Il fatto
La Corte di appello di Torino aveva dichiarato la sussistenza delle condizioni per una estradizione richiesta dalla Federazione russa in relazione al perseguimento, da parte dell’estradando, di un duplice omicidio.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’estradando deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge, in relazione agli artt. 698 e 705 c.p.p. in presenza di un reato punito con la pena di morte; 2) violazione di legge, in relazione agli artt. 698 e 705 c.p.p. in ordine alle condizioni carcerarie, come indicate nella informativa inviata dallo Stato richiedente, trattandosi di informazioni non esaustive e rassicuranti in quanto esse si riferivano a problemi riscontrati nelle celle e di seguito rimossi senza tuttavia specificare se vi fossero stati ulteriori controlli per verificare la effettiva eliminazione del problema mentre risultava da fonti accreditate che proprio in una delle carceri indicate dalla nota russa vi fossero state torture da parte degli agenti; 3) vizio di motivazione in ordine alla procedura di protezione internazionale avendo il ricorrente fatto domanda per il riconoscimento della protezione internazionale che era in fase di valutazione laddove la risposta della Corte di appello richiamava un precedente di legittimità non pertinente; 4) violazione dell’art. 705 c.p.p. per contrasto con il diritto all’unità familiare e alla tutela dei minori in quanto tutta la famiglia del ricorrente (la moglie e i figli minori) è attualmente inserita in un centro di accoglienza in attesa della procedura di protezione internazionale.
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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva reputato infondato per le seguenti ragioni.
Si osservava prima di tutto come il primo motivo, relativo alla pena di morte prevista dallo Stato richiedente per il reato oggetto della domanda estradizionale, fosse generico alla luce di quanto aveva affermato la Corte di appello dal momento che l’art. 59 del c.p. russo prevede la non applicazione della pena di morte ad una persona estradata se la legislazione dello Stato richiesto non la prevede o se la non applicazione è oggetto di una specifica condizione dell’estradizione rilevandosi al contempo come vi sia il principio di diritto secondo cui deve ritenersi garanzia assoluta, ai fini della concessione dell’estradizione, la norma positiva contenuta nella legislazione dello Stato richiedente in forza della quale la pena capitale non è prevista per il reato in ordine al quale l’estradizione è richiesta (Sez. 6, n. 35069 del 19/09/2005).
Ciò posto, quanto poi alla situazione carceraria, anche in tal caso le censure risultavano per la Corte di legittimità essere generiche poiché le obiezioni mosse alle informazioni fornite dallo Stato richiedente sul trattamento riservato al ricorrente venivano stimate meramente ipotetiche quanto alle attuali condizioni delle strutture carcerarie e non consentivano di ravvisare il pericolo concreto di un futuro trattamento vietato ai sensi dell’art. 698 c.p.p. mentre dal canto loro le notizie allegate dalla difesa circa episodi di tortura avvenuti nelle carceri russe, sempre ad avviso del Supremo Consesso, non prospettavano situazioni sistemiche ma soltanto un episodio isolato che, come tale, non poteva inibire l’estradizione (tra tante, Sez. 6, n. 45476 del 15/09/2015).
Non poteva essere accolto, secondo la Suprema Corte, nemmeno il terzo motivo relativo alla protezione internazionale posto che il D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 7, riconosce l’autorizzazione al richiedente di una domanda di protezione internazionale a “rimanere nel territorio dello Stato” fino alla decisione della Commissione territoriale fatte salve talune eccezioni ivi previste (che per quel che interessa il presente procedimento riguardano coloro che debbono essere estradati verso un altro Stato in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto Europeo o hanno presentato una prima domanda reiterata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale o hanno manifestato la volontà di presentare un’altra domanda reiterata a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’art. 29, comma 1, o dopo una decisione definitiva che respinge la prima domanda reiterata ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. b) e b-bis) mentre, a fronte di ciò, secondo gli Ermellini, la norma ora citata non fa divieto della concessione della estradizione ma impone soltanto alle autorità nazionali di non effettuare la consegna fintanto che sia pendente la domanda.
Si ribadiva, pertanto, quanto ai rapporti tra procedura estradizionale e procedura in materia di protezione internazionale, che la Corte d’appello può fondare la propria decisione contraria all’estradizione in presenza di un provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all’estradando lo “status” di protezione internazionale per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l’estradizione ove quest’ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile (Sez. 6, n. 3746 del 18/12/2013, omissis, Rv. 258249) mentre la circostanza della sola pendenza del procedimento volto all’esame della richiesta di protezione internazionale non determina alcuna forma di pregiudizialità rispetto a quello estradizionale in quanto la sospensione della consegna o l’eventuale successivo riconoscimento della protezione internazionale saranno valutati nell’ambito dei poteri demandati al Ministro della Giustizia ex art. 708 c.p.p. (Sez. 6, n. 29910 del 12/06/2019).
Non trovava infine fondamento neppure l’ultima censura, relativa alla protezione dell’unità familiare, dato che tale esigenza non è contemplata dal nostro ordinamento quale ostacolo all’estradizione potendo rientrare nelle valutazioni di opportunità della consegna rimesse al Ministro della giustizia.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui è ivi postulato che la circostanza della sola pendenza del procedimento volto all’esame della richiesta di protezione internazionale non determina alcuna forma di pregiudizialità rispetto a quello estradizionale mentre, invece, la Corte d’appello può fondare la propria decisione contraria all’estradizione solo se in presenza di un provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni che abbia riconosciuto all’estradando lo “status” di protezione internazionale per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l’estradizione ove quest’ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile.
Difatti, ad avviso della Corte di Cassazione, la sospensione della consegna o l’eventuale successivo riconoscimento della protezione internazionale possono essere comunque valutati nell’ambito dei poteri demandati al Ministro della Giustizia ex art. 708 c.p.p..
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.
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