La penalmente lecita coltivazione di stupefacenti

Ivano Ragnacci 12/03/21
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SOMMARIO: 1.Introduzione 2. La giurisprudenza di legittimità: il diritto vivente in materia di coltivazione di stupefacenti. 3. Un caso pratico: la liceità penale della coltivazione domestica 4. La Conclusioni.

1. Introduzione.

La Sentenza n. 9952/2020, con la quale il Tribunale di Roma, VII^ Sezione Penale, in data 11 dicembre 2020, motivazioni depositate il 4 febbraio 2021, assolveva gli imputati dal reato ascritto di coltivazione (art. 73 D.p.R. 309/1990), di stupefacenti senza la prescritta autorizzazione ex art. 17 D.p.R. 309/1990, con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, è l’occasione per dare una coerente rilettura dei più importanti arresti giurisprudenziali nella oggetto di analisi, oltre ad offrire spunti de iure condendo in ottica di riforma.

Nell’affrontare il commento della sentenza di merito sopra detta, occorre prendere le mosse, evidentemente, dalla pronuncia della Corte Costituzionale, la n. 443 del 1994, con la quale veniva declinato il principio della offensività in concreto nella materia degli stupefacenti.

In particolare, la Consulta, dichiarava inammissibile la questione di legittima costituzionale degli art. 28, 72, 73 e 75 D.P.R. 309/1990, sollevata per l’asserita violazione dei principi di parità di trattamento e di ragionevolezza, nella parte in cui tali disposizioni non escludono l’illeceità penale delle condotte di coltivazione o fabbricazione di stupefacenti o psicotrope univocamente destinate ad uso personale.

Non avendo, tuttavia, tale pronuncia sopito i numerosi contrasti giurisprudenziali, sotto diverso angolo visuale, veniva proposta questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 D.P.R. 309/1990 in relazione ai parametri degli artt. 3, 13, 25 e 27 della Costituzione, che veniva definita con la sentenza n. 360 del 1995, dichiarativa l’infondatezza della questione, sull’assunto, per quanto qui interessa, che mentre l’acquirente la sostanza drogante pone in essere una condotta immediatamente antecedente al consumo personale, al contrario, nel caso di coltivazione, l’assenza di un nesso d’immediatezza con l’uso personale, giustificherebbe una soluzione più severa dell’ordinamento, rientrando nei poteri del legislatore quello di disincentivare i comportamenti più rischiosi volti all’approvvigionamento della sostanza drogante.

In altre parole, secondo la Consulta, con la pronuncia citata, nella coltivazione di stupefacenti, differentemente da altre ipotesi di condotte previste dalla norma, vi è una obbiettiva maggiore difficoltà di previsione prognostica della destinazione del prodotto della coltivazione ad uso personale direttamente proporzionale ad una più alta rischiosità della condotta – potenzialmente idonea ad immettere sul mercato ingenti quantitativi di prodotto drogante -, tale da giustificare la differenziazione di trattamento, in favore di una maggiore severità punitiva dello Stato[1].

 

2. La giurisprudenza di legittimità: il diritto vivente in materia di coltivazione di stupefacenti

Un primo orientamento di legittimità che merita essere analizzato in questa sede, è quello che trae le mosse dalla nota Sent. a SS.UU. del 24 aprile 2008, DI SALVIA, n. 28605, secondo la quale costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche allorquando destinate ad un uso esclusivamente personale.

Ciò in quanto, argomentano gli Ermellini, nella pronuncia in commento, per un verso, poiché nell’ultima Novella legislativa del 21 febbraio 2006, n. 49, l’attività di coltivazione risultava esclusa dal novero di quelle previste e non sanzionate penalmente dall’art. 75, comma 1 D.p.R. 309/1990, quindi tra quelle sanzionate solo a livello amministrativo, mentre, per altro, sostanzialmente, o meglio, ontologicamente, in quanto il carattere naturalistico della coltivazione, anche se intrapresa per soddisfare un bisogno esclusivamente personale, differentemente dalla detenzione, è attività umana suscettibile di creare nuove e indeterminabili quantità di droga.

Inoltre, ritiene la Corte, in perfetta armonia con le pronunce della Consulta testé citate, essere noto che la dimensione dell’offensività sia grandemente maggiori nella coltivazione, che in ogni altra condotta prevista dell’art. 73 D.p.R. n. 309/1990.

A far da contraltare alla pronuncia a Sezioni Unite, nel medesimo anno, la pronuncia della 4^ Sezione Penale, la n. 1222 del 28 ottobre 2008, Nicoletti, n. 242371, secondo la quale, in estrema sintesi, la condotta di coltivazione sarebbe penalmente irrilevante ove il ciclo di maturazione delle piante del tipo di quelle previste nelle tabelle ministeriali a cui fa rinvio il T.U. sugli Stupefacenti, non risultasse completato, seppur conforme al genus botanico, al momento dell’accertamento, pertanto inidoneo a determinare un principio attivo dotato di efficacia drogante.

A superare, tuttavia, tale ultimo assunto, numerose pronunce[2], tra cui la n. 22459 del 15 marzo 2013, Cangemi, secondo la quale la mera messa a dimora dei semi costituisce condotta penalmente prevista e punita dal legislatore, quindi rientrante nella coltivazione punibile penalmente.

Infine, passando attraverso ulteriori orientamenti della Suprema Corte di Cassazione, che hanno sfumato di volta in volta  e di pronuncia in pronuncia, la percezione tra lecito ed illecito penale, prendendo le mosse dalla rudimentale o meno portata della coltivazione, svuotando di contenuto il riferimento alla capacità drogante del tipo botanico coltivato e dando maggiore rilevanza a dati fattuali, piuttosto che naturalistici, capaci di spiegare la finalità della coltivazione, domestica o industriale, si è giunti all’ultimo arresto delle Sezioni Unite, che con la pronuncia del 16 aprile 2020, n. 12348 ha espresso il seguente principio di diritto: “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

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3. Un caso pratico: coltivazione domestica penalmente irrilevante.

Con la Sentenza n. 9952 dell’11 dicembre 2020, motivazione depositata il 4 febbraio 2021, il Tribunale di Roma, Sezione Settima Penale, assolveva – con la formula poiché il fatto non è previsto dalla legge come reato -, gli imputati dal reato contestato di coltivazione in relazione all’art. 73 D.P.R. 309/1990, poiché senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, coltivavano per la asserita finalità di cessione a terzi, oltre mille dosi di tipo marijuana, ottenendo lo stupefacente da due piante di 25 e 26 cm di altezza, ottenute dalla posa di semi della specie in narrativa.

In particolare, il 31 ottobre 2020, nella notte di Halloween, i due ragazzi, una giovane coppia convivente in una dimora del noto quartiere Olgiata, località a nord di Roma, venivano tratti in arresto, dopo che gli Agenti Operanti, all’atto dell’ispezione e della perquisizione, prima dell’autoveicolo della coppia e poi dell’abitazione, rinvenivano e sequestravano bilancini di precisione, due piante di cannabis dentro la gabina armadio e attrezzi per la coltivazione, oltre diversi barattoli contenenti marijuna, dalla cui analisi chimica veniva accertato trattarsi di cannabis con THC pari a gr. 26.410, dal quale possono essere ricavate ben 1056 dosi medie singole.

Tuttavia, in seguito all’attenta analisi del compendio istruttorio, come anche integrato all’accoglimento della richiesta difensiva di subordinare la richiesta di rito abbreviato all’acquisizione di documentazione da cui evincere, sia lo status sociale, culturale, economico e professionale degli imputati, oltre all’acquisto dei sementi di cannabis presso un normale esercizio commerciale aperto al pubblico che rilasciava debita ricevuta fiscale, il Giudice in primis escludeva che il quantitativo di sostanza drogante sequestrata, seppur di non modesta entità, potesse essere incompatibile con una destinazione ad uso esclusivamente personale, determinandosi, inoltre, a non ritenere raggiunta la prova sulla circostanza che lo stupefacente prodotto fosse destinato a terzi, sia a titolo gratuito, che per trarne altrimenti profitto.

Facendo proprie, infine, le considerazioni svolte dall’ultima pronuncia di legittimità a Sezione Unite già menzionata, dell’ultimo aprile 2020 ed anzi, andando addirittura oltre, assolveva gli imputati, non con la formula dubitativa che pareva potersi evincere dall’analisi di alcuni punti della Sentenza de qua, ma con quella “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”, ripristinando in toto, se non l’assoluta legalità della condotta posta in essere dai due giovani, quantomeno la indubbia liceità penale della stessa.

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4. In conclusione.

Se da una lettura superficiale la pronuncia di merito in commento potrebbe indurre a ritenere fuorviante la formula utilizzata dal Tribunale capitolino, ad una più acuta osservazione ed a cospetto del diritto vivente, è visionario il dispositivo utilizzato per il caso esaminato, oltre ad essere un monito per il legislatore contemporaneo.

In effetti, come per il caso della Cannabis Sativa o light[3], ove la stratificazione normativa e la carenza di polso istituzionale ha ingenerato numerosi dubbi, altrettante diverse letture nomofilattiche e non meno disagi economici per chi si era persuaso, a torto o a ragione, di poter legalmente commercializzare e prima produrre alcune species botaniche del genus cannabis, il Parlamento dovrebbe porre con un robusto intervento normativo la parola fine all’antica e vexata quaestio della liceità penale della coltivazione domestica ad uso personale di stupefacenti, a maggior ragione in un tessuto economico e sociale ove la vendita delle sementi viene considerata lecita seppur con il gretto espediente di appore l’etichetta “da collezione” piuttosto che altre inverosimili diciture al prodotto botanico di volta in volta commercializzato.

Note

[1] Su tale assetto interpretativo, anche le ordinanze n. 150 e n. 414 del 1996 e la sent. n. 296/1996 della stessa Corte Costituzionale, nonché la sent. n. 109 del 2016

[2] Così, anche La sent. Cas. Sez. 6, n. 6753 del 9 gennaio 2014, in Rv. N. 258998; Sez. 6, n. 10169 del 10 febbraio 2016, Tamburini, Rv. 266513; Sez. 6 n. 25057 del 10 maggio 2016, Iaffaldano, Rv. 266974; Sez. 4, n. 53337 del 23 novembre 2017, TRabanelli, Rv. 268695, Sez, 6 n. 52547 del 22 novembre 2016, Losi, Rv. 268938; Sez. 6, n. 35654 del 28 aprile 2017, Nerini, Rv. 270544, Sez. 4 n. 27213 del 21 maggio 2019, Bongi, Rv. 275877.

[3] Cass., Sez. un., 30 maggio 2019 (dep. 10 luglio 2019), n. 30475, Pres. Carcano, Est. Montagni, ric. Castignani “ .. . Ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale, le Sezioni Unite procedono ora a chiarire il loro punto di vista. I giudici di legittimità si allineano al primo dei tre filoni sopracitati che – muovendo dalla considerazione che la legge n. 242/2016 ha previsto la liceità della sola coltivazione della cannabis per le finalità espresse e tassativamente indicate da tale legge – ha affermato che la messa in commercio dei derivati della predetta coltivazione, costituiti da inflorescenze (marjuana) e da resina (hashish), continua ad essere sottoposta alla disciplina del d.P.R. n. 309 del 1990..” Così, in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/sezioni-unite-n-30475-2019-cannabis-light.

 

Ivano Ragnacci

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