È un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.
Il fatto.
Un paziente convenne in giudizio l’azienda ospedaliera per richiedere il risarcimento del danno in conseguenza di un intervento chirurgico che assumeva imperitamente eseguito. L’Azienda si costituì e chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, il quale contestò che il contratto escludeva la garanzia per i fatti illeciti commessi dall’assicurato, anche durante la vigenza del contratto, se la richiesta di risarcimento da parte del terzo fosse pervenuta all’assicurato dopo la scadenza del periodo di assicurazione. Il Tribunale rigettò la domanda di garanzia, ma la Corte di Appello la accolse. L’assicuratore ricorreva in Cassazione,
La decisione.
Premessa: nel contratto di assicurazione “claims made” (“a richiesta fatta”) la garanzia opera se la richiesta risarcitoria avviene durante la durata del contratto (sebbene il danno si sia verificato prima della decorrenza del contratto stesso); un diverso regime di garanzia è quello del contratto “losses occurring”, il quale copre i danni secondo lo schema dell’art. 1917 c.c., ossia quelli verificatisi rigorosamente durante il rapporto assicurativo. Riassumendo molto sinteticamente, nel primo (claims made) è la richiesta che deve ricadere durante il periodo assicurativo, mentre nel secondo (losses occurring) è il danno, invece, che deve verificarsi nel periodo assicurato.
Il Supremo Collegio accoglie solo formalmente il ricorso dell’assicuratore (cambiando la motivazione della Corte di appello), ma in concreto lo respinge (si trattava in ogni caso di un danno verificatosi durante il periodo assicurato, a prescindere dal momento in cui era pervenuta la richiesta del danneggiato). A prescindere dalla soluzione della controversia, il Relatore, Dott. Marco Rossetti, coglie occasione per offrire una sistematica spiegazione dell’istituto. Della validità di questo tipo di clausole, comunemente dette “claims made”, si sono occupate le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016. Con questa decisione le Sezioni Unite hanno stabilito che: 1) la clausola claims made, nella parte in cui consente la copertura di fatti commessi dall’assicurato prima della stipula del contratto, non è nulla; 2) la clausola claims made, nella parte in cui subordina l’indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all’assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, non è vessatoria; 3) la clausola claims made, pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici non diretta a “realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, ai sensi dell’art. 1322 c.c.. Quest’ultima valutazione tuttavia va compiuta in concreto e non in astratto, valutando: 3a) se la clausola subordini l’indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto; 3b) la qualità delle parti; 3c) la circostanza che la clausola possa esporre l’assicurato a “buchi di garanzia”. Definitivamente stabilito, dalla Sezioni Unite, che la clausola claims made non rende il contratto privo di rischio, e non ne comporta la nullità ex art. 1895 c.c. e che la suddetta clausola non è vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., resta, invece, da stabilire, caso per caso, se quella clausola possa dirsi anche “diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela”, ai sensi dell’art. 1322 c.c., in particolare quando, come nel caso di cui la Corte si è occupata in questa sentenza, escluda il diritto all’indennizzo per i danni causati dall’assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto. La Corte ha ritenuto che questo ultimo tipo di clausola non superi il vaglio di meritevolezza richiesto dall’art. 1322 c.c. Il Relatore Dott. Marco Rossetti affonda l’esame di questo parametro nelle radici del codice, nella Relazione al Codice civile: sarà immeritevole ogni patto contrario alla coscienza civile, all’economia, al buon costume od all’ordine pubblico (così la Relazione al Codice, § 603, II capoverso, ripreso e consacrato negli artt. 2, secondo periodo; 4, secondo comma, e 41, secondo comma, della Costituzione). Affinché dunque un patto “atipico” possa dirsi immeritevole, ai sensi dell’art. 1322 c.c., non è necessario che contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sé nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c.. L’immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i princìpi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. La disamina del Relatore, Dott. Marco Rossetti, si sposta nel diritto romano, laddove Paolo (Libri LXII ad edictum) affermava che non omne quod licet, honestum est (non tutto ciò che è permesso, è altrettanto onesto). Il Relatore offre precedenti arresti come esempi: è stata ritenuta “immeritevole” la clausola, inserita in una concessione di derivazione di acque pubbliche, che imponeva al concessionario il pagamento del canone anche nel caso di mancata fruizione della derivazione per fatto imputabile alla p.a. concedente, per contrarietà al principio di cui all’art. 41, comma secondo, cost. (Sez. U, Sentenza n. 4222 del 17/02/2017); il contratto finanziario che addossava alla banca vantaggi certi e garantiti, ed al risparmiatore non garantiva alcuna certa prospettiva di lucro (acquisto di prodotti finanziari, emessi da una banca, mediante un mutuo erogato dalla stessa banca, e poi costituiti in pegno a garanzia del mancato rimborso del finanziamento: Sez 6, Ordinanza n. 19559 del 30/09/2015); immeritevole, altresì, è stato ritenuto il contratto atipico stipulato tra farmacisti, in virtù del quale gli aderenti si obbligavano a non aprire al pubblico il proprio esercizio commerciale nel giorno di sabato, in quanto contrastante con la “effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato” (Sez. 3, Sentenza n. 3080 del 08/02/2013); ed ancora, la clausola, inserita in un mutuo di scopo per l’acquisto d’un bene materiale, che obbligava il mutuante al pagamento delle rate persino nel caso di mancata consegna del bene da parte del venditore (Sez. 3, Sentenza n. 12454 del 19/07/2012); la clausola contrattuale che vietava al conduttore di ospitare stabilmente persone non appartenenti al suo nucleo familiare, in quanto contrastante coi doveri di solidarietà (Sez. 3, Sentenza n. 14343 del 19/06/2009); il contratto fiduciario in virtù del quale ad una banca, presso cui il cliente aveva depositato somme di denaro su un libretto di risparmio ed aperto un conto corrente, di compensare l’attivo del primo con il passivo del secondo (Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/02/2000); il patto parasociale in virtù del quale i soci firmatari si obbligavano, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, a votare in conformità alle indicazioni formulate da uno di essi (Sez. 1, Sentenza n. 9975 del 20/09/1995). Nella Relazione al Codice civile sopra ricordato, si ribadisce che l’autonomia negoziale delle parti non è sconfinata, ma è circoscritta entro il limite della meritevolezza, travalicato il quale l’ordinamento cessa di apprestarle tutela.
Riducendo a “sistema” le motivazioni dei precedenti appena ricordati, se ne ricava che sono stati ritenuti immeritevoli, ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, c.c., contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di: 1) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra (sentenze 22950/15, cit.; 19559/15, cit.); 2) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra (sentenze 4222/17; 3080/13; 12454/09; 1898/00; 9975/95, citt.); 3) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti (sentenza 14343/09, cit.).
Alla luce di questo schema, la clausola che escluda la garanzia di un danno richiesto dopo la scedenza della polizza, ma verificatosi nella vigenza di essa, è immeritevole di tutela, sotto tutti gli aspetti enucleati. Infatti, attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita. E’ infatti praticamente impossibile che la vittima d’un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile. Ciò determina uno iato tra il tempo per il quale è stipulata l’assicurazione (e verosimilmente pagato il premio), e il tempo nel quale può avverarsi il rischio. Questo iato temporale è inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale cui può andare incontro il medico, la cui opera può talora produrre effetti dannosi a decorso occulto, che si manifestano a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno. In secondo luogo, la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra. La clausola claims made, infatti, fa dipendere la prestazione dell’assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell’assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento. L’avveramento di tale condizione, tuttavia, esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall’organizzazione dell’assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo. Ciò determina, secondo la Suprema Corte, conseguenze paradossali, che l’ordinamento non può, ai sensi dell’art. 1322, c.c., avallare. La prima è che la clausola in esame fa sorgere nell’assicurato l’interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in aperto contrasto col principio secolare (desumibile dall’art. 1904 c.c.) secondo cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto. La seconda conseguenza paradossale è che la clausola claims made con esclusione delle richieste postume pone l’assicurato nella seguente aporia: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1915 c.c.. In terzo luogo, la clausola claims made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto può costringere l’assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. La clausola in esame infatti, elevando la richiesta del terzo a “condizione” per il pagamento dell’indennizzo, legittima l’assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l’assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l’assicuratore potrebbe rifiutare l’indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all’assicurato, sicché è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell’assicuratore (Sez. 3, Sentenza n. 5791 del 13/03/2014). Esito paradossale, posto che quanto più l’assicurato è zelante e rispettoso dei propri doveri di solidarietà sociale, tanto meno sarà garantito dall’assicuratore.
La Corte va a dettare il principio: “la clausola c. d. claim’s made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.
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