La PEC per le notifiche in proprio degli avvocati: legge 53/1994 e regole tecniche PCT

1. Premessa.

L’art. 18 delle regole tecniche sul processo civile telematico (PCT), contenute nel D.M. 21.2.2011 n. 44, consente agli avvocati, autorizzati ai sensi della legge 21.1.1994 n. 53, di eseguire le notifiche tramite PEC; il predetto art. 18 non richiede ulteriori specifiche tecniche e, pertanto, appare immediatamente attuabile.

Occorre peraltro precisare che, dopo il D.M. n. 44/2011, è intervenuta la legge 12.11.2011 n. 183, che ha modificato la legge n. 53/1994 introducendo espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati.

Analizziamo questo quadro normativo partendo dall’art. 18 delle regole tecniche e, di seguito, le novità derivanti dalla legge n. 183/2011.

 

2. Art. 18 regole tecniche PCT.

a) la PEC utilizzabile

L’art. 18 si riferisce solo ai soggetti abilitati esterni e, in particolare, ai difensori delle parti private o pubbliche, secondo quanto precisato nell’art. 1, lettera m) delle regole tecniche. Di questi soggetti occorre utilizzare esclusivamente le PEC risultanti nel registro generale degli indirizzi elettronici (REGINDE), perché solo queste garantiscono la certificazione dello status di difensore nel PCT; quindi l’avvocato che intenda procedere ad una notifica ai sensi dell’art. 18 dovrà consultare previamente il REGINDE per individuare la PEC del difensore destinatario; inoltre anche la PEC dell’avvocato mittente dovrà essere iscritta nel REGINDE.

b) la copia informatica dell’atto da notificare

L’art. 18 precisa che la notifica si effettua “anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo”; a tal fine l’avvocato “trasmette copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale”.

Occorre, quindi, precisare in cosa consista la suddetta “copia informatica”: distinguiamo a tal fine due ipotesi.

Prima ipotesi: il documento da notificare è un atto difensivo predisposto dall’avvocato.

Questo atto, ove possibile, può nascere in originale informatico; in tal caso più correttamente si dovrebbe parlare di duplicato informatico, anziché di copia, ai fini della successiva notifica; se invece l’atto difensivo nasce cartaceo, l’avvocato potrebbe estrarre una copia informatica c.d. “per immagine”. L’avvocato potrebbe quindi apporre la sua firma digitale e procedere alla notifica tramite PEC, certificando nella relata di spedire una copia conforme.

Seconda ipotesi: il documento da notificare è un provvedimento giudiziale.

In tal caso l’avvocato dispone del provvedimento dichiarato conforme (su supporto cartaceo) dal cancelliere; quindi, l’avvocato dovrebbe estrarre la “copia informatica” dei documenti cartacei autenticati dal cancelliere ma otterrebbe, così, solo delle copie informatiche per immagine non conformi. Ci sembra che il passaggio non affrontato adeguatamente dall’art. 18 sia proprio questo: l’avvocato può certificare nella relata di spedire una copia conforme all’originale informatico in suo possesso, ma tale originale informatico in realtà è solo una “copia informatica per immagine” di un originale cartaceo. E’ sufficiente la firma digitale dell’avvocato notificante per ottenere una conformità all’originale cartaceo? Su tale delicato punto l’art. 18 avrebbe dovuto essere chiaro.

In generale, per attestare la conformità della copia informatica all’originale cartaceo, si richiede sempre la firma digitale del pubblico ufficiale: ciò è richiesto sia nelle regole tecniche del PCT, sia nella disciplina generale delle copie informatiche contenuta nel codice dell’amministrazione digitale. Pertanto, a rigore, ci vorrebbe l’attestazione di conformità all’originale con la firma digitale del cancelliere, ai sensi dell’art. 21 comma 3 delle regole tecniche del PCT; il difensore potrebbe quindi apporre anche la sua firma digitale, e procedere alla notifica della copia informatica.

Peraltro le successive specifiche tecniche del 18.7.2011 prevedono ulteriori adempimenti per le copie informatiche conformi, rendendo di fatto al momento impraticabile questa possibilità (si veda l’art. 23 e, in particolare, il c.d. contrassegno elettronico in forma di codice bidimensionale). Occorre in sostanza ritenere almeno parzialmente inapplicabili le specifiche tecniche del 18.7.2011 alle procedure di cui all’art. 18: si pensi anche ai limiti di formato, secondo cui l’atto del processo non può derivare da una scansione di immagini, ma deve essere un PDF ottenuto dalla trasformazione di un documento testuale.

c) la verifica del certificato di firma e i problemi di validazione temporale

L’avvocato notificante dovrà scrupolosamente verificare la perdurante validità del suo certificato di firma digitale, prima di firmare l’atto da notificare; ciò anche per la necessità di fornire al giudice gli elementi di valutazione della regolarità informatica della notifica che, è bene ricordare, potrà avvenire anche in tempi non vicini al momento della stessa notifica. In questo lasso temporale si potranno verificare ipotesi di cessazione della validità del certificato di firma dell’avvocato notificante (ad esempio per scadenza o revoca) e, quindi, occorre che l’avvocato si cauteli contro tali rischi.

Se la firma digitale è apposta con un certificato valido al momento dell’invio tramite PEC, questa costituisce, in base alle regole tecniche sul documento informatico (DPCM 30.3.2009), riferimento temporale opponibile ai terzi e, quindi, una data certa che consente di provare la validità della firma digitale dell’avvocato anche se, al momento della verifica da parte del giudice, il relativo certificato nel frattempo è scaduto o revocato.

Un altro problema potrebbe sorgere con riferimento al certificato di firma apposto dal gestore della PEC: anche tale certificato ha una scadenza, pertanto occorre cristallizzare innanzi al giudice la validità temporale dei certificati connessi alla notifica.

Ma in quale modo si può offrire al giudice una concreta possibilità di verifica? L’art. 18 nulla dice sul punto, quindi proviamo di seguito a rispondere a tale quesito.

d) cosa produrre in giudizio dopo la notifica

Trattandosi di documento informatico firmato digitalmente e allegato alla PEC con firma del gestore, occorre produrre le relative evidenze informatiche, essendo altrimenti impossibile, per il giudice, effettuare una verifica dei certificati.

In effetti, una scrupolosa verifica della regolarità della firma digitale dell’avvocato notificante e del certificato del gestore di PEC presuppone una procedura on line, cioè avere la disponibilità almeno di un PC connesso in Internet e di un verificatore di firma digitale.

A seguito della verifica on line, occorrerebbe dare atto a verbale della validità dei certificati, in modo da cristallizzare il momento di tale validità e porsi al riparo da successivi eventi che possano compromettere la validità degli stessi certificati (in media la durata di un processo supera quella della validità di un certificato di firma).

Un problema, in questa occasione, deriva dalla disposizione di cui all’art. 18, secondo cui la notifica si intende perfezionata con la c.d. ricevuta breve di avvenuta consegna. Attenendosi alla lettera di questa disposizione, l’avvocato notificante dovrebbe produrre in giudizio la PEC con tale ricevuta breve; ma tale tipo di ricevuta non restituisce l’intero allegato (cioè l’intero atto con firma digitale), ma solo un suo estratto codificato, la cui verifica richiede peculiari competenze tecniche e non consente al giudice di associare immediatamente la PEC all’atto notificato.

Ciò complicherebbe ancora di più la concreta possibilità di verificare la regolarità della notifica: riteniamo, pertanto, che sia opportuno per l’avvocato notificante impostare la notifica della PEC con la c.d. ricevuta completa di avvenuta consegna, in modo da poter produrre tale ricevuta con l’intero atto notificato, e non soltanto un suo estratto. Certamente ciò non corrisponde alla lettera dell’art. 18, ma nelle regole tecniche della PEC (decreto 2.11.2005) la ricevuta completa della PEC è gerarchicamente superiore a quella breve, pertanto non dovrebbe ritenersi violata la disposizione dell’art. 18.

Ad integrazione dei suddetti documenti informatici, si potrebbe produrre anche una stampa cartacea dei documenti informatici notificati, per consentire una immediata percezione del contenuto dei predetti documenti. Ma cosa si dovrebbe stampare esattamente?

Una risposta ci viene dall’art. 23 del codice dell’amministrazione digitale che, nel delineare il concetto di copia cartacea di documento informatico firmato digitalmente, evidenzia come occorra una conformità all’originale informatico “in tutte le sue componenti”.

Pertanto occorre considerare la struttura complessa, in tutte le sue componenti, di un atto con firma digitale allegato alla PEC e, di conseguenza, stampare: l’atto notificato con la relata; il certificato di firma digitale del notificante; il certificato di firma del gestore di PEC; le informazioni richieste dall’art. 18 per il corpo del messaggio; le ricevute della PEC; gli ulteriori dati di certificazione.

Naturalmente non si tratterà di un documento cartaceo conforme all’originale informatico, ma solo di un aiuto al giudice per un primo orientamento nelle attività di verifica.

2. La PEC nella legge n. 53/1994.

La possibilità di effettuare le notifiche in proprio tramite PEC era prevista solo nella suddetta norma tecnica; la legge 183/2011, quindi, ha modificato la legge 53/1994 inserendo appunto la PEC quale strumento di notifica “in proprio” degli avvocati.

Riteniamo censurabile, tuttavia, l’omesso coordinamento con l’art. 18 delle regole tecniche del PCT; infatti, il nuovo art. 4 della legge 53 stabilisce che l’avvocato autorizzato possa eseguire le notifiche dirette tra avvocati anche tramite PEC, ma l’art. 5, comma 1, precisa che l’atto debba essere trasmesso a mezzo PEC “all’indirizzo che il destinatario ha comunicato al proprio ordine, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, trasmissione e ricezione dei documenti informatici”.

Per quanto concerne l’individuazione della PEC del destinatario, sostanzialmente possiamo ritenere che la norma corrisponda a quella dell’art. 18 delle regole tecniche, poiché la PEC comunicata dall’avvocato al proprio ordine è quella che viene fatta confluire nel REGINDE, a seguito di certificazione dell’albo informatico tramite firma digitale del presidente dell’ordine (o di un suo delegato).

Il problema nasce invece dall’inafferrabile riferimento alla normativa generale sul documento informatico, di cui è difficile cogliere il senso, in un contesto tecnico che era già tracciato dall’art. 18: una interpretazione potrebbe essere che il legislatore non abbia inteso riferirsi alle regole tecniche del PCT, perché queste presentano caratteri di specialità che non possono assimilarsi alla normativa generale sul documento informatico. Sarebbe possibile, dunque, con la nuova legge 53 aprire un varco alla notifica tramite PEC non costruita sulla base dei tratti tecnici del citato art. 18, ma sulla base della normativa generale del documento informatico; una sorta di binario parallelo per fare entrare nel processo documenti informatici slegati dai rigidi vincoli del PCT: ad esempio, verrebbero meno i limiti di formato dell’atto del processo, la necessità delle c.d. informazioni strutturate, il divieto di scansione per immagini; ci sarebbe la possibilità di impostare senza problemi la ricevuta completa di consegna PEC, si potrebbe anche pensare all’utilizzo di una firma pdf immediatamente leggibile, anziché della firma p7m e del relativo processo di verifica.

Altra novità riguarda il comma 3 bis della legge 53, che si riferisce alla possibilità di effettuare la notifica tramite PEC “solo se l’indirizzo del destinatario risulta da pubblici elenchi”.

Il riferimento qui è alla normativa generale sulla PEC, dalla quale possiamo desumere che i destinatari di queste notifiche, al momento, possono essere: le imprese in forma societaria (la cui PEC è dichiarata nel registro delle imprese; peraltro è prossimo l’allargamento alle imprese individuali ad opera del decreto “Crescita 2.0”); i professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con leggi dello Stato (per gli avvocati si veda invece il citato art. 4); le pubbliche amministrazioni iscritte nell’IPA.

Il comma 3 bis prosegue precisando, in modo invero infelice, che per tali notifiche “il notificante procede con le modalità previste dall’art. 149 bis cpc, in quanto compatibili”.

Qui si apre un ulteriore complicato scenario, che non corrisponde a quelli già esaminati, e cioè né a quello dell’art. 18 delle regole tecniche, né a quello dell’art. 4 della legge 53.

Infatti, l’art. 149 bis cpc si riferisce alle notifiche tramite PEC effettuate dall’ufficiale giudiziario e quindi, francamente, non si comprende perché si sia voluto operare un ulteriore rinvio, sia pure nei limiti della clausola di compatibilità, ad una norma che prevede l’intermediazione necessaria dell’ufficiale giudiziario.

A ciò si aggiunga che l’art. 149 bis rinvia a un successivo decreto del Ministero della giustizia la disciplina tecnica della congiunzione della relata di notifica all’atto, nonché dell’allegazione delle ricevute PEC da parte dell’ufficiale giudiziario; ma le specifiche tecniche del PCT del 18.7.2011, all’art. 19, già disciplinavano le notificazioni per via telematica, inclusi i profili di congiunzione; quindi anche in tal caso possiamo lamentare quanto meno un difetto di coordinamento.

Infine, per completare il quadro, è stato inserito nell’art. 149 bis il solito evanescente richiamo alla “normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici trasmessi in via telematica” che, peraltro, contraddice anche il rinvio al successivo decreto per una regolamentazione tecnica speciale: non ci resta che attendere tale decreto, per scoprire la soluzione del giallo di una norma al momento inapplicabile.

Rognetta Giorgio

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