Indice
- Plastic tax
- Gettito previsto dall’adozione della Plastic tax: a quali prodotti si applica e chi sono i soggetti che devono pagarla
- Incentivi per il pagamento
- Sanzioni per violazioni
- Posizioni contrarie alla tassa e controversie.
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1. Plastic tax
Tra i punti chiave della discussione sugli elementi che avrebbero dovuto informare la Legge di bilancio per il 2020[1], vanno annoverate senz’altro una rinnovata attenzione per la conversione dell’economia in senso più circolare, e per l’incentivazione, a tutti i livelli, della green economy, assunte come obiettivi comprimari, da tradurre in un mix (sapiente, nelle intenzioni del legislatore) di disposizioni riguardanti la messa in disponibilità delle necessarie risorse, anche incentivi ed ostacoli normativi in grado di agevolarne il conseguimento; ciò grazie alle indicazioni del Documento Programmatico di Bilancio, approvato dal Governo, insieme al testo iniziale della Legge (e al Decreto Fiscale collegato), in data 15 ottobre 2019.
In tale ambito, i commi da 634 a 658 dell’art. 1 della stesura definitiva di cui alla Legge n. 160/2019[2] hanno previsto l’introduzione della cosiddetta Plastic Tax nella convinzione che tale provvedimento possa contribuire alla diminuzione dei rifiuti di plastica leggera che inquinano l’ambiente, terrestre e marino, sulla base delle “equazioni”, per altro validate anche dalla Commissione europea[3]:
meno prodotti in plastica = meno rifiuti impropriamente dispersi nell’ambiente in post-consumo;
e:
“Prodotti monouso = Usa e getta”.
Tali assunti, fatti propri dalla Direttiva 2019/904/Ue del 5 giugno 2019, traggono la propria radice dalla Comunicazione della Commissione europea Com(2018)28 final del 16 gennaio 2018, rubricata “Strategia europea per la plastica nell’economia circolare”[4], senz’altro influenzata dall’entità dell’impatto di tali rifiuti sull’ambiente, e in particolare su quello marino; e, prima ancora, dalla Direttiva 2015/720/Ue “Direttiva che modifica la direttiva 94/62/Ce per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”, trasfusa nell’ordinamento nazionale dall’art. 9-bis, comma 1, D.L. 20 giugno 2017, n. 91 “Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno”, così come convertito, con modifiche, nella Legge 3 agosto 2017, n. 123. Tale disposto normativo aveva prescritto l’obbligatoria cessione a titolo oneroso degli “shoppers leggeri” presso gli esercizi di vendita di generi alimentari, in precedenza gratuitamente offerti agli acquirenti di prodotti sfusi, come prodotti ortofrutticoli e di panificazione, carne, pesce, ecc.[5].
La primigenia formulazione del testo appariva dunque venata da un inespresso, ma tuttavia evidente antistorico giudizio negativo su un eccessivo uso della “plastica”, da condannare in sé e per sé, trattandosi di materiale derivante dalla polimerizzazione degli idrocarburi, e perciò da penalizzare con l’applicazione di un’imposta (sugli imballaggi in plastica) di 1000 euro per tonnellata (cioè 1 euro/kg), grosso modo pari al preesistente prezzo di mercato dei principali polimeri.
Fermo restando che è assolutamente prematuro formulare un giudizio prognostico sulla riuscita dell’ambizioso intento di salvaguardare l’ambiente anche per mezzo dell’introduzione di questa imposta, non possiamo esimerci dal notare che essa ha provocato numerose reazioni avverse nel mondo imprenditoriale. In questi giorni si assiste ad un proliferare di voci allarmistiche sull’impatto in termini di costi e, conseguentemente, anche a livello di possibili ricadute sfavorevoli per l’occupazione, da parte di soggetti imprenditoriali o associazioni imprenditoriali che sono interessate dalla sola plastic tax o anche dalla sugar tax.
Si paventa inoltre che, come spesso accade in presenza di provvedimenti di questo tipo, questo aumento dei costi possa essere trasferito, almeno parzialmente, sui consumatori, che, con riferimento a determinati prodotti (è il caso, ad esempio, di “soft drinks” zuccherati con bottiglia in plastica) potrebbero pagare più cari i loro gusti in tema di bevande.
Dall’altro lato, però, c’è la necessità di adottare provvedimenti concreti che pongano un freno al dilagare della plastica, che tanto danno sta creando all’ambiente (peraltro anche in virtù di comportamenti non virtuosi in relazione alla raccolta dei rifiuti…).
L’esame dell’impatto dell’analoga imposta in taluni Paesi che hanno deciso di adottarla prima dell’Italia evidenzia che l’aumento del prezzo di prodotti in plastica monouso produce un calo della domanda degli stessi. Ciò che ovviamente ad oggi non è dato sapere è quali ripercussioni ed in che misura un fenomeno del genere possa produrre in Italia.
2. Gettito previsto dall’adozione della Plastic tax: a quali prodotti si applica e chi sono i soggetti che devono pagarla
Secondo l’art. 1, comma 634, Legge n. 160/2019 l’imposta di nuova istituzione colpisce i manufatti con singolo impiego, (MACSI), “che hanno o sono destinati ad avere funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari”, se realizzati con l’impiego, anche parziale, di materie plastiche costituite da polimeri organici di origine sintetica, e “non ideati, progettati o immessi sul mercato per compiere più trasferimenti durante il loro ciclo di vita o per essere riutilizzati per lo stesso scopo per il quale sono stati ideati”, anche in forma di fogli, pellicole o strisce.
Sono tuttavia esclusi dall’applicazione dell’imposta:
- i MACSI che risultino compostabili in conformità alla norma UNI EN 13432:2002;
- i dispositivi medici classificati dalla Commissione unica sui dispositivi medici, istituita ai sensi dell’art. 57, Legge n. 289/2002;
- i MACSI adibiti a contenere e proteggere preparati medicinali.
- La quota parte di plastica riciclatacontenuta nei MACSI: in questo caso il comma 642 dell’art. 1 prevede l’esenzione dall’imposta.
Sono per contro considerati MACSI, ai fini all’applicazione dell’imposta di cui al comma 634 – così dispone il successivo comma 635 – anche:
- i dispositivi, realizzati con l’impiego, anche parziale, delle materie plastiche di cui al comma 634, che consentono la chiusura, la commercializzazione o la presentazione dei medesimi MACSI o dei manufatti costituiti interamente da materiali diversi dalle stesse materie plastiche;
- i prodotti semilavorati, realizzati con l’impiego, anche parziale, delle predette materie plastiche, impiegati nella produzione di MACSI.
L’obbligazione tributaria sorge al momento della produzione, dell’importazione definitiva nel territorio nazionale, ovvero dell’introduzione nel medesimo territorio da altri Paesi dell’Unione europea, e diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo dei MACSI[6]: di conseguenza, sono obbligati al pagamento dell’imposta:
a) il fabbricante, per i MACSI realizzati nel territorio nazionale[7];
b) il soggetto che acquista i MACSI nell’esercizio dell’attività economica ovvero il cedente, qualora i MACSI siano acquistati da un consumatore privato per i MACSI provenienti da altri Paesi dell’Unione europea;
c) l’importatore, per i MACSI provenienti da Paesi terzi.
Il comma 640 dell’art. 1 di cui alla ripetutamente richiama Legge n. 160/2019 fissa l’entità dell’imposta “nella misura di 0,45 euro per chilogrammo di materia plastica di cui al comma 634 contenuta nei MACSI”.
Con ciò si è conclusa la presentazione degli aspetti di più generale interesse ravvisabili nell’articolato, meritando, anche in questa sede, ovvia accentuazione della riduzione di ben 55 centesimi di euro per chilogrammo, (in termini assoluti), pari cioè al 55% dell’importo unitario inizialmente previsto, che renderà senz’altro comunque meno pesante l’impatto a carico dei consumatori ultimi dei beni commercializzati all’interno di MACSI, fermo restando che almeno altrettanto si ridurrà il gettito a favore dell’erario.
La fase dell’accertamento/pagamento ruota attorno all’istituto delle dichiarazioni trimestrali, previste dall’art. 1, comma 641, Legge n. 160/2019, “contenenti tutti gli elementi necessari per determinare il debito d’imposta”, poste direttamente a carico dei fabbricanti di MACSI prodotti nel territorio nazionale[8], ovvero dei soggetti acquirenti di MACSI nell’esercizio dell’attività economica oppure dei cedenti non residenti in Italia, qualora si tratti di MACSI provenienti da altri Paesi dell’Unione europea acquistati da un consumatore privato: in questo caso, però, la dichiarazione va presentata dal cedente attraverso il “rappresentante fiscale” di cui all’art. 1, comma 645, Legge n. 160/2019.
Viceversa, nel caso di MACSI provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione europea, l’imposta è accertata e riscossa dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli con le modalità previste per i “diritti di confine”.
Le funzioni di verifica e controllo sono ripartite tra i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e la Guardia di Finanza, secondo termini e modalità su cui non è il caso di soffermarsi in questa sede.
L’art. 1, comma 650, Legge n. 160/2019, infine, prevede le seguenti sanzioni, in caso di violazione delle disposizioni poste a carico dei soggetti tenuti alla dichiarazione trimestrale e al pagamento dell’imposta:
- il mancato pagamento dell’imposta di cui al comma 634 è punito con la sanzione amministrativa dal doppio al decuplo dell’imposta evasa, non inferiore comunque a euro 500;
- in caso di ritardato pagamento dell’imposta si applica la sanzione amministrativa pari al 30 per cento dell’imposta dovuta, non inferiore comunque a euro 250;
- per la tardiva presentazione della dichiarazione di cui al comma 641 e per ogni altra violazione delle disposizioni di cui ai commi da 634 al presente comma [650] e delle relative modalità di applicazione, si applica la sanzione amministrativa da euro 500 ad euro 5.000.
L’effettivo decollo delle disposizioni di cui ai commi 634-650 a far tempo dal 1° luglio 2020 è tuttavia subordinato all’adozione, in tempo utile, dei seguenti provvedimenti, di competenza della P.A.:
– Decreto del Ministro dell’Ambiente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, riguardante le disposizioni applicative necessarie, con particolare riguardo alla documentazione richiesta e alle modalità di verifica e controllo dell’effettività delle spese sostenute e della corrispondenza delle stesse all’adeguamento tecnologico finalizzato alla produzione di manufatti compostabili da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della Legge n. 160/2019, cioè entro il 29 febbraio 2020;
– Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, da pubblicare – ai sensi del comma 651 dell’art. 1, Legge di Bilancio per il 2020, – sulla G.U. entro il mese di maggio dell’anno 2020, per stabilire le modalità di attuazione dei commi da 634 a 650 con particolare riguardo all’identificazione in ambito doganale dei MACSI mediante l’utilizzo dei codici della nomenclatura combinata dell’Unione europea; al contenuto della dichiarazione trimestrale di cui al comma 641; alle modalità per il versamento dell’imposta; alle modalità per la tenuta della contabilità relativa all’imposta, a carico dei soggetti obbligati; alle modalità per la trasmissione, in via telematica, dei dati di contabilità; all’individuazione, ai fini del corretto assolvimento dell’imposta, degli strumenti idonei alla certificazione del quantitativo di plastica riciclata presente nei MACSI; alle modalità per il rimborso dell’imposta previsto dal comma 642; allo svolgimento delle attività di cui al comma 647 da parte dei funzionari dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanza e alle modalità per la notifica degli avvisi di pagamento di cui al comma 648.
Infatti, il comma 652 dell’art. 1, Legge n. 160/2019 espressamente sancisce che “Le disposizioni di cui ai commi da 634 a 650 hanno effetto a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo alla data di pubblicazione del provvedimento di cui al comma 651”. Oggi tali disposizioni sono effettive.
Da ultimo, i benefici accordati alle “imprese attive nel settore delle materie plastiche, produttrici di manufatti con singolo impiego destinati ad avere funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari”, che consistono in un credito d’imposta nella misura del 10 % delle spese sostenute, dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020, per l’adeguamento tecnologico finalizzato alla produzione di manufatti compostabili secondo lo standard EN 13432:2002, fino a un importo massimo di euro 20.000 per ciascun beneficiario. Analogo credito di imposta è riconosciuto a parziale recupero delle spese in attività di formazione svolte nello stesso periodo per acquisire o consolidare le conoscenze connesse all’adeguamento tecnologico di cui al comma 653, applicando – in quanto compatibile – la già vigente disciplina del credito d’imposta per le spese di formazione del personale dipendente, di cui all’art. 1, commi da 78 a 81, Legge 30 dicembre 2018, n. 145.
Quelli fin qui sinteticamente esposti sono i contenuti dell’articolato riguardante la nuova tassa sulla plastica, così come risultante dalla Legge finanziaria per il 2020, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2019.
3. Incentivi per il pagamento
Si illustrano i pro ed i contro degli impieghi della plastica nell’economia.
Innanzitutto: la “plastica” non è un “male” in sé e per sé, tanto che la sua comparsa sul mercato, e i suoi articolatissimi impieghi rientrano tra gli elementi che hanno positivamente segnato l’evoluzione dell’economia, e della stessa società civile, durante lo scorso XX secolo. Iniziando ab ovo, ricorderemo che la storia delle plastiche cominciò, in forma ancora sperimentale, nel 1861[9], e proseguì, nel giro di qualche decennio, con la scoperta delle tecnologie per la produzione della celluloide (1869) e della bachelite (1907), fino alla sintesi del polivinilcloruro (PVC), ottenuta per la prima volta nel 1926. Poi, con progressione geometrica, tra gli anni ’30 e ’60 dello scorso secolo, sono comparsi sul mercato il polimetilmetacrilato (PMMA), le resine ureiche, le resine polistireniche, il poliuretano, il politetrafluoroetilene (teflon), il polietilene e il polipropilene, e in anni più recenti, un’infinità di nuovi polimeri identificati da altrettanti acronimi, che oggi sono presenti nella nostra vita di tutti i giorni.
A livello mondiale, si è raggiunta una produzione annua dell’ordine dei 300 milioni di tonnellate di materiali plastici, caratterizzata da un incremento di circa 20 volte nel corso dell’ultimo mezzo secolo. In cinquant’anni la produzione è aumentata di venti volte, stimandosi che, mantenendo tale ritmo di crescita, nel 2050 almeno il 20% dell’intera produzione mondiale di petrolio servirà solo per la plastica. Nel 2015 la domanda di materiali plastici del nostro continente si è attestata complessivamente sui 50 milioni di tonnellate: di questa produzione, circa il 40% – ordine di grandezza: 20 milioni di tonnellate – trova impiego nel packaging, (scatole, contenitori e involucri), ciò mettendo prepotentemente in gioco il tema della gestione dei rifiuti di imballaggio [in plastica], che divengono tali dopo il consumo dei prodotti che li avevano contenuti.
Non può essere infatti messa in discussione la gravità del problema costituito dall’impropria dispersione nell’ambiente, sia terrestre che acquatico (e soprattutto marino) dei rifiuti di plastica, anzi, di plastiche – con particolare riferimento alle frazioni leggere, – ad opera degli utilizzatori ultimi dei beni in plastica, (in larghissima misura imballaggi) dopo il consumo del loro contenuto.
Va, tuttavia, pur detto che l’incremento dei rifiuti d’imballaggio in plastica (e non solo nel nostro paese), è in buona misura attribuibile al comparto della grande distribuzione, che ha profondamente modificato le abitudini d’acquisto dei prodotti alimentari, e non solo di essi, da parte dei consumatori.
Siamo stati indotti ad acquistare una coppia di peperoni, sei carote, un paio di cipolle, o tre mele, previa preventiva sistemazione delle merci in una vaschetta di polistirolo, e successiva collocazione sui banchi di vendita del supermercato dopo l’avvolgimento con una pellicola di plastica trasparente, a fini protettivi; idem, per le carni ed il pesce, crudi, o precotti[10].
Anche l’irresistibile diffusione dei vuoti a perdere – in sostituzione di quelli a rendere – per gli alimenti liquidi, principalmente acque minerali, bevande gassate e oli, trova origine in analogo ambito distributivo, con l’effetto di indurre i volenti o nolenti produttori ad adeguare i propri sistemi di confezionamento (anche per la vendita degli stessi prodotti presso i piccoli negozi): il vetro “resiste” solo per gli alcoolici (vini, liquori, e, parzialmente, birra[11]), fermo restando che la gestione dei cui “vuoti”, dopo l’acquisto e il consumo delle bevande, trascorre nella responsabilità dei singoli acquirenti, tenuti a ricorrere alla raccolta differenziata del vetro (o dei contenitori in altri materiali), se e in quanto organizzata, in parallelo, dal pubblico servizio, con efficacia che è proporzionale alla “coscienza ecologica” dei consumatori, alla “capacità comunicazionale” delle campagne informative promosse dalla pubblica amministrazione e/o dai produttori/importatori/distributori interessati, e – ovviamente – alla qualità del sistema di dotazioni per il conferimento e di impianti di trattamento dei rifiuti raccolti separatamente: una raccolta differenziata “bruta”, seppure capace di accogliere il 90% dei rifiuti di imballaggio, è di utilità piuttosto limitata, se poi, come non di rado avviene, la frazione effettivamente riciclata – o comunque recuperata – non supera il 40-45% del “raccolto” totale, mentre il resto finisce smaltito “come meglio si può”, ma – almeno – senza essere disperso nell’ambiente in modo sconsiderato.
Una parte degli esponenti dell’ambientalismo “militante”[12], afferma innanzitutto che “la leva fiscale serve a disincentivare l’utilizzo della plastica” e allo stesso tempo “ad accelerare la transizione che ci porterà ad abbandonare la plastica monouso, e – attraverso una serie di incentivi, a riconvertire la produzione; ma non mancano i giudizi almeno in parte negativi, quanto meno sul metodo, da parte di alcuni ambientalisti “storici”, come Ermete Realacci; per non dire di Edo Ronchi[13], secondo il quale con la “Plastic Tax” non si contribuisce all’attività di riciclo, ma si punta ad introitare denaro senza che il relativo gettito sia vincolato all’evoluzione tecnologica del sistema impiantistico per il riciclaggio.
La lotta all’utilizzo di materie plastiche è senz’altro antistorica ed errata nella sostanza, se condotta in termini indiscriminati, dato che caso mai il loro impiego (o re-impiego) andrebbe “orientato” verso gli usi più idonei; ma, fermo restando il dato oggettivo del pesantissimo impatto sull’ambiente acquatico dei rifiuti in plastica monouso, in quanto tali, ritenuti inevitabilmente destinati all’usa e getta. Quello che non torna – secondo chi scrive – nei termini della sopra richiamata equazione, non è tanto (o almeno non è solo) l’aggettivo descrittore “monouso” posto accanto al sostantivo “prodotto”; ma soprattutto il verbo “getta” dopo l’uso, che andrebbe combattuto con azioni più articolate e poste in essere secondo una strategia meglio pensata.
Sulla base di tale assioma, si è cominciato con la proibizione del ricorso ai piatti, bicchieri e posate in plastica (monouso) presso le mense scolastiche, cioè proprio là dove sarebbe stato più facile operarne una gestione corretta (e senza alcun impatto ambientale), mentre è lasciata all’iniziativa dei singoli Comuni l’adozione di ordinanze per vietare l’uso di tali prodotti sulle spiagge e/o aree per picnic, (attrezzate o meno), ove evidentemente gli stessi prodotti sono più esposti al rischio di abbandono.
L’introduzione della Plastic Tax rappresenta in tutta evidenza un “salto in avanti” scelto alle direttrici di azione indicate dalla Direttiva 2019/904/Ue, che – nella misura in cui risulti avulsa da una proposta complessiva – sembra esaltarne il profilo “punitorio”, come evidenziato dalle prese di posizione di organismi come COREPLA, Unionplast e Assogomma[14], che accusavano l’articolato di rispondere a un approccio più ideologico che tecnologico, in termini eclatanti nella versione proposta inizialmente, e poi in qualche modo edulcorato, grazie alle modifiche contrattate tra il governo e gli organismi di rappresentanza dei produttori e degli utilizzatori dei MACSI.
Inoltre, l’istituzione ex novo dell’imposta sui beni di plastica monouso si sovrappone al già esistente regime di tassazione costituito dal contributo “ambientale” per il riciclaggio degli imballaggi di plastica – la maggior parte dei quali sono anche prodotti monouso[15] – relativamente ai quali il CONAI, nel corso del triennio 2018-2020 ha deciso di diversificare l’entità del contributo (espresso in euro/ton) in funzione della selezionabilità, della riciclabilità e del circuito di derivazione, dando luogo, anno per anno, alle seguenti fasce, con progressiva modifica delle rispettive “popolazioni”.
Il legislatore nazionale si è così auto-esposto al rischio di incorrere negli stessi indesiderati risultati conseguiti in occasione del recepimento della Direttiva 720/2015/Ue, “Direttiva che modifica la direttiva 94/62/Ce per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero”. Con tale direttiva l’Unione europea aveva focalizzato le “coordinate” delle misure attraverso le quali gli Stati membri avrebbero dovuto concretizzarne gli obiettivi, tra le quali anche l’introduzione di “strumenti economici come la fissazione del prezzo, imposte e prelievi, e di restrizioni alla commercializzazione, da un lato, nell’assunto “La dispersione dei rifiuti costituiti da borse di plastica si traduce in inquinamento ambientale e aggrava il diffuso problema dei rifiuti dispersi nei corpi idrici, minacciando gli ecosistemi acquatici di tutto il mondo”; e, da un altro, nella consapevolezza che “Gli attuali tassi di riciclaggio delle borse di plastica in materiale leggero sono molto bassi, e non raggiungeranno verosimilmente livelli significativi in un futuro prossimo”.
4. Sanzioni per violazioni
Peraltro, anteriormente all’entrata in vigore della Dir. 2019/904 UE, sulla base di una semplice proposta elaborata dalla Commissione[16], che ha poi trovato terreno fertile all’interno delle istituzioni dell’Unione, essendo stata successivamente adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, il nostro Paese ha introdotto un’apposita norma nell’ambito del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, disciplinante le “plastiche monouso” con il dichiarato intento di prevenire la produzione di rifiuti derivanti da questo tipo di polimeri, nonché di prevenirne l’abbandono e di favorirne la raccolta differenziata ed il correlativo riciclaggio, su base volontaria ed in via sperimentale dal primo gennaio 2019 al 31 dicembre 2023.
Più segnatamente, la proposta avanzata dalla Commissione UE, che ha poi dato origine alla Dir. UE 2019/904, si poneva l’obiettivo di andare oltre le prescrizioni della normativa quadro sulla strategia per l’ambiente marino[17], provvedendo a disciplinare le singole fonti di inquinamento, grazie all’individuazione delle cause e dei percorsi dell’inquinamento dell’ambiente marino dovuto alla plastica. Nel preambolo della proposta di direttiva si evidenzia chiaramente l’obiettivo di affrontare solo una parte del problema dei rifiuti derivanti dalla plastica in ambiente marino. Essa infatti risulta inserita in un approccio generale europeo integrato e coerente, volto a ridurre tutte le fonti di rifiuti di plastica negli ambiti più critici, fra i quali rientra a pieno titolo quello marino. La strategia adottata evidenzia però le lacune, o comunque le carenze, dell’attuale quadro giuridico e prospetta misure atte a migliorare la prevenzione, la raccolta ed il riciclaggio, nonché l’adozione di un contesto normativo, che favorisca l’utilizzo di polimeri con caratteristiche biodegradabili per prevenire danni agli ecosistemi.
In considerazione della natura dei rifiuti, che possono essere trasportati dal vento, dalle correnti e dalle maree, la problematica assume un rilievo transfrontaliero e, quindi, non può essere affrontata isolatamente dai singoli Stati membri dell’Unione, che condividono gli stessi mari e gli stessi fiumi. L’approccio politico deve pertanto essere globale, anche mediante l’adozione di misure da parte dell’Unione europea. In effetti, qualora i singoli Stati dovessero adottare misure non coordinate ed approcci diversi riguardo ai vari prodotti in plastica, si potrebbero determinare restrizioni di accesso al mercato, ostacoli alla libera circolazione delle merci e della par condicio fra i produttori dei diversi paesi[18].
Per quanto attiene invece alla dispersione nell’ambiente di alcuni articoli, quali tappi, coperchi e contenitori di bevande in plastica, l’impatto ambientale può essere più efficacemente affrontato, modificando la progettazione dei prodotti, passando a sostituti più sostenibili.
Si deve comunque rilevare che la proposta di direttiva del 2018, in ossequio al principio di sussidiarietà, prevede un certo margine di discrezionalità in capo ai singoli Stati membri, che hanno facoltà di scegliere le misure nazionali più appropriate.
In perfetta aderenza al principio di proporzionalità, la proposta della Commissione U.E. risulta altresì mirata ed incentrata sugli articoli di macro-plastica numericamente più rilevanti sulle spiagge europee[19].
Come si è già rilevato poc’anzi, il nostro paese, sulla base dei principi contenuti nella citata proposta, ha adottato, in via sperimentale, una normativa (art. 226 quater del codice dell’ambiente) di applicazione volontaria, finalizzata alla promozione di misure ecosostenibili, attraverso l’introduzione di modelli di raccolta differenziata di stoviglie in plastica, la loro sostituzione con biopolimeri di origine vegetale.
Per raggiungere tali obiettivi, i produttori sono tenuti a promuovere la raccolta delle necessarie informazioni e l’elaborazione di standard qualitativi delle materie prime e dei prodotti che ne derivano. Particolare importanza riveste la raccolta delle informazioni, che riguardano, più segnatamente, i sistemi di restituzione, raccolta e recupero disponibili, il ruolo degli utenti di prodotti in plastica monouso e dei consumatori nel processo di riutilizzazione, di recupero e di riciclaggio dei prodotti in plastica monouso e dei rifiuti da imballaggio. Particolare rilevanza riveste altresì il significato da attribuire ai marchi apposti sui prodotti stessi.
Al fine di realizzare attività di studio, verifica tecnica e monitoraggio è stato istituito un apposito fondo presso il Ministero dell’ambiente con una dotazione annua di centomila euro. L’esiguità di tale stanziamento rischia però di vanificare i buoni propositi del legislatore.
Sul versante regionale, è necessario segnalare che, in Italia, alcune Regioni hanno emanato apposite leggi in materia, prevedendo il divieto di utilizzo di contenitori, mescolatori per bevande, aste a sostegno di palloncini, cannucce e stoviglie, quali posate, forchette, coltelli, cucchiai, bacchette e piatti in plastica monouso. Alla violazione del predetto divieto corrispondono sanzioni amministrative per la punizione dei trasgressori, specie con riguardo all’inosservanza delle prescrizioni normative in aree sensibili quali parchi, lidi e spiagge del demanio marittimo[20].
In particolare, per quanto riguarda la Sicilia, si rileva che l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente di questa Regione ha adottato una Linea guida[21], che ripercorre, quasi pedissequamente, il contenuto delle leggi regionali sopra menzionate (Cfr. Regione Sicilia, l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, 6 dicembre 2018, Linee guida per la riduzione della plastica monouso nelle zone demaniali marittime – Direttiva Plastic free (COM2018-28 final) – circolare, in http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_Servizi/PIR_News?_piref857_3677299_857_3677298_3677298.strutsAction=%2Fnews.do&stepNews=det_news&idNews=198045406.
). Tale atto, che non ha natura normativa, essendo da annoverarsi, per espresso richiamo operato dalla Regione, fra le “circolari”, desta qualche perplessità, soprattutto riguardo ai profili sanzionatori, che vengono liquidati con un semplice richiamo all’art. 1164 del codice della navigazione. Trattandosi di materia per la quale è richiesto, per l’applicazione delle sanzioni, il rispetto del principio di legalità, sorgono fondate perplessità proprio a questo riguardo.
Tuttavia, trattandosi di un fenomeno di dimensione planetaria, le misure previste per contrastare tale forma di inquinamento, specialmente in riferimento all’ambiente marino, non appaiono ancora adeguate. Invero, ciò che appare rilevante, in un’ottica di effettiva tutela dell’ambiente, non sono solo gli strumenti normativi o fiscali, ma anche, e soprattutto, le abitudini dei consumatori, che devono maturare una chiara consapevolezza sul corretto utilizzo della plastica.
Peraltro, anche anteriormente alla proposta di direttiva del 2018, il legislatore nazionale[22] aveva introdotto il divieto di produzione e commercializzazione di alcuni prodotti gravemente nocivi per l’ambiente, tra i quali i bastoncini per la pulizia delle orecchie con supporto in plastica o comunque in materiale non biodegradabile né compostabile; la stessa norma ha poi messo al bando anche la commercializzazione di prodotti cosmetici da risciacquo, contenenti microplastiche a far data dal primo gennaio 2020, stabilendo le relative sanzioni in caso di violazione[23].
A tale proposito, anche in diversi paesi extra europei sono già state vietate le microplastiche nei cosmetici: così è, per esempio, avvenuto, già da tempo, negli Stati Uniti con il Microbead-free Waters Act, il quale ha proibito l’utilizzo di queste sostanze nei cosmetici che richiedono il risciacquo dopo l’uso, con decorrenza dallo scorso luglio. Nel 2016, il Canada ha inserito le microperle tra le sostanze tossiche elencate nell’Environmental Protection Act.
5. Posizioni contrarie alla tassa e controversie
Nonostante i propositi dell’Unione europea siano, al riguardo, certamente apprezzabili, le misure previste per contrastare l’inquinamento da materiali plastici, specialmente in rifermento all’ambiente marino non appaiono ancora adeguate. In effetti, la direttiva europea del 2019, mette al bando solo pochi prodotti “usa e getta”, mentre molti di essi sono rimasti fuori dall’elenco di quelli vietati: tra di essi spiccano i bicchieri in plastica, le bottiglie d’acqua minerale, i tubetti di dentifricio, i flaconi di detersivo, quelli contenenti lo shampoo ed il sapone liquido, i sacchi per l’immondizia.
Purtuttavia, è lecito chiedersi se questi sforzi, compiuti dall’Unione e, quindi, dai paesi membri della stessa siano sufficienti, posto che, da una recente analisi, condotta dal Helmholtz Association of German resarch Centres a Monaco[24], il 90% della plastica riversata negli oceani arriva dai fiumi Yangze, Indo, Fiume Giallo, Hai, Nilo, Brahmaputra Gange, Fiume delle Perle, Amur, Niger e Mekong. Le ragioni sono da imputarsi al cambiamento del tenore di vita di miliardi di persone che, fino a pochi anni fa, vivevano nella miseria e che ora invece possono indossare vestiti di poliestere e scarpe di poliuretano, cibarsi con alimenti sani e ben conservati e godere di uno stile di vita simile al nostro; tuttavia, al contempo, in questa parte del nostro pianeta, emersa dalla povertà, non esistono ancora i sistemi di raccolta e di gestione dei rifiuti.
Peraltro, non si può sottacere che uno dei motivi che stanno alla base di tale proliferazione di materiali plastici inquinanti è costituito anche, se non principalmente, dall’esportazione di rifiuti plastici da parte dei paesi ricchi nei paesi poveri, che utilizzano i fiumi per liberarsi dei rifiuti stessi, non avendo altra possibilità per smaltirli. In altri termini, trattandosi di una questione planetaria, l’approccio non dovrebbe limitarsi al territorio dell’Unione europea, ma dovrebbe essere globale, coinvolgendo, in particolare, i paesi “emergenti”[25].
È d’obbligo, in tale sede, rilevare come anche la Cina abbia deciso di fissare degli obbiettivi per il controllo dell’inquinamento legato alla plastica; nello specifico, entro il 2025, la finalità è quella di ridurre in modo sostanziale la quantità di rifiuti di plastica nelle discariche delle principali città, creando un vero e proprio sistema di gestione delle materie plastiche. L’introduzione di politiche volte alla riduzione del consumo della plastica ha avuto un impatto particolarmente negativo su altri paesi, quali l’Australia, che, a seguito della decisone del governo cinese, tramite Gayle Sloan, amministratore delegato della Waste Management Association of Australia ha dichiarato l’opportunità per l’Australia di creare un’economia circolare, come sta accadendo in altri paesi nel mondo.
Il blocco cinese sull’importazione di rifiuti ha infatti comportato enormi problemi non solo per l’Australia, ma anche per l’Unione europea che, da sola, è il maggiore esportatore di plastica a livello mondiale. La scelta operata dal governo di Pechino è stata dettata dall’insorgere di un penetrante sentimento ambientalista, che ha lanciato il suo editto contro “la spazzatura straniera”[26]. Per questo, i cinesi hanno preferito tagliare sulle tipologie di prodotti da far entrare nel proprio paese, optando solo per scarti “di qualità” (ovvero quelli più facilmente riciclabili e quindi a costi più contenuti). Il problema che si trova a dover affrontare l’Unione europea è che mancano le strutture, la tecnologia e le risorse finanziarie adeguate per riciclare i rifiuti complessi al suo interno (solo il 30% dei rifiuti viene riciclato in Europa)[27]. Per il momento, l’Occidente ha deciso di puntare su paesi alternativi alla Cina, come la Malesia, la Thailandia ed il Vietnam, ma ovviamente, nessuno di questi ha la capacità di gestione di un paese come la Cina.
A livello europeo, la Commissione UE ha inserito, già nel maggio 2018, fra le sue proposte per il bilancio comunitario 2021 – 2027 l’introduzione di un tributo nazionale di 0,80 centesimi di euro per ogni chilogrammo di plastica contenuto in imballaggi non riciclati. Le stime dei ricavi annuali che tale imposta potrebbe generare sono di 6 miliardi e 600 milioni di euro. Allo stato, la proposta di bilancio è all’analisi del Consiglio europeo.
Sempre in merito all’applicazione di una plastic tax, è opportuno segnalare anche la proposta del Presidente del Consiglio europeo Charles Michel, di utilizzare nuove risorse proprie, oltre ai contribuiti nazionali: ad esempio una tassa sulla plastica non riciclabile.
Tuttavia, trattandosi di un fenomeno di dimensione planetaria, le misure previste per contrastare tale forma di inquinamento, specialmente in riferimento all’ambiente marino, non appaiono ancora adeguate. Invero, ciò che appare rilevante, in un’ottica di effettiva tutela dell’ambiente, non sono solo gli strumenti normativi o fiscali, ma anche, e soprattutto, le abitudini dei consumatori, che devono maturare una chiara consapevolezza sul corretto utilizzo della plastica.
Nei vari paesi europei, uno studio dell’Ocse, pubblicato nel luglio del 2019, illustra come siano congegnate le varie tasse sulla plastica o, meglio, su determinate tipologie di plastica e su determinati usi della stessa, come quella destinata agli imballaggi. Molti Stati membri (Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Paesi Bassi e Slovenia) hanno optato per la leva fiscale, in misura ben più pesante di quella recentemente introdotta nel nostro paese, per cercare di influire sul comportamento dei cittadini in questo settore.
Per esempio, la tassa sugli imballaggi in Belgio è di 3,6 euro al chilogrammo per le posate usa e getta di plastica, mentre è di 3 euro al chilo per le borse di plastica monouso. In Francia, la tassa è di 6 centesimi di euro per borsa; in Irlanda di 0,22 euro; in Portogallo di 0,08 euro (più Iva); nel Regno Unito di 5 centesimi di euro. Una misura simile sulle borse di plastica in materiale leggero è in vigore anche in Italia, attraverso una legge del 2017 che ha recepito una direttiva europea del 2015 e che all’epoca aveva creato non poche polemiche.
Ragionando in un’ottica interna, sarebbe interessante effettuare un’analisi integrata circa l’applicazione di una “tassa sulla plastica” ed i suoi risvolti; i soggetti che potrebbero essere colpiti potrebbero, in prima battuta, essere individuati nelle aziende produttrici di imballaggi e, a valle, i consumatori al fine di scoraggiarne il consumo. In effetti, sul fronte nazionale, si evidenzia che la legge di bilancio per l’anno finanziario 2020[28] ha introdotto la Plastic tax sul consumo dei manufatti (contenenti plastica) con singolo impiego (MACSI), che hanno la funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari[29].
La Plastic tax, pur essendo una misura, per certi versi necessaria in funzione di una maggior tutela dell’ambiente, è stata fortemente avversata e criticata dalle associazioni imprenditoriali dei produttori della plastica e soprattutto del packaging. Si stima infatti che la nuova imposta determini una consistente riduzione del fatturato delle aziende del settore (le stime sono attestate fra il 10% ed il 15%), con conseguente impatto negativo sull’occupazione e sugli investimenti[30].
In un’analoga materia, sempre di natura ambientale, quale la protezione del pianeta dai negativi effetti dei cosiddetti “gas serra”, che, come noto, contribuiscono al surriscaldamento globale, i principali Paesi del mondo sottoscrissero nel 1997 il Protocollo di Kyoto[31]. Questa potrebbe essere una soluzione ipotizzabile anche per la riduzione, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti plastici: un protocollo sottoscritto a livello mondiale.
In ogni caso, ciò che appare veramente rilevante, più che gli strumenti normativi e fiscali, sono le abitudini e la mentalità dei consumatori: l’intervento normativo, seppure necessario, non è infatti sufficiente. In altri termini, si deve ritenere assolutamente prioritario l’obiettivo di giungere ad inculcare nei cittadini, non solo dell’Unione, una chiara consapevolezza sul corretto utilizzo della plastica, che si esplichi, nel quotidiano, in rinnovate abitudini. Ma sono processi, che richiedono tempo[32].
Note:
[1] Cioè, la Legge 27 dicembre 2019, n. 160 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020 – 2022”, pubblicata sul s.o. n. 45/L alla G.U. n. 304 del 30 dicembre 2019.
[2] Legge costituita da soli tre articoli.
[3] Si veda a tal riguardo l’art. 4, par.1, Direttiva 2019/904/Ue del 5 giugno 2019, “sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”, i cui contenuti sono stati illustrati, e brevemente commentati da chi scrive, attraverso il contributo “Prodotti in plastica ‘monouso’: dalla Direttiva 2019/904/Ue, le regole ‘circolari’ contro la loro dispersione nell’ambiente”, pubblicato sul n. 7/2019 in Foro.it.
[4] Per una sintetica esposizione di questo documento, si rimanda al contributo, a firma di chi scrive, “Al rush finale il pacchetto di direttive per gestire i rifiuti secondo l’Economia Circolare”, pubblicato sul n. 3/2018 di Foro.it.
[5] Per l’illustrazione di tale prescrizione, e per considerazioni/commenti sviluppati a latere, si rimanda al contributo, a firma di chi scrive, “La guerra ‘all’italiana’ contro gli ‘shoppers sottili’: macchinosità e zone d’ombra, a rendere inviso un sacrosanto obiettivo”, pubblicato sul n. 1/2018 di Foro.it.
[6] L’immissione in consumo dei MACSI nel territorio nazionale, anche qualora contengano merci o prodotti alimentari, secondo quanto disposto dall’art.1, comma 639, Legge n. 160/2019, si verifica:
a) per i MACSI realizzati nel territorio nazionale, all’atto della loro cessione ad altri soggetti nazionali;
b) per i MACSI provenienti da altri Paesi dell’Unione europea:
1) all’atto dell’acquisto nel territorio nazionale nell’esercizio dell’attività economica;
2) all’atto della cessione effettuata nei confronti di un consumatore privato;
c) per i MACSI provenienti da Paesi terzi, all’atto della loro importazione definitiva nel territorio nazionale.
[7] Non è considerato fabbricante (comma 638) il soggetto che produce MACSI utilizzando, come materia prima o semilavorati, altri MACSI sui quali l’imposta di cui al comma 634 sia dovuta da un altro soggetto, senza l’aggiunta di ulteriori materie plastiche.
[8] I fabbricanti fruiscono dell’esenzione dall’imposta per MACSI ceduti direttamente per il consumo in altri Paesi dell’Unione europea, ovvero da loro stessi esportati.
[9] Anno in cui fu brevettato dal chimico inglese Alexander Parkes il primo tipo di plastica artificiale, denominata “Parkesina”.
[10] Falsitta, Considerazioni conclusive, cit., 123.
[11] Almeno per la birra, e altre bibite, tutt’altro che trascurabile, fortunatamente, il “peso” del loro confezionamento in lattine d’alluminio.
[12] Falsitta, Considerazioni conclusive, cit., 125.
[13] Ronchi, Plastic tax, la nuova tassa è un’iva nascosta, in www.plastmagazine.it.
[14] In Foro.it, 1/2018.
[15] Fanno eccezione in pratica solo le stoviglie (piatti, bicchieri e posate) di plastica monouso, e gli altri beni (attrezzi da pesca e filtri per prodotti da fumo) in plastica, ai quali si è deciso di estendere la “Plastic Tax“.
[16] Ved. proposta di Dir. 28 maggio 2018 COM(2018) 340 final che modifica la Dir. 2008/98/CE relativa ai rifiuti, afferente alla riduzione dei rifiuti di plastica monouso, in particolare, i contenitori per alimenti, le tazze per bevande, i bastoncini cotonati, le posate, i piatti, i mescolatori, le cannucce, le aste per palloncini, i palloncini, i pacchetti e gli involucri, i contenitori per bevande con i relativi tappi e coperchi, le bottiglie per bevande, i filtri di prodotti del tabacco, le salviettine umidificate, gli assorbenti igienici, i sacchetti in plastica in materiale leggero, gli attrezzi da pesca.
[17] Cfr. Dir. 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino, in https://eur-lex.europa.eu/homepage.html.
[18] In tal senso è di rilievo approfondire le tematiche sulle politiche europee legate alla plastica attraverso l’analisi dei lavori del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea, in http://www.politicheeuropee.gov.it/media/4666/eprs_bri-2018-625115_en.pdf. La Commissione ed il Parlamento europeo sulla base dei report dell’Agenzia europea dell’Ambiente hanno deciso di intraprendere una campagna e la formalizzazione di atti volti alla tutela dell’ambiente.
[19] Il principio di proporzionalità, di cui all’ art. 5 TFUE, regola l’esercizio delle competenze esercitate dall’Unione europea. L’azione dell’Unione europea deve quindi essere limitata e pertanto il contenuto e la forma dell’azione devono essere rapportate all’azione stessa. Più specificatamente, qualora si impongano determinati obblighi agli operatori economici e gli stessi abbiano a disposizione una pluralità di alternative adottabili appropriate, sarà necessario fare riferimento alla misura meno impegnativa ed altresì garantire che, gli oneri sostenuti, siano direttamente proporzionali agli obiettivi posti. Ad esempio, in materia di libera circolazione delle persone all’interno degli Stati membri, non possono essere applicate condizioni eccessivamente gravose per garantire l’applicazione della libertà di soggiorno né, tanto meno, devono essere previste sanzioni non proporzionate in caso di mancato rispetto delle formalità, che potrebbero ostacolare la libera circolazione.
[20] Ved. L.R. Toscana 28 giugno 2019, n. 37 (art. 1). Peraltro, a tutela delle imprese del settore e, in particolare, dei dettaglianti, l’art. 2 della stessa legge prevede che i divieti di cui al precedente articolo si debbano applicare solo dopo l’esaurimento delle scorte a magazzino che, comunque deve avvenire entro il 31 dicembre 2019. Analoghe norme sono state adottate dalla Regione Marche (cfr. L.R. 1° agosto 2019, n. 27) e dalla Regione Campania (cfr. L.R. 4 dicembre 2019, n. 26).
[21] Cfr. Regione Sicilia, l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, 6 dicembre 2018, Linee guida per la riduzione della plastica monouso nelle zone demaniali marittime – Direttiva Plastic free (COM2018-28 final) – circolare, in http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_Servizi/PIR_News?_piref857_3677299_857_3677298_3677298.strutsAction=%2Fnews.do&stepNews=det_news&idNews=198045406.
[22] Cfr. art. 1, commi 545 e 546, L. n. 205 del 27 dicembre 2017.
[23] Cfr. art 1, comma 548, L. n. 205 del 27 dicembre 2017, che prevede la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di un importo da 2.500 a 25.000 euro, che può essere aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione attiene ad una quantità ingente di cosmetici, oppure se il valore della merce supera il venti per cento del fatturato del trasgressore. Se il contravventore è recidivo, lo stesso può subire la sospensione dell’attività produttiva per un periodo non inferiore ad un anno.
[24] La notizia è riportata dal quotidiano “Il Sole 24 ore” del 6 aprile 2019 in un corsivo a firma Jacopo Giliberto.
[25] Non mancano comunque esempi virtuosi: almeno 32 paesi nel mondo hanno messo al bando l’utilizzo di sacchetti di plastica; grande parte di questi paesi sono in Africa. Tale decisione dovrebbe avere risvolti positivi anche per l’igiene e la diffusione di malattie; spesso infatti i sacchetti ostruiscono gli scarichi fognari, contribuendo alla manifestazione di patologie batteriche o virali legate a carenze igieniche; ved. The Economist, 24 luglio 2019, in https://www.economist.com/graphic-detail/2019/07/24/ever-more-countries-are-banning-plastic-bags.
[26] Miele, Rifiuti, la Cina mette in ginocchio il mondo, 20 giugno 2018, in Avvenire.it.
[27] Dominioni, Allarme Europa: la Cina non ci compra più i rifiuti di plastica (e se non ricicliamo davvero, saremo sommersi), in greenkiesta, 2020.
[28] Cfr. L. 27 dicembre 2019, n. 160, pubblicata in G.U.R.I., n. 304 del 30 dicembre 2019, art. 1, commi 634 – 657.
[29] La misura dell’imposta è di 0,45 euro per ogni chilogrammo di materia plastica contenuta nei MACSI.
[30] Marcadella, Packaging: la Plastic tax minaccia conti e investimenti delle imprese, First online del 17 febbraio 2020, in https://www.firstonline.info/packaging-la-plastic-tax-minaccia-conti-e-investimenti-delle-imprese/; ved. anche Baroni – Tomasello, Plastic tax, tutti i sì e i no: occasione o rischio?, in https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2019/11/04/news/plastic-tax-tutti-i-si-e-i-no-occasione-o-rischio-1.37828999.
[31] Il Protocollo è datato 11 dicembre 1997, ma è entrato in vigore il 16 febbraio 2005: si tratta di un trattato internazionale che prende il nome dalla città giapponese dove è stato redatto. La sua efficacia è stata ulteriormente prorogata di otto anni – e quindi fino al 2020 – a seguito dell’accordo di Doha. L’obbligo più importante, previsto dal trattato, è ovviamente la riduzione delle emissioni di elementi che comportano l’inquinamento. È opportuno precisare che la prima fase del Protocollo ha avuto una durata di quattro anni (dal 2008 al 2012), mentre la seconda terminerà, come poc’anzi rilevato, nel 2020. Invero, per trovare applicazione, si è dovuto attendere otto anni, fino al 2005 con la ratifica della Russia. La motivazione deve rinvenirsi nel fatto che la somma delle emissioni dei paesi aderenti doveva superare il 55 per cento di quelle totali. Inizialmente fu sottoscritto e ratificato da 141 Paesi, di cui 39 industrializzati. La riduzione media prevista, su cui sono al lavoro i paesi, è del 5,2 per cento. L’esigenza di redigere il Protocollo di Kyoto è stata una diretta conseguenza della nascita nel 1988 dell’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC), gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che lo studia in tutti i suoi aspetti e le possibili soluzioni. Sulla base di uno dei rapporti di valutazione, fu appunto redatto il protocollo di Kyoto.
[32] Di rilievo in tal senso è l’iniziativa Europea della Circular Plastic Alliance, per maggiori dettagli in https://ec.europa.eu/growth/industry/policy/circular-plastics-alliance_it.
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