al contenuto dell’art. 131 bis, 1 comma, c.p. stante la ravvisata duplice violazione contestata (id est art. 18, comma 1, lett. a) ed art. 71, comma 1 del d.lgs. n. 81/08), della stessa indole in quanto integranti condotte lesive dello stesso bene giuridico tutelato, quale la sicurezza sul lavoro; di qui, la cassazione della sentenza con rinvio al giudice del merito.
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