La persona offesa nel procedimento penale minorile. Tutela del minore e sue esigenze di soggetto “debole”

Indice:

Esclusione della costituzione di parte civile nel procedimento penale minorile 

Nel nostro codice penale vigente non si rintraccia una definizione di persona offesa. Tuttavia la teoria e la prassi hanno elaborato e condiviso una definizione di  persona offesa del reato e cioè quel soggetto che è stato leso a seguito della violazione di una norma  incriminatrice, soggetto passivo considerato come titolare di quel bene giuridico tutelato dalla suddetta norma incriminatrice ed estesa a soggetti che non rivestono tale qualificazione.

Quindi la persona offesa si distinguerebbe dal soggetto danneggiato dal reato dove il danneggiato è colui che dal comportamento delittuoso riceve un danno patrimoniale o non patrimoniale. A volte persone offesa e danneggiato coincidono come nel caso di delitto da lesioni personali volontarie o colpose (artt. 582, 590 c.p.) ove soggetto passivo e danneggiato sono la stessa persona. Ma non sempre c’è questa correlazione, diversamente  nel caso di omicidio i danneggiati sono i familiari della vittima e coloro con cui la vittima aveva rapporti di vicinanza affettiva, che diventano titolari dell’azione civile per il danno o le restituzioni.

Fatta questa breve distinzione tra soggetto passivo del reato o persona offesa e  soggetto danneggiato, nella disciplina del processo minorile è escluso l’ingresso della persona offesa in qualità di parte civile, ciò è fermamente statuito dall’art. 10 del D.P.R. n. 448 del 22/09/1988 che regola il procedimento penale minorile.

L’art. 10 del su indicato D.P.R.  stabilisce che nel procedimento penale davanti al Tribunale per i Minorenni non è consentito il promovimento dell’azione civile: tuttavia il danneggiato, per la richiesta di risarcimento danni, può rivolgersi al giudice civile ove il procedimento rimane totalmente indipendente da quello penale. E così il secondo comma dell’art. 10 stabilisce che la sentenza penale di condanna o di assoluzione non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile.

Il ruolo partecipativo dell’offeso nel procedimento penale minorile

Se l’offeso dal reato, commesso dalla persona minore, non può costituirsi parte civile nel procedimento penale minorile, questo divieto non compromette però irreversibilmente i suoi diritti, restando garantita la possibilità di agire innanzi al giudice civile. E quindi il soggetto passivo del reato ha un suo spazio nell’instaurato processo, è presente ed esercita i diritti e le facoltà di cui all’art. 90 c.p.p. quando egli possa fornire un suo apporto alla conoscenza dei fatti per cui si procede. Inoltre per nulla viene impedito alla persona offesa l’esercizio delle facoltà e dei poteri ad essa riconosciuti dal codice di procedura penale, purché non incompatibili con le regole e i principi del sistema processuale minorile, in vista delle realizzazioni del fine primario del processo che è l’accertamento dei fatti e delle responsabilità.

La persona offesa può interessare le parti private quando può fornire un suo apporto alla conoscenza dei fatti per cui si procede: un ruolo analogo a quello che avviene nel procedimento penale dell’adulto.

E così la parte offesa può presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento di merito e indicare elementi di prova nei limiti previsti, non essendo tale facoltà in contrasto con le esigenze educative del minore imputato.

Il D.P.R. 448/1988 riconosce alla persona offesa il diritto di partecipare sia all’udienza preliminare che al dibattimento e lo coinvolge nell’adozione delle decisioni anticipate del processo quali quelle dell’irrilevanza del fatto o la messa alla prova; infatti un ruolo più attivo della persona offesa è previsto ai fini della mediazione penale per tentare la riconciliazione con l’imputato. E conserva tutte quelle altre facoltà e poteri che le sono consentite dal codice di procedura penale, come il diritto di ricevere gli avvisi relativi alle informazioni delle richieste di archiviazione proposte dal PM, proporvi opposizione; ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia ex art. 101 c.p.p; il diritto di essere avvisata della data e del luogo di conferimento dell’incarico per l’espletamento di accertamenti tecnici irripetibili ex art. 360 c.p.p., richiedere l’incidente probatorio ex art. 394 c.p.p. Quando la persona offesa è minorenne, oppure interdetta o inabilitata può esercitare ugualmente le facoltà e i diritti ad essa attribuiti ex artt. 120 e 121 c.p. per mezzo delle persone a ciò deputate ovvero il genitore, il tutore, il curatore  e una difesa tecnica specializzata  come la nomina di un difensore d’ufficio.

Il ruolo “attivo” della persona offesa nel procedimento penale minorile

Come sopra accennato, momenti di componimento privato si attuano nella eventuale procedura conciliativa riparatoria prevista dall’art. 28 delle disposizioni del procedimento minorile n. 448/1988, ovvero nell’ultima parte del 2 comma del predetto articolo 28 ove è così disposto: “Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.

Intensificare momenti di conciliazione è fatto assai importante dal quale la persona offesa può soddisfare le sue aspettative e di contare nel processo, ma sono senza dubbio operazioni molto delicate, ove i ruoli delle parti risultano ribaltati e come infatti afferma Palomba (1989) “si invertono i ruoli considerando il minore offensore come vittima e la vittima quasi partecipe dei meccanismi di offensività verso il ragazzo”. Ma è pure vero che anche con questo istituto della prova ritorna al primo posto la rieducazione del soggetto e il suo proficuo reinserimento sociale, confermando lo scopo dell’art. 28 del D.P.R 448/1988 quale quello di ridurre la pericolosità sociale del soggetto minore, stimolandone l’autostima e valorizzandone ogni riscatto e  aspettativa futura.


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La persona offesa nel procedimento ordinario e nel procedimento minorile

Nel rito ordinario la persona offesa, quale soggetto titolare di un bene giuridico tutelato dalla norma che prevede quel determinato reato, svolge un ruolo di primo piano già durante le indagini come accusatore sussidiario e diventa parte civile solo se esercita l’azione di richiesta danno, altrimenti non partecipa né all’udienza preliminare né al dibattimento.

Al contrario nel rito minorile il contributo dell’offeso spicca proprio nella fase processuale ove questi rappresenta addirittura un interlocutore talvolta necessario, ai fini dell’adozione di importanti decisioni sul processo e sul minore. Per esempio la persona offesa può essere convocata dal giudice non solo per necessità probatorie ma qualora si ritenga necessario un incontro con l’imputato e anche per quella conoscenza cognitiva di cui all’art. 9 del D.P.R 448/1988, al fine di avere un quadro descrittivo completo della personalità dell’imputato.

Esclusione dell’azione civile nel procedimento minorile: ratio della scelta

L’esigenza di tale scelta legislativa sta nella funzione educativa del processo minorile e cioè nell’esigenza di non interrompere i processi educativi in atto e garantire le attività di studio e di lavoro intrapresi.  La legge ha voluto lasciare fuori la contesa privata e l’attenzione deve essere centrata principalmente sull’imputato minorenne.

Si ritiene che l’eventuale ingresso di un soggetto interessato ad ottenere, a mezzo dell’affermazione di responsabilità penale del minorenne, un risarcimento dei danni subiti, minaccerebbe tale processo di rieducazione. Infatti questo intervento aumenterebbe il tasso di conflittualità, alimenterebbe un maggiore disagio nell’imputato, e l’aumento di altre parti allungherebbero i tempi del processo ostacolando la possibile fuoriuscita dal processo del minore responsabile.

La necessità dell’attuale trattamento differenziato alla luce dei principi costituzionali ed internazionali

Alcuni riferimenti giurisprudenziali

Nell’ambito della giustizia minorile proteggere la gioventù significa preservare il processo educativo del minore e favorire la sua educazione. La Costituzione rafforza tali considerazioni riaffermando l’esigenza primaria del recupero del minorenne laddove all’ art. 27 3 co. così stabilisce: “Le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” e all’ art.  31 2. co. “La Repubblica protegge la maternità, l’ infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a  tale scopo. ”Ed al riguardo gli istituti che lo Stato  garantisce sono il Tribunale per i Minorenni e il sistema del processo penale minorile che con la loro specialità, rispetto al Tribunale ordinario e alla procedura penale per gli adulti, si adattano alle peculiarità dei minori. Da qui si evince il chiaro collegamento dell’art. 27 3 comma con l’art. 31 2 comma Cost.: assecondando quel principio della protezione del minore come esigenza preliminare in quanto soggetto “debole” e perciò da proteggere non solo in ambito familiare ma in tutte quelle ipotesi in cui il suo sviluppo fisico – psichico possa essere compromesso negativamente.  E la peculiarità minorile trova conferma in numerose pronunce della Corte Costituzionale. Appare opportuno richiamarne qualcuna. L’intervento della Corte facendo applicazione dei principi costituzionali enunciati, ha perseguito in primis la riserva in via esclusiva al Tribunale per i minorenni la giurisdizione su persona di minore età, nell’ottica di  privilegiare un giudice specializzato di fronte alle esigenze minorili. La Sentenza n. 206 del 28.05.1987  conferma che la generale competenza del giudice specializzato per i minorenni trova fondamento nell’interesse costituzionalmente protetto alla tutela dei minori.

La Corte nella sentenza n. 109 del 1997 ha evidenziato il peculiare interesse – dovere dello Stato cui “deve essere subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva”. Anche la sentenza n. 49/1973 evidenzia la centralità del recupero del minore di fronte alla pretesa punitiva. Con la sentenza n. 125/1992: “ la giustizia minorile deve essere improntata all’essenziale finalità di recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale”.

Le medesime esigenze di tutela dei soggetti minorenni sono espresse anche a livello internazionale, la prima volta che  fu riconosciuto il diritto del fanciullo ad una normale crescita psicofisica e spirituale fu affermato il 24/09/1924, dall’Assemblea Generale delle Società delle Nazioni nella Dichiarazione di Ginevra. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riaffermò la centralità della famiglia e con essa il diritto dei figli minori ad una adeguata istruzione. E solo con le Regole di Pechino approvate il 29.11.1985 avvenne la prima compiuta enunciazione di principi concernenti il diritto e la procedura penale minorile. Nell’art. 7 si assicurano al minorenne le stesse garanzie processuali previste per il maggiorenne e la presenza dei genitori. L’art. 8 prescrive la tutela della privacy dell’autore del reato. Successivamente la Raccomandazione del Consiglio di Europa  approvata il 17.09.1987  affermò che la reazione penale deve tener conto  dei bisogni del minore; che la carcerazione deve essere ridotta allo stretto  indispensabile, che vanno valorizzati i principi espressi dall’ONU nella Dichiarazione dei diritti dell’infanzia.

La Convenzione sui diritti del fanciullo (New York del 20/11/1989) all’art. 40  afferma il diritto del fanciullo, accusato di un reato, ad un trattamento tale da  favorire il suo senso di dignità e del suo valore di procedure, la costituzione di autorità e istituzioni destinate ai fanciulli sospettati, accusati o riconosciuti colpevoli di aver commesso un reato…” comma 3.

Un magistrato minorile la dottoressa Melita Cavallo citava: “ Ogni provvedimento dell’autorità giudiziaria deve tutelare l’interesse superiore del minore. E sicuramente il diritto all’educazione rappresenta per un ragazzo l’interesse primario, anche in pendenza di un procedimento penale a suo carico, e anche in sede di esecuzione di pena, persino quando la pena è di tipo detentivo di lunga durata”.

La separazione dell’azione civile dal processo penale non comprime il diritto di difesa 

La parte offesa dal reato commesso dal minorenne, anche se non potrà giovarsi dell’effetto vincolante della condanna penale, potrà sempre produrre in giudizio di danno gli atti del processo penale e la sentenza conclusiva affinché questi possano essere liberamente apprezzati, nel loro significato probatorio, dal giudice civile ai fini delle restituzioni e del risarcimento.

Il predetto divieto di costituzione di parte civile è sembrato irragionevolmente penalizzante per il danneggiato tanto da ingenerare dubbi di legittimità costituzionale. Il danneggiato dal reato commesso dal minorenne verrebbe a trovarsi in una posizione ingiustificatamente deteriore rispetto al danneggiato dal reato commesso dall’adulto ed allora seguiamo alcuni orientamenti giuridici.

A ciò è di ausilio un passaggio della sentenza n. 433 del 16/23 dicembre del 1997. La Corte nell’affrontare in via generale il tema dei rapporti tra azione civile e processo penale ha avuto occasione di affermare “ che la separazione dell’azione civile dal processo penale del 1930  non può essere considerata come esclusione  o menomazione del diritto di tutela giurisdizionale, ma  essa costituisce una modalità di detta tutela giurisdizionale  che generalmente è alternativa  ma che il legislatore nell’ambito del suo potere discrezionale  può scegliere come esclusiva  in vista di altri interessi da tutelare. Quale è quello della speditezza del processo penale”.

La stessa Corte ha rilevato che l’autonomo esercizio dell’azione di restituzione o risarcitoria nel processo civile non comprime il diritto di difesa, il quale potrà essere esercitato secondo le regole generali del codice di procedura civile (cfr. sentenza n. 171 del 1982) nonché nel carattere accessorio dell’azione civile nel processo penale (cfr. sentenze n. 39 1982, n. 169 del 1975, n. 206 del 1971).

La legittimità di tale preclusione,, stabilita per il rito minorile, è stata confermata anche dalla altra pronuncia della Corte del 1996 n. 60 allo scopo di “tutelare la personalità del minore dalle tensioni che può sviluppare la presenza dell’accusa privata.” Delineati così i rapporti tra azione civile e processo penale, deve ritenersi che le esigenze che hanno indotto il legislatore a vietare la costituzione di parte civile nel processo penale a carico di imputati minorenni assumono ragionevolmente un risalto preminente rispetto alla tutela degli interessi del danneggiato dal reato all’interno del procedimento penale minorile.”  Cass. 433/1997. E così unitariamente nella stessa direzione anche gli indirizzi espressi dagli organismi internazionali in tema di amministrazione della giustizia minorile come la Risoluzione N. 40/33 approvata nella Sessione Plenaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29.11.1985 ove al punto 14.2 osserva “ la procedura seguita deve tendere a proteggere al meglio gli interessi del giovane che delinque e deve svolgersi in un clima di comprensione, permettendogli di parteciparvi e di esprimersi liberamente”; la Raccomandazione n. R (87) 20 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nelle risposte sociali alla delinquenza minorile del 19/09/1987 (punto 2) in tema di sviluppo delle procedure di degiurisdizionalizzazione e di ricomposizione del conflitto tra minore e vittima del reato, al fine di favorire la rapida uscita del minore dal circuito giudiziario.

Conclusioni

Non mi resta che concludere con questa considerazione: esercitare la giurisdizione penale minorile, secondo il sistema giuridico che ho sommariamente delineato, vuol dire intervenire in una vicenda dolorosa, spesso eccezionale, che investe senza preavviso la vita del minore, al fine di accertarne la verità, la responsabilità, ricavarne una consapevolezza. Nel contempo, approcciarsi all’evento incriminato,  significa altresì garantire che quell’evento non si traduca in un ostacolo al percorso di crescita cui è diretta l’adolescenza giovanile, spesso non solo esuberante ma inquieta  e a non “tranciare” quel processo in divenire di aspettative future,  di  sogni  appena “appuntati” di quei  soggetti “deboli” ancorché ancora immaturi dal punto di vista fisio-psichico.

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Bibliografia

-Il processo penale minorile – commento al D.P.R. 448/1988 (Glauco Giostra) -Giuffrè

–Trattato di diritto penale “ Il reo e la persona offesa. Il diritto penale minorile. C.F. Grosso – T. Padovani-A. Pagliaro /Parte generale Marta Bertolino tomo 1-Giuffrè

-Diritto e procedura penale minorile (Santo Di Nuovo e Giuseppe Grasso) -Giuffrè

-“Ragazzi senza. Disagio, devianza e delinquenza” Melita Cavallo  B. Mondatori- Milano 2002

 -“Il sistema del procedimento penale minorile” F. Palomba

-Rivista ADIR- L’altro diritto

-<Tutela dei “soggetti deboli” come esplicazione dell’istanza solidaristica nella giurisprudenza costituzionale > Mario Bellocci e Paolo Passaglia

-Convenzione dei diritti del fanciullo-20/11/1989  art. 40

Savina D’Amore

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