La politica agricola nell’U.E. e la sostenibilità ambientale

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Occorre premettere che, già nelle trattative che portarono alla firma dei trattati CEE ed Euratom del 25/3/1957, si manifestarono le principali preoccupazioni di ciascun Stato di proteggere e valorizzare la propria agricoltura, si previde quindi di predisporre un regime giuridico speciale per l’agricoltura, inserendo una serie di articoli, dal 38 al 46, nel Trattato stesso.

In particolare si dispose dagli artt. 39 al 46, che le norme relative alla creazione del mercato comune non fossero applicabili ai prodotti agricoli, se in contrasto con tali norme, l’elenco dei prodotti protetti è enumerato nell’Allegato II del Trattato, si viene così a creare una distinzione tra prodotti agricoli, ancor più estesa se si considera che il regime speciale si estende anche alla eventuale trasformazione dei prodotti elencati nell’Allegato II.

Il trattamento riservato all’agricoltura e al commercio dei suoi prodotti ricomprende, oltre ai prodotti della terra, quelli dell’allevamento e della pesca, oltre ai prodotti derivanti direttamente dalla loro trasformazione.

L’elenco ricompreso nell’Allegato II deve comunque essere interpretato secondo un criterio di ragionevolezza, per cui lo sguardo si allarga dai prodotti ai fattori della produzione, anche in considerazione degli interventi a carattere generale della PAC (Politica Agricola Comune).

L’art. 39, par.1 del Trattato CEE fissa le finalità della politica agricola comune, ossia l’incremento della produttività mediante il progresso tecnico e la sua razionalizzazione, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza negli approvvigionamenti, la formazione di prezzi ragionevoli e il miglioramento nel tenore di vita in ambito agricolo.

L’art. 40 del Trattato CEE, a sua volta, sancisce il principio del divieto di qualsiasi discriminazione nella Comunità, sia tra i produttori che tra i consumatori, un “principio generale di uguaglianza” superabile solo in presenza di “ragioni obiettive di diseguaglianza”, così come indicato nelle sentenze n. 177/90 del 10/1/92 e C-311/90 del 19/3/92 della Corte di Giustizia.

Trattato di Maastricht

L’art. 2 del Trattato di Maastricht allarga le funzioni, già riconosciute nel Trattato CEE, da realizzarsi non solo mediante il mercato comune, ma anche con l’unione economica e monetaria da svilupparsi mediante le politiche e le azioni comuni previste agli artt. 3 e 3A successivi.

La procedura comunitaria in materia agricola è una procedura speciale dal carattere peculiare, ma anche esclusiva, in quanto la sua violazione può comportare l’annullamento degli atti davanti alla Corte di Giustizia.

Gli aiuti al settore agricolo non devono essere contrari ai principi generali in materia di concorrenza e devono consentire, comunque, il raggiungimento dei fini di cui all’art. 39 del trattato CEE.

Al fine di evitare che si venga a creare un contrasto tra le norme della concorrenza e i fini propri dell’art. 39, le regole sulla concorrenza vengono filtrate nel settore agricolo direttamente dal Consiglio, si è peraltro allargato il settore agricolo alla forestazione con la riforma della PAC del 1992.

Già il regolamento di base CEE n. 26/62 agli artt. 1 e 2 riconosce che le norme sulla concorrenza, di cui agli artt. 85-90 del Trattato, non si applicano alla produzione e commercializzazione dei prodotti elencati nell’Allegato II, per superare la ristrettezza dell’elencazione le Istituzioni comunitarie hanno fatto ricorso ai c.d.poteri impliciti” di cui all’art. 235 del Trattato, appoggiandosi alle finalità dell’art. 39.

Con l’art. 130 R del Trattato di Maastricht si è venuta a stabilire una connessione tra la politica ambientale e la politica agricola comune, al fine di stabilire una crescita armoniosa ed equilibrata, che nel rispettare l’ambiente sia sostenibile e non inflazionistica, tanto da includere la tutela dell’ambiente tra le finalità sancite dall’art. 39 per la politica agricola comune, acquisendo questa per tale via anche una propria valenza etica.

Le azioni vengono adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata (art. 189 C), ad eccezione delle misure relative all’assetto del territorio, alla destinazione dei suoli e alla gestione delle risorse idriche per cui è necessaria l’unanimità (art. 130 S).

La riforma del 1992 (Reg. n. 2078/92) ha sostituito il precedente Reg. 2378/91, introducendo il concetto di compatibilità della produzione agricola con la protezione ambientale e la cura dello spazio naturale, in tale ottica è stato rinforzato in maniera incisiva la messa a riposo dei terreni (set-aside) per finalità di carattere ambientale, creazione dei parchi o protezione di sistemi idro-geologici (art. 2, lett. f).

Metodi di produzione agricola non inquinanti, compatibilità con l’ambiente e lo spazio naturale, incentivi per la salvaguardia di terreni abbandonati e a rischio di danni ecologici, utilizzi alternativi di terreni, sono tutti casi possibili di aiuti da parte degli Stati membri mediante programmi zonali pluriennali, da  sottoporre al giudizio della Commissione.

Una nuova riforma è quella del concetto rinnovato di “decoupling” (disaccoppiamento), dove si separa l’aiuto diretto agli agricoltori dal prezzo dei prodotti agricoli, riportati vicini a quelli del mercato mondiale, ma anche la nozione di “piccolo produttore” è stata ulteriormente precisata con il riferirla alle superfici inferiori a quella necessaria alla produzione di 92 tonnellate di cereali.

Deve rilevarsi che gli elevati livelli di pagamento hanno scoraggiato l’attività agricola, ridotta in molti casi a quel minimo sufficiente al conseguimento dell’aiuto, come l’assoggettamento a quote, la rotazione obbligatoria dei terreni e l’erogazione degli incentivi ha favorito una burocratizzazione dell’attività agricola, con una tenuta onerosa di documentazione complessa tale da scoraggiare molti piccoli imprenditori.

Sempre nel 1992, in un’ottica di ristrutturazione, si è proceduto con il Reg. n.2079/92 ad aiuti per un prepensionamento agricolo, favorendo la cessione delle aziende sia a fini agricoli che extra – agricoli, con alcuni limiti dati dai 55 anni di età e avere svolto continuamente nell’ultimo decennio attività agricola a titolo principale, oltre altre limitazioni. Si è comunque con l’art. 7 tesi a favorire questo programma rispetto a quelli nazionali, al fine di ampliare le aziende agricole.

Gli Stati nazionali possono disciplinare la vendita al minuto ma non all’ingrosso dei prodotti agricoli, questo a condizione che non venga impedito il regolare funzionamento delle organizzazioni comuni di mercato.

Gli aiuti alle produzioni devono essere espressamente autorizzati dalla Comunità, la riforma del 1992 ha infatti previsto che il ricavo netto previsto per i produttori dovrà essere raggiunto mediante il regime degli aiuti e non più per il livellamento rigido dei prezzi.

Si è cercato di comprimere la produzione evitando le eccedenze, rendendo la produzione compatibile con la tutela ambientale, incentivando la forestazione e creando marchi commerciali che garantiscono l’origine comunitaria (IGP, DOP).

Con il venire meno dei blocchi politici contrapposti, nel corso degli anni ’90 prevale definitivamente una concezione liberista del commercio mondiale, di cui si fanno campioni  gli  Stati Uniti, ne nascono una serie di accordi internazionali, tra cui l’accordo agricolo c.d. di Blair House (1992), l’Uruguay Round (1993) e il Trattato di Marrakech (1994).

Se nei primi due accordi vi fu uno scontro tra le posizioni statunitensi sul libero mercato e quelle più protezionistiche della Comunità, nel Trattato di Marrakech si apre il territorio comunitario alle produzioni di paesi terzi, si viene così a modificare ulteriormente il sistema adottato nel 1992 relativamente alle politiche agricole comunitarie.

L’allargamento ad Est dell’U.E. comporta, tra l’altro, problemi anche nel settore agricolo che vengono affrontati nel Consiglio Europeo di Madrid del 1995, prevedendo un periodo transitorio di 15 anni, al fine di rendere compatibile l’agricoltura dei nuovi membri al mercato della libera concorrenza, trasformando l’attività agricola in senso imprenditoriale.

Le problematiche relative alla concorrenza dei paesi terzi, all’introduzione della moneta unica, alla ristrettezza di bilancio, ai nuovi negoziati in corso con l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OCM) e, infine, l’allargamento ad Oriente, spingono la Comunità attraverso la Commissione ad una riforma della PAC nell’ambito di Agenda 2000.

Nel frattempo procedono i negoziati per l’adesione dei nuovi 10 paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO), lo strumento strategico ideato a sostegno per il periodo 2000 – 2006 è lo SAPARD con un bilancio di 520 milioni di euro.

Nel 2003 vi è una riforma fondamentale della PAC, in cui vengono per il futuro, a partire dal 2005, scollegati completamente dalla produzione la maggior parte degli aiuti, alternativamente collegandoli anche alle norme di tutela ambientale, sicurezza alimentare e benessere degli animali.

In questi anni si è in realtà manifestato un affaticamento della nostra agricoltura, non solo verso i paesi terzi, ma anche all’interno dell’U.E. tra le agricolture del Nord e quelle mediterranee e all’interno di queste tra l’Italia e gli altri paesi  del bacino del Mediterraneo.

Si è cercato di usare la normativa comunitaria al fine di favorire determinate aree agricole e produzioni, creando ostacoli a produzioni di nicchia antiche e consolidate, standardizzando con la scusa dell’igiene e della tutela ambientale, dimostrazione di una nostra debolezza contrattuale nelle riunioni comunitarie.

D’altronde se la Comunità europea fin dagli anni ’90 considera le problematiche ambientali, inserendole nella valutazione delle attività agricole, il suo peso in ambito mondiale è relativo rispetto alle immense aree asiatiche, africane e americane, dove vi è una scarsa considerazione del principio della sostenibilità ambientale e della tutela della salute.

Dalle ultime stime il 75% delle terre emerse sono state trasformate dall’azione umana, l’85% delle aree umide sono andate distrutte a causa dell’uomo e il 66% delle aree oceaniche hanno subito impatti cumulativi, se l’Europa frena il resto del mondo nella realtà si disinteressa, salvo annunci, riducendo i tempi disponibili (dati forniti dall’IPBES).

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L’applicazione dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici

Con il “Collegato ambiente” alla legge di stabilità 2015, sono state introdotte nel nostro ordinamento una serie di novità in materia di appalti verdi e alcune modifiche al codice dei contratti pubblici. Le norme hanno previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, incluse le centrali di committenza, di contribuire al conseguimento degli obiettivi ambientali, attraverso l’inserimento nei documenti di gara delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei decreti ministeriali sui CAM (Criteri Ambientali Minimi), adottati in attuazione del Piano di Azione Nazionale (PAN GPP). Ovviamente, tutte le disposizioni (sugli acquisti verdi e sulla obbligatorietà dei CAM) costituiscono una vera e propria rivoluzione nel mondo degli appalti e gli operatori pubblici e privati sono chiamati a conoscere ed utilizzare gli strumenti di gestione ambientale (EMAS e ISO 14001), le etichettature ecologiche (Ecolabel etc.), le dichiarazioni ambientali di prodotto (DAP), le metodologie di analisi del ciclo di vita (LCA) ed infine l’impronta ecologica dei prodotti (PEF) che, tra l’altro, sarà utilizzata per il nuovo marchio “Made Green in Italy”, recentemente oggetto del Decreto 21 marzo 2018, n. 56 del Ministero dell’Ambiente di cui questa edizione tiene conto. Il focus del libro risulta concentrato sui Criteri Minimi Ambientali e sull’impatto che la loro applicazione avrà sul sistema attuale degli appalti pubblici. Un capitolo è dedicato alla conoscenza del GPP; vengono altresì illustrate alcune esperienze regionali riconosciute come virtuose. Oltre agli strumenti predetti, vengono analizzati i Manuali Europei sugli acquisti verdi e le varie direttive, la normativa nazionale, il Piano di Azione Nazionale (PAN GPP). Si illustreranno i CAM, sia quelli in vigore (ad oggi 18) che quelli in itinere, con commenti e valutazioni ed alcune schede operative. Tutti i contenuti del volume sono aggiornati e commentati con il D.Lgs. n. 56/2017. Inoltre, è stato introdotto un nuovo paragrafo sui “Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici” (G.U. serie generale n. 259 del 6 novembre 2017), entrati in vigore il 7 novembre 2017. Seguendo le istruzioni presenti in terza di copertina, si potrà consultare una selezione della normativa europea e nazionale in materia, i PAN GPP, i CAM attualmente in vigore e documentazione varia selezionata dalle esperienze regionali.

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