La posizione di garanzia e il reato di omissione di soccorso: le differenze strutturali alla luce della pronuncia della Corte di Cassazione sul processo Ciontoli

Premessi brevi cenni introduttivi sui reati omissivi, l’articolo si propone l’obiettivo di offrire un’analisi della distinzione tra la posizione di garanzia, elemento caratterizzante i reati commissivi mediante omissione, e il reato di omissione di soccorso, con particolare riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4049 del 7 febbraio 2020, pronunciatasi sulla vicenda processuale che vide coinvolta la famiglia Ciontoli nella morte di Marco Vannini, deceduto in seguito ad un colpo di pistola partito accidentalmente per mano di Antonio Ciontoli.

Brevi cenni sui reati omissivi

Come noto, l’ordinamento penale italiano si fonda sul principio di materialità, il quale esprime l’esigenza che il diritto penale abbia ad oggetto fatti materiali, percepibili nel mondo esterno e realizzati dall’uomo. Alla stregua di tale principio, si afferma allora che elemento costitutivo del reato è necessariamente una condotta. Il legislatore punisce tanto le condotte che si sostanziano in un facere, ovvero in un’azione, tanto quelle condotte che si sostanziano in un non facere quod debetur, ossia in un non fare ciò che si deve fare.

Analizzando la categoria dei reati omissivi occorre procedere ad una summa divisio, la quale vede contrapposti i reati omissivi propri ai reati omissivi impropri. I primi si sostanziano in reati omissivi di pura condotta mentre i secondi richiedono il verificarsi di un evento, il quale si trovi in rapporto di causalità con la condotta omissiva. In particolare, la categoria dei reati omissivi impropri può essere ulteriormente scissa in una sottocategoria, al cui interno troviamo quei reati che risultano dal combinato disposto tra l’art. 40 c. II c.p. e una norma incriminatrice di parte speciale, la quale tipicizza reati commessi mediante condotta attiva. Ai sensi dell’art. 40 c. II c.p., infatti, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo[1]. Il tenore letterale della norma consente di affermare che il meccanismo della comparazione tra il non impedire l’evento e il cagionarlo – in altri termini, l’applicabilità della clausola di equivalenza – può applicarsi solo ai reati d’evento e non ai reati di mera condotta.

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Le posizioni di garanzia

Un ruolo centrale, in tema di reati omissivi impropri, deve essere riconosciuto alla c.d. teoria delle posizioni di garanzia, elaborata negli anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le quali si sono sempre più discostate da un concetto meramente formale di obbligo giuridico per tendere verso una concezione più fluida dello stesso, da individuare cioè nella ratio della previsione ex art. 40 c. II c.p. Essa mira ad offrire una tutela rafforzata a determinati beni giuridici tale per cui si prevede una responsabilità in capo a quei soggetti che ricoprono una determinata posizione di garanzia, volta appunto a scongiurare ogni lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice di parte speciale. Poiché nelle fattispecie omissive improprie le posizioni di garanzia sono l’elemento caratterizzante, esse sono soggette al principio di legalità e, pertanto, devono avere fondamento legale ed essere identificate con sufficiente precisione. Ciò, tuttavia, non presuppone la necessaria sussistenza di una norma che espressamente preveda un obbligo giuridico: le posizioni di garanzia, infatti, trovano la loro fonte non solo nella legge formale ma anche in vincoli negoziali, in particolari relazioni di vita, nell’ingerenza in situazioni di pericolo[2] o anche in situazioni di fatto. Ciò avviene quando il soggetto, pur non essendoci un’investitura formale, esercita le funzioni tipiche del garante[3]. Così acquistano rilevanza anche quelle posizioni di garanzia che vengono assunte di fatto dal soggetto agente, in capo al quale sorge il dovere giuridico di impedire eventi dannosi; obbligo che, se violato, può condurre a responsabilità per reato commissivo mediante omissione secondo il paradigma di cui all’art. 40 c. II c.p[4].

L’operatività della clausola di equivalenza, inoltre, non richiede che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato dei poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito poiché è sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire l’evento dannoso[5], ovvero che abbia la possibilità, con la sua condotta attiva, di influenzare il decorso degli eventi in modo da scongiurare la lesione del bene giuridico garantito[6].

Riassumendo, si delinea una posizione di garanzia ogni qual volta siano soddisfatte le seguenti condizioni:

  1. incapacità del titolare del bene giuridico di provvedere da sé alla protezione dello stesso;
  2. esistenza di una fonte giuridica, anche negoziale, che si ponga la finalità di tutelare il bene;
  3. l’obbligo di protezione deve gravare su uno o più soggetti specificamente individuati;
  4. i garanti devono essere dotati dei mezzi idonei o ad impedire l’evento o a sollecitare gli interventi necessari a scongiurarlo.

Il caso Ciontoli: la Cassazione si pronuncia sulla posizione di garanzia assunta dagli imputati

Le recenti vicende di cronaca hanno consentito alla Corte di Cassazione di tornare sul tema dell’ assunzione di fatto della posizione di garanzia e delle relative conseguenze sul piano della responsabilità ai sensi dell’art. 40 c. II c.p. La Corte fu chiamata a pronunciarsi sul ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Appello di Roma, la quale, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l’imputato Antonio Ciontoli[7] alla pena di anni 5 di reclusione per l’omicidio colposo di Marco Vannini, aggravato dalla previsione dell’evento ex art. 61 n. 3 c.p.. La sentenza confermava invece la condanna per i familiari di Ciontoli, Federico e Martina Ciontoli e la madre Maria Pezzillo, alla pena di anni tre di reclusione a titolo di omicidio colposo ex art. 589 c.p. La Corte di Cassazione, la quale conclude per l’annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per un nuovo giudizio[8], ha avuto così modo di pronunciarsi sulla fondamentale distinzione tra la responsabilità penale ex art. 593 c.p. e la responsabilità che trae origine dall’art. 40 c. II c.p.

La Corte di Cassazione precisa sul punto che gli imputati non avrebbero potuto rispondere del reato di omissione di soccorso poiché “quel che venne in rilievo non fu un mero obbligo di soccorso ma un obbligo di protezione derivante da una posizione di garanzia”. Ciò che caratterizza la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 593 c.p. – il quale appartiene alla categoria dei reati omissivi propri – è che i soggetti chiamati a rispondere di omissione di soccorso sono privi di poteri giuridici impeditivi dell’evento ma gravati dall’obbligo di agire a tutela di certi beni: questo obbligo sorge in ragione del verificarsi del determinato presupposto di fatto individuato dalla norma e consistente nell’imbattersi in una persona che necessiti di assistenza. Dunque, l’obbligo giuridico di dare immediato avviso alle autorità subentra nel momento in cui chiunque si imbatte alternativamente in una persona incapace di provvedere a sé stessa, in un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero in una persona ferita o altrimenti in pericolo.

La Corte osserva inoltre che la distinzione tra la fattispecie in esame e la posizione di garanzia ex art. 40 c. II c.p. non ha nulla a che vedere con l’idoneità a qualificare come causali le condotte omissive in riferimento all’evento morte: non è dunque la verificazione dell’evento morte a distinguere le due fattispecie; tanto è vero che l’art. 593 c.p. prevede un aggravamento di pena qualora dall’omesso soccorso derivi la morte del soggetto[9]. La giurisprudenza ormai consolidata ha avuto modo di affermare che tale evento debba essere attribuito al soggetto agente a titolo di colpa in concreto. I Giudici di legittimità non mancano poi di osservare il diverso trattamento sanzionatorio tra la fattispecie ex art. 593 c. III c.p. e l’omicidio commesso per colpa in forza di una condotta omissiva ex art. 40 c. II c.p., prevedendo una pena maggiore per la seconda fattispecie. La ratio insita nella previsione di una pena più aspra, precisa la Corte, risiede nella presenza di una posizione di garanzia da ravvisare nella seconda fattispecie e non già nell’omissione di soccorso.

Alla stregua di tali considerazioni, la Cassazione censura l’affermazione dei Giudici di merito secondo cui gli imputati vennero meno all’obbligo generale di non ledere l’altrui sfera giuridica; tale obbligo (il quale si sostanzia nel principio del neminem leadere), infatti, si configura in capo a qualunque consociato e non già in capo a chi deve considerarsi garante di fatto.

I membri della famiglia Ciontoli possono essere ritenuti tali in ragione della peculiarità del caso concreto; l’assunzione di tale posizione si evince da plurimi elementi: la vittima si trovava nell’abitazione dei Ciontoli per ragioni di ospitalità, tutti i presenti presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente, si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e poi chiamarono i soccorsi.

Alla luce di tali evidenze, la Corte ha affermato che gli imputati acquisirono, nei confronti di Vannini, volontariamente quella posizione di garanzia – in particolare una posizione di protezione[10] – che distingue la previsione di cui all’art. 40 c. II c.p. dal reato di cui all’art. 593 c.p.

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Note

[1] Si veda, ad esempio, Corte di Cassazione, sentenza n. 9901/1992, la quale così recita: “Il capoverso dell’art. 40 del codice penale prescrive le equivalenze tra il “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire” e il “cagionare (l’evento stesso”). Tale disposizione ha inteso estendere la punibilità della condotta illecita a carico di determinati soggetti per eventi che colpiscono altre persone e che non siano da loro procurati, perché conseguenti all’azione di terzi o di altri fattori anche di natura accidentale, ma che pure si sarebbero evitati se fosse stato posto in essere un intervento teso ad eliminare la lesione del bene posto in pericolo, intervento richiesto come doveroso da una norma che imponga a tali soggetti l’obbligo di attivarsi”.

[2] D. Pulitanò, Diritto penale, sesta edizione, Giappichelli Editore, pag. 221.

[3] Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 24372 del 31 maggio 2019, Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 19029 del 20 aprile 2017.

[4] Non è sufficiente, tuttavia, la sussistenza di una condotta omissiva affinchè si possa ritenere sussistente la penale responsabilità del garante rimasto inerte: è infatti necessario verificare la sussistenza del nesso causale tra la condotta omissiva e l’evento, nonché la possibilità di rimprovero a titolo di colpa.

[5] Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 47794 del 19 ottobre 2018.

[6] Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 38991 del 10 giugno 2010.

[7] L’imputato, con sentenza emessa dalla Corte d’Assise, venne condannato alla pena di anni 14 di reclusione per l’omicidio volontario di Vannini, ritenendo configurato in capo a Ciontoli il dolo di omicidio nella forma eventuale, caratterizzata dalla previsione ed accettazione dell’evento morte quale conseguenza della propria condotta.

[8] Con sentenza n. 22 del 2020, la Corte d’Appello di Roma, qualificò la condotta di Antonio Ciontoli come omicidio volontario con dolo eventuale e riconobbe la penale responsabilità di Martina e Federico Ciontoli e Maria Pezzillo per concorso nel reato ai sensi dell’art. 116 c.p.

[9] In tal caso, il reato di omissione di soccorso assume la veste di reato omissivo improprio di danno. Così ha confermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 38200 del 23 agosto 2019.

[10] Si distingue tra posizioni di protezione, le quali hanno a che fare con la protezione di soggetti incapaci di provvedere a sé stessi per età, infermità o altra causa, dalle posizioni di controllo, le quali, invece, prendono in considerazione situazioni caratterizzate dal controllo su cose pericolose e dal controllo su attività ritenute pericolose.

Chiara Meneghetti

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